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Autore: Cathy Earnshaw    21/11/2017    0 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 19
Scacco al Re
 
 
Quando Horlon riprese i sensi, ci mise un po’ prima di capire cosa fosse successo. Perché era tutto buio? E perché si sentiva incapace di muoversi? La spalla gli faceva male e i rumori della battaglia gli rimbombavano dolorosamente nella testa. Aveva visto la torre crollare, l’esplosione l’aveva sbalzato via, la terra aveva tremato…
«Merda» mormorò.
Era imprigionato sotto un cumulo di pietre. Cercò di flettere le braccia, smuovendo qualche coccio, e scoprì di avere una gamba dolorante. Oltre alla spalla ferita, quella serviva per mantenere le vecchie abitudini. 
«Va bene, Lon, ce la puoi fare» si disse. 
Le braccia erano relativamente libere, la gamba destra si muoveva ma la sinistra era incastrata. La sua buona stella aveva fatto sì che non finisse schiacciato dalla torre, ed era già qualcosa… ma come uscire di lì? Rischiava di esporsi senza potersi liberare completamente, cosa che l’avrebbe lasciato alla mercé degli uomini di fuoco. Forse Kirik, che combatteva vicino a lui, avrebbe notato la sua scomparsa e l’avrebbe cercato. Oppure era a sua volta tumulato da qualche parte. Ogni minuto che passava diventava sempre più consapevole di tutte le schegge di pietra che aveva sotto alla testa e sotto alla schiena. 
 
«A destra, Tom!» gridò Mark parando un torrente di fuoco.  
Vide lo stregone reagire d’istinto e scagliare un incantesimo troppo potente contro un drago di piccola taglia, che lanciò un ruggito di dolore e si schiantò su un palazzo. 
«A quanto siamo?» domandò. 
«A meno dodici, credo.» 
«E a quanto dobbiamo arrivare per poter parlare di condizioni di pace?» 
«Condizioni di pace?! È a questo che punti?»  
«Tu no?» 
Mark non rispose. Figurarsi se gli bastava la resa! Con tutti i morti che avevano sulla coscienza, i draghi dovevano come minimo estinguersi. Per un attimo gli passò davanti agli occhi l’immagine dei picchi rocciosi che custodivano le uova sugli Alti Nidi, subito sostituita dai tetti di Phia in fiamme. Fece fatica a ritrovare la concentrazione. Mise a fuoco Nastomer che caricava un colpo e che all’ultimo momento, anziché lanciarlo contro Bearkin, lo scagliava contro uno dei draghi della sua scorta. Unì la sua energia a quell’attacco, e il drago uggiolò, precipitando di parecchi piedi. Un nugolo di frecce fu pronto a intercettarlo appena a portata, e sputando fuoco il drago precipitò. 
«Undici alla pace» si ripeté come un mantra. 
 
Horlon stava ormai perdendo le speranze di uscire integro da quella brutta situazione. Aveva tentato di liberarsi con il risultato di essersi trovato ancora più sepolto. Allora aveva iniziato a chiedere aiuto gridando. Era ormai senza voce quando aveva captato, tra i rumori dei combattimenti, la voce di Glenndois che chiamava il suo nome. Aveva gridato più forte che aveva potuto, e aveva cercato di muovere quante più pietre possibile, e alla fine i suoi sforzi erano stati ripagati. Glenndois l’aveva trovato, e ora lo stava liberando dalle pietre che gli avevano impedito i movimenti. Il primo raggio di luce gli ferì gli occhi. 
«Che modo idiota di morire.» 
«Non sono morto.» 
Suo fratello lo aiutò a rimettersi in piedi. 
«Ce la fai?» 
Horlon mosse qualche cauto passo. La gamba faceva male, ma la spalla faceva peggio.  
«Niente di trascendentale» esitò, poi annuì. «Sì, posso continuare.» 
Glenndois lo osservava con la sua peggior espressione severa. 
«Sei sicuro? Non esagerare, se hai anche solo un dubbio ti porto al campo.» 
«No, mamma, sono sicuro» disse con una smorfia. «Grazie, Glenn. Come mi hai trovato?» 
«Ti stavo cercando perché ho visto Selene lasciare il campo di battaglia, volevo sapere se era qualcosa di programmato.» 
«No. Speriamo si sia inventata qualcosa di veramente buono, perché qui non è proprio una festa. Cosa mi sono perso?» domandò, notando che la luce nel frattempo era cambiata. 
Dalle nubi che si andavano via via alleggerendo traspariva un sole alto. 
«Ne abbiamo abbattuti cinque.» 
«Ancora undici, quindi» sospirò. «Spero che ci sarà modo di fermarsi prima.» 
 
