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Autore: apeirmon    20/11/2017    3 recensioni
Un musubi significativo come quello tra Mitsuha e Taki è determinante per le loro vite anche dopo essersi ritrovati.
Genere: Mistero, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore (sul Forum e su EFP): apeirmon
Titolo: Tornare a conoscere il familiare
Fiore scelto: Dracena
Fandom: Your name
Breve introduzione: Un musubi significativo come quello tra Mitsuha e Taki è determinante per le loro vite anche dopo essersi ritrovati.
Note: Anche se non sono determinanti, faccio degli accenni alla prima storia che ho scritto su “Your name.”, di cui ho mantenuto il cambio di punti di vista. Il chabudai è un basso tavolo diffuso nell’arredamento tradizionale nipponico. La carta MAI NANBA è una sorta di carta di identità introdotta dal 2016 per controllare più nel dettaglio i giapponesi. Il koseki è un documento con le funzioni di albero genealogico.
[Storia partecipante al Contest "Il Linguaggio Segreto dei Fiori" indetto da _Ayaka_ sul forum di EFP]

“Taki-kun.”
Ritorno al presente.
“Taki-kun.”
Nelle scorse due settimane, i nostri ricordi avevano iniziato ad affiorare. Prima vaghi: un caffè all’aperto improvvisato, una campagna elettorale, due calde e morbide tette… Mi ha detto che suo padre ha sentito dalla moglie, poco prima che morisse, che si scambiava periodicamente con un ragazzo di Tokyo.
“Taki-kun!”
“Sono in terrazzo!” le rispondo posando l’innaffiatoio con cui mi occupo delle piante di tè verde e di Dracena Marginata che mi riempiono di orgoglio. Ho scelto di proteggerle dal rigore invernale e dall’inquinamento di Tokyo prendendo un appartamento con una serra in versione ridotta sul terrazzo. Ma non è l’unico requisito che ho selezionato quando ho scelto di vivere per conto mio, quattro mesi fa: cercavo un appartamento non affetto dall’inquinamento acustico della strada ma protetto da edifici più alti in caso di scosse sismiche di massima intensità, abbastanza modesto da poterlo gestire velocemente e intensamente illuminato da ovest, così da non incrementare l’elettrosmog con la luce artificiale.
Ne abbiamo trovato uno piuttosto antico a prezzo accessibile grazie a una progettazione affidatami delle piscine di un nuovo centro di ristoro a Tamaki. La stretta camera da letto e il bagno precedono l’ampia cucina, che funge anche da soggiorno e si affaccia sul terrazzo, con un chabudai attorniato da cuscini per accogliere gli ospiti.
I primi giorni dopo esserci ritrovati, discutevamo in dei bar all’aperto ma, sia perché sapevamo di conoscerci, sia perché man mano che ricordavamo volevamo evitare che qualcuno ci sentisse, l’ho invitata a casa quasi subito.

Dopo aver richiuso la porta d’ingresso, passo accanto alla camera da letto in lieve tachicardia: mi sento ancora in imbarazzo a fare di nuovo parte della sua vita. Attraversando il salotto, lo cerco nella prima zona del terrazzo oltre la portafinestra, ma non lo vedo.
Proprio mentre mi affaccio fuori, lui esce dalla vetrata che conserva alcune piante e il mio respiro diventa più difficile da controllare.
“Mitsuha!”
Mentre mi corre incontro, vedo solo due specchi d’acqua ingrandirsi, sinché il suo petto robusto non aderisce al mio seno e i suoi capelli non premono sul kumihimo che mi ricorda Itomori ovunque io sia.
“Sei riuscita a trovare un ritaglio di tempo libero!”
Nonostante l’improvviso calore e la gola secca, riesco a farvi scorrere una parola per rispondergli: “Sì.”
Ieri sera sono riuscita a terminare quasi del tutto i kimono in programma, così oggi ho potuto completare presto anche le ultime decorazioni e chiedere di finire il turno in anticipo. Sapevo che il mercoledì Taki-kun ha la giornata libera, quindi gli ho chiesto se potevo fargli visita.
“Torniamo dentro… Ti ho preparato la tua torta preferita. Non hai già pranzato, vero?”
“No, sono venuta qui appena uscita da lavoro.”
Non vedo il suo viso mentre apre la portafinestra, ma so che sorride.

