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Autore: Susannah_Dean    19/11/2017    3 recensioni
Un'esplosione in un quartiere di periferia, un mistero da risolvere e un pericolo da combattere. Una giornata come le altre su Mobius, se non fosse per un passato che non vuole essere dimenticato e dei legami impossibili da spezzare. Riusciranno i nostri eroi a salvare la situazione ancora una volta, o sarà il destino a lasciarli senza scampo?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Knuckles the Echidna, Rouge the Bat, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La casa era silenziosa quando Rouge si infilò dentro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Era probabile che sua madre stesse dormendo, ma preferì non accertarsene. Qualunque rumore avrebbe potuto svegliarla, e Rouge non avrebbe tollerato la sua presenza in quel momento, meno ancora di quanto sarebbe accaduto in un giorno normale. Sgattaiolò dunque verso la propria stanza, cercando di muoversi il più silenziosamente possibile. Era brava in questo: Lucan le aveva offerto il lavoro proprio per il suo passo felpato e la sua abilità nell’infilarsi nei posti più improbabili.
Non lo avesse mai fatto, maledetto lui.
Una volta al sicuro dietro la porta della propria stanza, la ragazzina iniziò in fretta a spogliarsi dei vestiti da maschio sformati che aveva indosso, lanciandoli in un angolo. Non c’era niente che non andasse in loro: non erano il suo genere, certo, ma bruttezza a parte erano degli abiti qualunque. Solo che adesso, ogni volta che infilava uno dei capi che Lucan le aveva prestato, le sembrava di mettersi addosso un’uniforme, la divisa di chi stava per dedicarsi ad un lavoro ripugnante.
Capiva perché il suo amico glieli avesse dati: conciata in quel modo, Rouge non era diversa dalla massa di mocciosi arruffati che passavano ogni giorno sotto il naso dei capi. Lucan aveva cercato di impedire fin dall’inizio di evitare che lei attirasse troppo l’attenzione degli uomini che le assegnavano le missioni da svolgere, e fin da quando li aveva incontrati per la prima volta le era stato chiaro il perché. Le poche volte in cui si era trovata sotto lo sguardo diretto di uno di loro si era sentita rabbrividire, come se quel pezzo grosso in particolare potesse vedere sotto i suoi vestiti, sotto la sua pelle, fin dentro al suo cervello.
Quelle persone erano il motivo per cui si sentiva così sporca, anche ora che si era liberata degli strati in cui Lucan tentava di infagottarla. Non c’era davvero motivo di sentirsi così, il suo era uno dei ruoli più bassi di…di qualunque cosa in cui si fosse infilata. Doveva soltanto fare avanti e indietro per la città, spesso senza nemmeno allontanarsi tanto dal proprio quartiere, portando pacchi e messaggi di cui raramente conosceva il contenuto. Sapeva che quasi tutti gli altri erano impegnati in affari ben più importanti, Lucan primo fra tutti. Dopo la prima volta, in cui il ragazzo le aveva fatto da guida, raramente si erano incrociati nel mezzo delle loro missioni. Rouge non aveva idea di quali doveri specifici avessero il suo amico o i ragazzi con cui girava, ma non era sicura di volerlo sapere. C’erano delle cose che non avrebbe mai voluto associare con qualcuno che conosceva praticamente da quando era nata.
Solo che…solo che fare parte di quella gigantesca macchina, di cui non vedeva nemmeno tutti i pezzi, la metteva a disagio. C’erano dei momenti in cui avrebbe voluto scappare a gambe levate, per lo schifo che provava solo parlando con alcuni di quegli individui. La spavalderia e la faccia tosta con cui si era mossa per Stormtop Lane, giocando con gli altri bambini e prendendo in giro Lucan (merda, sembrava passata una vita), erano svanite, spazzate via. E quando sorprendeva uno di quelli, che a sedici o trenta o quarantacinque anni erano per lei tutti troppo grandi e troppo forti, a fissarla, le pareva di sentire i loro pensieri, pensieri che puntavano tutti verso…
La pipistrellina scosse con violenza la testa, cercando di scacciare qualunque pensiero fastidioso mentre cercava qualcosa con cui rivestirsi. Non poteva permettere che le rovinassero anche i momenti di libertà; sarebbe morta soffocata in un paio di giorni, senza potersi svagare davvero. Meglio pensare ai soldi che aveva infilato nella calza, soldi con cui avrebbe potuto comprare quei bei vestiti dei quartieri alti, nei negozi con troppe telecamere perché potessero farsi fregare la roba. Già, meglio concentrarsi su quello, piuttosto che al carico che glieli aveva fatti guadagnare, uno degli ultimi, dove avevano iniziato a fidarsi abbastanza per affidarle un’arma non impacchettata abbastanza da celare la sua sagoma…
La porta si spalancò prima che potesse mandare via anche quel pensiero, sbattendo rumorosamente contro il muro. Rouge si voltò atterrita, stringendosi i vestiti che le erano rimasti in mano contro il petto, mentre sua madre entrava nella stanza.
