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Autore: lady lina 77    19/11/2017    2 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo diciassette


"Cinquanta monete di rame e due d'argento in una sola mattinata. Non male davvero!".

Entusiasta, mentre camminava nei viottoli fangosi di Bozen, Mattheus faceva saltellare da una mano all'altra il sacchetto contenente il suo guadagno di inizio giornata. Era incredibile quanto fosse tutto amplificato a Bozen: più confusione, più gente, più viandanti, più possibilità di commercio e guadagni facili ed immediati, per cui poteva soprassedere al vento gelido che fendeva l'aria e lo faceva rabbrividire ogni volta che metteva il naso fuori dalla sua locanda. Bozen era una città strana, situata geograficamente in un posizione tale da renderla torrida in estate ed estremamente fredda ed umida in inverno, ma in fondo gli importava poco. Sarebbe rimasto lì solo una settimana, al massimo due, e sarebbe tornato a Pennes decisamente più ricco di quando era partito. E quindi al diavolo il freddo e anche la neve che di tanto in tanto cadeva sulla città sotto forma di tormenta, soprattutto durante il pomeriggio e la sera.

Si strinse nel mantello, rabbrividendo e guardandosi attorno. Bozen era piena di vicoli fangosi, lastricati solo in prossimità della grossa piazza del centro. Le case erano più piccole e fatiscenti rispetto alle baite ordinate di Pennes e nei viottoli si sentivano odore di sporco e di umidità, tipici della città. Nella piazza era stato addobbato un grosso abete decorato con nastri e candele che venivano accese ogni sera e le piccole bancarelle di legno che vendevano dolciumi od oggetti natalizi rendevano calda e magica l'atmosfera, ma solo in apparenza: attorno a quel micro cosmo fatto di luci e festa si viveva di stenti e povertà.

In un luogo dove non conoscevi il tuo vicino di casa e nessuno, nel bene e nel male, ti avrebbe dato retta, lui non si sarebbe mai abituato a vivere, era il luogo ideale per fare affari ma non ci avrebbe vissuto per tutto l'oro del mondo.

Perso in quei pensieri svoltò l'angolo del vicolo che stava percorrendo, un dedalo di case di fango e legno che si susseguivano senza sosta, l'una addosso all'altra. Era vicino al centro, pochi passi lo speravano dalla piazza dopo di che solo una manciata di vie lo avrebbero separato dalla sua locanda, una decina di minuti e avrebbe potuto riscaldarsi davanti a un camino acceso, cosa che desiderava da quella mattina.

Il destino però giocava strani scherzi e lui sapeva ormai da anni che nulla va mai come preventivato; una voce giunse da una delle vie circostanti, un suono che lo fece irrigidire e bloccare, costringendolo ad appoggiarsi al muro di una casa.


"Non ce la faccio da sola, Helena può venire con me?".


Deglutì, mentre un miscuglio di emozioni forti e contrastanti si attorcigliavano nel suo stomaco davanti a quell'evento del tutto inaspettato e a cui non era preparato: era la voce di una donna, una voce che spesso aveva riso, battibeccato e chiacchierato con lui, una voce che aveva amato più di quanto avesse mai osato ammettere a se stesso e che gli mancava come l'aria che respirava.

"Elke..."

Era contro ogni logica che lei si trovasse a Bozen, a pochi metri da lui. Era un parto malato della sua mente, un tiro mancino della sua coscienza. Eppure non si sbagliava, non poteva, non su quello. Era lei, per qualche assurdo motivo era la sua voce che aveva sentito. A piccoli passi, con le gambe che gli tremavano, non sapendo nemmeno lui cosa desiderasse, si avvicinò allo svincolo del vicolo da cui era provenuta quella voce. Si rannicchiò dietro all'angolo della casa, tirandosi su il cappuccio del mantello e spiando di soppiatto.

La via che si dipanava davanti a lui era percorsa da palazzi più alti, maestosi e imponenti di quelli delle vie circostanti ed era dominata da un enorme convento dal muro di pietra con decine di finestre, grate ed un’ampia scalinata che portava all'ingresso e ad un probabile chiostro interno.

Una suora, di mezza età, viso tondo e molto in sovrappeso, guardava con aria severa due ragazze che, davanti a lei, sembravano in attesa di qualcosa.

"Elke...".

