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Autore: lady lina 77    19/11/2017    0 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era tornata ad Illugan, nella sua casetta-mulino nel bosco, due settimane dopo il parto. Ci aveva messo un po' a riprendersi fisicamente ma appena stata bene aveva deciso che era ora di tornare a gestirsi da sola la sua vita. Farsi coccolare da Dwight e Caroline non le sarebbe stato di aiuto, così come non lo sarebbe stato adagiarsi sugli allori. Aveva molte sfide da affrontare da sola ed era ora di iniziare a farlo. I suoi due amici erano stati meravigliosi con lei in quei mesi ma averla tenuta con se avrebbe potuto crear loro problemi con Ross e soprattutto, si sentiva di troppo con una neonata, con loro. Erano due sposini e avevano diritto a privacy e romanticismo e non era il caso di disturbarli oltre coi suoi problemi e col pianto notturno di una neonata.

Anche se, a onor del vero, Eleanor era bravissima e piangeva raramente. Piagnucolava quando aveva fame ma bastava attaccarla al seno e subito smetteva, oppure quando perdeva il suo coniglietto ma anche lì, bastava rimetterglielo fra le braccia per tranquillizzarla e farla riaddormentare. Lo adorava e Demelza sospettava che sarebbe stato un affetto costante durante la sua infanzia.

Era una bimba pacifica e tranquilla, forse la più calma fra i suoi figli e prendersi cura di lei l'aveva fatta rifiorire e rinascere dopo mesi di dolore. Si sentiva di nuovo madre, una madre vera e non un surrogato di ciò che era stato e che aveva perso. Si sentiva forte, una leonessa! Non avrebbe mai permesso a nessuno di farle del male. E aveva riacquistato una sorta di serenità, anche se il pensiero di Ross, strisciante, non l'abbandonava mai. Perché prima o poi sarebbe tornato o avrebbe saputo. E per lei sarebbe stato l'inferno.

Tornata a casa, aveva ripreso a lavorare. Quando Eleanor dormiva, cuciva e rammendava e ogni giorno, con la bimba fra le braccia, portava il lavoro finito al villaggio. Percorreva la strada di campagna portando Eleanor in una fascia e tenendo gli abiti cuciti fra le braccia. Era una routine faticosa ma si sentiva finalmente viva e utile, con la vita di nuovo in suo pieno possesso.

Era tornata ad essere la vecchia Demelza, quella che non stava mai ferma e non aveva paura di lavorare e che si sarebbe spezzata la schiena per i suoi figli. Erano finiti i tempi dei pianti e della tristezza che la facevano da padroni, aveva scelto di avere Eleanor e ora doveva e voleva prendersene cura.

Era un pomeriggio assolato quello, un giorno tiepido di aprile dal sapore tardo-primaverile. Camminava verso casa, su quella strada sterrata che ormai conosceva palmo a palmo, col sole che tramontava che le illuminava il cammino e i campi pieni di grano tutti attorno a lei.

Canticchiò una canzone mentre Eleanor, nascosta nella fascia che una volta aveva usato anche per portare Julia, la guardava assonnata. "Hai fame, amore?" - le chiese, avvicinando l'indice alla sua bocca.

La bimba succhiò per un attimo, ma poi sbadigliò, chiudendo gli occhi e dimostrando che forse poteva aspettare ancora un po' per la poppata. Demelza sorrise, sospirando sollevata. Mettersi ad allattare in mezzo alla campagna, coi contadini sui loro carri che andavano e venivano, non era decisamente l'ideale.

Tutti avevano preso con curiosità la nascita di Eleanor. A Illugan si lavorava sodo, la vita era dura e non c'era tempo per i pettegolezzi e quindi a nessuno importava che lei avesse una figlia a cui aveva dato il suo cognome e non quello del marito, la cosa importante era non dover sborsare denaro per questo.

Aveva battezzato Eleanor a casa di Dwight, subito dopo la sua nascita, con padrino e madrina i suoi due cari amici. Il sacerdote aveva storto il naso ma la salvezza di un'anima innocente era passata in primo piano rispetto allo scandalo che la sua nascita avrebbe generato e quindi la piccola era entrata a pieno titolo fra i fedeli della zona, nonostante tutto.

