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Autore: Eos BiancaLuna    21/11/2017    1 recensioni
Isabel è una ragazza nobile d'animo e coraggiosa che intraprende un viaggio con la sorella più grande per lasciare i loro furiosi genitori. Sullo sfondo dell'oceano atlantico nel 1700 i pirati incrociano la sua strada provocandole sofferenza e non solo, Isabel è costretta a crescere, a cavarsela da sola ed affrontare la sua nuova vita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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CAPITOLO 4


      

Il giorno seguente Isabel aprì gli occhi che era quasi l'alba.

Non si accorse che il letto dalla parte che non occupava era ancora caldo, si tirò su a sedere e si stiracchiò lentamente. Fu come svegliarsi da un incubo e accorgersi di viverne un altro: il ricordo delle brutte parole di Pedro e le sue manacce sporche su di lei riaffiorò nella sua mente e una voglia matta di scappare via il più lontano possibile da quella nave la travolse con impazienza.

Si alzò di scatto e raggiunse la piccola finestra, la aprì e desiderò con tutta se stessa poterci passare attraverso e lanciarsi in mare. Rimase ad osservare il sole che si stava affacciando nel cielo sereno, e l'aria fresca che entrava nella cabina a lungo andare la fece rabbrividire. Prese la vestaglia bianca e la indossò.

Quale miracolo avrebbe potuto portarla via da li?

Farla tornare alla sua vita di sempre, con la sua famiglia dove tutti la amavano e la rispettavano?

Qualcuno bussò alla porta e lei sobbalzò, indietreggiando fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete.

Era sola, sola e indifesa ancora una volta.

Il bussare si ripetè seguito da un lamento.

«State ancora dormendo?» domandò una voce vagamente familiare ma lei non rispose, non riusciva a dire una parola tanto era spaventata.

Ci furono altri colpi alla porta seguiti da un'imprecazione in spagnolo e Isabel si guardò intorno in cerca di un'arma o di qualunque altra cosa con cui potesse difendersi ma la paura che Pedro potesse essere fuori dalla porta la paralizzò del tutto.

La porta si aprì con uno stridulo e apparve il cuoco di bordo.

«Ehm, buongiorno» disse col suo solito tono burbero, in mano stringeva un piccolo fagotto avvolto in un grosso fazzoletto grigio.

Sembrava a disagio, come se si stesse sforzando di essere gentile.

«Non ricordo di essermi mai presentato perciò lo faccio ora, mi chiamo Guillermo e sono il cuoco di bordo», disse tutto d'un fiato.

Isabel lo guardò pietrificata, si erano già incrociati un paio di volte sulla nave e il giorno prima lui le aveva vietato di lasciare la cabina per ordine del capitano.

La sua stazza grossa e i movimenti goffi però non gli conferivano un'aria da cattivo, ma lei aveva già intuito che non c'era da fidarsi dei pirati, perciò rimase in silenzio e annuì soltanto.

«Questo è un rimedio per il livido che ti è stato fatto ieri» continuò il cuoco e lanciò il fagotto sul tavolo, «Devi tenerlo premuto sul viso e quando si scalda gira la fetta dall'altra parte».

Con queste ultime parole fece un mezzo inchino piuttosto forzato e se ne andò richiudendo la porta alle sue spalle.

«Fetta?» chiese lei non capendo ma poco dopo la porta si aprì di nuovo e il viso tondo e baffuto del vecchio pirata fece capolino.

«Ho dimenticato di dirvi che la colazione vi attenderà tra poco in cambusa» aggiunse guardandola.

A questo punto lei si staccò dal muro e fece un passo verso di lui.

«Cos'è la cambusa?» domandò stupidamente prima di rendersi conto senza bisogno di spiegazioni che era la cucina.

Annuì e lo ringraziò, poi gli disse timidamente che non era necessario darle del "Voi".

«Non dovete sforzarvi di usare queste formalità, chiamatemi Isabel e basta» trovò il coraggio di dire senza che la voce le tremasse.

Rimasta nuovamente sola prese con una certa riluttanza il fagotto che lui aveva lasciato rozzamente sul tavolo, lo aprì e quando vide cosa conteneva rabbrividì dal disgusto.

Una fetta di carne cruda era stata precedentemente ripulita dal sangue e immersa nel sale per essere conservata, non era particolarmente calda al tatto, anzi, cosi lei la avvicinò al viso sforzandosi di non sentirne l'odore e la premette contro la guancia su cui era presente il livido lasciatole da Pedro.