Deglutì. Lei era lì, a pochi metri da lui, non poteva sbagliarsi: l'avrebbe riconosciuta fra mille, ma, nonostante tutto, non riusciva a credere ai suoi occhi. La guardò quasi rapito, era cambiata: il suo fisico era minuto come lo ricordava, ma gli sembrava un po’ più alta con lineamenti da donna e non più da ragazzina; indossava un logoro abito grigio e teneva i suoi capelli raccolti in una coda di cavallo bassa, poco curata, cosa inusuale per lei: nei suoi ricordi era perennemente impegnata a farsi trecce e treccine con nastri e perline colorate e non aveva mai un capello fuori posto.

Pensò che, però, era sempre bellissima.

Anche l'altra ragazza vestiva allo stesso modo di Elke: avevano apparentemente la stessa età, aveva lunghi capelli biondi e ricci, viso lentigginoso e un petto decisamente più prominente di quello della ragazza albina.

Osservò il loro abbigliamento identico e capì la situazione: nei conventi, spesso, le suore tenevano a servizio ragazze disagiate o da rimettere sulla buona strada, come pecorelle disperse. Elke era albina e quindi, poteva scommetterci, ai loro occhi peccatrice da redimere senza appello; l'altra ragazza aveva sicuramente qualche peccato sulla coscienza, anche se lui aveva non poche perplessità sul grado di giudizio delle suore verso ragazze che a volte peccavano solo a causa di fame e disperazione.

Scosse la testa mentre sentiva lo stomaco contorcersi; sapeva quanto fosse difficile e dura la vita per le ragazze come loro e come le suore, che a parole si prendevano cura di loro e delle loro anime, fossero in realtà severe, manesche e a volte persino crudeli: in cambio di un tetto sulla testa e un piatto di minestra costringevano le ragazze che accoglievano nel loro convento a lavori durissimi, usuranti, al limite della schiavitù. Mordendosi il labbro, dilaniato da mille sensi di colpa, pensò che, data la situazione di Elke, sicuramente non aveva trovato di meglio dove andare. Il motivo per cui Elke fosse a Bozen non lo conosceva, del resto non sapeva nulla della sua vita negli ultimi tre anni, ma sapeva che avrebbe potuto essere infinitamente migliore se lui non si fosse dimostrato tanto stupido, orgoglioso e... geloso? Avrebbe voluto uscire allo scoperto per portarla via con sé lontano da quella suora che la guardava severamente, ma le sue gambe sembravano diventate di pietra, mentre lui si sentiva un enorme codardo.

La suora scese alcuni scalini, avvicinandosi verso le due ragazze.

"Elke, che vuol dire che non ce la fai da sola?".

La ragazza alzò le spalle.

"Beh, io venti chili di patate non riesco a portarli, dalla bottega a qui. Sono pesanti. Vi prego, permettete ad Helena di venire con me e di darmi una mano! Faremo prima e quando saremo indietro, potremo lavare il refettorio. Sarà tutto pulito per l'ora di cena, giuro".

La suora scosse la testa. "Il lavoro nobilita corpo e anima e solo Dio sa quanto tu ne abbia bisogno. Purtroppo però sei una buona a nulla che non sa fare da sola le faccende che le vengono assegnate, finendo per rallentare la quotidianità del convento". Si voltò verso l'altra ragazza che, silenziosa, attendeva di sapere il suo destino.

"Helena, vai con lei. Ma vi avverto, se scopro che perdete tempo a bighellonare in giro, poi ve la vedrete con me e la mia verga. E visto che siete in due, vi farete dare trenta chili di patate dal fruttivendolo in modo da averne di scorta nel caso in cui il tempo dovesse peggiorare e non si riuscisse ad andare a fare la spesa nei prossimi giorni. Sì, trenta chili... O anche di più, tanto siete in due" concluse, lanciando alle ragazze un'occhiataccia molto eloquente. Estrasse dalla tasca una piccola sacca contenente delle monete, lanciandola a Elke che la prese al volo.

"Vi voglio indietro entro un'ora o saranno guai".

E così dicendo scomparve dietro la pesante porta in ebano del convento.

Appena le due ragazze furono sole, sul viso di Elke comparve un enorme sorriso. Non sembrava per nulla turbata dalle parole della suora. "Helena, ce l'abbiamo fatta, abbiamo un'ora libera, lontana da questo posto e da Suor Faustine".

L'altra ragazza, per nulla entusiasta, scosse la testa, sbuffando. "Ora libera? Bell'amica che sei, Elke! Potevi essere la sola a spaccarti la schiena oggi e invece...".

