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Autore: the angel among demons    21/11/2017    0 recensioni
Iris ha due migliori amici, ha un ragazzo dolce e una famiglia ragionevole. Ha tutto quello che un'adolescente vorrebbe avere. Ma non è felice, non completamente. Ha un vuoto dentro, che solo un ragazzo riuscirà a colmare.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Attenzione: è passata una vita, ma ho davvero avuto un lungo periodo di blocco dello scrittore. Ho cercato di fare attenzione ad alcuni errori di scrittura, siccome l’altro capitolo lo scrissi quando ero molto più piccola. Un altra cosa importante, ho sostituito i trattini all’inizio di una conversazione con le virgolette, poichè mi ero resa conto che mi veniva più facile. Penso proprio di essere migliorata, ma capitolo dopo capitolo migliorerò sicuramente sempre di più. Grazie per chi la legge (: 

 

 

“Allora? me lo vuoi dire?” mi chiese Danny per la terza volta da quando eravamo seduti su una panchina al parco con il nostro gelato in mano.

E io, come per le atre tre volte, diedi un altro morso al mio gelato come risposta.

“Questo è il parco dove ci siamo baciati per la prima volta”  cercai in modo evidente di distrarlo. 

“Lo so Iris, sono stato io a prenderti per le guance e baciarti” mi rispose, e per un momento ebbi la piccola speranza di avergli fatto dimenticare la chiamata di Lucas.

“Ma non ti ho chiesto questo” preseguì lui.

Ecco, come non detto...

La verità era che ero ancora scossa da quello che mi disse il mio amico, e in qualche modo coinvolgeva anche Danny, quindi già non volevo parlarne, figuriamoci a lui.

 

Lucas mancò per tanto a scuola, dopo la morte della sorella. Era prossimo alla bocciatura, ma riuscì a convincere i professori che avrebbe potuto recuperare tutto all’esame di recupero a settembre. Gli insegnanti erano increduli, ma vedendo quanto lui ci tenesse a non perdere l’anno hanno voluto dargli questa possibilità. La sua salvezza sarebbe stata il ‘campus estivo di recupero’ pagata dalla scuola, per tutti gli studenti che erano a un passo dalla bocciatura, e che quindi da soli non sarebbero riusciti a studiare. Li i professori stavano dietro agli alunni con i vari argomenti delle varie materie, e non c’era scampo, lì studiavi e basta. 

Nicole aveva sempre vissuto con il padre, la madre se ne era andata quando lei aveva solo tre anni. Scomparve letteralmente dalla loro vita, senza piu averne notizie. Piu avanti un’amica che gli accomunava disse poi che si era risposata, con un figlio. Ricordo quando la consolavo e stavo vicina a lei appena seppe la notizia. Per questo e per il fatto che era da sempre la mia migliore amica e quindi eravamo sempre insieme, per mia madre lei fu come una seconda figlia. Quell’anno il padre perse il lavoro, non riusciva a trovarne un altro serio, perciò l’unica cosa che faceva erano lavoretti da poco, dove non guadagnava neanche la metà dei soldi dell’affitto. Fu per questo che Nicole si rimboccò le maniche e lavorò anche lei. Riuscì a fare la cameriera in un ristorante, all’inizio ricordo che saltava alcune ore di scuola, successivamente giorni interi, e a volte alcune settimane, per fare il doppio turno. Quando il padre trovò di nuovo un lavoro fisso, lei potè tornare tranquilla a scuola, ma ormai era rimasta indietro parecchio. Per questo Lucas mi disse, che anche a lei proposero il campus. Ovviamente, conoscendo Nicole, lo accettò volentieri.

Io invece...be...sono sempre stata zampillante con la scuola, passavo sempre all’anno successivo con una media del sei, a volte anche col sette. Il mio problema credo che sia sempre stato il fatto di distrarmi molto facilmente alle lezioni, e quando dovevo studiare poi a casa, ci capivo un quarto. Ma, finchè passavo col sei andava bene, per me l’importante era passare. Però quell’anno, tra Lucas che non c’era, e Nicole neanche, e sapere che stavano entrambi male, diciamo che non è stato un bell’anno neanche per me. Il pensiero di loro mi distraeva ancora di più di quanto non faccia gia io. E infatti, avrei dovuto passare anche io l’estate a studiare al campus. 