Ripensando al Battesimo, Demelza raggiunse il bosco, vagamente stanca dalla camminata. Sperò che Eleanor dormisse un po' per poter fare altrettanto, ma i suoi piani fallirono miseramente. Davanti al mulino, a sorpresa, c'era un cavallo bianco maestoso che pareva aspettare lei e non le ci volle molto per ricordarsi che quell'animale magnifico lei lo aveva già visto. Il cuore le balzò in petto, spalancò gli occhi e guardò la sua bambina. "Hugh?". Accelerò il passo, chiedendosi come fosse possibile che lui... lui...

Una donna comparve dal retro, dove c'era il piccolo pollaio in cui era riuscita a mettere qualche gallina e un paio di coniglietti. "Buona sera, spero di non disturbare".

Demelza si bloccò, impietrita. No, non era Hugh e del resto sarebbe stato impossibile il contrario. "Dorothy..." - sussurrò, freddamente, stringendo di riflesso a se, a protezione, la bimba. Cosa ci faceva lì la madre di Armitage?

"Sono solo di passaggio, sono in partenza per Londra a dire il vero. E visto che son passati molti mesi da... da...".

"Dalla morte di Hugh? Sì, ne son passati sette" – la interruppe Demelza. "Cosa ci fate qui?".

"Volevo vedere...".

Dorothy fece per avvicinarsi ma Demelza arretrò, stringendo a se la piccola. La madre di Hugh era sempre stata molto fredda con lei e non aveva mai nascosto, sotto una forzata cortesia, il suo astio nei suoi confronti. E ora, con la bambina con loro, sentiva l'esigenza di proteggere sua figlia. "La bambina? Siete qui per vedere la mia bambina?".

Dorothy impallidì. "E' una femmina?".

"Sì, una bellissima bambina bionda e in perfetta salute" – rispose Demelza, freddamente.

"Somiglia a Hugh?".

"Un po', credo".

L'atteggiamento distaccato e sulla difensiva di Demelza, fece abbassare il capo a Dorothy. Perse la sua espressione altera e aristocratica e il suo viso parve assumere fattezze più gentili. "Ne sono felice".

Demelza la osservò. Era una donna aristocratica, sicuramente viziata e con una mentalità lontanissima dalla sua ma in quel momento vide in lei dolore vero e solitudine. Aveva perso un figlio come lei aveva perso Julia e forse proprio per questo poteva immedesimarsi in lei e compatirla per il comportamento duro che aveva tenuto nei suoi confronti durante la malattia di Hugh. Osservò Eleanor che dormiva placidamente nella fascia, per nulla disturbata dalle loro voci. "E' tranquillissima, una bambina meravigliosa" – disse in tono più gentile, per condividere anche solo per un attimo qualcosa con Dorothy di quella piccolina. Non ne sarebbe mai stata la nonna e Ellie non sarebbe mai stata sua nipote ma forse quel breve istante insieme poteva ridare un po' di colore alla sua vita.

"Posso vederla?".

Demelza annuì. "Sì".

Lasciò avvicinare la donna e Dorothy allungò una mano, con gli occhi lucidi, ad accarezzare una guancia alla bambina. "Avevate ragione, è bellissima".

"Volete tenerla in braccio?" - chiese, facendo quasi violenza su se stessa.

Dorothy sorrise tristemente. "Meglio di no, finirei con l'affezionarmi e non posso permettermelo".

"No, non potete".

"Demelza, so che ve ne prenderete cura a dovere e di questo ve ne sarò grata" – riprese Dorothy, riacquistando un po' del suo carattere aristocratico. "Crescetela al meglio, è tutto quello che posso dirvi".

"Faccio del mio meglio. Avete intenzione di tornare a vederla?".

"No, sto per partire per Londra, ho bisogno di vita mondana per distrarmi e non pensare. La Cornovaglia è troppo piena di ricordi per me e qui, isolata dal mondo, mi sembra di impazzire. Rivedere la bambina non puo' che farmi male e sarebbe davvero inappropriato se qualcuno sapesse delle mie visite qui".

Demelza si morse il labbro, nuovamente irritata. "E allora perché lo avete fatto, oggi?".

Dorothy sorrise, allontanandosi dalla bambina. "Almeno una volta, la volevo vedere. A proposito, come l'avete chiamata?".

