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Autore: Eirynij    20/11/2017    3 recensioni
“Quando arriva la notte” è una raccolta di missing moments che segue l’ordine cronologico delle puntate di Tokyo Mew Mew prendendo spunto proprio da esse. L’inizio della narrazione coincide con la puntata numero tre, quella in cui entra in scena il nostro alieno dagli occhi d’oro. La notte è un momento magico in cui si ripensano agli avvenimenti della giornata e, soprattutto, è il momento in cui si può avere una pausa dal tran tran quotidiano. Quindi, mentre il giorno impone a Kisshu e Ichigo di combattersi ed essere nemici, la notte li avvicina lasciando loro la possibilità del dialogo e della conoscenza reciproca.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Guess Who's Coming to Dinner
-Ichigo-
 
La sentii traballare nella confezione di cartone e sperai che non si rovinasse troppo col trasporto. Potevo sentire perfettamente il delizioso profumo delle fragole fresche trapelare dalle sottilissime fessure laterali risvegliando con sommessi brontolii il mio stomaco vuoto.
Tuttavia, sebbene avessi una splendida torta tra le mani fatta da Keiichiro in persona, non ero del mio solito buon umore, al contrario mi sentivo triste: avevo scoperto solo poche ore prime che non tutti gli amori trovano il loro lieto fine.
Quando Kei conobbe la sua ragazza, Rei, erano molto giovani, si innamorarono perdutamente ma lui la lasciò per continuare le sue ricerche aprendo una ferita sanguinante che col tempo, invece di rimarginarsi, si è infettata a tal punto che, ritrovandosi dopo anni dalla loro separazione, non sono riusciti a riavvicinarsi nemmeno con l’aiuto di noi Mew. Comunque Kei ci ha regalato una torta a testa per la nostra “buona volontà”, come l’ha definita lui.
Frugai nella tasca dello zainetto in cerca delle chiavi. ‹‹Eccomi›› urlai mentre mi cavavo le scarpe in ingresso ma nessuno mi rispose ‹‹mamma, papà?››. La casa era immersa nel buio e nel silenzio. Raggiunsi a tentoni la cucina e accesi la luce, non senza aver prima inciampato in almeno un paio di mobili del corridoio procurandomi sicuramente qualche ematoma e un pulsante dolore al piede destro. Sul tavolo di legno campeggiavano solitari un bigliettino dove mia mamma mi ricordava che erano andati a una serata di beneficenza organizzata dall’azienda di papà e un paio di banconote per procacciarmi il cibo.
Sentii picchiare al vetro della finestra e, nel buio della sera, vidi perfettamente i suoi occhi dorati. Alzai un po’ la tapparella e aprii per permettergli di entrare.
‹‹Tu non lo immagini, ma questa abitazione è dotata anche di una porta›› lo punzecchiai sarcastica.
‹‹Sarebbe troppo banale, micetta›› rispose lui sfoderando un sorrisetto sornione ‹‹e io non lo sono affatto››.
Sospirai convinta che iniziare una discussione non servisse proprio a nulla. ‹‹Stavo per cenare, tu hai fame?›› gli chiesi sperando che mi dicesse di sì, odiavo mangiare da sola.
‹‹Cosa mi offri?›› rispose distratto, stava esplorando la mia cucina osservando ogni singolo oggetto in vista soppesandolo e valutandolo.
‹‹Pollo da asporto?›› proposi inforcando il telefono pronta a digitare il numero del ristorante lontano solo qualche isolato.
Non ottenni alcun genere di assenso, Kisshu si era incantato davanti la piccola libreria accanto il frigorifero. Lo vidi scorrere le dita sottili sulle copertine, leggere come se stesse accarezzando un bene prezioso, afferrò un tomo e lo sfogliò fino a trovare una pagina sufficientemente interessante per i suoi gusti selettivi.
‹‹Che ne dici di questo?›› teneva il ricettario aperto mostrandomi le immagini patinate di gustose pietanze.
‹‹Metti giù›› gli intimai allarmata ‹‹quel libro è sacro, non si può toccare. La mamma lo comprò in Italia durante il viaggio di nozze con papà››. Era il tesoro di mia madre, qualcosa che andava oltre la mia comprensione anche perché il volume era interamente scritto in lingua straniera e nessuno in famiglia la capiva. Da bambina mi sarebbe piaciuto sfogliarne i segreti, mangiando con gli occhi quelle prelibatezze ma mi era proibito anche solo avvicinarlo.
‹‹Dai, micetta, questa cosa è molto meglio del pollo fritto›› cercò di persuadermi.
‹‹Io non so cucinare›› ammisi immediatamente ‹‹anzi non so nemmeno leggere l’italiano››.
‹‹Per tua fortuna qui hai un esperto di entrambe le cose›› con gesti rapidi aprì il frigorifero per estrapolare gli ingredienti disponendoli ordinatamente sul piano cottura, poi frugò nell’antino sotto i fornelli accaparrandosi una pentola profonda e una padella.
‹‹Tu?›› lo osservai accigliata ‹‹e allora dimmi, genio, come si legge il nome del piatto che vorresti preparare››.
Si avvicinò con rapide falcate, io mi ero nel frattempo accasciata su una sedia e si chinò su di me fino quasi a sfiorare il suo naso col mio. Sentivo il suo respiro caldo sulle mie labbra.
‹‹A-m-a-t-r-i-c-i-a-n-a›› sillabò lentamente. Con un colpo secco del polso sfilò il grembiule appoggiato alla spalliera dietro la mia schiena e se lo legò in vita mentre tornava ai fornelli.