Questo mi disse al telefono. Quindi ricapitolando, come potevo dire a Danny che non ci sarei stata per tutto il periodo dell’estate? Certo, in quel campus ci stavi tanto o poco a seconda di quanto fossi messo male, io tra i miei due amici ero quella messa meglio, ma conoscendomi sapevo che ci sarei stata quanto loro. 

Danny aveva finito il suo gelato, e dopo essersi pulito la bocca con un fazzoletto preso dalla tasca, allargò le braccia come in attesa che gli rispondessi.

Feci un sospiro, mi girai verso di lui guardandolo negli occhi, e piano piano iniziai a raccontagli la situazione.

 

Passò quasi un ora. Dopo avergli spiegato tutto fu un susseguirsi di ‘e ora?’, ‘come facciamo?’, ‘ riusciremo a stare ancora insieme?’. Domande di cui avevo paura la risposta.

Danny, sensibile com’è, si era messo a piangere già prima che finissi di parlare. Delle lacrime scesero anche sul mio viso, ma cercai di avere un contegno. Io sono sempre stata così, non riuscivo a farmi vedere debole con nessuno, neanche con lui, la persona che amavo, e neanche in quel caso, dove forse ci stavamo dicendo addio. Dio, quanto odiavo quella parte di me. Mi faceva sempre sembrare insensibile, anche quando in realtà i sentimenti c’erano.

“Io dico che possiamo farcela, stiamo insieme da dieci mesi non possiamo finire ora” disse a un tratto singhiozzando, con il viso tra le mani e i gomiti appoggiati alle gambe.

Non ebbi il tempo di rispondere, che di scatto si avventò a me, abbracciandomi forte. Il gelato che ancora tenevo tra le mani, e ormai sciolto, volò per terrà.

“Io non voglio perderti” disse continuando a piangere e con la testa tra il mio collo e la spalla. Subito dopo sentii la mia maglia bagnata dalle sue lacrime.

Lo strinsi a me. “ Non è detto che mi perderai, possiamo ancora stare insieme anche se lontani” 

Nonostante la mia incapacità di piangere di fronte agli altri, altre lacrime solcarono le mie guance, ma al contrario delle sue, le mie erano silenziose, quasi inesistenti.

“Non lasciamoci ti prego, ti prego...” singhiozzò tra una parola e l’altra.

Lo allontanai piano da me per poi tenergli il viso tra le mani.

“Guardami”. Quando lo fece, continuai “Non ci lasciamo, capito? dobbiamo solo resiste un paio di mesi a non vederci. Ci sentiremo per telefono ogni volta che possiamo, e anche vederci con Skype. Okay?”

Lui mi fece un sorriso a 32 denti, mi baciò delicatamente sulle labbra e rimanendo a un centimetro da me sussurò:

“Ti amo”. 

Mentre lo disse, con gli occhi gonfi e pieni di lacrime che rendevano il blu dei suoi occhi ancora più luminoso, le guance arrossate, e i capelli biondi arruffati, sembrava il ritratto della sincerità, e innocenza. Sorrisi d’istinto a quel pensiero.

Guardai il cielo e poi di nuovo lui. “Si sta per fare buio, dovremmo andare a casa”

Annui asciugandosi le lacrime. Si alzò e dopo essersi risistemato un po, mi allungò la mano, che io presi.

Per il tragitto fino alla fermata dell’autobus rimanemmo così: zitti e mano per la mano.

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Appena misi piede a casa, non ci pensai due volte a togliermi le scarpe e salire in bagno a farmi una bella doccia. Era una delle poche cose che mi tranquillizzava tantissimo.

L’acqua calda della doccia era accogliente, sembrava mi massaggiasse il corpo e la mente. E ne avevo bisogno, quella giornata era stata moralmente stancante.

Vedere Danny così mi aveva fatto stare male, e anche io stavo male.

‘Sto male per aver visto Danny in quello stato, o perchè davvero mi distruggerò d’amore per lui al campus?’

Quel pensiero fu veloce, ma allo stesso tempo tagliente. Non volevo pensarci, no...io stavo male perchè non lo avrei visto per molto tempo.

