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Autore: Himenoshirotsuki    21/11/2017    3 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

17

Trappole

Airis sbatté un paio di volte le palpebre, la mente e la vista ancora velate dalle nebbie del sonno. Si tirò su a sedere e si stropicciò gli occhi per scacciare la sensazione di intontimento. Soffiava un vento freddo nella grotta, che però la brace accesa riusciva a tenere lontano.
- Potresti dormire ancora un paio d'ore. - le disse Arghail.
La guerriera sbadigliò e si versò un goccio di vino. L'otre era rimasto vicino al fuoco e così il suo contenuto era ancora caldo.
- Lo farei, se non dovessimo alzarci tra poco. -
Arghail ridacchiò. Era nella stessa posizione di quando lo aveva svegliato, con l'ascia appoggiata sulle gambe ben coperte dal mantello di Airis. Gli occhi indaco avevano assunto una sfumatura violacea più scura e parevano brillare nella penombra appena rischiarata dalle braci.
- È successo qualcosa mentre dormivo? -
- Calma piatta, mio Generale. Fa solo un freddo dannato. - si strinse nel mantello e incrociò le gambe, - Davvero non ne hai bisogno? -
Airis si passò entrambe le mani sulle braccia. La giornea era foderata di pelliccia e le maniche della tunica sottostante erano di lana grezza. Erano dei capi fatti apposta per sopportare dei climi così rigidi, ma, nonostante tutto, un essere umano normale, anche col calore del Ghedharvha accoccolato alle sue spalle, avrebbe avuto quantomeno i brividi.
- Sono solo un po' infreddolita, ma niente di che. - rispose e si scrocchiò le dita, - Tu, piuttosto? -
- Mi piacerebbe essere a casa mia, davanti al mio caminetto, con una buona tazza di latte fumante sul tavolino. Non si dorme molto comodi sulla pietra. -
- Non posso che concordare. -
- Gli unici che sembrano a proprio agio sono Droguan e Rubia. -
Airis corrugò le sopracciglia: - Non ero consapevole di avere altri due compagni di viaggio. -
- Oh, sì che li abbiamo. Solo che non parlano molto. - accarezzò la testa del suo Ghedharvha con un mezzo sorriso, - Il tuo si chiama Droguan, la mia Rubia. -
- È stato Uravan a dirti come si chiamano? -
- No, con lui non ci ho parlato. Però so per esperienza che gli animali diventano più docili e mansueti se li si tratta con la stessa gentilezza con cui tratteresti un amico. Chiamarli “bestie” è come chiamare un essere umano “rifiuto”. -
Arghail si soffermò a grattare dietro le orecchie di Rubia e l'animale emise un verso compiaciuto, muovendo le zampe nel sonno.
- Ecco perché hai deciso di dar loro dei nomi. -
- Ed è anche il motivo per cui tu vai tanto d'accordo con gli animali. - scherzò.
Airis gli puntò il dito contro, un sorriso furbo ad arricciarle le labbra.
- Non mi dimentico le cose che voglio sapere. Mi avevi promesso che mi avresti svelato come hai fatto a domare questi due, adesso pretendo una risposta. -
Il capitano sospirò sconfitto. Spostò l'ascia dalle gambe e l'appoggiò a terra a portata di mano, mentre si dedicava a pettinare la criniera di Rubia.
- Non c'è molto da dire. I miei genitori sono dei mercanti, hanno una bottega di tessuti dove vendono tuniche, cappe, pellicce e tutto ciò che va di moda. Io li aiutavo come potevo quando ero bambino, occupandomi soprattutto di sbrigare le varie commissioni che mia madre mi affidava. Una volta sono andato fuori città per consegnare un tabarro a un loro amico che sarebbe partito presto. Si chiamava Dendillion ed era un vecchio mercante di stoffe in pensione. Non so perché, gli piacqui molto e, invece di mandarmi via subito, mi invitò a farmi un giro nella sua proprietà. Aveva una stalla con diversi animali, tra cui diversi cavalli, pecore, capre, conigli e anche alcuni maiali. A me erano sempre piaciuti, però i miei genitori si rifiutavano di prendere anche solo un cane da guardia. Sono rimasto lì tutto il pomeriggio e lui mi ha indicato il nome di ognuno di loro, raccontandomi quando lo aveva preso, i pregi e i difetti. - si passò una mano sulla bocca e poi la intrecciò all'altra sulla pancia, - Sono tornato lì spesso, finché non è morto. Mi ha insegnato tutto quello che so sugli animali, specialmente come trattarli per essere rispettati da ognuno di loro. -
- Doveva essere un uomo di buon cuore. - commentò Airis.
