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Autore: rora02L    20/11/2017    3 recensioni
Dal testo:
"Non è da Sherlock stare così, per di più per una donna. Tutti fanno finta di nulla, non le dicono la verità. Ma Molly lo sa che Sherlock sta pensando ad un’altra."
Ambientata alla fine della serie, cosa potrebbe accadere se Molly scoprisse la relazione tra Sherlock ed Irene? Cosa si è disposti a fare per amore?
Storia partecipante al concorso "Oceano Mare di parole senza fine" indetto da AleDic sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Best Thing


Nickname sul fandom e su EFP: rora02L
Personaggi (e pairing, se presente): Sherlock/Molly
Citazione scelta:“Non è detto che se ami davvero qualcuno, ma tanto, la cosa migliore che puoi farci insieme sia vivere.” ~ Tre volte all’alba
Numero Parole: 964
Note autore: /



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Non ce la fa più a reggere quello sguardo da cucciolo disperso, da cane bastonato ed abbandonato in un vicolo vicino al primo autogrill. Non è da Sherlock stare così, per di più per una donna. Tutti fanno finta di nulla, non le dicono la verità. Ma Molly lo sa che Sherlock sta pensando ad un’altra. La fa impazzire l’idea che la mente del suo amato detective, del suo amato, sia annebbiata da pensieri amorosi rivolti ad una donna che non è lei. E non sarà mai lei, sa di non essere all’altezza di quel genio eccentrico, capace di servire l’intera nazione con al sua brillante mente. Ma incapace di comprendere i suoi stessi sentimenti, per non parlare di quelli degli altri.
Lei lo aveva sempre saputo che Sherlock non era un tipo da romanticismo, non era uno di quegli uomini che, improvvisamente, si accorge della ragazza della porta accanto. Lei è la ragazza della porta accanto, come al solito.
Forse restare nell’ombra ha distrutto ogni possibilità che aveva per riuscire a far breccia in quel cuore atrofizzato, quel muscolo rosso che Sherlock aveva usato così raramente, ma che era più grande di quanto non volesse ammettere. Pulsava, lei lo aveva sentito e se ne era innamorata, illudendosi che, magari con un suo bacio, sarebbe rinato a nuova vita e avrebbe pompato talmente tanto sangue nel corpo del detective da lasciargli senza il cervello. Invece non ci era riuscita.
Ma un’altra donna aveva compiuto quella impresa titanica, per poi svanire in una nuvola di fumo.
Sherlock non ammetteva mai che, quando inforcava il violino nei giorni di nebbia, pensava ad Irene. Desiderava Irene. E Molly restava zitta, ancora una volta. Cosa avrebbe potuto dirgli dopo tutto? Che quella donna non sarebbe mai tornata da lui, che non andava bene per lui, che lo avrebbe fatto soffrire e che doveva dimenticarla? Per cosa? Solo per un suo capriccio egoistico. Perché lui non l’avrebbe mai amata, anche se una volta quelle parole le aveva dette. Le aveva detto “Ti amo”. Non ne avevano più parlato da allora, avevano entrambi fatto finta che non fosse mai accaduto.
Ma Molly, mentre si rannicchiava nel suo letto, stringendosi tra le fredde coperte, ci ripensava spesso, a quelle parole. Alla voce del suo Sherlock che, come in un sogno, le diceva che la amava. Poi piangeva, silenziosamente. Solo un paio di lacrime. Dormiva e si svegliava come ogni mattina, bevendo una tazza di tè e mangiando dei biscotti allo zenzero.
Quella giornata aveva qualcosa di diverso. Ha deciso cosa fare, quella mattina, mentre di sottecchi scruta Sherlock, intento ad analizzare al laboratorio un campione di saliva. Lo vede distratto, assente. Stanco. Stufo. Irritato più del solito, e non per il caso.
Molly allora capisce: non è detto che se ami davvero qualcuno, ma tanto, la cosa migliore che puoi farci insieme sia vivere. La cosa migliore che lei può fare, con Sherlock, è insegnargli a vivere, ad amare senza paura, spegnendo per un attimo quel suo irritante e pomposo cervello da genio.
Sbatte con forza la tazza del caffè nero con due zollette di zucchero che le aveva chiesto il detective, proprio accanto al microscopio del genio. Lui alza gli occhi azzurri, incuriosito dal comportamento insolito della sua amica.
Molly lo fissa con uno sguardo deciso e determinato, insolito in lei: “Dobbiamo parlare. Ora.”
Sposta con forza l’attrezzatura del detective, che rimane seduto a scrutarla come un bambino con le mani nella marmellata. Molly fa un gran respiro, per prendere il coraggio di fare ciò che sta per fare: “Prendi il cellulare.”
Lui inarca un sopracciglio, ma obbedisce tentennante. Quel lato di Molly lo aveva dimenticato. Lei deglutisce, pronta per il prossimo passo: “Chiamala.”
Scherlock sobbalza sulla sedia, tenendo ancora stretto il telefonino tra le diafane dita affusolate.
Quelle che Molly ha sempre desiderato su di sé, ad accarezzarle le labbra, i capelli, per poi andare a coccolare il resto del suo corpo fragile.
Scuote la testa, cercando di non piangere davanti a lui e di riprendersi da quei pensieri inappropriati. Lo guarda in modo truce: “Allora?”
Lui appoggia il telefono sul tavolo del laboratorio, rispondendo fermo: “Chi è che dovrei chiamare?”
La rabbia e la frustrazione serpeggiano nell’animo della scienziata, che è quasi tentata di tornare sui suoi passi, di far finta ancora una volta di non vedere cosa sta accadendo e di godersi una ultima volta la sua compagnia. Perché ha paura che, dopo quella chiamata, Sherlock prenderà il primo volo per Madrid o per Pechino. Chi lo sa dove andrà, per cercare la sua Irene. Chi lo sa quando tornerà. Chi lo sa se poi tornerà. Tornerebbe mai da lei? La risposta la sa e la ignora.
Lui ha bisogno di stare bene, di stare meglio e di capire cosa sia l’amore. Lei lo deve aiutare, a costo di farsi del male.
Con una smorfia sul viso, Molly prende il cellulare del detective prima che lui possa opporsi. Cerca velocemente nella rubrica, finché non trova il nome “Irene”.
Sherlock protesta verbalmente: “Cosa stai facendo? Molly, non mi pare il caso di-“
Non termina la frase, sentendo il rumore del cellulare che sta chiamando la donna che ormai è oggetto dei suoi sogni ricorrenti, la sirena che lo tormenta e lo chiama irrimediabilmente a sé e non sa dove lo porterà. “Hello, Mr Holmes. A cosa devo la sua chiamata?
Molly lascia il cellulare in mano al detective, che rimane come imbalsamato per la sorpresa e la confusione che domina la sua mente brillante, mentre la guarda uscire dalla stanza, diretta al bagno delle signore.

Io ti amo, Sherlock. Ma la cosa migliore per te, la cosa migliore che posso fare per te è insegnarti a fare l’unica cosa che non sai fare:

amare.

  
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