Si, è così. Era per quel motivo.

Presi il bagnoschiuma, e mentre me lo spargevo in tutto il corpo mi venne in mente un ricordo.

Era inverno, avevamo molto freddo. Eravamo a casa sua e decidemmo di metterci sul suo letto sotto le coperte. Lui iniziò a farmi le coccole, passando la sua mano in tutta le schiena e le braccia, sapeva quanto mi piacesse. A un tratto si avvicinò piano al mio orecchio, e  per la prima volta mi disse che mi amava.

A quel ricordo arrossii, lo amavo tanto anche io.

Eppure, non riuscii mai a dirglielo.

‘Forse perchè non l’ho mai amato davvero, ma ci sono solo tanto affezzionata’

Scacciai via anche quel pensiero. No, se non lo avessi mai amato non ci sarei stata quasi un anno insieme. E poi, mi ha dato molte emozioni belle. Era amore quello che provavo.

Si, è così.

 

Dopo essere uscita dalla doccia ed essermi asciugata andai in camera mia, mi misi addosso quel fantastico pigiamone invernale che mi regalò Lucas qualche anno prima a Natale. C’erano disegnati degli orsacchiotti nel pantalone con lo sfondo rosa, e nella parte sopra una scritta marroncina ‘ Hug Me’ e lo sfondo sempre rosa. Per non dimenticare che aveva il tessuto come la lana delle pecore, per cui morbidissimo. Quando me lo regalò gli diedi un abbraccio che non finiva più. E anche se era quasi estate non mi importava, l’ho mettevo quando volevo sentirmi ‘coccolata’ da qualcosa. E quel pigiama sembrava proprio che ti coccolasse.

Mi buttai a peso morto sul letto, rimanendo a guardare il soffitto.

Pensai a quanto ero fortunata ad avere degli amici che mi volevano così bene, e quanto io ne volessi a loro. Avevo solo loro due, ma come si dice? I veri amici si contano sulle dita di una mano? Meglio pochi ma buoni? Ah, niente di più vero. 

Nicole era praticamente come una sorella per me, ci conoscemmo all’asilo e da lì come dissi prima, sempre insieme. La vidi piangere perchè si era sbucciata un ginocchio, non usciva neanche sangue, ma si sa che quando si è piccoli si ingigantisce tutto. Io mi avvicinai a lei e senza dire niente le misi un cerotto che per qualche motivo tenevo dietro. Alzò il suo nasino alla francese e mi guardò con i suoi occhietti grigi e mi abbracciò forte. “Ora siamo migliori amiche” mi disse. 

Restammo un duo fino alla quinta elementare, quando un nuovo allievo a quasi metà dell’anno entrò in classe. I suoi capelli erano neri neri come quelli di Nicole, però gli occhi al contrario dei suoi che erano a mandorla, erano rotondi e di un azzurro cielo, gli zigomi alti e un nasino piccolo. Aveva il carattere dolce già allora, e questo con i bulli, che lo tenevano di mira perchè era quello nuovo, non aiutò. Ci pensammo io e la mia amica ad aiutarlo. Un giorno nei corridoi, mentre gli rubavano la merenda strattonandolo di qua e di là, gli lanciammo la nostra addosso “Ehi ciccione, forse non è meglio che salti qualche pasto?” il bullo si avventò subito a noi insieme ai suoi due amici. Nicole ed io facevamo karate da due anni, e sembra una scena alla 007 quello che venne dopo ma, riuscimmo con poco a buttarli giù. “Lasciatelo stare o lo faremo di nuovo” dissi io, e la mia amica continuò “Se lo dite alla maestra diremo che avete cominciato voi e che volevamo solo difenderci. Per non parlare dei dispetti che facevate al novellino.” Ci dirigemmo dal nuovo ragazzino per chiedergli se stesse bene, ma fu subito lui a parlare: “Lucas” disse porgendoci la sua crostata. Evidentemente aveva visto la nostra merenda a terra e anche calpestata. Presentandoci, accettammo volentieri un pezzo della sua crostata. Da lì diventammo un trio. 

Sbadigliando mi misi di lato, sistemando bene la testa sul cuscino.