- Solo con i miei genitori e i suoi amici pelosi. Dendillion era giunto alla conclusione che gli animali erano meglio degli uomini e alla veneranda età di sessantaquattro anni aveva conservato pochi contatti col resto del mondo. Era una persona particolare, diciamo. -
- Anche tu la pensi allo stesso modo? -
La mano del capitano tornò ad accarezzare il Ghedarvha. Trascorse qualche momento prima che le rispondesse.
- Non lo so. A volte penso che aveva ragione, altre che fosse un vecchio solo e pieno di rimpianti. Eppure, quando mi trovo meglio in compagnia degli animali, li trovo più genuini e veritieri nelle loro reazioni. Ho conosciuto molti uomini e donne, ma il calore che Garwin, il mio cane, mi dona quando torno finalmente a casa, me lo ha dato solo una persona. -
“Hallende” tirò a indovinare Airis, ma si guardò bene dall'esprimere il suo pensiero. Gettò un'occhiata fuori dalla grotta. Il cielo era coperto e le nuvole grigie della sera precedente stazionavano minacciose sopra le loro teste, foriere di tempesta.
- Non è una storia noiosa. - mormorò assorta, - Anche se, vedendo come sono diventati mansueti questi pelosoni, pensavo avessi scoperto di avere qualche potere. -
Arghail scoppiò a ridere: - Sono solo più empatico con gli animali che con gli uomini. Mi dispiace, qui l'eroina speciale non sono io.-
- Ah, ah, ah, quanto sei spiritoso. -
- Simpatia è il mio secondo nome. - tossì un poi di volte e tornò serio, - Ora però tocca a me. Cosa significa “Anairë lapse”? -
Airis inarcò un sopracciglio.
- Lo hai ripetuto un paio di volte nel sonno. Sei molto più chiacchierona mentre dormi. - spiegò Arghail, - Ho fatto una domanda troppo personale, forse? -
- Più che altro sei sfortunato, perché non ti so rispondere. -
Stavolta fu il turno dell'uomo di rimanere perplesso.
- È una frase che mi fu detta da uno degli elfi che attaccò il mio villaggio. Lo uccisi prima che lui potesse uccidere me. Non so perché, però le sue parole mi sono rimaste impresse. -
- Non hai mai provato a scoprirne il significato? -
- No. A essere sincera, credevo di essermele dimenticate. - sospirò e bevve un lungo sorso di vino, - Mi tornano in mente molte cose in questi giorni. -
- “È nel silenzio che l'uomo trova se stesso”, dice spesso Hallende, e io sono d'accordo. Nella mia testa c'è sempre un gran baccano, solo quando metto a tacere i pensieri riesco a capire cosa è giusto fare. Bene! - si batté le mani sulle cosce e si alzò, imitato da Airis, - Hai ricavato qualcosa dal tuo studio della mappa ieri notte? -
- Dovrebbe esserci un sentiero più in basso. È stretto e passa in mezzo a valli e zone boschive, però almeno non rischierai di morire di freddo. -
- Allungheremo il viaggio. -
- Di uno, massimo due giorni. Ce lo possiamo permettere. -
- Conduci tu, allora. Ti vengo dietro con Rubia. -
Airis levò gli occhi al cielo, ma lasciò che fosse Arghail a svegliare i due Ghedharvha. Non appena aprirono gli occhi, allungarono il muso per reclamare una carezza. Le bacche di mirtillo che il capitano offrì loro furono un ulteriore incentivo a essere più docili e mansueti.
Si misero in marcia poco prima che sorgesse l'alba. Le stelle brillavano sempre meno e la loro luce fredda si affievoliva, sparendo nell'aurora del mattino.
Airis si era ripresa il suo mantello su insistenza di Arghail. Non si erano detti molto: Arghail si era avvicinato e le aveva rimesso il suo sulle spalle prima di montare, l'ascia appesa alla sella nuovamente avvolta negli stracci.