"Eleanor. Eleanor Carne".

"Eleanor" – ripeté la donna. "Bel nome. Ma avreste forse fatto meglio a darle il cognome di vostro marito. Siete una Poldark e da voi ci si aspetta che mettiate al mondo figli col cognome dell'uomo che avete sposato".

"Ma non è figlia di Ross".

Dorothy scosse la testa. "Ma sarebbe stato conveniente per tutti che lo faceste. Conveniente per voi, per la bambina e per la reputazione di vostro marito".

Demelza sospirò. C'era un abisso fra loro due, Dorothy non avrebbe mai potuto capire le sue scelte... "Non potrei mai mentire a mio marito su una cosa del genere".

"Beh, la vita e vostra, così come lo è la bambina. Era solo un consiglio. Buona fortuna Demelza, a voi e alla piccola Eleanor. E' ora che io vada". Dorothy tornò al cavallo, montò in sella e dopo un cenno del capo, senza aggiungere altro, sparì al galoppo fra la vegetazione.

Demelza la vide allontanarsi, sollevata. Si era sentita a disagio per tutto il tempo e voleva solo rintanarsi in casa da sola, in tranquillità. Avrebbe potuto arrabbiarsi per quello strano comportamento, ma in realtà compativa Dorothy, ne comprendeva il dolore e sapeva anche che, in altre circostanze, sarebbe stata felice di far parte della vita di sua nipote. Sospirò, guardando la piccola. "Lei avrebbe potuto essere tua nonna... Ma sarà solo una persona di passaggio venuta a farci visita per la tua nascita" – mormorò, entrando in casa.

Appoggiò sul tavolo il lavoro che si era portata da fare dal villaggio, una montagna di abiti da rammendare, si tolse la fascia che reggeva la piccola e si stese nel letto con lei, esausta. "Eleanor, mamma è tanto stanca, sai?".

Voleva dormire un po' prima di pensare a mettere insieme la cena e allattare la piccola, ne aveva bisogno.

Eleanor, avvolta nella sua copertina, aprì gli occhi, cercandola con lo sguardo. Si mise il pollice in bocca e lo succhiò, tranquilla, emise un vagito e con la manina libera le sfiorò il mento.

Demelza sorrise, Eleanor era quanto di più bello avesse e aveva il potere di ridarle il buonumore. "Cosa c'è amore?" - le chiese, stringendola al suo petto. Allungò la mano e prese il suo coniglietto di stoffa che aveva appoggiato sul cuscino prima di uscire e glielo diede. La piccola lo abbracciò immediatamente, affondando il visino nella pancia del giocattolo.

"Credo che dovrò dividere il tuo affetto con un giocattolo, è?" - le chiese Demelza, scherzosamente.

Eleanor, in tutta risposta, si rannicchiò contro di lei, riaddormentandosi col peluches fra le braccia. E Demelza si trovò a pensare a quanto i suoi figli la amassero e a come, probabilmente, fossero gli unici a farlo.

Era cresciuta con un padre che l'aveva riempita di botte e aveva sposato un uomo a cui aveva donato il suo cuore, un uomo che l'aveva sempre presa in giro e tradita. Un uomo che di quel cuore non aveva mai avuto premura di prendersene cura, come se fosse la cosa di minor valore al mondo per lui.

Ma i suoi figli...

I suoi bambini l'avevano amata, tutti. Julia, Jeremy, Clowance e ora Eleanor...

E come succedeva spesso quando la piccola dormiva e pensava a loro, pianse silenziosamente. Era da tanto che non rivedeva i suoi figli e questo era atroce, terribile, uno strappo continuo al suo cuore.

Ross le stava facendo pagare nel peggiore dei modi il suo affetto per Hugh e nemmeno sapeva tutto. Glieli aveva portato via, aveva i mezzi per farlo e li aveva usati e lei ora avrebbe dovuto vivere una vita intera senza sapere più nulla di loro.

Jeremy, che al mattino la raggiungeva nel suo letto e si faceva coccolare da lei e la teneva sempre per mano quando uscivano per una passeggiata... E poi la sua piccola, biondissima e bellissima Clowance, che aveva quasi due anni e mezzo e metà della sua vita l'aveva trascorsa lontano da lei e ora probabilmente non ricordava nemmeno più il suo volto.