Dopo mi vennero in mente mia mamma e mio papà. Erano i rari genitori che si amavano ancora tanto nonostante gli anni. Per questo vedendoli speravo tanto che anche io avrei formato una famiglia così. Mio padre si vestiva sempre da Babbo Natale il 25 dicembre. Dopo qualche anno capii che era lui e che Babbo Natale non esisteva, ma non dissi nulla e feci finta di crederci ancora, perchè non volevo spezzare quel ‘rito’ di famiglia che si faceva ogni anno. Ovviamente, quando ebbi l’età dove non si credeva più a queste cose, non si fece più, ma mio padre continuò lo stesso a lasciarsi la barba finta. Lo faceva sentire Gandalf, disse. A proposito di questo, ogni venerdì era la nostra serata film. Ci mettevamo seduti sul divano con i popcorn preparati da mia madre, le coperte, e le tapparelle abbassate per creare l’atmosfera, e a turno si sceglieva il film che si voleva vedere. Perciò passavamo a un venerdì dove si vedeva Barbie, l’altro Terminator e l’altro ancora Harry Potter. La domenica, invece, era la giornata mamma e figlia. La mattina facevamo colazione fuori al solito bar, poi passavamo all’edicola a prendere la rivista che più ci piaceva, e a un parco ci sedevamo a leggerla. II pomeriggio o facevamo cucito (lo facevamo più che altro in memoria della nonna che ricamava sempre) o facevamo giochi in scatola,e solo in quel momento poteva riunirsi anche mio padre per giocare. La sera, cucinavamo insieme un qualche piatto particolare o che ci piaceva molto, dopo aver finito di mangiare si guardava la televisione, mettevamo sempre qualche serie tv fatte più per le ragazze, e mio padre andava subito a dormire. Mi stupivo sempre di quando, nei momenti difficili, stavano sempre insieme, e di come cercavano sempre di nascondermi tutto con dei sorrisi. Loro si che si amavano tanto.

Alla parola ‘amare’ mi venne subito in mente Danny. In particolare alla prima volta che ci conoscemmo.

Stavo andando a casa dopo scuola, ma prima mi presi un grande bicchierone di caffè da Starbucks. Camminavo tranquilla per la strada con le cuffie nelle orecchie, quando d’improvviso qualcuno mi si buttò addosso, facendomi cadere il caffè per terra. Mi girai male e stavo già per gridare addosso alla persona che mi si scontrò, appena vidi chi era lo riconobbi, era un ragazzo che veniva nella mia stessa scuola. Aveva subito acquisito un’espressione preoccupata. “Oddio ti prego scusami” disse con gli occhi sgranati. “Scusa davvero non volevo, solo così distratto quando cammino”. Vedendo quanto era dispiaciuto decisi di lasciar perdere e non prendermela troppo. “Tranquillo...non fa niente..” dissi guardando il cadavere della mia bevanda nella strada. Lui seguì il mio sguardo, e dopo aver capito che quel caffè era mio continuò ancora più dispiaciuto. “Oh...te l’ho fatto cadere per terra... dio che imbranato...ti va se per ricompensare ti offro un caffè al bar?” disse tutto sorridente. Ci pensai un attimo, lui non lo conoscevo se non di vista quindi l’idea non mi faceva impazzire, però era anche vero che non avevo più soldi per prendermi un altro caffè...e a vedere quanto ci tenesse a offrirmelo quasi mi dispiaceva dirgli di no, per di più non dovevo fare niente quel pomeriggio. Così, accettai.