- Sei troppo orgoglioso. - lo aveva ammonito, ma lui si era limitato a fare spallucce, con quell'espressione a metà tra il serio e il faceto.
Per tutta la mattina il tempo fu clemente. A un certo punto cominciò a nevicare, batuffoli di neve ondeggiarono nell'aria, sciogliendosi non appena toccavano il suolo, senza attecchire, nient'altro che un sottile strato bianco il più delle volte interrotto da radi ciuffi d'erba.
- Dobbiamo comunque procedere il più spediti possibile. - ci tenne a precisare Arghail, - Se veniamo investiti da una bufera ora, non ne usciamo vivi. -
Scesero di quota. Solo quando ne sentirono l'estrema necessità si fermarono per mangiare un po' di fave e fagioli, per poi riprendere subito la marcia. Pian piano, la vegetazione ritornò padrona del paesaggio, finché, poco dopo l'ora di pranzo, non distinsero in lontananza il profilo degli Alberi Guerrieri. Il vento faceva frusciare le fronde, sibilava minaccioso, infilandosi sotto i vestiti pesanti come un serpente velenoso.
Arghail aveva incassato la testa nelle spalle e, quando pensava che Airis non lo vedesse, si strofinava le mani per trattenere il calore. Tremava meno del giorno precedente e le guance avevano riacquistato un po' di colorito, però il freddo lo sentiva.
- Fermiamoci lì. - Airis indicò un laghetto semicongelato, - Sia tu che io abbiamo bisogno di riprendere fiato. -
Arghail fece un cenno d'assenso e si mise al suo passo.
Controllarono i dintorni dello spiazzo prima di sedersi su un tronco caduto a mangiare con i Ghedharvha, legati al ramo di un albero.
- Come ti senti? - lo interrogò Airis.
- Meglio, decisamente. - rispose, strappò un pezzo di carne affumicata e lo masticò con calma, - Tu, invece? Fresca come un fiore? -
- Come sempre. -
- Essere l'eroina della situazione ha i suoi vantaggi. -
- Molti più svantaggi che vantaggi, te lo assicuro. -
Arghail accennò un sorriso e sorseggiò dell'acqua. Rubia allungò il muso, annusò quello che stava mangiando e poi lo ritirò, tornando a mangiare le foglie dell'albero.
- Prima di arrivare alla capitale, dovremmo trovare un modo per nascondere i tuoi capelli rossi. Così come sei ti riconoscerebbero tutti. -
Airis guardò una ciocca. Sopravvivevano alcune strisce nere, per lo più scolorite, e il rosso si stava pian piano riappropriando della sua capigliatura.
- C'è la possibilità che Hallende sia già a Sershet? -
- Potrebbe, ma non sono sicuro che sia già ripartita da Porto Eamone. È molto brava, e con questo tempo non so se ha potuto prendere congedo. -
- Speriamo che si calmino, allora. A parte mia madre, non ho molte conoscenze in città. -
Arghail incrociò le braccia sul petto, meditabondo.
- Potremmo provare a farti entrare con il cappuccio sul capo, ma è troppo rischioso. Di questi tempi, con la guerra che si sta inasprendo sempre di più, molte persone decidono di abbandonare le proprie case per cercare rifugio a Sershet. Per ordine della regina, i controlli sono diventati molto, molto rigidi. Non ti lascerebbero passare senza aver prima appurato che non sei pericolosa. -
- Immagino tu non conosca nessuno che ci possa aiutare. -
Il capitano si massaggiò la radice del naso: - Potrei provare a mandare un messaggio alla consigliera Azlan per vedere se può darci una mano. -
- Conosci la consigliera?! -
- Sì, l'ho incontrata un paio di volte. -
- Non mi dirai nulla di più, immagino. -
Arghail distolse lo sguardo.
- Mi dispiace... - sospirò e dal suo tono Airis capì che era sincero.
- Se ci può aiutare a entrare in città, farò finta che tu non mi stia palesemente nascondendo qualcosa. - arricciò le labbra in una finta smorfia contrita che lo fece ridere.
- Sai essere divertente anche tu, allora. -
- A volte. - concesse, mentre masticava una fava.