C’era un motivo se nei giorni più difficili dell’ultimo periodo si era nascosta a casa di Hecale per cercare conforto, invece che nella propria. Non c’era niente di rassicurante nella donna che aveva davanti, con il trucco sbavato spalmato su tutto il volto e il passo barcollante che poteva essere colpa della stanchezza come del vino: le braccia calde e accoglienti della lupa erano lontane anni luce, in quel momento. C’era anzi da domandarsi come le notti di lavoro non avessero rovinato Hecale come avevano fatto con la sua collega.
- Quindi sei tornata, finalmente – biascicò la donna, avvicinandosi.
Rouge cercò di non ritrarsi troppo. Rendere troppo palese il proprio disgusto le avrebbe provocato solo guai, anche se la puzza di alcol a quella distanza la stava mandando fuori di testa. – Sì, mà – balbettò alla fine.
- Ho sentito dire che i Brawlers ti hanno presa nelle loro fila. Che cosa fai con loro, eh? Tutti quei ragazzini…Devi divertirti un sacco.
Questa volta la pipistrellina non rispose, impegnata com’era a cercare un modo per finire di vestirsi in fretta senza lasciar cadere a terra tutto. Non le piaceva il modo in cui sua madre la stava soppesando con lo sguardo, gli occhi che salivano e scendevano lungo il suo corpo coperto a malapena, e nemmeno il tono carico di sottintesi della sua voce.
Trascorse qualche secondo, poi la pipistrella adulta scosse la testa, come replicando a sé stessa. – No, non sono i ragazzini, giusto? Tu stai già puntando più in alto – disse, poi allungò una mano.
Rouge rimase a guardarla, terrorizzata. Per favore no, no, l’ultimo livido è appena andato via, PER FAVORE, si ritrovò a pensare, fuori di sé. Ma sua madre si limitò a sfiorarle il volto con le dita, ignorando il brivido che percorse il corpo della figlia, senza colpire né pizzicare. – Ti sei fatta donna – sussurrò fissandola con occhi spiritati, quasi non la stesse vedendo davvero.
Da piccola, Rouge si era sentita orgogliosa tutte le volte che qualcuno le aveva detto quanto somigliasse a sua madre, e aveva aspettato con ansia il momento in cui sarebbe stata grande e uguale a lei. Ora non riusciva a capire quale idea la sconvolgesse di più, la possibilità di star crescendo nel modo sottinteso da quelle parole o quella di somigliare alla rovina che aveva davanti, allo sguardo da pazza, ai vestiti provocanti ma stazzonati, al sorriso inquietante che sua madre stava sfoggiando in quel momento.
Sorriso che si allargò quando la donna le accarezzò il viso con insolita dolcezza, senza perdere l’espressione vacua. – Forse si può ancora ricavare qualcosa di buono da te.
Rouge non voleva qualcosa di buono. Voleva Lucan, voleva Hecale, voleva che lei smettesse di toccarla e la lasciasse andare via in qualche posto più sicuro.
Se avesse potuto, in quel momento avrebbe lasciato Stormtop Lane e non sarebbe tornata mai più.
 
 
- Quindi credi che questi siano cosa, tunnel sotterranei?