Il tempo sembrava scorrere incredibilmente lento da quando Selene l’aveva lasciato con Mark dell’Aria, e Nastomer si sentiva sempre più irrequieto. Non che il mago non stesse facendo un buon lavoro, ma le sue possibilità di attacco erano limitate, e anche se non lo diceva si stancava più velocemente. Non aveva la minima idea di cosa stesse architettando quella folle, ma ogni cosa fosse doveva farla alla svelta. Le frecce potenziate dalla magia avevano mietuto un’altra vittima, e un drago stava riversando una pioggia di sangue nero sulla città. Dando per scontato che il drago ferito avesse vita breve, questo portava il conto a meno nove lucertoloni alla fine del conflitto, tre dei quali erano posti a protezione del Re. Tre draghi che lui doveva assolutamente eliminare prima che il loro esercito finisse distrutto dagli uomini di fuoco che Bearkin animava.
«Mark» disse. «La tattica che abbiamo usato a Phia non era male, quando io e Selly abbiamo attaccato ai due lati e tu li hai spenti, ma lui ci è scappato. Se lui scappa non è abbastanza.»
«Io posso spegnere anche lui, ma questo non eliminerà gli altri tre.»
«Come possiamo schivarli e arrivare direttamente a Bearkin?»
«Non lo so, e comunque io non…»
Si bloccò e Nastomer comprese immediatamente perché.
Aveva avvertito la presenza di Selene molto vicina, ma dov’era? Il Re dei draghi ruggì ed eruttò un fiume di fuoco sulla città. Lo stregone si guardò intorno alla ricerca della ragazza e la individuò sul tetto di un palazzo esattamente sotto di loro.
«Che fai lì?» gridò.
«Attaccateli!» rispose.
«Come?»
«Non ha importanza, attaccateli!»
Tom individuò Storr accanto a lei. Non perse tempo a domandarsi il motivo della sua comparsa, caricò la sua energia nelle mani e fece un cenno a Mark.
 
Meowin sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.
«Sta per succedere qualcosa» decretò.
Frunn le lanciò un’occhiata obliqua senza fare domande. Sapeva riconoscere la sua convinzione oppure pensava fosse impazzita? Con il cuore che batteva forte, l’elfa cercò di concentrarsi sulla presenza confortante di suo fratello che, affacciato a quella piccola finestra, sforzava la vista dietro alle lenti degli occhiali nel tentativo – assolutamente inutile – di individuare una persona che anche per lei era molto importante, e non solo per il ruolo che rivestiva. Pregò tra sé che Horlon fosse ancora vivo e si concentrò sulla battaglia.
 
Horlon e Glenndois avevano visto Selene e Storr dirigersi verso Bearkin e senza bisogno di parlarsi li avevano seguiti. I due si erano fermati sul tetto di ciò che restava di un palazzo signorile, e avevano parlato per un attimo fitto tra loro. Nel frattempo erano comparsi Kirik, Impialla e Richard, quest’ultimo ferito al fianco.
«Si decide qui?» domandò Kirik, ma prima che chiunque avesse il tempo di rispondergli, Nastomer e Mark attaccarono.
 