Quindi Guillermo ora l'attendeva in cambusa, e le aveva preparato la colazione, cosa che il giorno precedente si era tradotta in una bevanda amara e scura che lei non aveva affatto apprezzato.

«Speriamo che oggi rimedio un goccio di tè» sussurrò a se stessa mentre si teneva la fetta di carne contro la guancia. Sedette sul letto già stufa della giornata che era appena iniziata quando si accorse che vicino al catino e alla brocca dell'acqua era apparso dal nulla un grosso pezzo di sapone ed un telo bianco, c'era anche una tinozza in legno nell'angolo abbastanza grande perché lei vi si infilasse dentro e facesse un bagno.

Già, un bel bagno caldo, come quelli che gli venivano preparati nella sua bella casa ogni giorno...

Ricordò amaramente i bei tempi in cui era servita e riverita, lì su quella nave non aveva trovato altro che ostilità e dispiaceri che chissà per quanto ancora sarebbero durati.

Quando si accorse che il pezzo di carne sul suo viso si stava scaldando lo riavvolse nello straccio e si lavò alla bell'e meglio, compresi i capelli, anche se l’acqua a disposizione non era calda. Purtroppo le comodità non erano come quelle a cui era abituata di solito e la cosa la fece irritare.

"Non voglio stare qui" pensò, "Dio mio, ti prego fa che qualcuno venga a salvarmi, io con questi farabutti non ci voglio stare. Ho paura".

Dopo essersi vestita (con qualche difficoltà visto che non c’era la sua dama di compagnia ad aiutarla) con un abito color malva si pettinò i capelli bagnati con un pettinino in mano mentre con l'altra reggeva il suo specchio col manico e sbuffava. Quando furono un pò più asciutti, dopo averli frizionati per bene con un telo, si decise a lasciare la cabina sperando con tutta se stessa che nessuno non le rubasse nulla dal baule. 

Raggiunse la cambusa che era proprio accanto al boccaporto che conduceva sul pontile e vi trovò Guillermo da solo, con un fazzoletto annodato in testa e un canovaccio gettato sulla spalla. 

Non appena la vide entrare afferrò una mannaia che calò senza pietà sul pesce deposto sopra il battilardo, la testa dell'animale già morto si separò dal corpo con un rumore sordo e lei rabbrividì incapace di distogliere lo sguardo.

«Coraggio entrate, non state lì impalata! Il vostro tè si sarà raffreddato a quest'ora» disse il cuoco indicando la tazza per lei dall'altra parte del tavolo di legno scuro, c'era anche una ciotola con della frutta, biscotti e una mela già affettata.

«S-si scusate. Io vi ho riportato il vostro rimedio» mormorò lei intimidita e gli porse il fagotto, attese che il vecchio lo prese e si sforzò di non vomitare quando vide che lo apriva e lo riponeva assieme alle altre provviste. Strinse gli occhi e girò la testa dall’altra parte prima di sedersi sulla panca affianco al tavolo. Guardò nella tazza che era colma fino all’orlo e d’istinto prese un coltello poggiato lì accanto, affettò un limone e ci immerse una fettina. Guillermo si accorse del gesto e sorrise «Spero che il té sia di tuo gradimento oggi, ho capito che il caffè non fa per te».

Lei addentò un biscotto e annuì, almeno una soddisfazione se l’era tolta.

«Di solito cosa bevono i pirati a colazione?» domandò senza un reale interesse.

Il cuoco di bordo ridacchiò e rispose «Rum! E non solo a colazione, il rum è buono a tutte le ore». Estrasse dalle tasche una fiaschetta e bevve una lunga sorsata.

Isabel rimase a guardarlo incuriosita.

«Cos’è il rum?» domandò mentre lui riponeva la fiaschetta, aveva un grosso anello d’argento all’anulare destro, quello che doveva essere uno sgraziato tatuaggio all’interno del polso e svariati orecchini ai lobi. I denti erano parecchio ingialliti e gliene mancavano un paio davanti. 

Bisbigliò qualcosa nella sua lingua che lei non capì e stava per chiedergli di spiegargli il motivo della loro fissa con l’oro e i gioielli quando le venne in mente che alle mani del capitano c’era molto più che un anello.

