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Autore: NicolaAlberti    24/11/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«Scendiamo!», dissi a Cicero con risolutezza. Egli annuì senza aggiungere altro e fece un gesto con la mano.

Anche lui era un prodotto di Amal. Era una sorta di guida e protezione: un aiuto che mi era stato fornito affinché non commettessi altre fatalità , permettendomi così di arrivare a lei, una volta per tutte. Non ero mai stato veramente in pericolo, questo lo avevo già  intuito; l'unica cosa che poteva nuocermi era quel tanto di "libero arbitrio" che avevo acquisito all'interno di questo regno simulato. Il più grande rischio che potevo correre era quello di ricominciare tutto nuovamente daccapo, a causa dei miei errori e della mia ignoranza.

Solo io potevo essere fautore della mia cancellazione e della mia fine. Il mio dubitare e la mia capacità  di immaginare la mia stessa fine, erano le uniche cose che potevano produrla. Se mi fossi, sin dall'inizio, affidato ad Amal, non mi sarebbe mai potuto accadere nulla. Fino a questo istante mi aveva evitato solamente per risparmiarmi il dolore di venire a conoscenza del fatto che io non ero reale, così come non lo era lei.

Il nostro era un amore impossibile.

Eravamo un file e un programma che si amavano.

La mia stessa esistenza dipendeva da quel programma, ne ero una parte. Per certi aspetti, era come se anch'io fossi Amal. Questo era ciò che ero arrivato a capire dopo l'episodio avvenuto dentro la stanza della "RAM".

Cominciammo una discesa vertiginosa, ancora più rapida della precedente. L'impressione tuttavia era quella di stare completamente fermi su quella piattaforma di vetro, mentre le pareti di quell'abisso salivano scorrendo spasmodicamente ai nostri lati. Le vedevo sfrecciare lucide, mentre il calore aumentava, come se ci stessimo avvicinando al centro della terra.

Sentivo una forza soprannaturale sprigionarsi da sotto i miei piedi: un'energia di una tale potenza da farmi vibrare interiormente, anche a distanze ultradimensionali. Era qualcosa che non avevo mai provato prima d'ora, qualcosa che dubitavo potesse aver sperimentato qualsiasi essere prima di me.

La piattaforma si fermò con uno scatto immediato, senza alcun rinculo o forza inerziale residua. Il mondo era scivolato davanti ai nostri occhi e si era fermato di colpo, mostrandoci un'altra scena e un altro luogo, esattamente come se fossimo stati completamente fermi di fronte ad un oloproiettore.

Vidi davanti a me una mastodontica figura, che sapevo essere un semplice prodotto della mia mente o di quella di Amal, ancora non capivo qual era il vero confine tra le due.

Era una specie di gargantuesco demone, barbuto e gigante, vestito di stracci dalla vita in giù. Le gambe erano immerse nelle acque, mentre il resto del corpo sporgeva al di sopra di noi, sovrastandoci. La sua bocca era un taglio triangolare che partiva direttamente da orecchio ad orecchio e si spalancava, con fauci aguzze e ingiallite, in un sorriso sardonico. Reggeva tra le mani un gigantesco remo con il quale fendeva le acque conferendo un moto circolare a quel mare oscuro.

Guardai in basso verso il fulcro di quella forza inaudita e vidi il Maelstrom: un portale abissale generato dalla sofferenza. Fiumi di lacrime e dolore che scivolavano giù a partire dalla valle oscura fino a formare un gorgo turbinante alla base dell'Ade. C'era letteralmente un buco in mezzo alle acque, un cilindro di vuoto dalle pareti lucide, nere e lisce: un pozzo largo centinaia di metri, che dava su un'oscurità  quasi materiale e palpabile. Quell'atroce e impossibile fenomeno succhiava ogni speranza, e vomitava un senso di disperazione, diffondendolo ovunque tramite una colonna invisibile di energia emotiva.