All'improvviso, tutto si fece quieto. Il vento era calato, il freddo sembrava meno intenso nel silenzio perfetto che li aveva avvolti. Airis saltò in piedi e afferrò la spada, e Arghail impugnò l'ascia. Si avvicinarono, schiena contro schiena, scrutando tra gli alberi. Ogni cosa attorno a loro taceva, immobile.
Un'ombra passò tra i rami, seguita da altre due. Il sole sopra di loro ne distorceva la figura, e la troppa oscurità rendeva difficile capire cosa fossero. Quando scesero di quota, entrambi si avvidero che erano falchi, grossi come aquile. Faticavano a volare, la loro apertura alare era troppo ampia per permetter loro grandi manovre in quelle fronde così fitte. Tre ben presto si posarono sui rami più sporgenti, mentre gli altri due esemplari continuarono a sorvegliarli dal cielo, descrivendo cerchi concentrici.
- Non mi piace. - mormorò Arghail.
Airis serrò la presa sulla spada. Non sarebbe servita granché se li avessero attaccati, ma stringere un'arma le permetteva di pensare con più lucidità.
- Avviciniamoci a Rubia e Droguan e speriamo che non ci attacchino prima. -
Il compagno annuì e cominciarono a indietreggiare. Uno dei falchi, quello che si era posato sul ramo più basso, sbatté più volte le ali, stridendo truce, gli occhi gialli fissi sulle sue prede. Gli artigli neri scavavano solchi profondi nel legno.
- Per caso sai ammansire quei cosi? -
- Non ho mai avuto a che fare con dei rapaci assassini, chiedo perdono. -
Airis lanciò un'occhiata dietro di sé. I Ghedharvha erano legati, ma se avessero corso abbastanza in fretta, sarebbero riusciti a sciogliere il nodo e...
“Se lasciamo le sacche per scappare, moriremo. Se non lo facciamo, moriremo lo stesso. Qualsiasi cosa faccia, non c'è via di fuga.”
Senza preavviso, il falco si gettò in picchiata ed emise uno stridio altissimo che fece tremare l'aria, come se un nugolo di frecce l'avesse attraversata, squarciandola. Airis si coprì le orecchie e Arghail l'abbracciò, facendole scudo con il proprio corpo.
Attesero che l'attacco arrivasse loro addosso, di sentire gli artigli e i becchi affondare nelle braccia, nelle gambe, ma non accadde nulla. Il battito d'ali persisteva, però, così vicino da coprire quello dei loro cuori, generando un costante venticello freddo.
Quando Airis alzò lo sguardo, i tre falchi erano lì, sospesi in aria, che li fissavano con i loro quattro occhi d'ambra.
- L'orecchino sta brillando... -
L'espressione stupita di Arghail la convinse a spostare la sua attenzione alla sua destra, a toccare con mano il drago di cristallo nero. Era leggermente tiepido al tatto, un calore che si sprigionava dall'interno. In quel momento Airis capì: non era lei che guardavano, ma l'orecchino.
“Cosa mi hai dato, Urian?”
I falchi volarono in alto, svanendo nella penombra, silenziosi com'erano arrivati. Quando rimasero soli, Arghail sospirò e si piegò sulle ginocchia, l'ascia ancora stretta in mano, prima di raddrizzarsi e slegare i due Ghedharvha.
- Andiamo via, in fretta. - la esortò, porgendole le briglie.
Airis non se lo fece ripetere due volte. Montò in sella subito e piantò i talloni nei fianchi di Droguan per costringerlo ad andare più veloce. Imprecò quando colpì con una spalla un ramo troppo basso e gli aghi rossi le rimasero impigliati nel mantello e nei capelli, ma continuò a spronarlo finché non si furono lasciati alle spalle la foresta. Soltanto allora Arghail si concesse di trarre un vero sospiro di sollievo.
- Erano i falchi dei Fae? - domandò, la pelle resa lucida dal sudore.
Airis si voltò. Scorse il profilo dei volatili in lontananza, tre macchie nel cielo. A nord, dove si stavano dirigendo, il cielo si era aperto e le nuvole erano spumoni sullo sfondo blu.