Hecale annuì con convinzione, nonostante il palese scetticismo nella voce di Vector. – Non vedo altra soluzione. Se non tunnel, questi segni rossi potrebbero indicare solo fognature o strade più antiche, e non mi sembra di aver visto tubi o rubinetti in giro.
- E non penso possa esserci qualcosa di più antico di un posto come questo – borbottò il coccodrillo. Doveva ammettere che era un’ipotesi plausibile, anche se trovare delle gallerie sotto i loro piedi avrebbe creato nuovi problemi. Le loro possibilità nello scavare sotto terra si dividevano equamente fra trovare un’uscita e trovarsi faccia a faccia con qualche strana e pericolosa creatura dimenticata da secoli. Charmy aveva costretto lui ed Espio a guardare troppi film di mummie e simili perché non gli venissero in mente in quel momento. – Dobbiamo metterci a scavare, dunque.
- Ci sarà un’entrata da qualche parte, no? Voglio dire, quanto potevano essere stupidi gli abitanti di questa città per fare dei passaggi nascosti senza aprire anche un’entrata?
- Credo fossero abbastanza stupidi per riuscire a fare delle case così storte. – Una mezza risatina alle sue spalle gli indicò che almeno Zenit aveva apprezzato la sua battuta. Poteva essere soddisfatto per quello, almeno. – Comunque, hai ragione. Quindi adesso dobbiamo solo cercare…un’entrata segreta.
- Che in un’intera città è come un ago in un pagliaio – sospirò Hecale, massaggiandosi la fronte. – Cominciamo, almeno. Non abbiamo molto altro da fare.
Anche quello era vero. Al momento le priorità di Vector erano trovare i suoi amici e capire cosa diavolo ci facesse uno smeraldo come quello di Knuckles nella mappa di un posto perso in mezzo al nulla, e non avrebbe risolto nessuna delle due cose restando a girarsi i pollici. – Bene, allora direi che possiamo cominciare da…
- Che cosa stanno facendo quelli? – Li interruppe la voce di Zenit, costringendoli a voltarsi a guardarlo. Il ragazzo si stava sporgendo dalla finestra, indicando qualcosa sotto di loro.
- Quelli chi? – Vector si avvicinò per guardare a sua volta. Zenit si mosse per lasciargli posto, ma non con i movimenti nervosi con cui lo aveva evitato prima, e anche quello era un bene, no?
Stava effettivamente succedendo qualcosa di strano. Era difficile distinguere le singole persone da quell’altezza, ma sembrava che una grande folla si stesse spostando nello stesso momento nella stessa direzione. – Ehi, credo che stiano andando tutti nella piazza centrale.
- Uriel – sibilò Hecale con disgusto. – Deve aver sentito che volevo radunare tutti e mi ha battuto sul tempo.
- Cosa facciamo? Andiamo anche noi?
- Dobbiamo sentire che cosa dicono. Non vorrei che venisse loro qualche pessima idea mentre non sono lì ad ascoltare. E poi, se riusciamo a convincere qualcuno ad aiutarci, magari avremo delle persone in più per trovare l’entrata di quei tunnel.
Per dirla tutta, Vector avrebbe preferito mettersi a cercare l’entrata e basta, senza trovarsi pizzicato in una massa di gente dalle dubbie intenzioni. Tanto più che la lupa sembrava convinta che se lei non fosse riuscita a riprendere in mano la situazione tutto sarebbe andato a catafascio. Ma sarebbe stato da solo in quella decisione, ed era possibile che Hecale stesse avendo l’idea giusta, perciò fece un cenno di assenso e si voltò verso Zenit. – Vieni anche tu, ragazzino?
- Un attimo – rispose lui. – Devo…devo vedere una cosa.
C’era da chiedersi cosa ci fosse da vedere, a parte una stanza vuota e un’ondata di persone in movimento, ma Hecale si intromise prima che potesse farlo. – D’accordo. Se vedi che la gente inizia ad agitarsi o che comunque ti preoccupa, non ti avvicinare, hai capito? Verrò io a cercarti.
Zenit annuì, ma era evidente che stava già pensando ad altro, seguendo con gli occhi e con le dita le tracce incise sulla mappa. La donna sospirò, poi si voltò e raggiunta la rampa di scale iniziò a scendere, lasciando Vector senza altra scelta che seguirla.
