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Autore: SarahDLawn    21/11/2017    0 recensioni
Tokyo, 2015.
Megara Scarlett, diciassettenne americana fredda e distaccata, si trasferisce in Giappone insieme ai genitori, con la speranza di vivere la sua nuova vita in tranquillità. Tranquillità rotta già il primo giorno nel nuovo liceo, a causa del presedente del consiglio studentesco, Akahiro Yamazaki.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO 2. (Parte Prima)

 

 

 

 

Erano già passate due settimane da quando avevo parlato l’ultima volta con Akahiro, e la mia vita era tornata alla normalità. C’erano comunque delle novità: a causa della nostra vicinanza forzata come compagni di banco, io e Katsumi eravamo diventati amici. Beh, più o meno.


«Senti Katsumi, capisco che per il tuo cervello da roditore sia difficile da capire, ma se la prossima volta che sbricioli le patatine sul mio banco, te le faccio leccare con la lingua» sbottai, mentre pulivo con un tovagliolo.


«Dio Meg, come sei intrattabile stamattina» disse Katsumi, con le braccia incrociate dietro alla testa «Hai le tue cose, per caso?».


«E’ quasi toccante che ti preoccupi di più del mio umore, che del fatto che ti ho dato del minorato mentale».


«Sono abituato ai commenti di mio fratello» rispose con una semplice alzata di spalle.


«Credo che la tua ignoranza sia l’unica cosa su cui io e Akahiro andremo mai d’accordo».


«Felice di essere utile». Alzai gli occhi al cielo quando fece il suo solito sorriso ebete, per poi voltarmi verso il professore che era appena entrato in aula. 

 

 

 

 

Un’altra novità era che mi ero fatta delle amiche. Erano addirittura tre e la cosa sconvolse non poco mio padre. In effetti, anch’io ero sorpresa, dato il mio carattere intrattabile, ma a quanto pare il mio perenne sguardo corrucciato non le aveva fermate.


«Il professor Takawa ci ha dato tantissime pagine da studiare per domani» disse una ragazza dai corti capelli neri e occhi nocciola: Mei Tanaka. Era l’unica delle mie amiche a essere in classe con me «Meg, non fare finta di nulla, è tutta colpa tua e di Katsumi che litigate sempre».


«Desolata» risposi, senza mai togliere l’attenzione dal mio panino.


In quel momento arrivarono altre due persone al nostro tavolo: Riko Kimura, una ragazza con i capelli castani, che teneva corti come quelli di Mei, e gli occhi verdi e Izumi Ogawa, una delle poche bionde della scuola che, a differenza delle altre due aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, quasi come i miei che arrivavano fino alla fine, e gli occhi azzurri. 


«Ti vedo disperata, Mei» disse quest’ultima, sedendosi vicino a me. Mi trovavo bene con tutte, ma con lei mi sentivo più in sintonia.


«Takawa ci ha dato delle pagine in più da studiare» risposi, prima che Mei ricominciasse a lagnarsi come prima.


«Cento pagine in più, cento!».


Mei andò avanti per il resto del pranzo in questo modo, perciò a un certo punto avevamo deciso di ignorarla. Almeno Riko e Izumi erano fortunate da non doversela sorbire pure in classe. Anche se bisogna considerare che non era una classe facile nemmeno la loro, avendo come compagni due amici di Akahiro: Shintaro Mori e Ren Nishimura. Non li conoscevo, ma Mei mi aveva detto i nomi di tutto il gruppo. Oltre a Katsumi, Shintaro e Ren, ce n’erano altri due in classe con Akahiro: Yamato Hasegawa e Soichiro Harada.


Fui distolta dai miei pensieri, quando sentii le solite urla delle ragazze della scuola; il segnale che il gruppo in questione stava arrivando. Almeno quelle oche starnazzanti erano utili, mi permettevano di svignarmela prima che potessi essere vista.


Le mie amiche sapevano del mio alterco con Akahiro; anzi, diciamo che tutta la scuola ne era a conoscenza, anche se ultimamente aveva perso importanza, dato che non c’erano state più interazioni tra noi due. 
 

«Vai pure Meg, ti copriamo noi» mi disse Izumi, capendo le mie intenzioni.La ringraziai mentalmente e, senza farmi vedere, lasciai la mensa. Un altro motivo per cui andavo d’accordo con lei, Mei e Riko era perché loro facevano parte delle poche indifferenti ai sei “Principi”, come venivano chiamati. Che nome ridicolo, mi fa venire il voltastomaco” pensai mentre mi avviavo verso la mia classe. 