«Ah! Isabel, Isabel» ridacchiò lui mentre riprendeva a pulire il pesce. 

«Come sei divertente, non sai nemmeno cos’è il rum!».

La giovane rimase impassibile alle risate di scherno e continuò a bere il suo tè quando uno strano verso invase la cambusa. Qualcuno pronunciò una volta il suo nome e lei si voltò di scatto. 

Stava per chiedere chi fosse quando la voce ripetè forte e chiaro «Isa-bel! Isa-bel!». Lei si guardò intorno perplessa poi guardò Guillermo in cerca di spiegazioni.

«Ma chi è?» gli chiese con un misto di paura e curiosità. Il cuoco rise ancora una volta e indicò l’angolo più lontano da loro dove c’era una gabbia coperta per metà da un grosso pezzo di stoffa lacerato su un lato.

«Hai ragione brontolone! Adesso ti darò da mangiare visto che il tuo padrone non si degna mai di pensarci».

Isabel si alzò e d’istinto si avvicinò alla gabbia e lentamente tolse lo straccio. 

Le tornò il sorriso quando vide la bellezza straordinaria dell’animale rinchiuso, era un bellissimo pappagallo dalle piume blu sfumate di azzurro su dorso e ali e gialle sulla pancia. Agitò le ali quando la vide e inclinò la testa di lato prima a sinistra poi a destra.

«Dio! Ma e’ bellissimo!» esclamò lei meravigliata.

«Come si chiama? Che cosa mangia?» si voltò verso il vecchio pirata che le si stava avvicinando con uno spicchio di mela in mano.

«Ecco, daglielo tu» le porse lo spicchio e si strofinò le mani sul grembiule prima di tornare a pulire altri pesci. Isabel sorrise e infilò lo spicchio nella gabbia, il pappagallo lo afferrò subito col becco e lo trasse a se.

«Ma dove l’avete trovato? Perché non lo lasciate libero, è cosi stretta questa gabbia che si sentirà soffocato poverino».

Guillermo cambiò espressione.

«Non dirlo neanche per scherzo, è di Kevin, e tutti sanno quanto Kevin è dannatamente geloso delle sue cose» la guardò con fare allusivo mentre affilava un paio di coltelli. Lei se ne accorse ma non disse nulla a riguardo. 

«Ce l’ha un nome?» chiese mentre tornava ad ammirare l’animale in gabbia che sbecchettava lo spicchio di mela.

«No» fu la risposta.

«Non ancora» pensò Isabel.


Quando raggiunse il pontile verso la tarda mattinata, tutto il buonumore che aveva riacquistato in cambusa la abbandonò di nuovo. Era inevitabile che dovesse affrontare la presenza della ciurma, dato che lei era l’ospite e per di più indesiderata. Sull’ultimo gradino della scaletta i piedi le tremarono, sospirò e si decide a non guardare in faccia nessuno di quei criminali, cosa che si rivelò del tutto impossibile perché non appena gli altri la videro ad un cenno del capitano smisero di prestare attenzione ai soliti lavori di manutenzione della nave. Lei si affrettò a raggiungere il parapetto alla sua sinistra decisa a starsene per i fatti suoi ma Kevin, inaspettatamente, richiamò la sua attenzione con un finto colpo di tosse e fu ignorato di proposito.

«Isabel, vieni qui» disse quindi ad alta voce.

La ragazza continuò a far finta di nulla finché lui non aggiunse «Per favore...».

A quel punto Isabel lo guardò e notò che gli uomini si erano disposti in due file parallele gli uni di fronte agli altri. Fece un passo verso di loro rimanendo in silenzio e con lo sguardo basso. Non chiese che cosa volesse il capitano ma semplicemente lo ascoltò.

«Dunque, come tutti ormai saprete. Quella che vi trovate davanti non è una donna qualunque, possiede il titolo di contessa e come tale io voglio che la trattiate bene e che la rispettiate».

Quasi tutti risero e mormorarono qualcosa di cattivo nella loro lingua, era chiaro che non provassero neanche a sforzarsi di essere gentili come aveva fatto Guillermo.

Kevin alzò la voce e ripetè ciò che aveva appena detto mettendoli tutti a tacere.

Isabel si accostò ad ognuno di loro e coraggiosamente li studiò uno ad uno poi con sua grande sorpresa, essi si presentarono a lei, uno per uno rivelandole il proprio nome. 