Questa volta i cinque piani di gradini sembravano meno pesanti, non tanto perché in discesa ma perché il coccodrillo aveva la testa da un’altra parte. L’atteggiamento materno di Hecale gli aveva fatto venire in mente una domanda. – Ehi, tu hai dei figli, vero?
La donna gli lanciò un sorriso stanco, senza smettere di camminare. – Si vede, eh? Sì, ho una figlia. Una brava ragazza, adesso è nella polizia o qualcosa del genere, non ho mai capito. Però finisco sempre a dare da mangiare o a coccolare bambini che non sono miei, visto che molti dei miei vicini sono genitori abili come il padre del nostro Zenit. Per molti bambini della strada sono una seconda madre, una zia…o una nonna, a questo punto.
- Andiamo, non sei così vecchia
Hecale lo interruppe con un gesto, anche se il suo sorriso si era allargato. - Non fare l’adulatore, sono più vicina ai sessanta che ai cinquanta e sono più vecchia della maggior parte degli abitanti della mia strada. E’ anche per questo che Uriel e i suoi amici mi temono. Vivo in quel posto da prima che loro nascessero, tutti mi conoscono e sanno che ho avuto a tavola quasi tutti i loro figli nei momenti di magra. E’ un tipo di rispetto che loro non possono avere. – Nel giro di poche frasi, l’allegria era scomparsa quasi del tutto dalla sua voce, lasciando spazio a una sorda malinconia. – E poi sanno che ho la testa abbastanza dura per non lasciarmi spaventare dai loro trucchetti da gang. O almeno, dieci anni fa ce l’avevo.
Metà di ciò che aveva detto lo aveva confuso parecchio, perciò Vector aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma la richiuse subito vedendo l’espressione che la donna aveva assunto, lo sguardo perso da qualche parte lontano. Dire qualunque cosa sarebbe sembrato inopportuno, perciò continuarono la loro discesa in silenzio, fino a che non tornarono fuori sulla strada.
Non c’era nemmeno bisogno di scegliere da che parte andare: il flusso di persone iniziò immediatamente a trascinarli verso la piazza, e i due dovettero lasciarsi portare. Vector però non poté fare a meno di osservare i volti delle persone che li circondavano. Continuavano ad essere pieni di panico, ma c’era anche una certa aria di speranza, come se qualcuno avesse finalmente fornito loro una soluzione per tutti i loro problemi.
Questo era difficile da credere, però. A meno che qualcuno non fosse in grado di teletrasportarli fuori da lì.
La piazza era stracolma di gente. Il coccodrillo era più alto della maggior parte di loro e riusciva a vedere oltre quel mare di teste , ma Hecale al suo fianco continuava ad alzarsi sulla punta dei piedi per riuscire a notare qualcosa. Il famoso Uriel era in posizione rialzata rispetto agli altri, come se fosse in piedi su qualcosa. – Spero solo che non sia il nostro cibo, quello su cui è sopra – borbottò Vector.
Aveva sperato di distrarre Hecale, ma la donna non reagì nemmeno, mantenendo l’espressione preoccupata. Cosa diavolo c’era in quelle persone che la preoccupava così tanto? Quanto doveva preoccuparsi, lui?
Uriel iniziò a parlare prima che potesse farsi prendere dall’agitazione a sua volta. – Amici! – Gridò, con una voce alta e stridula che a Vector risultò subito fastidiosa. – Grazie di essere venuti tutti!
Non si sarebbe dovuto sentire così tanto. Erano in uno spazio aperto e il tipo non aveva microfoni né megafoni. Per quanto quel tipo urlasse, i rumori di una folla così grande avrebbero dovuto soffocare la sua voce.
Solo che la folla non stava facendo alcun rumore. Fissavano il leopardo con sguardo impaziente, perfettamente immobili, quasi stessero assistendo all’apparizione di un dio. Se avessero giunto le mani sarebbero stati perfetti per una sessione di preghiera. Quel silenzio totale e famelico era inquietante.
- Vi ho fatti riunire qui per trovare una soluzione ai nostri problemi – continuò Uriel, facendo grandi gesti con le braccia. – Siamo qui da più di ventiquattr’ore, è il momento di agire!