Tramite due presine, porto sul chabudai la teglia del pollo al curry. Dopo averlo servito a Mitsuha e a me, mi siedo.
“Mi piacerebbe che incontrassi mia madre. È molto eccentrica, ma se sai perché si comporta così, la trovi simpatica.”
“Certo, allora ci possiamo incontrare venerdì, se per lei va bene.” mi dice, con un tenue rossore sul volto.
“Sai: mi ritengo molto fortunato. Tu sei la nipote di una sacerdotessa del dio Musubi e, come mi aveva spiegato lo scienziato che ho incontrato qualche anno fa e che si scambiava di corpo con lei, la vicinanza della cometa ha permesso anche a te di scambiarti. Ma io perché sono stato scelto? Non ero mai stato a Itomori, prima di conoscerti, non mi sono mai occupato di tradizioni religiose di nessun tipo perché mio padre ha sempre voluto che fossi concreto e non appartengo a una classe sociale alta. Non riesco a spiegarmi perché tra milioni di abitanti di Tokyo… No: tra i miliardi di maschi sulla Terra, ti sei ritrovata a vivere proprio la mia vita.”
Mi sorride ad occhi chiusi.
“Non c’è bisogno di appartenere a un alto ceto sociale o a una famiglia di monaci per venire scelti da qualcosa che va oltre gli esseri umani. C’è una cosa che non ti ho detto.”
Capisco che è qualcosa di molto importante per lei e la mia curiosità aumenta.
“Poco prima che arrivasse la cometa di Tiamat, volevo intensamente avere una vita libera da pressioni religiose e sociali. Ho chiesto alle divinità di essere un bel ragazzo di Tokyo nella mia prossima vita.”
Mi sento arrossire.
“Trovi che sia bello?”
Lei guarda il piatto.
“Be’, sì, ma credo… credo che chi mi ha ascoltato abbia inteso la bellezza come valore interiore. Sì: sono sicura che tu sia stato scelto per la tua purezza d’animo.”
Non riesco a battere le palpebre. Sono davvero così buono da essere scelto da un dio in tutta la capitale? No, sicuramente no. Dev’esserci un’altra spiegazione. Ma questo non è importante: Mitsuha pensa che io sia bello sia nell’animo che nel corpo. Sono felice.