"E dai, non lamentarti! In fondo lo dici sempre che odi aver sempre attorno suor Faustine".

"Si ma... Trenta chili di patate, santo cielo! Al solo pensiero mi viene mal di schiena". Borbottando, la ragazza prese Elke per mano. "Avanti, andiamo! Un'ora passa in fretta e in fondo hai ragione, un attimo di respiro lontana da suor Faustine è un dono dal cielo. Che ne dici se ci facciamo una corsa veloce in piazza a vedere l'abete addobbato, prima di andare a fare la spesa?".

Elke però non parve troppo entusiasta dalla proposta. "A quest'ora le candele che addobbano l'albero sono ancora spente. Non mi va! E poi lo sai che odio il Natale".

Helena le prese il polso, costringendola a seguirla. "Tu devi essere malata! Solo i malati odiano il Natale!".

"Non è vero!".

"E allora andiamo in piazza! La vista di un abete addobbato non ti ucciderà ma, come dice suor Faustine, nobiliterà il tuo animo" – concluse, ridendo di gusto ed imitando la voce della suora.

Mascherando un sorriso Elke la seguì e Mattheus la osservò sparire fra i vicoli assieme all’amica mentre le gambe gli cedevano. Si lasciò cadere a terra, vinto da un'onda di ricordi che facevano male; pensò alla notte di Natale di tre anni prima, quando Elke gli aveva confessato di odiare quella festività, raccontandogli la terribile esperienza della sua infanzia e di quanto le aveva fatto il padre. Lei aveva pianto e lui poteva ancora sentire le sue lacrime ed il caldo abbraccio che si erano dati nel silenzio del bosco. Ricordava la sua rabbia quando si era scagliata contro al tronco immaginando che fosse suo padre, ma anche il suo sorriso davanti alla neve, alle statuine del presepe ed allo zelten che avevano trovato sulla porta di casa. Da un disastro si era trasformato in un Natale felice per entrambi: era la prima volta che lei godeva appieno di quella festa e quel sorriso era anche merito suo. Le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto perché i suoi Natali, da lì in avanti, fossero felici, una delle mille promesse che non aveva mantenuto.

Ora, probabilmente anche a causa sua, lo spirito di Elke era tornato solitario e triste come quella notte di Natale di tanti anni prima quando suo padre l'aveva frustata a sangue. L'aveva delusa anche lui, ferendola come avevano fatto tutti quelli che lei aveva incontrato nel corso della sua vita. Elke gli aveva insegnato che, a differenza di quello che lui pensava, non era diverso o migliore degli altri: non era infallibile e, come tutti, sbagliava e ne pagava le conseguenze.

Si ritrovò ad interrogarsi su cosa fosse successo tre anni prima davanti a Lucius, cosa lo avesse spinto a reagire a quel modo. Poteva anche prendersi in giro raccontandosi che era a causa del suo passato e di Jakob, ma sapeva benissimo che quella era solo una piccola parte della verità: lui era stato geloso, aveva perso la testa nel vederla così vicina a qualcun altro e accettare un fiore che avrebbe dovuto regalargli lui, non per ruffianeria ma per dirle grazie per le mille attenzioni e premure che Elke aveva sempre avuto nei suoi confronti. O anche solo, semplicemente, per farle piacere. Abbassò lo sguardo, vinto dai sensi di colpa, pensando a quando, quella notte, le aveva fatto l’ennesima promessa non mantenuta di intagliarle una statuetta all'anno da mettere nel presepe, come regalo.

'Avremmo dato vita a un bellissimo presepe insieme, noi due...'.

Si alzò in piedi, di scatto. In quell'istante tutta la sua razionalità svanì come se non fosse mai esistita, come se il suo cervello avesse perso il controllo delle sue azioni.

A passi spediti si avviò fra i vicoli del centro storico, alla ricerca di qualcosa che non riusciva nemmeno lui a comprendere. Continuava a camminare, spinto da una forza invisibile che lo guidava senza che lui potesse opporvi resistenza. Probabilmente sembrava un pazzo, ma non gli importava.

Si fermò solo davanti alla bottega di un falegname e davanti alla sua insegna capì cosa stesse cercando.

Era la cosa più folle e stupida che avesse mai fatto, ma dopo aver infranto mille promesse quella continuava a tormentare la sua anima, accrescendo i suoi sensi di colpa.

