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Autore: Ladyhawke83    25/11/2017    6 recensioni
eccomi qui, stavolta con un’originale introspettiva fantasy.
Inizialmente l’avevo scritta per partecipare ad un contest a tema “sogno”,poi ho deciso, data la lunghezza e la tematica strettamente autobiografica di non mandarla più…
Ad ogni modo chi mi conosce personalmente sa di cosa si tratta qui.
Stephan rappresenta un ragazzo che ho amato molto, in passato e che, ahimè non ha mai compreso fino in fondo i miei sentimenti.
Ritroverete accenni ai miei personaggi de “la promessa del mago”, che qui sono declinati in una dimensione onirica, nei sogni ricorrenti di Stephan, che vive una vita piatta e malinconica finché non trova la sua Isabel, così come Vargas aveva trovato la sua Isabeau.
Spero che vi piaccia.
È stato molto terapeutico per il mio cuore ferito e rimarginato, scrivere queste parole.
A presto Ladyhawke83
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Red Rain 

 

Si svegliò sudato e agitato anche quella mattina, come molte ultimamente.

la sveglia digitale sul comodino segnava incurante le cinque e venti, con un sospiro spostò le coperte e si decise a scendere dal letto, non prima però di aver indossato gli occhiali, in un gesto ormai talmente automatico, che avrebbe potuto farlo anche dormendo.

Trascinò se stesso davanti allo specchio del bagno e si costrinse a guardare la propria immagine riflessa. Profonde occhiaie segnavano il viso e gli occhi facendolo sembrare molto più vecchio di quanto non fosse in realtà .

“Non somiglio affatto all’uomo del sogno” disse tra se e se, ma qualcosa gli doleva nel pensarlo, come se anelasse ad essere ancora in quella visione onirica, dove lui era un potente mago mezzelfo e lei era una bellissima druida umana.

“Già lei...” sussurro appena, ma chi era lei? Non conosceva nessuna così nella vita reale.

Di certo era frutto della sua mente, occhi nocciola, capelli biondo cenere, un timido sorriso e un cuore determinato. Nel sogno lui, o il suo alterego dalle orecchie appuntite, ne era follemente innamorato, di un amore distruttivo, quasi doloroso e disperato.

L’ultima immagine che aveva avuto prima di svegliarsi era quella della druida che, senza esitazione, gli piantava un pugnale nel petto, di fatto uccidendolo, nonostante avesse ammesso poco prima di amarlo.

Uno strano incubo davvero, Stephan non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che tutto quello che aveva immaginato quella notte, fosse successo davvero. Era così realistico, che per un attimo, prima di indossare l’abituale felpa nera dai lacci di un colore improbabile, si massaggiò lo sterno, proprio all’altezza della ferita mortale subita in sogno.

“Devo smetterla di pensare a queste cazzate, sono solo sogni” disse, mentre finiva di infilarsi la giacca di pelle nera, un po' vissuta per la verità, e si preparava per andare alla stazione, dove il solito treno strapieno i pendolari lo avrebbe portato in un’altra grigia e frenetica città, dove, avrebbe passato la mattinata chino sui testi di Platone nella biblioteca di filosofia dell’università.

Doveva decidersi ad iniziare quella benedetta tesi, era indietro e lo sapeva, quello era già il suo secondo anno di fuori corso, il che per uno come lui fissato con lo studio, non era proprio il massimo. Non è che non gli piacesse l’argomento su cui doveva scrivere la dissertazione, al contrario, il problema era la lentezza che sempre lo accompagnava nell’approcciarsi alla lettura di un testo nuovo. Tutto per Stephan doveva essere meticolosamente annotato, studiato, riassunto, letto e riletto più volte, prima che si sentisse in grado di buttar giù due righe per la sua tesi.

Quei giorni plumbei e freddi di metà ottobre certo non lo aiutavano nell’umore e nella concentrazione.

Il fischio annunciò l’arrivo del treno in stazione e con lo sferragliare sui binari e con lo stridere dei freni, i vagoni si arrestarono e Stephan salì su una delle tante carrozze di seconda classe, accaparrandosi un posto accanto al finestrino, non che volesse guardare per forza il paesaggio, che ormai conosceva a memoria, ma lo scorrere del cielo, degli edifici e degli alberi sotto gli occhi durante il viaggio lo rilassava.

Estrasse le cuffiette, meticolosamente arrotolate, per non rovinarne il filo, se le mise all’orecchio e poi stancamente pigiò il tasto sul lettore CD, aspettando che la calda voce di Peter Gabriel rimettesse ordine nei suoi confusi pensieri.