Ho insistito per aiutarlo a lavare i piatti. Non solo per ringraziarlo del pranzo: è come tornare a svolgere il suo lavoro al Giardino delle parole assieme al suo corpo”. Certo: adesso c’è anche il suo spirito… e il mio corpo; ma il senso di nostalgia rimane.
Ho mandato un messaggio a Yotsuha per avvisarla che non torno a pranzo. Non credo che questo la preoccupi: se l’è sempre cavata meglio di me in tutto. Non avermi in casa le renderà solo le cose più semplici.
“Mi chiedo se avremo mai le risposte a quello che ci è accaduto. Sento che ci sono ancora molte più questioni irrisolte di quelle che pensiamo.” mi dice.
“Non credo che serva cercare delle spiegazioni subito. Tutto quello che è successo con la cometa fa parte delle nostre vite. Vedrai che, quando sarà il momento, capiremo.”
“Però tua nonna e l’uomo che si scambiava con lei sono morti pri...”
Si interrompe per guardarmi. Mi accorgo di avere gli occhi spalancati.
“Ah!… Scusa, non ci ho pensato!”
“Non fa niente: ormai sono passati tre anni. Poi era anziana, non poteva restare qui per sempre. Comunque non sappiamo se possiamo avere tutte le informazioni mentre siamo in vita. Forse sono morti proprio per conoscere a fondo la loro situazione.”
La nonna ci aveva spiegato il significato della morte quando era arrivata anche per la mamma.
“Le cose che facciamo qui sono importanti, ma finché non siamo a Kakuriyo, non ne capiremo davvero il motivo, né avere dei benefici eterni.” aveva detto due anni dopo che papà ci aveva lasciate. “Vostra madre aveva bisogno di quei benefici e noi dobbiamo essere felici per lei.”
“Anche papà aveva bisogno di quei benefici?” aveva chiesto Yotsuha.
“Spero proprio di sì.”
La sofferenza nella voce della nonna mi aveva coinvolta particolarmente.
“Non credo che dovremo aspettare di morire per sapere.” mi sottrae ai miei ricordi Taki-kun. “Se ragioniamo sulle ricerche di quel fisico e su quello che avevamo già, possiamo trovare i motivi degli scambi e di tutto il resto. Voglio capire tutto quello che posso.”
Mi asciugo le mani.
“Come vuoi: un giorno torneremo insieme a Itomori per fare ricerche sulla cometa. Ma ricordati che la nostra storia è anche adesso che siamo noi stessi.”
Guardando l’orologio a muro, mi accorgo di dover rincasare.
“Vorrei rimanere ancora, ma Yotsuha non può occuparsi da sola della casa. Devo rientrare.”
Aggiro il chabudai per prendere la borsa.
“Posso accompagnarti?”
Lo osservo sorpresa mentre tengo la cinta della borsa.
“Mi piacerebbe salutare Yotsuha, se non vi disturbo.”
“Certo che no, ma ricordati che lei non sa chi sei. Sinché non sapremo di più, non voglio coinvolgerla.”
“Va bene. Farò finta di conoscerla solo da oggi.”
Estraggo il telefono e ne sblocco la tastiera per leggere la risposta di Yotsuha, ma non c’è niente.

L’appartamento di Mitsuha, essendo affittato a due persone, è più spazioso del mio. Cucina e soggiorno sono separati da un muro interrotto per circa un metro e mezzo, e sul secondo sfocia un corridoio che divide una camera da letto dall’altra e dal bagno. Il mobilio è compatto e pratico, con mensole provviste di sportelli per libri e tegami sopra il divano e la stufa a legna.
L’unico motivo per cui non ci abiterei è che si trova al primo piano in un incrocio di Shinjuku sud, lasciando la cucina senza finestre e un continuo rumore di traffico infiltrarsi dalle altre.
“Yotsuha! C’è una persona che vorrei farti conoscere.”
Mentre Mitsuha si sposta in corridoio, osservo il cucinino disposto su due pareti. Immagino che l’estremo ordine sia opera di Yotsuha: sul tavolo ci sono solo due carte di cioccolatini e una busta per le lettere.
Mitsuha torna in soggiorno a passo svelto con la preoccupazione dipinta in faccia.
“Non è in casa. Provo a chiamarla per sapere dov’è.”
Dopo aver visto la sua espressione, mi sorge un dubbio. Senza preoccuparmi del galateo, mi avvicino al tavolo della cucina, apro la busta e ne tiro fuori un foglio piegato disordinatamente per potervi entrare.
“Mitsuha! Leggi qui.”
Il testo, scritto a computer, spiegava con molta chiarezza perché non avessimo trovato nessuno in casa:
Onee-chan, ho perso il cellulare. Vedendo che non eri rientrata, sono tornata a scuola a cercarlo dopo aver mangiato velocemente qualcosa. Le mie amiche non hanno club oggi, quindi chiama il mio numero quando torni, così magari mi aiuti a trovarlo.
“Non c’è bisogno di preoccuparsi. Vedrai che tra poco sarà qui.”
“Ma perché l’ha scritto a computer? Ed è strano che non l’abbia firmato. Lei mette sempre la firma.” Guarda di nuovo l’apparecchio in chiamata. “Così non possiamo sapere quando lo sta cercando. Devo essere lì con lei.”
“Allora ti accompagno.”