- Sì, direi proprio di sì. -
- Credevo Urian fosse dalla tua parte. -
- Non penso ci sia dietro lui. -
Sfiorò l'orecchino. Brillava ancora, anche se la luce era diminuita assieme al calore che emanava. Li aveva fermati. Non sapeva come, ma li aveva fermati.
- È più probabile che sia stata un'iniziativa degli altri Fae. A parte lui, tutti ci guardavano male. - aggiunse e riprese le redini.
Arghail si passò una mano sulla faccia e si massaggiò la fronte.
- Qualsiasi sia la verità, ci conviene ripartire. Fuori dalla foresta siamo dei bersagli ancora più facili. - si avvicinò e gli batté una pacca sulla spalla per richiamare la sua attenzione, - Se non ci fermiamo più fino a sera, dovremmo arrivare a un'altra zona boschiva. Cercheremo lì un riparo per la notte. -
Si rimisero in marcia. I Ghedharvha procedevano a passo sostenuto, senza farsi quasi mai distrarre dai ciuffi d'erba che di tanto in tanto spuntavano tra le rocce. Era come se avessero assimilato l'inquietudine dei loro cavalieri e volessero anche loro arrivare il prima possibile a destinazione. Più d'una volta, nel pomeriggio, passarono sopra le loro teste vari falchi e aquile, ma le bestie che avevano tentato di attaccarli non si rifecero vive.
Verso sera si inoltrarono in una foresta di pini. La neve giaceva al suolo in macchie grigiastre e informi e aveva spruzzato di bianco i rami più in alto. L'aria era più umida che fredda e aderiva alla pelle come un vestito troppo stretto.
“Almeno non si gela.”
- Fermiamoci qui, siamo abbastanza riparati. -
Scelsero un pino vecchio, con le fronde abbastanza ampie e serrate a costituire un tetto verde sopra le loro teste. Decisero che fosse meglio non accendere il fuoco, per evitare di segnalare la loro posizione ai falchi assassini o a qualsiasi altra creatura di passaggio. Tennero la guardia alta per tutta la cena, masticando piano, senza proferire parola. La paura acuiva i loro sensi e ogni rametto spezzato, ogni fruscio poteva nascondere una minaccia.
- Due ore ciascuno, se ti va bene. Comincio io. - propose Airis.
Arghail la squadrò circospetto: - Siamo sicuri che mi sveglierai per darti il cambio? -
- Dormire sulla sella è scomodo, preferisco il terreno, almeno posso sperare di chiudere occhio. - intrecciò le dita sul pomolo della spada e vi appoggiò il mento, - Quello che hai fatto oggi è stato molto stupido. -
Il capitano aprì la bocca per ribattere, ma Airis lo precedette.
- Sono un soldato, prima che una donna, e devi trattarmi come tale: mi sono guadagnata il diritto di essere considerata una tua pari e pretendo il rispetto che mi è dovuto.-
- L'ho fatto perché siamo compagni. Ci dobbiamo coprire la spalle a vicenda. -
- Stronzate. - gli lanciò un'occhiata obliqua e il suo tono si indurì, - Prima il mantello, ora questo. Non sono una ragazzina indifesa, ficcatelo in testa.-
Arghail si fece serio e la fissò con così tanta intensità che per Airis fu impossibile distogliere lo sguardo.
- Non sono tanto stupido da pensare che abbiate bisogno di un cavaliere che combatta le vostre cause, Generale. Quello che ho fatto, l'ho fatto per te, così come lo avrei fatto per chiunque altro, uomo o donna.-
La guerriera non rispose, impressionata dalle sue parole, dall'ardore con cui le aveva pronunciate. Il fastidio però rimase lì e la istigò, facendole venire ancora più voglia di prenderlo a pugni. Scosse la testa e rivolse gli occhi al cielo, oltre le chiome degli alberi. Era limpido, raso blu intessuto di una moltitudine di stelle. Archi sottili e brillanti raggi di luce iridescenti si perdevano nell'infinito e, come tende ingrossate da un gentile vento estivo, ondeggiavano in un ventaglio di giallo, rosso e verde.
- I Fuochi della Volpe. - mormorò Arghail senza fiato.
Airis ci mise un attimo a capire cosa le avesse detto. Erano uno spettacolo comune nelle terre innevate, ma il suo mondo, quando era arrivata lì, era stato ancora tutto buio.