Guardò la piccola Eleanor, grata di averla. E si chiese se fosse giusto per lei vederla sempre così triste per una decisione che in fondo aveva preso di sua volontà. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro andandosene via da Nampara con Hugh, ma quel giorno era troppo sconvolta per agire lucidamente. E ora... ora i suoi bambini avrebbero pagato le conseguenze di quella scelta.

Forse doveva semplicemente voltare pagina, fingere che non fossero mai esistiti. Forse doveva mettersi in testa che non era più la loro mamma e loro non erano più i suoi bambini. Erano i bambini di Ross ora e magari a Londra tutti loro, assieme ad Elizabeth e Valentine, formavano una grande e felice famiglia. Le si contorse lo stomaco davanti a quella fantasia malata, ma non poteva farci niente.

Singhiozzò e decise di tentare di non pensarci più. Sarebbe stata la madre di Eleanor d'ora in poi, SOLO di Eleanor.

Ma sapeva che non ce l'avrebbe fatta, sapeva che una parte del suo cuore si era spenta per sempre. Si sentiva piccola e spersa, sola e senza speranza. Eppure aveva scelto di avere quella figlia e ora doveva tirare fuori tutta la sua forza e il suo carattere per crescerla al meglio.

"Sono la madre di Eleanor, di Eleanor, di Eleanor..." - si ripeté come una cantilena, scivolando in un sonno tormentato.


...


Dieci mesi a Londra. Decisamente troppo per lui! Troppi damerini, troppi personaggi viscidi e pomposi come George, troppi rumori, troppo tutto.

L'avventura politica era stata qualcosa di nuovo ed interessante, vissuta tutta con ogni responsabilità sulle sue spalle perché Lord Falmouth era sempre rimasto in Cornovaglia e si erano sentiti sporadicamente solo per lettera.

Solo ora, dopo dieci mesi, era arrivato nella capitale e quella, quel pomeriggio, era la prima occasione di parlare di persona con lui. C'erano un sacco di cose che voleva chiedergli e soprattutto aveva bisogno di confrontarsi con lui su come fronteggiare il potere odioso di George Warleggan che, nella capitale, gli era ancora più indigesto che a casa.

Pensò che era maggio ed era arrivato a Londra nel luglio dell'anno prima! Dannazione a Lord Falmouth, che lo aveva lasciato solo a farsi le ossa in quel campo di battaglia che poteva essere la camera dei Lords!

I suoi bambini si erano ambientati a Londra, Clowance un po' di più, Jeremy un po' meno. Suo figlio era diventato molto taciturno e anche quando rideva, scorgeva in lui l'ombra della tristezza ferirgli gli occhi. Aveva smesso di chiedere della mamma ma Ross sapeva che non l'aveva dimenticata.

Clowance era più piccola, più mondana, più sfrontata. Prepotente, vivacissima, chiacchierona e con una gran faccia tosta, si era fatta adorare da tutta la gente che frequentavano.

E lui... lui viveva, senza sapere con quale scopo. Era un uomo importante e con una brillante carriera davanti ma si sentiva spento, senza vitalità e avvolto dal gelo.

Si sentiva come un gatto in gabbia, era Nampara la sua casa. E si sentiva un uomo a metà senza la sua donna accanto, a condividere con lui la sua vita.

Era maggio, Demelza compiva gli anni in quel mese... Non riusciva a smettere di pensarci. E non sapeva più nulla di lei dall'estate precedente! Come stava, cosa faceva? E con Armitage?

Aveva scritto spesso a Dwight per parlargli della sua vita ma non aveva mai osato chiedere nulla di lei. Aveva paura di scoprire che era felice con un altro uomo e sapeva di essere un codardo per questo...

"E allora capitano Poldark, che ve ne pare di Londra?" - chiese Lord Falmouth, mentre uscivano dal Parlamento.

"Puzzolente, caotica e invivibile" – rispose Ross. "Motivi per cui, suppongo, siete rimasto rintanato in Cornovaglia invece che venire qui a farmi visita".

Lord Falmouth rise di gusto. "Ah, mi piace la vostra faccia tosta! Ma vi sbagliate, son rimasto a casa per motivi famigliari".

"Scusa infantile" – ribadì Ross.