Non parlando lo spagnolo lei dimenticò tutti i loro nomi quasi subito, riuscì solo a capire che tra loro c’erano dei carpentieri, un cerusico che doveva essere il medico, quello che sembrava il più gracile era in cima all’albero maestro era detto di vedetta e per lo più erano tutti dei marinai da quattro soldi. Questo pensò lei.

Gentaglia che magari si intendeva pure di mare e di navi, ma che facevano un mestieraccio per vivere e nemmeno le interessava saperne di più.

Li squadrò uno ad uno senza reprimere il ribrezzo che essi le suscitavano, poi quando ognuno tornò ad occuparsi delle proprie faccende lei si appoggiò al parapetto e guardò lontano. 

Pensò a sua sorella e alla fine ingiusta che aveva fatto, trattenne a stento una lacrima e si disse che non era quello il momento di farsi vedere fragile. Non dopo che quei mascalzoni l’avevano già umiliata abbastanza il giorno precedente dopo che l’avevano vista tutti con addosso soltanto la camicia da notte e per di più aveva ricevuto un pugno in faccia del quale portava ancora i segni.

Incrociò lo sguardo di Kevin che la stava fissando e gli diede le spalle. 

In quel momento si ricordò della sera precedente quando lei gli aveva chiesto di non ucciderla prima di addormentarsi. Era ancora viva e vegeta quindi lui l’aveva ascoltata, si girò di nuovo verso di lui per dirgli qualcosa ma vide che anche il ragazzo le aveva voltato le spalle e armeggiava con delle corde. Soffermò lo sguardo sulla sua schiena, al centro della giacca nera che indossava e pensò che no, non meritava nessun ringraziamento.

Un paio d’ore dopo Guillermo arrivò sul pontile per annunciare che era giunta l’ora del rancio. Ecco un’occasione che lei non aveva ancora osservato meglio da vicino, vide gli uomini recarsi in cambusa in gruppetti di due o tre e poi tornare per dare il cambio agli altri facendo a turno per mangiare. Molti di loro tornavano con una scodella grigia e ammaccatta e finivano di ripulire la zuppa all’aria aperta. Lungi dalla giovane contessa star li a fissarli o ad ascoltare i versi che emettevano le loro bocche mentre masticavano, davvero poco raffinati cosi sbucò dal suo angolino e si diresse indisturbata a poppa. 

Qualcosa aveva catturato la sua attenzione, due ali bianche che avevano sfiorato il timone e che ora si erano nascoste al di là del cassero. Isabel si avvicinò e sorrise nel rivedere il gabbiano del giorno prima, lo riconobbe all’istante ma non avendo nulla da offrirgli si voltò un momento a cercare qualche sorta di cibo per lui. Uno dei pirati aveva lasciato a terra una scodella e lei cercando di non dare nell’occhio la prese per avvicinarla al gabbiano che subito banchettò con i resti di quello che rimaneva. Il capitano l’aveva osservata da lontano e non riusciva a smettere di sorridere divertito, ma continuò a svolgere le sue mansioni e soltanto quando gli altri ebbero mangiato si preparò a raggiungere la cambusa.

«Isabel!»

Tuonò una voce alle spalle della ragazza, la quale si irrigidì mentre si voltava per trovarsi di fronte Carlos.

«Si?» domandò sperando che non si arrabbiasse di quel suo gesto verso il gabbiano, invece il secondo neppure se ne accorse.

«Tu non vai a mangiare? Vuoi che ti accompagni?» sorrise e le porse la mano destra, ma lei rifiutò prontamente.

«Non ho fame grazie», rimase dov’era per coprire il gabbiano dietro di lei ma Carlos insistette.

«Non essere timida» la esortò, e senza dire altro la prese per mano trascinandola lungo il pontile. Al loro passaggio gli uomini risero e fecero commenti sarcastici nella loro lingua, quando il gabbiano riprese il volo la contessa incrociò lo sguardo del capitano che le fece intendere di aver compreso quello che aveva appena fatto e che gli andava bene.

«Vedrai, niña, nessuno oserà farti più del male» disse Carlos quando furono vicini al capitano.

«Non è vero Kevin?», i due si guardarono e lei si domandò cosa volesse dire quella parola in spagnolo ma non fece domande a riguardo.

Al silenzio del ragazzo si divincolò istintivamente dalla presa, seppur gentile, del pirata senza capelli e li guardò entrambi imbronciata.