 

Red rain is coming down

Red rain

Red rain is pouring down

Pouring down all over me

 

Le parole della canzone sembravano descrivere esattamente lo stato d’animo di Stephan in quel mattino autunnale, una pallida luce iniziò ad illuminare il cielo nebbioso e carico di nubi. Alberi dai colori sgargianti passavano veloci davanti al suo sguardo perso, Stephan era altrove e non aveva nessuna voglia di essere coinvolto dal trambusto dell’umanità caotica e superficiale intorno a sè.

 

I am standing up 

at the water's edge in my dream

I cannot make a single sound

 as you scream

 

Gli tornarono alla mente le parole di lei in quel sogno:

Io ti amo, ti ho sempre amato, non posso fare altro quindi perdonami se puoi” 

Quindi Isabeau, questo il nome della donna del sogno, si era avvicinata a lui, che se ne stava in piedi davanti a lei, con le braccia incatenate dietro la schiena, lo aveva guardato con quei suoi grandi occhi marroni screziati di verde e poi aveva, con un unico gesto colpito al cuore con la lama. Il mago, ovvero Stephan, spirando aveva pronunciato queste parole mentre lei versava lacrime silenziose, coperte dalle urla di altre persona, che però Stephan nel sogno non vedeva.

“Ho promesso e ti perdono” diceva il mezzelfo morente nei pensieri di Stephan, che ormai era talmente preso nel setacciare i ricordi quel sogno, che non si era nemmeno accorto che la fermata successiva era il capolinea e che le batterie del lettore Cd lo avevano abbandonato , lasciando i suoi auricolari senza suoni.

“Prossima fermata Milano Centrale” disse l’alto parlante della carrozza.

Stephan si stiracchiò pigramente, mise via le sue cose nello zaino grigio e nero, si infilò la giacca e scavalcò agilmente le gambe di un ragazzo semi addormentato sul posto di lato al suo.

Quando scese in stazione, l’aria era pungente ma soffocante, tipico del meteo di Milano. Decine di persone correvano di qua e di là frenetiche, perse ognuna nei propri pensieri e nella fretta della metropoli. Quel tipo di frenesia che ti si appiccica addosso e rende tutto e tutti grigi e nervosi.

Stephan inspirò forte, si passò una mano tra i capelli lisci e neri e si avviò alla metropolitana. 

Quando le porte del convoglio si aprirono lui ebbe un attimo di esitazione, non aveva voglia di passare la mattinata a studiare, lo faceva tutti i giorni 

, ma quel giorno era distratto, la mente continua a ricordargli quel l’incubo e lui, stranamente si sentiva a disagio, quasi colpevole.

 Alla fine si decise e si avviò verso l’università, arrivato a destinazione, uscì dal sottopassaggio affollato della fermata “Missori”  e svoltando a destra, decise che avrebbe attraversato il parchetto che costeggiava le mura antiche della sede di Via Festa Del Perdono. A quell’ora del mattino era pressoché deserto, solo i piccioni e un passante con il cane popolavano quel viale alberato.

Stephan pensò che avrebbe potuto parlarne con Danilo, uno dei suoi più cari amici, nonché dottorando in storia antica, poi si ricordò che forse quel giorno l'amico poteva non essere in università, aveva un convegno a cui presenziare, e si maledisse mentalmente per non avere il numero con sé, altrimenti avrebbe potuto chiamarlo.

Aveva un disperato bisogno di confidarsi con qualcuno, lui che di solito si teneva tutto dentro, calmo e controllato, quel mercoledì di metà ottobre, si sentiva confuso e agitato, in cerca di risposte razionali che tardavano a venire.

Superò a passi svelti il roseo colonnato, in direzione del chiostro di storia, sperando di trovare qualche faccia amica, i testi nello zaino pesavano più dei suoi pensieri, si sistemò per l’ennesima volta la bretella storta sulla spalla e si fermò ad osservare l’ambiente. 

Alcuni ragazzi lo sorpassarono parlottando di un esame, un altro gruppetto era seduto sul muretto intento a fumare e a lamentarsi della mole di libri da studiare, poi lo vide, al solito posto, Mattia stava facendo il piacione con una ragazza all’angolo del salice.

“Non cambierà mai” disse Stephan fra sé, sapendo perfettamente che il suo collega di filosofia, nonché compagno di studi dal primo giorno da matricole, sceglieva sempre le ragazze sbagliate, e queste immancabilmente lo lasciavano con un pugno di mosche in mano.