‹‹Come è possibile?›› ormai si erano dissolti i miei sospetti che stesse bluffando.
‹‹Secondo te›› iniziò a spiegare con tono leggermente piccato ‹‹siete stati voi umani a inventare la parola o la scrittura?››. Tritò finemente la cipolla e accese il fornello. ‹‹No, cara micetta›› riprese mentre versava un goccio d’olio nella padella e riempiva la pentola d’acqua ‹‹voi terrestri le avete ereditate dal mio popolo. Qualsiasi lingua sulla Terra deriva dalla mia lingua, quindi io riesco a decifrare e comprendere ogni singola sillaba che voi pronunciate››.
‹‹Incredibile…›› sussurrai stupefatta. Nei libri di scuola non c’era nulla sugli alieni che hanno colonizzato questo pianeta prima di noi, ogni invenzione veniva attribuita alla mia razza e più scoprivo che le cose non stavano così e più lo trovavo ingiusto nei confronti di Kisshu e del suo popolo.
‹‹Merda›› si lamentò mentre aggiungeva della pancetta a cubetti facendola dorare ‹‹la ricetta dice guanciale ma mi toccherà modificarla sul momento in base a quello che passa il convento››.
Era un insulto? Non mi diede il tempo per rifletterci perché aggiunse improvvisamente illuminato da un dubbio: ‹‹Voi la pasta ce l’avete da qualche parte?››.
‹‹No›› mi morsi il labbro titubante sulle conseguenze di questa mancanza.
‹‹Valla a comprare›› ordinò.
‹‹Ma…›› cercai di protestare, ero davvero stanca e di uscire proprio non mi andava.
‹‹Sono soldi quelli no?›› indicò le banconote sul tavolo in bella vista ‹‹allora vai a prendere gli spaghetti››. Si voltò a guardarmi con le sopracciglia alzate: ‹‹Forza!››.
Avrei voluto ribattere e mandarlo al suo pianeta ma il mio corpo, rispondendo a quel comando esterno invece che alla mia volontà, si era già diretto verso il combini vicino a casa.
Quando tornai dalla breve spesa (un pacchetto di pasta italiana di grano duro costata un patrimonio) appena entrata, già nell’atrio, fui immersa nel profumo pieno e stuzzicante della cucina di Kisshu.
Corsi in cucina scivolando con le calze sul parquet: sul tavolo erano comparse le stoviglie mentre nella padella si era aggiunta alla pancetta della densa passata di pomodoro dal colore rosso vivo. Sembrava la fonte di un’antica e segreta magia mentre l’alieno girava e affondava il mescolo rivelando nuovi bagliori vermigli. Mi sfilò gli spaghetti dalle mani dandomi un buffetto sui capelli: ‹‹Bava, micetta!››.
Poi mi indicò di sedermi e attesi che fosse pronta la pietanza. Kisshu si muoveva rapidamente ma con sicurezza abbandonando un utensile per afferrare il successivo. Era un po’ più basso di Masaya, un paio di centimetri, non di più, e forse leggermente più snello ma con le spalle ugualmente larghe e squadrate forse fin più forti di quelle di Aoyama-kun e davano risalto alle orecchie appuntite. Le trovavo simpatiche mentre comparivano sbarazzine dai capelli verdi. È affascinante…
Kisshu si voltò portando la padella contenente una voluminosa montagna di pasta e la distribuì nei piatti, poi si sedette. Era deliziosa, saporita, succosa, non avevo davvero parole per descriverla.
‹‹Sei davvero un bravissimo cuoco›› mi congratulai meravigliata.
Accettò il complimento con un sorriso ribattendo subito: ‹‹Un altro motivo per venire via con me››.
Sbuffai ridacchiando per la sua insistenza e mi avventai sull’amatriciana spazzolandola tutta in un attimo, ungendomi tutto il mento e pitturandomi una coppia di grossi baffi con il sugo. Quando riemersi con la testa dal piatto trovai Kisshu intento a fissarmi divertito.
Mi vergognai di me stessa per la totale mancanza di finezza e cercai subito un tovagliolo per pulirmi offrendogli la torta come distrazione.
Scoppiò a ridere di gusto ‹‹Sei uno spasso micetta, dai caccia qui la torta››.
Era un cilindretto piccolo e perfetto ricoperto di panna, fragole e una spolveratina di cacao e mangiammo direttamente dal porta-torta di cartone sbragato. Le forchette infilzavano il pan di spagna rapidamente, scontrandosi con allegri tintinnii per rubarsi vicendevolmente le fragole fino a lasciare solo l’ultima. Kisshu la catturò immediatamente.
‹‹Quella la volevo io…›› lamentai.
‹‹Ma se questo dolce è orribile…›› ribatté malizioso.
Bugiardo patentato. Aprii la bocca per ribattere adeguatamente ma subito mi ritrovai con la sua forchetta ricolma della torta e della fragola della discordia che mi premeva sulle labbra prepotente.
‹‹Mi sto scarificando per te›› sussurrò imboccandomi ‹‹prima o poi ricordatelo››.
Non potrò mia scordare questa cena.
 
 
 
Angolo dell’autrice: Eccomi qui con un nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto e che vi abbia messo addosso un po’ di allegria come l’ha fatto con me. Immaginare un Kisshu che cucina… lo trovo molto attraente, e voi cosa ne dite?! Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia e anche chi passa solo per una lettura veloce, un grazie super speciale va a chi utilizza un po’ del suo tempo per lasciarmi la sua opinione!
Un bacio,
Eirynij
   
 
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