La Toyama è una scuola superiore pubblica provvista di piscina, due campi da calcio, e cortili interni. Con la sartoria artigianale sono riuscita a pagarne la frequentazione a Yotsuha.
“Dov’è la sua classe?”
“Mi sembra in fondo al primo piano.”
Iniziamo ad avvicinarci all’esteso cortile dal parcheggio, quando vedo due code castane svoltare l’angolo dell’edificio sul sentiero laterale.
“Yotsuha? Yotsuha!”
Inizio a correre davanti alla facciata principale e sento Taki-kun dietro di me.
“L’hai vista? Perché cerca il cellulare fuori?”
“L’avrà perso durante la pausa.” rispondo, iniziando ad ansimare e fermandomi.
Il sentiero è costeggiato da un boschetto in cui è visibile la sagoma di una ragazza.
“Mitsuha… avete richiesto la carta MAI NANBA?”
“No, dopo che ci hanno emarginato al villaggio, preferiamo proteggere la nostra privacy.”
“E avete qualcosa in casa con su scritto il tuo nome o quello di Yotsuha?”
Provo a prevedere il motivo di quelle domande, ma il suo tono urgente mi spinge a rispondere.
“Il koseki e i documenti li tengo in cassaforte. Poi, i nostri vecchi quaderni li tiene papà nella casa a Itomori e Yotsuha non trascrive gli appunti ordinatamente sui quaderni fino all’estate, quindi adesso non ne usa. Ma perché me lo chiedi?”
“Onee-chan, non c’era bisogno di venire qui!” grida la voce di mia sorella dal folto della vegetazione. “O di portare qualcuno ad aiutarti. Credo che mi sia caduto da queste parti.”
Yotsuha segue la direzione del suo dito con la corsa e noi lei.
“Non hai risposto alla mia chiamata! All'inizio mi sono preoccupata. Yotsuha, dove sei?”
Mi fermo per scrutare tra gli alberi, quando sento un fruscio dalle fronde sopra di me.
“Mitsuha!”
Mentre qualcosa di largo si avvicina ai miei occhi impressionati, sento un braccio attorniarmi la spalla e tirarmi. Subito dopo, una serie di corde mi preme sulla faccia, sul collo, sul seno, sulla pancia e sulle gambe, bloccandomi in posizione supina. Sento che anche Taki-kun è a terra.
Sollevo la testa quanto posso per vedere Yotsuha avvicinarsi. E capisco.
“Ho catturato due estranei selvatici. E tutto grazie a una vecchia rete della palestra e ai paletti dell’orto. Oltre alla mia passione per le trappole di Kagerou.”
“È per questo che hai stampato il biglietto e non l’hai firmato: volevi nascondere la grafia e non eri sicuro di quali kanji usare.” gli dice Taki.
“Proprio così: leggendo che la ragazza sarebbe rientrata tardi, sono tornato qui per preparare la trappola. Sapevo che sarebbe venuta ad aiutarmi. Certo, con un corpo da femmina non è stato facile, ma se Lara Croft può evitarne tante, perché un’altra non può prepararne?!”
“Ma perché ci stai facendo questo?” gli chiedo.
“Anche domenica mi sono ritrovato in questo corpo, e ho sentito lui dire che le informazioni sugli scambi di corpo dovevano rimanere tra voi due. Avendo provato giochi di realtà virtuale, mi sono accorto subito che non si trattava di un sogno. Voglio sapere come interrompere questi scambi.”
“Basta che ti addormenti.” rispondo subito.
“Quello lo so già, stupida! Voglio sapere come evitarne altri.”
“Che razza di maleducato! Anche se lo sapessimo, non te lo diremmo!” urla Taki-kun. Sento uno strappo di tessuto.
“Eppure vi ho sentiti dire che non vi scambiate più. Voglio sapere come avete fatto.”
Non possiamo dirglielo! Se sapesse che Taki-kun si scambiava con una Mitsuha che  è morta, mia sorella sarebbe in pericolo. Spero che Taki-kun abbia fatto lo stesso ragionamento.
“A me piaceva vivere la sua vita ogni tanto. Perché non vuoi avere il corpo di una ragazza?”
“Che spasso fare degli esperimenti per avere un nuovo corpo! Be’, io non sono Crash Bandicoot: avere un corpo da femmina è disgustoso! Ora ditemi come farli finire, o mi assicurerò di avere solo il mio corpo in cui… Fermo lì!”
Vedo la rete alzarsi e Taki-kun scattare in avanti; ora riesco a girarmi sui gomiti e a strisciare oltre il piolo incastrato in un disco da bilanciere, ormai estratto dal terreno. Quando mi volto, il corpo di mia sorella è premuto contro un albero.
“Mitsuha, il kumihimo!”
Faccio tre falcate mentre sciolgo il nastro dai capelli e lo slancio in modo che possa afferrarne un’estremità. Dopo aver legato le mani di Yotsuha, le fa posare la schiena sulla corteccia.
“Nei tuoi videogiochi non c’erano sassi nel terreno a bloccare le trappole, eh?”
“Taki-kun, la tua camicia… si è strappata.” gli faccio notare vedendo lo squarcio.
“E adesso cosa vorresti fare?” chiede il nostro assalitore. “Di certo non vi darò il mio nome.”
È vero: non possiamo denunciarlo, né trasportarlo, né rinchiuderlo. Tutto quello che faremo lo subirà anche Yotsuha e potrebbe continuare a danneggiarci finché non avrà la risposta che vuole. Ma a me non serviva il suo corpo.
“Sai, tutte le donne della mia famiglia si sono scambiate con qualcuno. Mia madre è morta proprio perché il corpo in cui si era trovata si era danneggiato.”
Mi guarda con astio. Quegli occhi così familiari sono adesso irriconoscibili.
“Stai mentendo. Non ti credo affatto.”
“Se rischierai, morirete sia tu che mia sorella. Se invece verrai con noi, ti spiegheremo quello che sappiamo e domani tornerai nel tuo corpo. Scegli tu.”