Non si era aspettato che il suo colpo andasse a segno, naturalmente, ma nemmeno si era aspettato che dal basso una scarica di energia colpisse il drago blu che proteggeva il Re frontalmente quando scartò per schivare il doppio attacco suo e del mago. Secco, senza esitazione, l’incantesimo di Selene aveva saputo esattamente dove colpire.
«Piccolo, insignificante mostro» tuonò la voce ancestrale del drago.
Nastomer se ne sentì scosso in ogni fibra.
«Ma come cavolo ha fatto?!» esclamò Mark.
«Ho una mezza idea, ma è folle» rispose lo stregone.
E in effetti tutti i pezzi andavano a posto: la necessità di Selene di sintonizzarsi, la richiesta di attaccare insieme, la posizione più bassa rispetto alla loro. Ma Storr che scopo aveva?
Il drago sputò una vampa di fuoco verso Selene, e il Re dei maghi intervenne per ripararla e consentirle di non perdere il contatto con il suo obiettivo.
«Ah, ecco» mormorò.
Bearkin ruggì di rabbia.
«Che c’è? Non ti piacciono le premonizioni?» domandò la ragazza rivolgendo al drago un gran sorriso soddisfatto.
Mark si accostò di più a Nastomer.
«Di cosa sta parlando?»
«Vede le cose prima che succedano» spiegò Tom. «Deve aver capito che l’unico modo di prendere quel drago è anticipare le sue mosse.»
Mark proruppe in una sequenza di esclamazioni in una lingua che Nastomer non ricordava di aver mai sentito.
«Avrebbe potuto attaccare direttamente te, Bearkin! Lo sai perché non l’ha fatto?» gridò Storr.
Il drago lanciò una vampa di fuoco verso il cielo. Era bello vederlo nervoso, pensò Nastomer.
«È stata solo fortunata» decretò.
Lo stregone vide le squame cangianti sulla gola di Bearkin muoversi e scintillare mentre si preparava alla sua mossa.
«Attento, Mark, sta per attaccare» disse.
Si mise sulla difensiva, come anche il mago, ma nonostante fosse pronto a difendersi, il colpo che il drago scagliò loro contro lo proiettò indietro. Mark precipitò e lo stregone lo perse di vista. Ma il drago era pronto ad attaccare di nuovo, così si trovò costretto a muoversi per primo: se aveva intuito la strategia di Selene, bastava farlo esporre. Puntò direttamente a Bearkin e il suo attacco lo costrinse ad attaccare a sua volta. I due incantesimi si scontrarono e si agganciarono senza che uno riuscisse a prevalere sull’altro, e mentre loro due erano occupati,            Selene ne approfittò per eliminare il penultimo gregario della scorta del Re. Erano sette in tutto i draghi che ancora volavano, e uno di questi era Bearkin, la cui rabbia si sfogò nel torrente di fuoco che Nastomer già a stento controllava, vincendo l’incantesimo del ragazzo e colpendolo in pieno. Consapevole solo del dolore, lo stregone vide le rovine di Shiren farsi velocemente più vicine e scoprì di precipitare. Chiamò a raccolta l’energia rimasta, faticando a restare lucido, e riuscì ad arrestare la caduta. Stordito, raggiunse il tetto su cui Storr e Selene stavano litigando.
«Che cosa c’è?» domandò.
«È il momento di dare loro il colpo di grazia!» disse Storr.
Nastomer alzò gli occhi. Ad affrontare il Re dei draghi a il suo ultimo gregario c’erano Mark e altri due maghi.
«Mark sta bene» mormorò con un sospiro di sollievo.
«Non lo farò, a meno che non ci sia alternativa» disse Selene senza staccare gli occhi dalla battaglia.
«Non scherziamo con il fuoco, Selly!» ammonì il mago.
«Se lo uccidiamo non sarà finita. Avremo vinto questa battaglia, forse, ma presto o tardi saranno di nuovo pronti ad attaccarci. A noi serve la pace!»
«Ha ragione» intervenne Nastomer. «E credo che anche gli elfi la pensino così.»
Storr lo guardò e Nastomer sostenne senza fatica il suo sguardo. Consapevolezza aveva detto Horlon quando ancora lui non sapeva da che lato voltarsi per far combaciare tutti i pezzi. Ora capiva cosa intendesse dire. Fu il mago a capitolare.
«D’accordo» disse soltanto, poi alzò gli occhi al drago. «Bearkin, ti parlo a nome della coalizione. Non è nostro desiderio portare avanti questo conflitto, è una pace che vogliamo, una pace che possa garantire alle nostre razze la tranquillità per ricostruire ciò che è andato distrutto. Ciascuno di noi ha perso molto in questa guerra…»
Il drago ruggì.
«Pace? Non vi sarà mai pace sulla Terra dei Tuoni! Se gli Dei avessero voluto vederci vivere in pace, non ci avrebbero armati. Non avrebbero messo una fornace nel nostro stomaco, né avrebbero posto in voi il seme della magia. Non avrebbero creato una Cascata incantata in una gola di pietra!»
«E tuttavia ci hanno creati per vederci vivere» intervenne Nastomer. «Possiamo porre fine a tutto qui e ora, ma saremmo noi a rivedere le nostre case, non voi. Questo lo sai, no?»
«Un accordo di pace, Bearkin, non chiediamo altro» aggiunse Storr. «Firmiamo un accordo e torniamo alle nostre vite.»
 
Horlon avrebbe tanto voluto poter intervenire nella trattativa, ma sapeva che non sarebbe stato produttivo, e per più di un motivo. Per prima cosa Bearkin gli aveva portato via Maren, Lantor e Ailyn, e questo lo rendeva troppo poco lucido. In secondo luogo non era più completamente certo di volere qualcosa di diverso dall’estinzione dei draghi. Ma come aveva detto a Frunn una vita prima, i desideri di Horlon spesso non potevano coincidere con quelli del Re, e il Re voleva che i suoi concittadini potessero vivere beneficiando della pace tanto a lungo agognata. E comunque Storr stava andando alla grande. Non osava illudersi più dell’indispensabile, ma l’dea di poter tornare presto a casa era una punta di calore gratificante al centro dello sterno. Bearkin agitava le ali potenti e soffiava fumo dal naso. Quanto poteva essere irriducibile l’orgoglio di un drago?
 