Lord Falmouth sospirò, tornando serio e osservando il cielo. "Magari fosse una scusa, capitano Poldark. In realtà sono tornato a Londra per rimanerci. Sono qui con mia sorella Dorothy".

"Oh, non sapevo che aveste una sorella" – rispose Ross, in realtà annoiato da quella convesazione.

"Non conoscete Dorothy? Beh, strano, avete salvato la vita di suo figlio".

A quelle parole, Ross impallidì. ERA UN IDIOTA! Lord Falmouth era lo zio di Hugh Armitage e quindi di certo aveva una sorella... Aveva rimosso la parentela di Falmouth con quel giovane poeta, non voleva pensare a lui e a quanto era stato idiota a salvarlo e a non allontanarlo in malo modo da sua moglie, ma in effetti il suo interlocutore era molto vicino per vincoli parentali al suo rivale. "Scusate, avevo dimenticato la cosa. Come mai vi trasferite a Londra?" - chiese, sperando di non ritrovarsi Armitage ad ogni angolo della capitale.

"Beh, io per affari. Mia sorella ha bisogno di cambiare aria, dopo il lutto che l'ha colpita, e le feste, i balli e i pettegolezzi potranno aiutarla".

Lutto? Ross guardò Falmouth senza capire. "E' rimasta vedova?".

"Lo è da anni, capitano!".

Ross si grattò il mento. "Chi è morto allora, se posso permettermi di chiedere?".

Lord Falmouth spalancò gli occhi, sorpreso. "Non lo sapete? Di mio nipote, intendo? E' venuto a mancare lo scorso settembre".

"Cosa?". A Ross sembrò mancare il fiato. "Hugh? Come...?". Non sapeva cosa dire o fare, era totalmente annientato da quella notizia inaspettata.

Il suo interlocutore sospirò. "Una malattia terribile gli ha mangiato prima la vista e poi s'è preso la sua vita. E' morto fra atroci sofferenze, da quel che mi hanno raccontato. Lo scorso autunno ero via per dei viaggi di lavoro e non ho potuto assisterlo direttamente".

Ross trattenne il fiato ma avrebbe voluto fargli mille domande che però non sembravano voler uscire dalle sue labbra. Era incredibile! Hugh Armitage, così giovane, talentuoso, brillante ed affascinante... era morto... Era la cosa più assurda che avesse mai sentito.

Non sapeva come sentirsi. Forse gli spiaceva, era pur sempre un ragazzo. Ma quel ragazzo aveva tradito il suo salvatore, gli aveva portato via l'amore della sua vita e un angolo della sua mente, il più oscuro, pareva volergli sussurrare che aveva avuto ciò che si era meritato. "Condoglianze" – disse, infine, formalmente. Che altro poteva dire?

"Vi ringrazio".

Ross annuì. Si trovò a pensare a Demelza, quasi convulsamente. Come l'aveva presa? Aveva sofferto per lui? Aveva pianto? Gli era stata vicina? Si era ripresa dalla sua morte? Eran passati mesi, dopo tutto...

E maggio era il mese del suo compleanno e forse, ora che era sola...

Forse, senza il terzo incomodo, avrebbero potuto parlare, risolvere, ritrovarsi...

Forse pensava ancora a lui, ai loro figli e alla loro vita insieme e voleva riabbracciarli. Demelza amava i suoi figli, lo sapeva che per lei doveva essere stato atroce vivere senza saper nulla di loro. Gli aveva portato via Clowance e Jeremy per quasi un anno ed era consapevole che i suoi figli avevano bisogno di lei.

Anche lui aveva bisogno di riabbracciarla... La rabbia era scemata in una triste nostalgia durante quei mesi e ora, sapere che Hugh era morto e ripensare al loro ultimo incontro, rimetteva tutto sotto una luce diversa.

Quel giorno Demelza gli aveva detto che Hugh, steso con la testa sulle sue gambe, stava male. E se fosse stato vero? E se davvero avesse travisato, come lei aveva fatto con lui in merito all'incontro al cimitero con Elizabeth?

Decise, all'istante, come spesso accadeva. Sarebbe tornato a casa coi bambini, fatto i bagagli e si sarebbe preso una lunga vacanza.

Era ora di tornare in Cornovaglia, era ora di riprendersi Demelza!



  
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