“Ti è andata male anche questa volta vero?” Disse Stephan, non appena la bionda si fu allontanata.

“E invece no! Guarda…” Mattia mostrò all'amico un foglietto stropicciato con un numero sopra, scritto in bella calligrafia.

“Sicuramente ti avrà dato il numero sbagliato…” lo punzecchiò Stephan, sfilandosi lo zaino e lasciandolo cadere a terra con un tonfo.

“Stai a vedere” Mattia tirò fuori il cellulare e nervosamente pigiò sulla tastiera componendo il numero della ragazza.

Il volume dell’apparecchio era abbastanza alto perché anche Stephan sentisse.

“…Il numero da lei chiamato è inesistente, o momentaneamente non disponibile, la preghiamo di preghiamo di riprovare più tardi…”

Mattia non disse nulla, limitandosi ad un’espressione un po' delusa e afflitta.

“Dai vieni! Ti offro un caffè…” disse Stephan cercando di non dar peso all’ennesima figura dell’amico.

“A proposito di numeri inesistenti … ma tu quando te lo fai un cellulare?” Chiese Mattia a bruciapelo.

“Lo sai che odio quei maledetti cosi, sono uno strumento del diavolo e poi non mi va l’idea di essere sempre raggiungibile” Stephan su quel punto era irremovibile, nonostante fossero gli anni duemila e tutti avessero uno di quegli apparecchi, lui rimaneva l’unico ad ostinarsi a vivere come se fosse ancora negli anni ottanta. Non aveva cellulare, non utilizzava il lettore mp3, usava le batterie non ricaricabili e, quel che è peggio, comprava ancora dischi in vinile. Chi è che compra più dischi in vinile nel duemila E Quattro?

“Vedrai che un motivo per avere il telefonino si trova sempre, e poi sono stufo di dover mandare i piccioni viaggiatori per rintracciarti, sia qui, che a casa tua…” si lamentò Mattia, mentre entrambi si dirigevano al bar della mensa.

“A casa risponde mio padre” replicò serio Stephan.

“Si e poi si scorda di riferirti i miei messaggi, oppure storpia il mio nome…” sbuffò Mattia, mentre con la coda dell’occhio guardava una moretta in fila per lo scontrino alla cassa.

“Ascolta tra poco è il tuo compleanno, che dici se te lo fai regalare da tuo padre?” Mattia sapeva essere davvero insistente a volte.

“L’unica cosa che vorrei per il mio compleanno è veder la tesi finita…” ammise stancamente Stephan, mentre mescolava lo zucchero nel caffè.

“Ancora bloccato? Sai mi è venuta in mente una cosa ieri… potresti frequentare il corso del Trab, quello sui dialoghi platonici. È già iniziato, ma potrebbe servirti per la tesi” il volto di Mattia si era illuminato come se avesse avuto la migliore idea degli ultimi anni.

“Ma per favore! Non sono mica una matricola io! Che ci farei io in mezzo a dei ragazzini? E poi ho già studiato quei dialoghi” sottolineò Spephan, per nulla entusiasta all'idea di dover frequentare quel corso strapieno di matricole chiassose e ignoranti.

“Dai pensaci. Potrebbe darti un’aiuto con la tesi, mica devi dire a tutti che sei un laureando no?” Mattia era sempre più euforico, al contrario di Stephan che si sentiva cupo e stanco.

“Parli bene tu che ti sei laureato quasi un anno fa, perfettamente in corso…” A Mattia non sfuggì il lieve tono invidioso di Stephan, ma capì che c’era dell’altro che l’amico non gli diceva.

“Senti, ma cosa hai oggi? Sembra che tu abbia una gigantesca nuvola nera sopra la testa, non me la conti giusta. La tesi non c'entra vero?” Mattia aveva un talento innato nel capire gli Stati d’animo delle persone e, con Stephan era ancora più facile, perché si conoscevano da sei anni ormai.

“Si e no, ho fatto un incubo e non riesco a togliermelo dalla testa” ammise Stephan a fatica.

“E di cosa si trattava?””

“Ho sognato la mia morte” 

Mattia e Stephan tacquero un istante, poi fu il moro dagli occhi grigio-azzurri a parlare “beh dai… porta fortuna”.

Stephan sorrise e i suoi profondi occhi bruni ebbero, per un attimo, un guizzo di luce, prima di tornare a farsi preoccupati e distanti.