Una volta arrivati al bar più vicino ci sedemmo in un tavolino di fronte alla finestra, fui io a chiederlo visto che mi piaceva vedere il fuori. All’inizio eravamo entrambi un po imbarazzati, poi arrivata la cameriera ordinammo il mio macchiato e il suo normale. Ancora silenzio. “Comunque piacere, Danny”, “Iris” risposi facendo un mezzo sorriso, “Si lo so, andiamo a scuola insieme...” non so bene perchè, ma mi fece tenerezza quando lo disse, sembrava quasi volesse dire ‘Ti ho sempre vista ma non avevo il coraggio di parlarti’. Io feci un altro mezzo sorriso da ebete, quando non sapevo cosa dire sembravo sempre scema. Non molto tempo dopo arrivarono le nostre ordinazioni. Mentre sorseggiavo piano il mio caffè, lo guardavo, solo perchè avevo lui davanti, e notai quanto fosse bello. L’aspetto di un angelo e il comportamento da cavaliere. Io invece parevo il giullare di corte. I miei occhi, senza volerlo, passarono sul maglione aderente che faceva valorizzare il suo corpo ben definito e spesso, effettivamente ricordai che facesse nuoto, ecco perchè...A un certo punto vidi che mi stava fissando. Mi imbarazzai tantissimo, stava vedendo che gli guardavo i muscoli?, cercai subito di dire qualcosa “No ehm...stavo vedendo come il blu del maglione valorizzi i tuoi occhi, anch’essi blu..” bofonchiai. Lui rise “Perchè stai diventando un peperone in faccia?”. Ecco, volevo sprofondare. “No sai fa caldo qui dentro, avranno il termosifone al massimo”. Lui rise di nuovo “Si, sarà quello”. Dopo aver finito il caffè e quindi stavamo per andarcene, presi la borsa e mi cadde il libro che stavo leggendo. Lui, da bravo cavaliere che è, lo raccolse e me lo porse, prima però lesse il titolo: “Il ritratto di Dorian Gray”. La sua faccia si illuminò. “Leggi Oscar Wilde?” chiese emozionato. “Si, anche a te piace?” rimasi sorpresa, non a molti ragazzi piaceva leggere, figuriamoci uno scrittore come Oscar Wilde. “Io adoro questo libro!” Da quella frase, ci risedemmo al tavolo e stemmo a parlare per due ore e mezza, dai libri, al cinema, al teatro...così scoprimmo di avere molte passioni in comune. Parlando, iniziò a piacermi sempre di più, e non come ti piace un amico.

Quando poi tornai a casa, aprii il libro per leggere alcune pagine. Un foglietto cadde al suolo. Lo raccolsi, era il suo numero di telefono. Lo avrà messo quando ero andata n bagno, pensai. Dovevo sembrare Joker in quel momento, perchè avevo un sorriso che non finiva più. Feci subito una chiamata  a tre con Skype, con Nicole e Lucas. Gli raccontai tutto dall’inizio alla fine, e dopo vari urletti di felicità mi dissero entrambi: “Cosa aspetti? scrivigli!” Seguii subito il loro consiglio, e da lì a poco ci mettemmo insieme. 

Dopo tutte quelle emozioni che mi tornarono in mente, si, nonostante non riuscivo a dirglielo, io lo amavo.

Aveva davvero una bella vita, tutto era al posto giusto e non potevo chiedere di meglio.

Allora perchè non mi sentivo completa?

Ero alle solite, da quando avevo iniziato l’adolescenza rimanevo sempre una mezz’oretta a pensare sul letto alla mia vita. E il verdetto finale era sempre quello.

Perchè non riuscivo ad essere completamente felice? 

Ogni volta finivo per innervosirmi. Ci fosse stato qualcosa che non andava, avrei risolto il problema in qualche modo e sarei stata poi finalmente felice. Ma io, non avevo nessun problema. Non parlavo di questa cosa con nessuno, perchè sapevo che nessuno mi avrebbe capita. Delle volte invece volevo picchiarmi da sola, perchè dopo i momenti difficili che avevano passato i miei amici , loro erano ancora lì a ridere e scherzare, ad essere felici. Ad essere completi. E a me, che non era mai mancato niente nella vita, e avevo tutto l’affetto che volevo intorno, non stavo mai bene al 100%. Quindi si, volevo picchiarmi per questo, era come se non lo trovassi giusto nei loro confronti.

Scacciai via quei soliti pensieri con un altro, e cioè, l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola, e poi ci sarebbe stato il campus. Feci un lamento quando realizzai di non averlo ancora detto ai miei, chissà come l’avrebbero presa...e poi dovevo raccontare di Danny a Nicole e Lucas, che volevano sicuramente i dettagli di come era andata e cosa avremmo deciso di fare, se stare ancora insieme o no. 

Mi misi a pancia in giù con la faccia sprofondata sul cuscino.

‘Domani sarà una lunga giornata’.

 
   
 
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