 

 

 

 

Alla fine di quella giornata, mi diressi al mio armadietto per cambiare le scarpe, prima di tornare a casa. Quando lo aprii, vidi che era pieno di insulti vari e minacce tipo: “crepa idiota” e “sta lontana da Akahiro o te la faremo pagare”. Questa era un’altra delle tante novità di questi giorni; a quanto pare, la nostra “vicinanza” temporanea non era piaciuta a molte.
 

«Qualcosa non va?» disse una voce, che conoscevo fin troppo bene e che era la causa della mia sventura.
 

Di riflesso, chiusi di scatto l’armadietto «Va tutto a meraviglia, Akahiro». Cercavo di non darlo a vedere, ma questa storia delle minacce iniziava a turbarmi parecchio.
 

«Sicura?» perché diavolo era così sospettoso?
 

«Sicurissima» risposi seria «Ora, se non ti dispiace, vado a casa».
 

Non feci nemmeno in tempo a girarmi, che mi sentii afferrare per il braccio «Che stai facendo? Lasciami» dissi, voltandomi di nuovo verso di lui.
 

«La tua mano è sporca di pennarello nero» la sua voce era calma, ma i suoi occhi erano sempre più sospettosi. “Merda, devo essermi sporcata, tirando fuori le scarpe dall’armadietto”.
 

«L’ho usato prima in classe» mentii nel modo più credibile possibile. Mi veniva sempre piuttosto bene farlo.
 

«Bugiarda» “come non detto” «Quando sei arrivata al tuo armadietto, le tue mani erano pulite».
 

«Mi pedini, per caso?».
 

«Non cambiare argomento e rispondimi». 
 

«Non capisco dove vuoi arrivare, a meno che…» in quel momento un pensiero si fece strada nella mia mente «A meno che tu non sappia esattamente cosa vuoi sentirmi dire» dissi, cogliendolo di sorpresa.
 

 Mi liberai dalla sua presa e mi diressi svelta al mio armadietto «E’ questo quello che volevi sapere?» chiesi dura, aprendo il mio armadietto. Da dove si trovava lui, le scritte dovevano vedersi piuttosto bene.
 

Nessuno parlò per qualche secondo, finché lui non fece un lungo sospiro «Immaginavo» fu l’unica cosa che disse.
 

«Non è la prima volta che succede quindi, non è così?» continuai, sentendo la rabbia salirmi lentamente.
 

Akahiro annuì «E’ la terza volta che succede, ma è la prima volta che me ne accorgo così tardi» disse, guardandomi negli occhi «il tuo atteggiamento non era cambiato, quindi pensavo andasse tutto bene, finché oggi non ho sentito delle ragazze parlarne sotto la rampa delle scale» fece un piccola pausa «Senti Megara, mi…».
 

«Non ti disturbare a scusarti, non me ne faccio niente del tuo dispiacere» lo interruppi, avvicinandomi finché non fui a pochi centimetri di distanza «Tutto questo, conferma ciò che ti dissi il primo giorno, riguardo a quanto poco vale la tua autorità, ricordi?».
 

Senza aspettare la sua risposta, lo superai e mi diressi verso l’uscita. Appena arrivata alla porta, mi fermai voltandomi leggermente «Piuttosto che preoccuparti della mia mancanza di rispetto nei tuoi confronti, avresti dovuto risolvere questo problema prima che si ripresentasse nuovamente» distolsi lo sguardo «Riflettici e comprendi quali sono le priorità».
 

Detto questo uscii definitivamente dall’edificio, senza più voltarmi indietro. Non avevo bisogno che mi rispondesse, il suo silenzio era più che sufficiente.

 

 

 

 

Quella sera avrei dovuto aiutare al ristorante dell’hotel dei miei genitori, nonostante il mio umore non fosse adatto per avere a che fare con i clienti.
 

Mentre mi mettevo la divisa da cameriera, ripensai alla conversazione che avevo avuto con Akahiro quel pomeriggio, anche se dire “conversazione” non era propriamente corretto. Comunque, mentre rimuginavo sulla questione, arrivai alla conclusione che per i prossimi giorni avrei dovuto cercare di entrare in contatto con lui il meno possibile, anzi evitarlo del tutto sarebbe stato meglio. Avrebbe calmato le acque in generale e avrebbe fatto stare me un po’ più tranquilla.
 