Potevo vederlo distintamente solo ora. Ora che avevo capito il dolore di Amal e ne avevo saggiato l'estensione. Ora che mi trovavo a diretto contatto con una tale energia, ero sempre più convinto che questo stesso sentimento negativo, sprigionato da Amal, fosse l'origine del lato oscuro del Dedalus, di tutte queste visioni infernali e dell'intera esperienza che aveva costituito la mia discesa.

Mentre Cicero rimase immobile sul bordo di quel piano, la piattaforma di vetro cominciò a distendersi, assottigliandosi e deformandosi, portandomi direttamente al centro di quella forza. Sentivo l'instabilità della pedana trasparente sotto i miei piedi. Era come un filo frustato dai venti ed io vi ero incollato, in attesa di un gesto volitivo, una replica della mia precedente fine sulla cima della torre, un abbandono che mi avrebbe condotto direttamente da Amal.

Ero completamente conscio del fatto che quel gesto non poteva realmente distruggermi. Tuttavia, sebbene quel salto non fosse un gesto disperato e incognito paragonabile al volo suicida dalla cima del Dedalus, era comunque un'azione che richiedeva uno sforzo sovrumano. Era un gesto terribile paragonabile solamente ad un cosciente abbandono della propria anima.

Esitai. Rividi il volto di Francesca, forse il più grande gesto d'amore di Amal: la proiezione di un amore che faceva parte della mia vita precedente, della realtà. Una ragazza che, in questa vita, non avevo mai conosciuto, perché non ero mai stato veramente la persona che l'amava, ma un suo subalterno, un suo prodotto. Tuttavia, nel profondo, sapevo che Francesca era ciò che c'era di più importante nell'esistenza della mia forma prima, del mio vero Io. Non potevo fare a meno di chiedermi se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quello che stavo facendo, se dovessi cercare di raggiungerla comunque, di riunirmi a lei. Perché, ogni volta che stavo per compiere un passo definitivo, rinveniva la sua immagine? Un dubbio inspiegabile serpeggiò nella mia mente.

Provai a fare un passo indietro, ma fui ingannato, e il ponte di vetro, che avevo sotto i miei piedi e che si era letteralmente tramutato in un filo, si ruppe, come se quella forza che aveva atteso il mio gesto inevitabile, vedendo il mio rifiuto di compierlo, avesse immediatamente deciso per me.

Caddi nell'abisso urlando.

Mi vidi cadere, ancora una volta, dalla cima del Dedalus.

Volai, volai per un tempo infinito e attraversando le nubi e i fulmini intravidi le luci sotto di me così distanti... così belle! Mi allontanavo gradualmente dalla superficie della torre oscura mentre tutto intorno a me svolazzavano aeromobili e piattaforme, che riuscivo a cogliere a malapena, a causa della velocità folle. Sentivo perdersi dietro di me le lacrime, non sapevo se di tristezza o di gioia, forse erano solo un effetto dell'aria e della pioggia che mi frustava con veemenza.

Volai, volai e sorrisi, mentre tutto si ingigantiva sotto di me. Si sentì un urlo atroce, ma non sapevo se era la mia bocca ad emetterlo, la credevo chiusa. Vidi l'Ade spalancarsi sotto di me e la caduta proseguì nell'altro mondo. Scorsi il bordo della Valle Oscura saettare ai miei fianchi in una frazione infinitesima. Ad una velocità  che oltrepassava qualsiasi legge fisica vidi: Dite, le innumerevoli piattaforme, il bordo lucido dell'Inferno, il tempio, la piattaforma, Caronte, Cicero, il mare e infine... il buio.

Il buio divenne luce.

Ero sospeso nel bianco e nell'assoluto. Non stavo più cadendo.

In quello spazio metafisico c'era tuttavia una direzione già pronta per me: una porta.

Vidi una comune porta di legno scuro verniciato, come quelle delle camere di una abitazione pre-aggregata. La porta aveva un semplice manico d'ottone e stava sospesa a pochi passi da me. Mi avvicinai camminando nel vuoto. C'era una targhetta ovale su cui era inciso il nome "Amal" in corsivo.

Allungai la mano e la aprii.

 

   
 
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