- Sono... sono davvero bellissime. - riuscì a dire.
- Non li avevi mai visti? Ma com'è pos... - Arghail si zittì prima di terminare la frase, - Mi dispiace, mi ero dimenticato. -
- Meglio, significa che per te non sono mai stata cieca. - gli diede una pacca sulla spalla e tornò a sedersi, - Se succede qualcosa, ti sveglio. -
- Svegliami anche per darti il cambio. -
Airis sospirò sconsolata. Aveva incontrato ben pochi uomini così cocciuti in vita sua e lui doveva esserne il capo.
- Hai bisogno anche del mio mantello? -
- No, ci penserà Rubia a non farmi morire assiderato. - si stese vicino al Ghedharvha e si coprì come poté, - Tieni gli occhi aperti. -
- Lo farò. Ora dormi. -
Arghail annuì e chiuse gli occhi. Si addormentò dopo poco, vinto dalla stanchezza. Aveva la mano stretta a pugno sul petto, dove fino a poco tempo fa portava l'anello. Lo faceva ogni notte, persino nella posizione più scomoda: era come se senza si sentisse perduto e dovesse tenerlo tra le dita per non smarrire la strada. Anche lei, in passato, aveva avuto bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non sprofondare. Adesso, senza più il peso del cristallo al collo, sentiva una forte nostalgia.
“Mi manchi, Delia.”
Rivolse la sua attenzione al cielo e rifletté sul fatto che i Fuochi della Volpe si potevano ammirare nei mesi più bui, quando l'estate svaniva e l'autunno incalzava.
“Un altro effetto dell'esplosione.”
Tuttavia, non riusciva a preoccuparsene. L'angoscia si era acquattata in un angolo della sua mente, nascosta assieme a Ledah, a Lysandra, a Aesir, ammaliata dal balletto celeste. Toccò la stoffa della tunica all'altezza del tatuaggio.
“Appena arriveremo alla capitale, lo controllerò. E farò tutto ciò che sarà giusto fare per vincere.”
Intanto la volpe correva veloce nel cielo, continuando a colpire la coltre di neve.
 
Il quinto giorno, Airis svegliò Arghail poco dopo che era sorto il sole. Fecero colazione scambiandosi giusto qualche parola sull'ultimo turno di guardia e lei gli riferì che, a parte qualche starnazzo notturno, non era successo nulla.
- Ottimo. Come stiamo messi a provviste? -
- Dovrebbero bastare per ancora qualche giorno. Se iniziassero a scarseggiare, stringeremo i denti. -
Arghil assentì. Aveva i capelli tutti scompigliati, anche peggio dei suoi, e delle brutte occhiaie.
- Ci credi che non vedo l'ora di arrivare a Sershet? Ho bisogno di riposare in un vero letto. -
- Non credevo che lo avrei mai detto, ma anche io. - concordò Airis.
- A tal proposito... hai intenzione di andare a casa tua? -
Le si bloccò il respiro in gola. Si alzò di scatto e diede subito le spalle ad Arghail, fingendo di controllare le cinghie che assicuravano le borse a Droguan.
- Non lo so. -
- Ho toccato un tasto dolente? -
- No, solo che non ho ancora deciso. - mormorò e in parte era la verità.
Con tutto quello che era accaduto, non si era mai soffermata a riflettere su cosa avrebbe fatto una volta arrivata a Sershet. Non aveva un piano, non aveva avuto il tempo, o il coraggio, di studiarne uno. Ora sentiva il cuore pesante e aveva le viscere aggrovigliate, mentre il dialogo che aveva avuto con Davsten prima di partire per Llanowar le si riaffacciava alla mente. Erano volate parole pesanti quel giorno, e lei alla fine se n'era andata salutando soltanto sua madre. Ora loro la credevano morta e l'ultimo ricordo che serbavano era quel litigio. Non se lo sarebbe mai perdonata.
“Idiota.”
Inspirò l'aria frizzante del mattino e lasciò che il freddo scacciasse gli ultimi strascichi del sonno.
Arghail trattenne lo sguardo su Airis ancora una frazione di secondo, prima di montare in sella e attendere che fosse lei a fargli strada.