Stavolta il suo pubblico reagì, mormorando in segno di apprezzamento. Ci fu anche qualche applauso. Una voce si alzò, qualche metro dietro ad Hecale. – Ce ne vogliamo andare!
- Giusto, giusto – rispose il leopardo, annuendo come se avesse sentito l’affermazione più importante del secolo. – Però per andarcene dobbiamo trovare i responsabili di quello che ci è successo. Solo loro sanno come siamo finiti qui e come ce ne possiamo uscire.
Stavolta i bisbigli suonarono più preoccupati. Erano fra loro, questi nemici? Cosa potevano fare? Vector sentì una mano afferrargli il braccio e piantargli le unghie nella carne, ma quando si girò già pronto ad attaccare qualunque idiota stesse tentando di aggredirlo si trovò davanti solo Hecale. La donna continuava a voltarsi la testa a destra e a sinistra, seguendo ora questa ora quella voce
- So che avete paura, ma non dobbiamo perdere la testa, d’accordo? Sono sicuro che avete visto qualcuno qua intorno che nelle nostre strade non s’è mai visto. Tirateli fuori da dove si nascondono e ci diranno cosa è successo!
- Devi andartene – disse la lupa, appena udibile sopra il clamore improvviso delle persone che avevano intorno. Sembrava che tutti fossero entusiasti all’idea di dare vita a una specie di caccia alle streghe, ma come Vector si rese conto all’improvviso, lui era una delle streghe. Non solo nessuno lo avrebbe preso per un proprio vicino di casa, ma era anche abbastanza grosso da farsi notare subito anche in un caos del genere. Anche Hecale lo aveva capito, e stava cercando di spingerlo via con tutta la forza che aveva. – Vai! Scappa!
Il cervello di Vector era diviso equamente fra darsela a gambe e farsi strada nella calca per prendere a testate Uriel e chiunque cercasse di mettergli le mani addosso, ma non fece nessuna delle due cose, perché non fu lui il primo ad essere attaccato. Dall’altro lato della piazza scoppiò un parapiglia assurdo, accompagnato da urla altissime. – Eccoli! Ce n’è due! Prendilo, prendilo! – Soltanto una donna esclamò, sconvolta: - Lasciatelo, quello è un bambino!
Charmy, pensò Vector subito, ma non fece nemmeno in tempo a giudicarla una paura irrazionale. La voce dell’ape risuonò stridula all’istante, confermando i suoi peggiori sospetti. – Lasciami stare, antipatico!
- Ehi, mollatelo! – Si ritrovò a ruggire il coccodrillo, facendosi largo a gomitate fra la folla. Doveva raggiungere il suo amico, anzi, i suoi amici, visto che probabilmente anche Espio doveva trovarsi nei paraggi. Nessun maledetto imbecille lo avrebbe fermato, accidenti!
Solo che ci stavano provando. Non sapeva chi avesse attirato l’attenzione su di lui per primo, forse aveva fatto tutto da solo buttandosi al salvataggio di Charmy, ma non aveva importanza. Sembrava che ci fossero cento mani pronte ad afferrarlo, duecento occhi che lo fissavano con rabbia. Più spingeva per farsi avanti, più le persone intorno a lui si stringevano e lo trattenevano. Non riusciva nemmeno più a vedere Hecale da dove si trovava ora, anche se gli sembrava di sentirla gridare in mezzo alla confusione. Era in trappola.
Stava combattendo con tutte le sue forze per uscirne, ma era in trappola.

In origine questo capitolo doveva avere una terza sezione dove finalmente Rouge e co avrebbero avuto il loro meeting, però mi sono accorta che era già fin troppo lungo e che questa parte sarebbe stata lunga quanto quella di Vector (se non di più), perciò ho deciso di tenerla per il prossimo capitolo dove potrebbe stare anche meglio (o forse no, perché muovere tutti questi personaggi contemporaneamente in due posti diversi è un incognita).
Sono anche abbastanza preoccupata riguardo al flashback. E' troppo? E' trattato male? Se avete voglia, lasciate un commento, sono sempre ben accetti.
A presto!
Suze
   
 
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