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Autore: taisa    24/11/2017    3 recensioni
Quando la vita si spezza in un unico istante resta una sola cosa da fare... vendetta!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Dr. Gelo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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COLD EYES


Ricordi di un istante


Uscì dal laboratorio di fretta, rischiando quasi di far cadere al suolo le cianfrusaglie che reggeva a fatica tra le braccia. Un mucchio di vecchi esperimenti, di materiali che erano stati abbandonati e appunti su taccuini che negli anni aveva collezionato.

Si guardò attorno, facendo quasi fatica a riconoscere gli stessi corridoi che giorno dopo giorno aveva percorso da tempo immemore. I soldati che di solito camminavano per quello stesso percorso oggi stavano correndo. In braccio i fucili, intenti a gridare a qualche compagno ordini dei superiori.

Era il caos.

Un paio di uomini gli sfrecciarono davanti senza nemmeno guardarlo, troppo impegnati per notare un vecchio scienziato fermo davanti alla porta di un laboratorio con l’aria di non sapere dove andare. Altri tre soldati svanirono nella direzione opposta e contemporaneamente ad essi un altro commilitone comparve gridando da dietro una porta.

Un collega lo spintonò alle spalle, troppo spaventato per preoccuparsi del compagno di laboratorio. D’altra parte era lui che ancora sostava davanti alla porta. Si voltò per osservarlo un’ultima volta, consapevole quasi per certo che non lo avrebbe mai più rivisto. Non avrebbe mai più rivisto nessuna di queste persone, ne aveva quasi la certezza.

Non riuscì a riconoscere il socio, l’uomo correva a capo chino, stringendo a sé tutto quello che era riuscito a salvare. Anni di ricerca scientifica stipati tutti in un vecchio cartone che si trascinava via come se fosse qualcosa di prezioso.

Svanì anch'egli come i soldati, lasciando a chi lo stava osservando solo l’immagine del camice bianco che sparì dietro un angolo in mezzo alla folla. Era spaventato, ma lo erano tutti. Anche lui, che ancora non aveva deciso di muovere un passo dopo essere uscito dal rifugio del vecchio laboratorio.

“Il ragazzino sta venendo da questa parte. Dobbiamo fermarlo prima che raggiunga il Governatore” urlò qualcuno. Una voce indistinta ed indistinguibile che si sollevò alta sopra una cacofonia di suoni che rimbombava per i corridoi, dando quasi l’idea che anche l’edificio stesso volesse partecipare al panico generale.

Quell’affermazione sembrò generare paura nella paura, dando un senso d’urgenza, come se ogni movimento compiuto potesse essere l’ultimo.

Si mosse, sapeva dove andare, qual era l'uscita più vicina. Si voltò in quella direzione e cominciò a correre. Il suo incedere fu reso goffo dalla fatica di trasportare i suoi averi e le sue ossa non più nel fiore degli anni sembravano scricchiolare ad ogni passo. Non si sarebbe fermato… l’aveva promesso. Sarebbe tornato a casa quel giorno, in un modo o nell’altro.

Nuove urla si propagarono tra la folla, ma queste erano intrise di terrore e adrenalina. L’aria che si respirava portava con sé l'angosciante odore della polvere da sparo.

Quando raggiunse la porta che lo avrebbe portato al cancello più vicino si vide costretto a fermarsi. Una nube di pulviscolo si sollevò prima che lui potesse compiere il passo decisivo all’esterno dell’edificio, verso la salvezza.

Si bloccò sentendo l’urlo di un soldato, mentre questi fu sbalzato all’indietro sbattendo contro una parete che aveva alle spalle. “Quel dannato moccioso” mormorò l’uomo “I proiettili gli rimbalzano addosso” commentò verso nessuno in particolare. La manica della sua divisa cominciò a colorarsi di rosso e il soldato si toccò il punto in cui era stato colpito con una smorfia di dolore.

Osservando la scena con il fiato sospeso, gli occhi dell’anziano si scostarono poi in un punto poco più in là, dove un gruppo di soldati era rannicchiato al riparo dietro un muro. Erano una decina, i fucili puntati e le dita sui rispettivi grilletti che premevano a ritmo regolare.

“Fuoco! Continuate a sparare!” ordinò un ufficiale, concentrando la sua attenzione su qualcosa fuori dalla prospettiva dello scienziato che si era soffermato a guardare. Il comandante era un uomo grande e grosso al cui cospetto i suoi soldati parevano solo piccoli insetti. Fu l’istinto che lo fece voltare, tra un ordine e l’altro. I suoi occhi si spostarono in direzione della porta davanti alla quale l’uomo in camice bianco stava osservando la scena.

I loro occhi si incrociarono per una frazione di secondo, poi il soldato fu sbalzato all’indietro. “No!” urlò lo spettatore, mentre vide l’uomo ricadere inerme al suolo. “NO!” sbraitò di nuovo, lasciando la presa dei suoi averi che si frantumarono ai suoi piedi, “NOOO!”. Sotto il soldato cominciò a crearsi una chiazza di sangue che intrise la divisa marrone. Si mosse ancora, ma solo per un breve istante.