Alla fine, avevo scelto un motivo di quattro foglie di tè parzialmente sovrapposte per l’impianto delle piscine. Oltre alla mia passione per la vegetazione, l’esperienza avuta con un patito di videogiochi mi aveva avvicinato ulteriormente alla natura.
Era stato impegnativo convincere Gemu Hideo a lasciar continuare gli scambi, ma alla fine ci aveva concesso un “bonus di credibilità” per la complessità della trama.
Non credevo che ci si potesse spaventare a tal punto per essersi ritrovati in un altro corpo. Certo: all’inizio anch’io ero rimasto confuso, ma mi piaceva ritrovarmi in una situazione così diversa da quella solita e avere il corpo di Mitsuha a disposizione.
Che abbia un segreto che non vuole far sapere a Yotsuha? Ad ogni modo, se continueranno a scambiarsi, credo che lo scopriremo presto.
Sento il campanello suonare, quindi mi alzo dalla mia scrivania e vado a vedere chi è dallo spioncino. Sembra che ci sia una consegna, ma non ho ordinato nulla di recente.
“Buongiorno. Tachibana Taki-san?”
“Sì, sono io.” confermo prendendo un sottile involucro di carta.
“Firmi qui, per favore.”
Leggendo il nome del mittente, mi viene il sospetto che si tratti della camicia che Mitsuha ha voluto rammendare. Ma avrebbe anche potuto chiedermi di passare a prenderla.
“La ringrazio. Buona giornata.”
“Anche a lei.” rispondo mentre chiudo la porta.
Scartando l’involucro, scopro che il mio sospetto era esatto e sollevo il tessuto per osservare il suo lavoro. Le mie labbra si separano.
Sullo sfondo bianco sono ricamati due kanji con filo arancione: Ti amo.

“Sono tornata!”
Le mie labbra si incurvano: sento di nuovo rispetto e responsabilità in quella voce.
“Bentornata, Yotsuha. Ascolta, non è che per caso ricordi di aver sognato la vita di qualcun altro?”
Mi guarda perplessa.
“Come lo sai?”
“Forse non mi crederai, ma voglio raccontarti una storia.”
   
 
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