Ovviamente, però, non avevo considerato la mia percentuale di sfiga in tutto questo che probabilmente quella sera aveva raggiunto il 100%. Ci doveva essere qualche essere superiore che, per noia, si divertiva a incasinarmi la vita, perché non ero affatto pronta ad affrontare quello a cui mi trovai di fronte: dalla porta del ristorante era appena entrata una compagnia di ragazzi e ragazze, tra cui spiccavano Akahiro, Katsumi e tutti gli altri.
 

«Perché stai facendo quella faccia, cara?» mi chiese mia madre, quando mi rifugiai in cucina.
 

«Sono entrati dei ragazzi che frequentano la mia stessa scuola e non voglio averci nulla a che fare» risposi, corrugando la fronte «Non è che potrei servire i clienti dell’hotel, invece di quelli del ristorante?».
 

«No tesoro, non può farti che bene relazionarti con persone della tua età» fu la sua risposta. A quanto pareva l’essere superiore si stava servendo di mia madre per torturarmi, in questo momento. Fantastico.
 

«Va bene» dissi, sbuffando mentre mi avviavo di nuovo nella sala da pranzo «E quante volte te lo devo ripetere che non voglio essere chiamata “tesoro” o “cara”?».
 

Appena entrai nella sala, venni accolta da un forte vociare femminile e mi resi conto che le ragazze che si erano portati appresso facevano parte del gruppo di oche starnazzanti, che li seguiva sempre a scuola. Ogni minuto la mia situazione peggiorava e ancora nessuno di loro mi aveva vista.
 

Con forza e coraggio presi i menù e, cercando di assumere un’aria il più professionale possibile, mi diressi al loro tavolo. Mai come in quel momento ero grata di essere una persona inespressiva.
 

«Ecco i menù, ragazzi» dissi nel tono più affabile che ero in grado di produrre.
 

«Grazie» mi rispose Katsumi, voltandosi verso di me e appena si rese conto di chi aveva di fronte, sgranò gli occhi «Tu qui? Cioè, voglio dire, tu?».
 

«Noto che il tuo vocabolario non migliora nemmeno fuori dal contesto scolastico, vero Katsumi?».
 

Senza aspettare la risposta, mi voltai pronta ad andarmene, ma le parole di una delle oche al tavolo mi fermarono.
 

«Sei così sfacciata da esserti fatta assumere come cameriera qui, dato che è un posto che frequenta spesso Akahiro» disse con sguardo altezzoso «Non ti vergogni?».
 

Non risposi subito, perché stavo cercando di metabolizzare l’informazione che avevo appena ricevuto: Akahiro veniva spesso a mangiare qui. Beh, allora dovevo considerarmi davvero miracolata per la fortuna di non averlo beccato finora. Anche se, non capivo quanto poteva essere venuto di frequente qui se avevamo aperto da praticamente solo un mese.
 

«Allora? Non sai cosa rispondere?» m’incalzò sempre la stessa ragazza, distogliendomi dai miei pensieri.
 

«Oh scusa, stavo solo riflettendo su quanto potesse essere profonda la stupidità di una persona sola» risposi, tornando al mio solito tono sarcastico.
 

«Come osi?».
 

«Oso perché non sono di certo al vostro livello da arrivare a fare quello che hai appena detto» continuai, assumendo un sorrisetto ironico «E si dà il caso che questo posto sia di proprietà dei miei genitori, ma immagino fosse stato troppo difficile collegare “Scarlett Hotel&Restaurant” al mio cognome, vero?».
 

Nessuna delle oche fiatò. Le avevo colte alla sprovvista, lo vedevo dalla loro espressione e la cosa non mi rese che felice, così mi allontanai con un sorriso appena accennato sulla faccia.
 

Per il resto della serata, tutto filò liscio, sebbene ogni volta che dovevo portare un ordine al tavolo, calava un senso di gelo terribile, persino per me.

Ma la cosa più strana era che Akahiro non aveva spiccicato una parola per tutto il tempo, verso di me almeno e la cosa di certo non mi dava fastidio. Anzi.
 

Così, quando ormai il ristorante aveva chiuso e tutti i clienti se n’erano andati, pensai di essere finalmente libera e tranquilla. Sbagliato, ovviamente.
Quando entrai nel bar dell’hotel per sistemare alcune cose, con immensa gioia al bancone mi ritrovai entrambi i fratelli. Questa era la conferma che lassù dovevano annoiarsi davvero molto.
 

Come se non li avessi notati, andai dietro al bancone e iniziai a lavare i bicchieri che c’erano nel lavandino. Tentai con tutte le mie forze di resistere ai loro sguardi fissi su di me, ma per farlo stavo mettendo a rischio l’incolumità del bicchiere che tenevo in meno, così alla fine cedetti.
 