L’anziano cominciò a correre come mai aveva fatto in vita sua. Incurante dei pericoli, delle urla e di altri proiettili che sembravano rimbalzare come palline da ping pong. La sua incolumità non era più importante.

Quando raggiunse il soldato s’inginocchiò accanto a lui afferrandogli il capo, “No, no, no” mormorò poggiando la sua fronte su quella dell’uomo morente. Lui gli tese una mano, mentre in silenzio le sue labbra cercarono di pronunciare parole che si persero nel nulla. Lo scienziato afferrò la mano sanguinante del soldato e la strinse con forza.

Lo guardò un’ultima volta, osservando il volto del militare i cui occhi erano glaciali, di un pallido azzurro, ed in un ultimo tentativo di aggrapparsi alla vita osservò l’uomo inginocchiato al suo fianco. Infine, con lentezza, le sue pupille si spensero quando la forza lo abbandonò definitivamente.

Lo scienziato rimase lì, immobile. Il suo camice ora diventato rosso, il capo ancora appoggiato sulla fronte dell’uomo morto e la mano aggrappata con forza a quella dell’ufficiale.

“Mi dispiace, Dott. Gelo” farfugliò uno dei soldati che nel frattempo aveva smesso di sparare.


***


Si svegliò di soprassalto, annaspando in cerca d’aria. Faticò a respirare per un attimo che parve infinito. Dolorosamente, come se fosse appena riemerso dalle acque profonde dopo un lungo periodo sotto la superficie.

Quel ricordo aveva il brutto vizio di tornargli alla mente quando meno se lo aspettava, quando non voleva. Approfittando della sua vulnerabilità durante il sonno, esso si era fatto strada tra i suoi pensieri, sapendo che da sveglio faceva sempre di tutto pur di allontanare dalla memoria quei momenti vividi.

Si portò una mano al volto e non fu sorpreso di scoprire di avere il viso bagnato. Aveva pianto e stava ancora piangendo, mentre le lacrime scendevano lente sui suoi vecchi e scarni zigomi, fermandosi tra i folti baffi bianchi.

Era da solo nel suo rifugio, nascosto tra le montagne del nord. Nessuno alla quale chiedere conforto, non che lo volesse.

I suoi occhi si scostarono su una fotografia incorniciata sul comodino accanto al suo letto. Si soffermò ad osservarla per un istante, poi decise di afferrarla per poterla ammirare più da vicino.

Stava sorridendo, in quella foto, una timida increspatura delle sue labbra celate dai baffi che al tempo stavano cominciando a sbiancare. Accanto a lui il soldato del Red Ribbon con indosso la sua nuova divisa da ufficiale, la promozione risaliva a pochi giorni prima e con orgoglio l’uomo indossava la sua uniforme. Gli era stata fatta su misura, poiché la sua stazza era imponente. Alto con grosse spalle larghe, il doppio rispetto allo scienziato accanto a lui nell’immagine e che teneva stretto con una delle sue enormi mani. Nonostante la sua grandezza e il fisico allenato, il suo viso era gentile e nella foto un sorriso genuino gli abbelliva l’espressione. I suoi occhi color del ghiaccio sembravano scintillare ancora di vita, così come il giorno in cui quella fotografia era stata scattata.

Sarebbero potuti andare a festeggiare la promozione del soldato ovunque. Gelo gli aveva dato la scelta e gli aveva promesso che lo avrebbe seguito senza esitazione. Lui aveva optato per un semplice picnic a pochi chilometri di distanza dalla base militare nella quale un giorno avrebbe esalato l’ultimo respiro.

Il Dott. Gelo scese dalla branda, incamminandosi a piedi scalzi verso la scalinata che portava al piano di sotto.

Il laboratorio era così come l’aveva lasciato, buio, tetro e disseminato di cianfrusaglie sparse sul pavimento. Da qualche parte nella grande stanza, un computer rimasto acceso emesse un sommesso bip, quasi a volergli dare il benvenuto.

Camminò evitando vecchi scheletri di esperimenti, scartati perché non corrispondevano alle sue esigenze. Una mano metallica, una testa fatta di chip, una pallida armatura verde e il torso dai cavi bruciati. Si fermò solo quando raggiunse il tavolo da lavoro. Su di esso giaceva lo scheletro incompleto di un cyborg i cui circuiti erano ancora scoperti.

Gelo lo guardò, per un attimo. Solo in quel momento si rese conto che non aveva ancora abbandonato la fotografia. L’istinto gliel’aveva fatta stringere con forza e si era dimenticato di riporla da dove l’aveva presa. La fissò con l’intensità del suo dolore.

Con uno sforzo poggiò l'istantanea sul banco da lavoro e dopo averle dato un’ultima occhiata decise di rimettersi all’opera.


CONTINUA…


Originariamente doveva essere una one-shot, ma sarei stata costretta a tagliare molti elementi della storia. Così ho optato per una “breve long-shot”. XD

Spero di avervi incuriosito con questo primo capitolo.


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