Il caffè nella sua tazzina si fece freddo e fu dimenticato li.

 

~~~~~~~~~~~~~~

 

Erano passate due settimane da quella chiacchierata con Mattia, l’amico di sempre. Stephan aveva continuato a sognare di lei, di quel mezzelfo e di tutto quel confuso alone fantasy che ci girava intorno.

Ogni notte sognava un particolare diverso, un differente scenario, non più la sua morte, bensì la vita trascorsa con lei, con quella sconosciuta ragazza druida. 

Ripensò al loro primo bacio nel sogno, il suo alterego l’aveva presa con una determinazione ed una audacia che non appartenevano a Stephan, lui non era  mai stato così diretto con una donna, aveva sempre aspettato che fossero le ragazze a decidere per lui. Eppure nei panni di quel Mago mezzelfo viveva la vita come non aveva fatto mai. Il giovane studente di filosofia era arrivato ad aspettare la notte, per chiudere gli occhi e vivere quella strana vita, per parlare con lei, per essere coraggioso e determinato, per sentire il potere dato dalla magia che nella vita reale non esisteva.

 

"Voi avete un'opinione troppo alta di me, io sono solo una semplice ragazza, come tante altre..." Lo corresse lei, con modestia, ma dentro di sé fu felice di quelle parole.

"Una ragazza semplice che ha incantato un mago..." Il mezzelfo sorrise e una luce maliziosa accese i riflessi bruni dei suoi occhi, appoggiò il viso fra i suoi capelli biondi, che i raggi lunari facevano apparire come una cascata dorata.

"Siete stato voi il primo ad incantare me, veramente..." sottolineò lei, ricambiando lo sguardo malizioso di Vargas.

"E allora lasciatemi completare questo incantesimo, in modo che non possa essere più spezzato". Vargas la afferrò saldamente, pronunciò alcune parole arcane e un battito d'ali si ritrovò nel focolare domestico della sua casa.

 

Stephan rivisse quella scena molte, molte volte, nella mente, cercando di fissare i contorni e i dettagli evanescenti di quella ragazza dal nome francese.

Nel sogno avevano fatto l’amore dopo quelle parole e lui non si era mai sentito così vivo come quella mattina. Si era svegliato quasi convinto di averla accanto, invece Isabeau era sparita con l’arrivo del giorno e della parte più razionale di Stephan.

Si alzò dal letto controvoglia, inforcò gli occhiali e si concesse un minuto per assaporare la sensazione di eccitazione nel basso ventre. Forse era troppo tempo che non stava con una ragazza.

“Deve essere per questo che faccio sogni erotici” si disse, ma sapeva che non era solo il bisogno fisico a chiamare quei sensuali pensieri, c’era dell’altro, come se in realtà il destino lo stesse chiamando.

Eppure lei in sogno lo aveva freddato, senza esitare, quella storia d’amore onirica aveva avuto il peggiore epilogo possibile, uno strappo insanabile.

Stephan si chiese perché ripercorreva mentalmente la storia al contrario, ma poi lasciò cadere quella riflessione, ben conscio che spesso i sogni non hanno un senso e una direzione ben definita, capitano e basta.

La sveglia digitale quella mattina di fine ottobre segnava le sei e trentacinque.

“Meglio affrettarsi, o questa volta arriverò in ritardo” pronunciò Stephan mentre si preparava ad uscire.

Lui, in sei anni di università, era quasi sempre arrivato in anticipo a Milano, prima ancora dell’inizio dei corsi mattutini, quel giorno però tutto sembrava volgersi contro di lui, persino il treno era in ritardo di un quarto d’ora.

Stephan batté nervosamente il piede a terra, sulla banchina della stazione, mentre la campanella al binario due, suonava ritmicamente e velocemente, quasi potesse compensare il ritardo accumulato dal treno.

“Cazzo, proprio oggi che avevo deciso di seguire quelle benedette lezioni!” 

Una ragazza al suo fianco, sentendolo imprecare lo guardò infastidita, Stephan se ne accorse e voltò lo sguardo da un’altra parte, mettendosi gli auricolari. Non voleva attirare l’attenzione su di sé, sopratutto non quella di Irene, quello era il nome della ragazza che lo aveva guardato storto un attimo prima. Lei bionda, capelli lisci e perfettamente ordinati, occhi azzurri e un’espressione altezzosa che Stephan non era mai riuscito a decifrare. 