«Avete intenzione di stare qua a guardarmi ancora per molto?».
 

«Solo finché non ci degni della tua attenzione» mi rispose Katsumi, con un sorriso raggiante. Quel ragazzo lo faceva troppo spesso, ecco perché sembrava un tale ebete, oltre all’evidente stupidità ovviamente.
 

«Comunque non avevo idea che i tuoi genitori fossero proprietari di questo hotel» continuò.
 

«Chissà perché la cosa non mi sorprende» commentai con un falso sorriso.
 

«Io, al contrario, ne ero a conoscenza» intervenne Akahiro, dato che Katsumi si era imbronciato dopo il mio commento.
 

«E’ la prima volta che ti rivolgi a me stasera ed è già bastata per evidenziare il tuo essere una prima donna, Akahiro».
 

Notai il grande autocontrollo che utilizzò per non sopprimere suo fratello che se la rideva accanto a lui e cercai di non lasciarmi sfuggire un sorriso a mia volta.
 

«L’ho fatto per te» disse Akahiro «Il non rivolgerti la parola intendo». 
 

Iniziai a fissarlo senza battere le palpebre per qualche secondo, mentre cercavo di realizzare quello che aveva detto. Anche Katsumi si era zittito e stava guardando il fratello in modo interrogativo.
 

«Come scusa?» chiesi, appena riacquistai le mie facoltà mentali.
 

«Da quando ci siamo conosciuti, non importa cosa dicessi tu mi rispondevi in modo sarcastico o ironico, cosa che ha infastidito molte ragazze della scuola» rispose serio, mentre io iniziavo a capire a cosa si riferiva «E siccome non volevo che la tua situazione peggiorasse ulteriormente, ho cercato di stare in silenzio ogni volta che sei venuta al nostro tavolo».
 

«Vuoi che ti ringrazi?» domandai infastidita «Credi che abbia bisogno di aiuto?».
 

«Credo che anche per una persona interiormente forte come te, alla fine arrivi il momento del crollo».
 

Risi amaramente «Eh sì, perché tu mi conosci così bene da saperlo».
 

«Anche questa tua reazione ne è la prova».
 

Iniziai a fissarlo di nuovo, come se volessi prenderlo e strozzarlo sul posto.
 

«Mi sono perso qualcosa?» intervenne Katsumi.
 

«Megara è stata presa di mira dal solito gruppo di ragazze a scuole e io me ne sono accorto tardi» rispose Akahiro. Aveva davvero detto il “solito”, questo significava che avevo ragione riguardo a tutta questa storia.
 

«Che cosa? Meg, stai bene?».
 

«Sì, sto bene, non vedi? Ho ancora tutti gli arti attaccati al loro posto» commentai, leggermente divertita dalla sua reazione. Mi aveva un po’ ricordato i miei fratelli maggiori.
 

In quel momento, il telefono di Katsumi vibrò «Papà è arrivato, è qui fuori che ci aspetta».
 

«Va bene, avviati te intanto, io ti raggiungo subito».
 

Katsumi si limitò ad annuire e, dopo avermi fatto un cenno con la mano a mo’ di saluto, s’incamminò verso l’uscita. Appena fu uscito, Akahiro si voltò a guardarmi insistentemente.
 

Non avevo idea del perché ci fosse sempre questa gara di sguardi tra noi, ma in ogni caso iniziai a farlo anch’io, aspettando che parlasse.
 

«Ebbene?» chiesi dopo quasi un minuto di silenzio.
 

«Stai davvero bene?».
 

Ero tentata di alzare gli occhi al cielo, ma mi trattenni «Sì, davvero, come hai detto tu sono forte abbastanza da gestire questa situazione».
 

«Va bene, per ora ti credo» rispose, avviandosi anche lui verso la porta.
 

«Ah, Megara?».
 

«Che c’è ancora?».
 

«Mi dispiace davvero, per tutto» disse, con sguardo serio.
 

«Lo so, Akahiro, lo so».
 

Detto questo se ne andò, lasciandomi lì sola dietro al bancone a riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Eccomi tornata. La storia si è fatta più intensa ed ho introdotto un tema che viene trattato spesso nei manga shojo, che è il bullismo, specialmente tra ragazze. Paradossalmente, questa situazione fa avvicinare di più Megara e Akahiro.

Fatemi sapere che ne pensate.

 

Ci vediamo alla seconda parte,

Sarah D. Lawn 


   
 
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