Percorsero una buona parte della strada in silenzio, i sensi all'erta focalizzati su ogni movimento sulle loro teste. L'inquietudine era un sentimento costante che aleggiava tra di loro, più soffocante dell'umidità nell'atmosfera.
Airis spesso toccava l'orecchino per ritrovare la calma e arginare il fiume di pensieri che rischiava di farla annegare.
Quando il sentiero cominciò a declinare, si sentì più tranquilla. Le montagne si chiusero su di loro man mano che si inoltravano in una gola molto stretta, dove la neve si era accumulata così tanto da ghiacciare le pareti. Il vento sibilava tra le rocce e le sporgenze, sferzava la strada e le loro spalle. Arghail si alitò sulle mani e le strofinò sui vestiti. Erano rosse e intorpidite, e si serravano a fatica sulle redini.
- Una volta valicate queste montagne, saremo alla capitale in tre, massimo quattro giorni. Lì potrai finalmente riposare in un vero letto. - scherzò Airis.
- Non vedo l'ora, guarda, comincio a sognarlo anche di notte. - borbottò, si raddrizzò sulla sella e trasse un profondo respiro, massaggiandosi il fondoschiena, - Non ce la faccio più nemmeno a cavalcare. -
- Adesso capisci perché preferisco viaggiare a piedi? -
- Addirittura? Sei strana, lasciatelo dire. -
La guerriera si concesse una risata.
- Lo so, anche mio pad... -
Una freccia si piantò nel terreno a pochi pollici dalle zampe di Rubia. Il Ghedharvha nitrì e arretrò spaventato. Droguan tirò le briglie così forte che Airis quasi perse la presa. Un altro sibilo tagliò l'aria vicino al suo viso e rimbalzò con su un masso alle sue spalle. Le ombre di tre falchi oscurarono il cielo.
- Imboscata! -
Si buttarono a terra, poco prima che i rapaci riuscissero a ghermirli. Rotolarono per un paio di braccia e si rialzarono leggermente scossi. I due Ghedarvha imbizzarriti tiravano cornate a destra e a manca, senza mai colpire il bersaglio, scalciando come forsennati per difendersi dalle artigliate che li colpivano da ogni lato. Rubia tentò di scappare, ma le sacche erano tante e pesanti, e i due falchi che l'avevano assalita la raggiunsero subito. Emise un nitrito agghiacciante quando le strapparono un occhio.
- Andiamo, andiamo! -
Arghail la strattonò e Airis si rimise in piedi. L'orecchino era caldo e brillava con forza.
“Non ci proteggerà, stavolta.”
Il suo sguardo corse alla spada. Giaceva a terra, sporca di fango e ghiaccio sciolto.
- Corri! -
L'urlo di Arghail bastò a metterle le ali ai piedi. Si precipitò verso di Rubia a zigzag, veloce come non lo era mai stata, il fiato che si condensava in nuvolette di vapore davanti al suo viso. Afferrò la spada e, senza fermarsi, con Arghail alle calcagna, deviò verso la parete di pietra. Una freccia le aprì un taglio sulla spalla e un'altra la costrinse a cambiare traiettoria all'ultimo. Le ombre si nascondevano tra i massi, troppo in alto perché potesse vederli. I nitriti e gli scalpiccii disperati di Rubia e Droguan le giungevano attutiti, così distanti da disperdersi nell'eco del suo cuore al galoppo nel petto. L'unico suono netto erano i suoi passi e quelli di Arghail, e i loro respiri spezzati.
I loro aggressori li seguivano da sopra. Erano così veloci e leggiadri che quasi faticava a sentirli.
“Fae.”
Quel pensiero le raggelò il sangue e bastò per farla accelerare. Era un'intuizione emersa dal nulla, priva di basi, ma alimentò la paura come il vento le fiamme di un incendio.
“Manca poco, ce la posso fare.”
Il sudore le imperlava la fronte e le bruciava gli occhi, dandole l'impressione che il valico fosse più lontano di quello che in realtà era.
Improvvisamente, delle figure saltarono giù dalle pareti di roccia, atterrando a una trentina di piedi davanti a loro. Airis rallentò fino a fermarsi, mentre Arghail si bloccò di botto e quasi le venne addosso.