Non era il suo tipo di ragazza, anni prima aveva provato a parlarci, ma lei gli aveva fatto chiarAmente capire che puntava più in alto e che, uno come lui, non avrebbe avuto speranze. Da quel giorno lei e Stephan se si incontravano in stazione, badavano bene di evitarsi.

La musica gli arrivò alle orecchie, come una dolce carezza e, per gran parte del tragitto, Stephan si rilassò, tanto da assopirsi senza rendersene conto.

 

"Io non vi capisco... anche voi siete la mia famiglia, perché mi estromettete solo per un errore? Ho sbagliato e non è cosa da poco, ma voi non potete cancellare con un colpo di spugna tutto, come se io non fossi mai esistita". 

Alcune fugaci lacrime iniziarono a far capolino dagli occhi di Isabeau che, incapace di mantenere la stessa freddezza ed autocontrollo di Vargas, stava cedendo alla tensione emotiva.

"Io non cancello nulla, vi ho dato solo un consiglio. Ve l'ho detto non mi importa di quello che farete d'ora in poi, ho cose ben più importanti da pensare, che non stare dietro alle vostre piagnucolanti e inutili scuse. Voi avete deciso di tradirmi, io ho deciso di dimenticarvi. Tutto qui, penso sia un concetto semplice da capire, anche per una "druida" come voi" Il tono sempre piatto, sarcastico persino.

 

Stava di nuovo sognando, ma stavolta lo scenario era quello di una separazione, una lacerazione dolorosa tra la controparte mezzelfica di Stephan e la druida Isabeau che, a quanto pare, aveva tradito il mago Vargas con qualcun altro, un elfo stregone per l’esattezza, e da questa unione era nata una bambina.

“Inaccettabile” disse mentalmente Stephan, risvegliandosi dal torpore, la voce di Peter Gabriel in sottofondo ai suoi pensieri.

 

 

“She pictures the broken glass, she pictures the steam

She pictures a soul

With no leak at the seam”

 

Le parole di “Mercy Street” lo fecero sentire ancor più malinconico.

“Se io avessi l’opportunità e la fortuna di incontrare una ragazza così, mai e poi mai permetterei a qualcuno di portarmela via” disse tra sé Stephan, ripensando al mezzelfo e alla rabbia provata in sogno per quell‘immaginato tradimento.

Scese dal treno controvoglia e fu quasi investito da Irene.

“Ehi guarda dove vai!” Gli urlò contro lei stizzita.

“Scusami...” non fece in tempo a dire lui, che lei era già scomparsa tra la folla brulicante e nevrotica che popolava la stazione.

Il profumo della bionda gli rimase nelle narici causandogli un moto di nausea, troppo dolciastro e fin troppo marcato, Stephan si chiese come aveva fatto ad invaghirsi di una così, anni prima. Dopo quella disastrosa cotta per Irene, aveva deciso di restare solo, complice anche il pensiero di non voler più soffrire per amore, se ci fosse stata ancora sua madre di certo avrebbe saputo cosa dirgli, invece Stephan era rimasto solo con suo padre, che per il dolore si era chiuso a riccio ed era diventato fin troppo esigente.

“Quando ti laurei? Quando ti trovi una ragazza? Perché non esci mai coi tuoi amici?” Queste e tante altre domande, erano quelle che gli rivolgeva spesso suo padre e che Stephan badava abilmente di scansare, cambiando discorso.

No, Irene era fuori discussione, non ora che un’altra giovane donna occupava i suoi pensieri, di notte e di giorno.

Perso nei vari confronti tra la bionda dagli occhi di ghiaccio e la druida dei suoi sogni, il giovane dai capelli scuri non si accorse nemmeno di essere giunto in università.

Salì al primo piano usando la scalinata centrale, aprì con noncuranza la porta dell’aula 211, dove si teneva il corso su Platone e fu investito da un calore insopportabile e da un fastidioso brusio di voci.

“Merda” disse sottovoce.

L’aula era gremita di gente, anzi strapiena, Stephan dovette accontentarsi di gettare lo zaino a terra e appoggiarsi ad una delle pareti laterali.

Da quella posizione poteva osservare le file di banchi poste su dei gradoni rialzati e ricoperti di linoleum verde, tipico di un certo gusto anni ‘70.

Tante teste erano chine sui libri e sui quaderni, tutti intenti a scrivere appunti in maniera frenetica. Qualche coraggioso scriveva al pc, i più erano distratti, con la faccia assonnata di chi vorrebbe essere altrove.