Entrò e, pagando sull’unghia senza perdere tempo contrattando sul prezzo, comprò un piccolo pezzo di legno ed un taglierino, per poi correre alla locanda chiudendosi dentro la sua stanza senza nemmeno cenare.

Si gettò sul letto, osservando il pezzo di legno fra le sue mani, un piccolo ramo di abete lungo una ventina di centimetri. Sospirò. Suo padre era un maestro dell'intaglio e durante la sua infanzia, per lui, aveva dato vita a statuette del presepe magnifiche che rimanevi a guardare incantato per ore.

Lui invece era un grande stregone, ma in quanto ad abilità manuale non era per niente al suo livello

Però ci doveva, VOLEVA tentare!

Pensò a cosa potesse fare, che forma dare al legno. Cosa poteva piacere a Elke, quale statuina avrebbe amato mettere nel presepe? Scosse la testa, rendendosi conto che probabilmente Elke non desiderava nulla visto che odiava il Natale. E lui stava facendo la cosa più stupida che avesse mai fatto da quando era nato. Per una volta però voleva essere irrazionale e seguire il suo istinto.


"Sai Mattheus, non è vero che non ho mai avuto amici, da piccola avevo Maike".

"Maike?".

"Si, una lupa. Era mia amica, mi seguiva sempre, certe volte da lontano, certe volte camminando al mio fianco".


Sorrise. Forse una statuetta raffigurante una lupa sarebbe sembrata un po’ fuori luogo in un presepe, ma in fondo anche lui da bambino ne aveva voluta una a forma di orso. Decise che una lupa che potesse ricordarle Maike forse era l'unica statua che Elke avrebbe apprezzato.

Lavorò tutta la notte senza sosta; non era un bravo intagliatore e all'alba aveva graffi e tagli su tutte e dieci le dita de mani. Quando finì il cielo era tinto di rosa, la mattinata era fredda e ventosa e metteva i brividi solo guardando i candelotti di ghiaccio che scendevano.

Era stanco come se avesse vangato un intero campo, i suoi capelli erano spettinati e ribelli, coi riccioli che ricadevano senza un ordine preciso su spalle e fronte. Il letto era pieno di trucioli e osservando la statuetta che aveva intagliato poteva notare mille errori ed imperfezioni. Non era un gran che, soprattutto se paragonata alle splendide statuine in legno esposte sulle bancarelle natalizie della piazza. Ad essere onesti, anche se si era impegnato al massimo, il risultato era davvero scarso: il muso del lupo era imperfetto, così come le zampe troppo grandi rispetto al resto del corpo.

Si gettò sul cuscino, esausto, senza riuscire a spiegarsi il motivo di questa nottata passata in bianco a massacrarsi le dita. Era come trovarsi davanti alle azioni di un Mattheus sconosciuto.

Sospirando, si tirò su, si diede una sistemata ad abiti e capelli, prese le ampolle dell'acqua da vendere e, dopo aver messo la statuina appena intagliata in una tasca interna del mantello, uscì per concludere gli affari della giornata. Il Mattheus razionale gli aveva ricordato che si trovava lì per vendere la sua acqua e non per intagliare statuette di legno.

Quella mattina lavorò come sempre, maledicendo il freddo, ma guadagnando ancora di più che nei giorni precedenti. Qualcosa però era cambiato in lui: era distratto, poco interessato a quello che stava facendo, con la mente lontana. La statuetta nel suo mantello sembrava pesare tantissimo anche se era piccola ed insignificante. Eppure sembrava avere vita propria, pulsando per ricordargli che era lì, che lui gli aveva dato vita e che ormai esisteva.

Tentò inutilmente di scacciare quel pensiero e, vendute tutte le ampolle, i suoi passi, invece che portarlo verso la locanda, lo guidarono verso il convento dove il giorno precedente aveva visto Elke.

La sua parte irrazionale aveva di nuovo preso il sopravvento, esattamente come il giorno e la notte appena trascorsi. Si rannicchiò nello stesso vicolo, nascosto sotto il suo mantello e aspettò, chiedendosi cosa avrebbe fatto se l'avesse rivista.

Passò lì tutto il pomeriggio, stupendosi della sua resistenza al freddo che si infilava fra i vicoli e che lo investiva senza pietà. Era una giornata serena ma gelida, come aveva potuto notare all'alba. Scorgeva suore che entravano ed uscivano dal convento ed ogni tanto qualche ragazza compariva con un sacchetto fra le mani pieno di sale da spargere per sciogliere il ghiaccio sulla strada, ma nessuna di loro era Elke.