«Dovreste smetterla con questa sceneggiata» affermò decisa. 

«Preferisco il disprezzo, almeno quello è sincero. E in cambusa ci so andare benissimo da sola, grazie!» si congedò senza troppi complimenti e scese in sottocoperta.

Carlos rimase un istante senza parole poi disse che secondo lui la ragazza aveva carattere e che stava cominciando a tirar fuori le unghie. 

«Prego per te che non ti graffi! Sai dopo l’episodio di ieri sera...» mormorò ridacchiando all’amico ma Kevin lo ammonì e gli ricordò che avevano ben altro a cui pensare.


Dopo essere stata un’intera giornata a guardarsi le spalle e controllare di tanto in tanto che nella cabina del capitano i suoi effetti personali fossero ancora li, Isabel chiese gentilmente a Guillermo di portarle qualcosa da mangiare e se ne stava beatamente a letto a fissare il vassoio ormai vuoto quando la nave prese ad oscillare più del solito. Lei era sola, e cercò di non dare peso a quei movimenti dovuti dalle onde. “A quest’ora dovrei esserci abituata” pensò, e invece quella sera ciò che successe le fece capire che ci voleva ancora un bel pò di tempo prima che i suoi attacchi di mal di mare si placassero.

Come la mattina in cui aveva conosciuto il capitano Sean sul mercantile, quando si alzò dal letto fu presa da un attacco di vertigini e per poco non cadde a terra. Gli oggetti disposti sulla scrivania si mossero una delle mappe si rovesciò sul pavimento. Isabel si appoggiò al vetro della finestra per guardarvi fuori in cerca di distrazioni ma fuori era il nero più totale cosi sedette a terra con la schiena contro la parete. Non c’era nulla che potesse distrarla da quel momento poco piacevole e mentre le assi di legno scricchiolavano e persino il letto sembrava inclinarsi a destra e a sinistra, lei chiuse gli occhi e nascose il viso tra le ginocchia piegate. 

Kevin arrivò poco dopo e trovandola a terra le chiese subito cosa c’era che non andasse. 

Lei alzò la testa senza guardarlo e osservò un punto fisso dinanzi a se.

«Sto bene» mentì.

«Stavo solo riflettendo… Mi manca mia sorella» disse la prima scusa che le passò per la mente e si accorse che quell’affermazione era dannatamente vera. 

Non soltanto l’assenza di Jane le stava dando il tormento, ma anche quella del resto della sua famiglia e del fatto che non avrebbe mai raggiunto la zia.

«Sei sicura di sentirti bene?» domandò Kevin mentre versava l’acqua nel catino e si lavava mai e viso. Era ben attento a non guardarla e a sembrare distaccato ma inevitabilmente si stava preoccupando.

La vide poi alzarsi e dirigersi con andatura incerta verso il letto dove si accasciò. Prese coraggio e incurante del fatto che il pavimento a tratti si alzasse, e ad altri sembrasse sprofondare, si sedette accanto a lei. La osservò meglio da vicino e vide che era più pallida del solito. Voleva ancora scusarsi con lei per il giorno prima, invece rimase in silenzio incerto su cosa dire.

«Si, sono sicura» mentì lei ancora, ma dopo un forte giramento di testa si mise una mano sugli occhi.

«Mi gira tutto...» ammise alla fine, e dopo un forte senso di nausea saltò su dal letto e uscì svelta dalla cabina. Kevin la seguì all’istante ed entrambi si ritrovarono sul pontile, lei si appoggiò al parapetto e rovesciò in un attimo tutta la cena che le era stata da poco servita. 

Quando il giovane capitano capì cosa le stava succedendo si avvicinò per tirarle indietro i capelli.

«¿Que pasa?» domandò Carlos alle loro spalle, seguito da Diego. Si fermò di colpo alla vista della povera malcapitata avvinghiata al parapetto con l’amico che le reggeva i capelli.

«Papà, Isabel si sente male» disse Diego a suo padre, afferrandogli la manica della camicia. Entrambi assistettero alla scena immobili e ammutoliti.

«Santiago vai a chiamare Juan» ordinò Kevin a uno dei suoi compagni di avventure, il ragazzo che era lì a pochi passi annuì e si allontanò.