«È il momento di decidere» gridò Storr. «Che cosa vuoi? Siete rimasti in pochi, quanto tempo credi che passerà prima che ti ritrovi qui solo?»
Il silenzio che seguì suonò assordante alle orecchie ipersensibili di Nastomer, come se tutta Shiren si fosse fermata, immobile in attesa della risposta del drago, che infine capitolò.
«Pace sia» ruggì.
 
Horlon conservava ricordi confusi di ciò che seguì alla resa dei draghi. Bearkin aveva richiamato ciò che restava della sua flotta ed era atterrato tra le macerie della piazza principale. Il Consiglio Ristretto si era radunato per incontrarlo e discutere i termini della resa, che ovviamente non poteva essere incondizionata. Dopo una difficile trattativa, il drago aveva acconsentito a limitare le proprie mire espansionistiche verso il nord, ma in cambio aveva preteso di ampliare i suoi confini almeno un po’ ad est e ad ovest. Horlon e Kirik, i proprietari dei terreni su cui si contrattava, non avevano accettato di buon grado, ma avevano dovuto comunque accettare perché la pace non era paragonabile a qualche ettaro di terra. Nastomer si era rivelato incredibilmente bravo nella negoziazione, contrariamente ad ogni aspettativa era stato all’altezza della sua posizione. L’accordo era stato redatto per iscritto nella lingua comune, in elfico, in rune e nell’antica lingua dei draghi, ed era stato firmato dai quattro Re e dagli stregoni. Solo allora, dopo che i draghi erano partiti per fare ritorno alle loro vette, la coalizione aveva potuto contare i danni.
La città era completamente distrutta, il reparto cavalleria e fanteria di Horlon era decimato, e i nani non se la passavano meglio. Arcieri e balestrieri se l’arano cavata piuttosto bene, eccezion fatta per quelli che si trovavano sulla torre precipitata. Anche i maghi avevano subito perdite, e c’erano alcuni feriti gravi, come Richard, che aveva perso conoscenza a causa della ferita al fianco che sanguinava abbondantemente, ed era stato portato via da Nastomer. Mark era quasi morto di stanchezza, ed era stato estremamente fortunato ad aver trovato qualcuno pronto ad attutire la sua caduta quando Bearkin l’aveva sbalzato via, altrimenti di lui non sarebbe rimasto che un bel ricordo. Horlon si vergognava di sé stesso, ma non poteva fare a meno di pensare che se ogni caduto in quella battaglia aveva costituito un passo verso l’armistizio, allora era un peso con cui poteva ben convivere. O per lo meno avrebbe potuto farlo se non avesse avuto la consapevolezza, come invece aveva, che tutto fosse iniziato per colpa del rancore che suo cugino aveva nutrito per lui da secoli.
Avrebbe voluto fermarsi a Shiren per aiutare Kirik e gli stregoni nel recupero dei feriti dal momento che già Storr era occupato nella trasmissione di messaggi diretti ad ogni angolo della Terra dei Tuoni, e almeno lavorare gli avrebbe tenuto la testa impegnata, ma non era stato abbastanza bravo da nascondere il dolore che le ferite gli provocavano. La stanchezza che l’aveva travolto una volta smaltita l’adrenalina in circolo l’aveva tradito, così mamma-Glenndois l’aveva rispedito all’accampamento, scortato da un mago che evidentemente non aveva idea di come atterrare con un ferito a carico. Il sole stava tramontando, le ombre si allungavano tra le tende, lunghe figure che correvano in ogni direzione, indaffarate ed eccitate per la pace conquistata. Qua e là si sentivano scoppi di risa che l’elfo non poteva fare a meno di invidiare mentre si trascinava stancamente verso l’ospedale da campo. Poi una figura gli si parò davanti, obbligandolo a strizzare gli occhi per identificarla, controluce com’era.
«Sire!» esclamò correndogli incontro.
La voce familiare di Frunn gli infuse istantaneamente un senso di pace in cui non avrebbe osato sperare.
«Come sono contento di vederti!» rispose con la voce roca per il fumo e per il troppo gridare.
«Anch’io, non ne avete neanche idea! Siete ferito? Dobbiamo andare subito all’ospedale!»
Frunn gli passò un braccio intorno alle spalle e Horlon scoprì quanto fosse più facile camminare sorretto da qualcuno.
«Devo chiederti la cortesia di aiutarmi, ragazzo.»
Frunn sfoggiò il sorriso rassicurante delle grandi occasioni.
«In questo momento potrei tranquillamente portarvi in spalla fino a Lumia.»
«Sono quasi tentato di chiederti di farlo davvero» disse con un sospiro.
   
 
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