Quando iniziò ad imbrunire decise che aveva perso fin troppo tempo e preso troppo freddo. Si alzò, pronto a tornare alla locanda, maledicendo sé stesso ed il suo comportamento idiota; aveva perso ore di sonno per intagliare una statua orrenda che non avrebbe mai dato a nessuno e preso tanto di quel freddo da rischiare una polmonite. Sarebbe tornato alla locanda, avrebbe cenato con del brodo caldo e poi si sarebbe messo a letto, davanti a un camino scoppiettante. Quella era una serata intelligente, quello era un modo di vivere di una persona dotata di cervello.

Stava per andarsene quando il portone del convento si aprì e udì una voce conosciuta borbottare. Sussultò, mentre i suoi buoni propositi di andarsene svanivano nel nulla. Tornò indietro e riconobbe la ragazza che il giorno prima era insieme ad Elke. Gli sembrava di ricordare che chiamasse Helena.

La ragazza, stringendosi nelle spalle per il freddo, gettò sugli scalini altre manciate di sale.

"Accidenti a queste dannate suore! Se non vogliono cadere quando vanno alla Novena, potrebbero uscire loro a gettarlo, questo maledettissimo sale!".

Mattheus sorrise. Sembrava avere un carattere forte e battagliero e una notevole lingua lunga. Non sapeva perché si trovasse in quel convento, quali peccati dovesse espiare, ma a pelle gli sembrava una persona piacevole. D'istinto le si avvicinò, estraendo dalla tasca la statuetta.

"Mi scusi, posso disturbarla?" disse, guardandosi attorno guardingo quando le fu davanti.

"No! A meno che non voglia darmi una mano!".

"Veramente...".

Mattheus si grattò il mento, in difficoltà. A Pennes le donne a cui si rivolgeva balbettavano qualcosa, rispondevano di sì a qualunque sua richiesta e poi, dopo un inchino, si dileguavano velocemente. Questa Helena invece sembrava tutto fuorché intimorita dalla sua presenza.

"Ho solo bisogno di un attimo, signorina".

"Che volete?" - sbottò lei, contrariata, lanciandogli un'occhiataccia.

"Ecco, dovrei darvi questa" – disse, lasciando scivolare la statua del lupo nella mano di lei. Si calò ancora più giù il cappuccio del mantello, perché la ragazza non potesse vederlo troppo in viso mentre le parlava.

"Ecco, potreste darla a qualcuno da parte mia, per favore?".

Helena osservò la statuetta, improvvisamente incuriosita.

"E a chi dovrei darla?".

Mattheus sorrise, mentre il suo viso si addolciva, sotto al cappuccio.

"E' per una ragazza bella, intelligente e in gamba. Una di quelle ragazze che non si incontrano spesso nella vita e che te la sanno cambiare in meglio".

Helena si accigliò mentre un sorriso malizioso le compariva in viso. "Capisco... Un innamorato, è?".

Lo stregone sospirò. In realtà avrebbe voluto negare, ma non ne aveva voglia. Voleva solo andarsene, sparire, rinchiudersi nella sua locanda al caldo e cercare di capire il perché del suo comportamento. Era innamorato? O era solo felice di averla rivista in salute e perfettamente in grado di cavarsela? Oppure, semplicemente per una questione di onore, aveva voluto tenere fede a una vecchia promessa che forse Elke nemmeno ricordava? Non sapeva darsi una risposta, o forse aveva solo paura di farlo. "Non ha importanza, dagliela e basta".

Si voltò, deciso ad andarsene, ma la voce di Helena lo fermò nuovamente. "Signore?".

"Che c'è ancora?".

"Non mi avete detto il nome della ragazza a cui dovrei consegnare questa statuetta! E nemmeno il vostro. Questa lei vorrà sapere chi glie la manda".

Mattheus sospirò ma non si voltò, incamminandosi verso la locanda. "Elke, lei si chiama Elke" – disse, non aggiungendo altro.

In fondo non aveva importanza che lei sapesse che lui era a Bozen, l'unica cosa che voleva davvero per Elke, come tre anni prima, era che trovasse un motivo per sorridere e amare la magia del Natale.

E con quel desiderio in testa, sparì fra i vicoli di Bozen.

  
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