Quattro uomini, vestiti con abiti da cacciatore, li fissavano dall'entrata della gola. Uno aveva i capelli fulvi come quelli di Urian, gli altri sfoggiavano chiome castane o persino azzurro chiaro. Avevano tutti un arco in mano e una faretra sulla schiena; alla cintola era appesa una spada dalla guardia stretta, ancora foderata. Un falco si posò sul braccio di quello più alto, un uomo con la mascella squadrata e un sopracciglio solcato da una cicatrice bianca. Il volatile aveva le zampe e il becco lordi di sangue.
- Merda. - sputò Arghail.
Airis strinse la spada. Non avrebbe trovato parole migliori per definire la loro situazione in quel momento.
- Dacci l'orecchino, umana. - ordinò il Fae dai capelli fulvi, - Appartiene al Darhaid, le tue mani luride non sono degne di toccarlo. -
- È stato lui a darmelo. Estìar mi ha scelta tra i candidati, Cyril mi ha investita e Urian mi ha messo alla prova. In nome di ciò che sono, vi comando di lasciarmi passare. -
Non era la sua voce, quella. Veniva da dentro di lei e attingeva da una conoscenza antica, che non sapeva di possedere. I contorni della gola divennero sfocati per un istante, si liquefecero al limitare del suo campo visivo, per poi riassumere consistenza al primo battito di ciglia.
I Fae la scrutarono intimoriti. Due, i più giovani, persero le loro espressioni tracotanti e indietreggiarono. I falchi alzarono il capo di scatto e appuntarono lo sguardo su di lei, immobili.
- Sei un'umana, non sei degna di portare quell'orecchino. - reiterò con un ringhio il Fae con la cicatrice, - Nessuno di voi bestie lo è mai stato. -
- Airis, non so perché stai provando a ragionarci, è inutile. - le fece notare Arghail.
“Non so nemmeno io cosa sto facendo.”
- Toglietevi dai piedi, non ho intenzione di ripeterlo una seconda volta. - dichiarò e svolse la spada dagli stracci, divaricando le gambe.
La risata che proruppe dalle labbra del Fae era armonica, argentina. Se non avesse avuto una luce feroce negli occhi, Airis ci sarebbe cascata.
- Vuoi davvero morire, allora. Vorrà dire che ti mangerò mentre starai agonizzando a terra. Ho sempre amato il sapore della paura. - le labbra tremarono e si schiusero sui denti da squalo, - È da tanto che non assaporo carne umana fresca. -
Airis inspirò piano. In quell'istante, il balugino metallico dell'ascia richiamò la sua attenzione da sotto il corpo esanime di Rubia.
- Riesci a recuperarla? - bisbigliò all'indirizzo di Arghail.
Il Fae intanto si stava avvicinando. I suoi compagni lo fissavano, indecisi sul da farsi. Quelli più giovani, due ragazzi con i capelli verde acqua e il viso imberbe, si scambiarono delle occhiate insicure tra di loro, prima di seguire gli altri. Tutti avevano sguainato le spade, ma i falchi erano volati su uno sperone di roccia. Il terzo, con ancora i brandelli di carne tra gli artigli, si unì quasi subito. Non appena prese il volo, Arghail afferrò l'ascia con uno slancio fulmineo e affiancò di nuovo Airis.
- Spero tu abbia un piano. - le sibilò tra i denti, attento a non perdere di vista nessuno dei nemici.
Airis fece saettare lo sguardo a destra e a sinistra. C'era una rientranza nella parete di roccia a una decina di piedi alle loro spalle.
- Hai ancora fiato? -
Arghail rimase un attimo interdetto. Arretrò con lei, l'ascia stretta tra due mani davanti al viso, e girò leggermente il capo.
- Potrebbero essercene altri nascosti. -
I Fae erano a una cinquantina di braccia e al loro capo bastò seguire la traiettoria degli occhi di Arghail per capire cosa avevano in mente. Il sorriso sulle sue labbra si fece più largo.
Erano circa dieci di passi di corsa, quasi completamente allo scoperto, sotto il tiro di altri arcieri, per infilarsi in una grotta buia che conduceva chissà dove: un suicidio annunciato.
- Non abbiamo altra scelta. - rispose semplicemente.
Condivisero un ultimo sguardo d'intesa, poi Airis scattò.

  
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