Isabel, ancora frastornata e con Kevin che non aveva lasciato la presa ai capelli, si asciugò la bocca con la manica della camicia da notte. Era già stato abbastanza umiliante dare di stomaco di fronte a tutta quella gente, e quando si voltò invasa da mille domande su come stava e se sapeva di soffrire il mal di mare, si fece piccola piccola.

Il cerusico arrivò poco dopo e le chiese che cosa avesse mangiato. Fu Carlos a rispondere che le era stato servito il loro stesso cibo per cui era colpa del mare mosso, non c’erano dubbi. 

La ragazza ignorò i loro commenti e le loro frasi in spagnolo, fece per tornare in cabina e Diego si affrettò ad accompagnarla.

«Grazie» gli disse lei con un mezzo sorriso sulla soglia della porta, voleva solo restare sola ma quel ragazzino la mise di buonumore.

«Posso restare con te, se vuoi» mormorò dolcemente prendendole la mano e accompagnandola dentro.

«Aspetta, ti prendo un secchio» disse all’improvviso e sparì prima di tornare pochi minuti dopo con un secchio che depose al lato del letto.

«Grazie, sei davvero gentile» mormorò lei rannicchiata sul letto, aveva i brividi e la gola secca ma la presenza del bambino non la infastidiva, anzi.

Kevin e Carlos apparvero alla porta poco dopo, il padre di Diego era venuto a sincerarsi che Isabel stesse meglio e a mettere a letto il figlio.

«Avanti, è ora di dormire adesso. Si è fatto tardi», ma il bambino non voleva saperne di lasciare la ragazza e soltanto dopo un’altra ora si sincerò che lei potesse essere lasciata riposare.

«Buonanotte, Isabel» le stampò un bacio sulla guancia e raggiunse il padre nella cabina affianco.

A quel punto Kevin chiuse la porta e si sedette un attimo sulla poltrona ai piedi del letto, gli si leggeva in faccia che era stanco tant’è vero che chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro.

Isabel che era seduta con la schiena contro il cuscino e abbracciava a sua volta un altro cuscino si azzardò a chiedere «Sono un vero disastro, non è vero?». 

Credette che lui non la stesse ascoltando perché dapprima non si mosse, poi lentamente riaprì gli occhi e la guardò.

«Scusa, stavi dormendo...» si affrettò a dire lei.

«Ne hai tutto il diritto, sono io quella che non dovrebbe occuparti il letto inutilmente, mi dispiace».

Lo sguardo del giovane si addolcì per un attimo.

«Non dormivo, sta tranquilla. Stanotte sono di guardia perciò tra poco devo lasciarti da sola, ti pregherei di chiuderti a chiave perché come ben sai… Ti ho già spiegato il motivo».

Lei annuì e quando lui si alzò esitò un istante per dirgli di restare ma le parole le rimasero in gola e non furono pronunciate.

«Buonanotte Isabel» sussurrò Kevin prima di uscire.

Rimasta sola la ragazza si trascinò a forza verso la porta per chiudersi a chiave poi tornò a letto ma invano cercò di dormire, e il secchio che le aveva procurato il piccolo Diego le fu molto utile durante tutta la notte. Alla fine esausta per la fatica di sopportare il mal di male si aggrappò al bordo del letto e riuscì a chiudere gli occhi, quando si svegliò era ancora notte e la sua fronte era madida di sudore. Sembrava che il moto del mare si fosse leggermente calmato ma lei aveva ancora lo stomaco sottosopra. 

Si alzò a fatica e lentamente raggiunse la porta, la aprì e nell’oscurità andò in cambusa dove soltanto un paio di lanterne illuminavano la stanza. 

Guillermo russava nell’anticamera e il pappagallo da dentro la gabbia aveva mosso le ali. Isabel se ne accorse e subito tolse lo straccio che copriva quella specie di prigione che tanto non le piaceva. L’animale come il mattino precedente pronunciò il suo nome ad alta voce e lei lo zittì.

«Sshh!» sussurrò sperando di non aver fatto troppo rumore, aprì la gabbia e subito il volatile spiegò le ali e si librò in volo felice di essere stato liberato poi atterrò sul tavolo a mangiucchiare gli avanzi di un pasto dimenticato.

Lei si sedette sulla panca e appoggiò la testa sul tavolo mentre con una mano osava sfiorare il bel piumaggio dell’animale, pochi minuti dopo chiuse gli occhi senza rendersi conto che il mal di mare era passato.









   
 
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