Il professore spiegava con voce chiara e sicura, di chi sa di avere un talento naturale nell’incantare l’uditorio, ogni tanto ci metteva dentro una minaccia giusto per spaventare le matricole.

“E non venitemi a dire in sede d’esame che Socrate ha scritto i dialoghi. Sappiamo che Platone attraverso i dialoghi che mette in scena, fa parlare il suo maestro, ma di Socrate non abbiamo testimonianze che abbia mai scritto davvero qualcosa...” 

Stephan sorrise ripensando ai suoi primi giorni da matricola, al senso di straniamento che gli dava la città di Milano e anche l’università che ai tempi, gli era parsa immensa. Ora si sentiva quasi di troppo lì in mezzo e tutto gli sembrava ora dannatamente stretto, piccolo, claustrofobico.

Decise comunque di attendere la fine della lezione, anche se stare lì in piedi con la schiena appoggiata al muro era scomodo e non riusciva a scrivere.

Fu in quel momento che la vide, quando tutti se ne stavano andando.

Raccoglieva lentamente le sue cose, come altrettanto lentamente indossava la giacca nera e dei guanti di velluto multicolore con un piccolo sonaglio attaccato all’estremità verso le dita.

Voleva andare da lei, ma la calca glielo impedì, quei ragazzini avevano tutti fretta di fiondarsi fuori, magari per un caffè o una sigaretta. Due di loro quasi la fecero inciampare sui gradini e fu solo allora che Stephan si accorse dell’andatura claudicante e delle stampelle.

Aspettò che lei raggiungesse le scale e la seguì. 

Voleva aiutarla, parlarle., ogni fibra del suo essere desiderava avvicinarsi a quella ragazza dai capelli castano scuri, legati da una rosa bianca come fermaglio. Voleva ardentemente guardare bene quel suo viso che aveva intravisto pochi attimi prima, e che gli aveva procurato una dolorosa morsa allo stomaco.

“Ti serve aiuto?” Chiese Stephan con voce più flebile di quanto avrebbe voluto.

Lei si voltò, sorpresa da quella voce alle sue spalle, convinta di essere stata l’ultima a uscire dall’aula, quel ragazzo non lo aveva notato, né sentito arrivare. 

Lui la guardò con occhi gentili e con un sorriso genuino.

Quello che le rimase impresso fu il marrone scuro dei suoi occhi, lo sguardo attento e quell’espressione un po’ malinconica in un viso fin troppo tirato.

“Ti ringrazio ma sono collaudata con le scale... poi ho anche paura degli ascensori”. Rispose lei sorridendogli a sua volta.

La mano che lui aveva proteso per aiutarla rimase lì, in attesa che lei la stringesse.

“Piacere io sono Stephan” disse presentandosi, ponendo l’accento sul suo nome. 

Era emozionato, lei era esattamente come nel sogno, avrebbe riconosciuto quegli occhi nocciola e quelle labbra rosse e imbronciate dovunque.

“Piacere…” rispose la giovane prendendo quella mano offerta da lui nella sua, in una stretta fugace. 

Anche lei era emozionata da quell’incontro, sentiva dentro di sé che quel ragazzo aveva qualcosa di familiare, ma non capiva cosa.

“Ora devo andare. Ci vediamo presto” disse la mora, alludendo al fatto che forse anche lui frequentasse quel corso su Platone.

“Certo... a presto” Stephan non riuscì a dire altro, il sangue martellava nelle vene, come non gli succedeva da anni, e la mano che lei aveva toccato formicolava. 

La osservò ancora, e sentì il cuore sanguinare, proprio là dove era stato pugnalato in sogno.

“Lei sarà il mio destino...” disse e la guardò scendere i gradini, con la mente in subbuglio, quella ragazza apparentemente fragile gli ricordava così da vicino la druida Isabeau, 

“come era possibile? Forse anche lei aveva sognato di lui?” Si chiese Stephan, poi un ultimo pensiero gli balenò in testa, lei non gli avevo detto il suo nome.

Si affacciò alla balaustra delle scale e cercò con la voce di richiamare la sua attenzione.

“Non mi hai detto il tuo nome!” Gridò Stephan, mentre due ragazze si voltarono a guardarlo, doveva davvero apparire ridicolo.

La ragazza dai lunghi capelli castani legati in una coda alta, si voltò e gli sorrise, le efelidi le impreziosivano il giovane viso.

“Isabel…” disse, fermandosi nell’atrio un piano sotto di lui e, mentre i loro sguardi si incrociavano di nuovo, Stephan capì che anche lei era stata stregata da quello strano sogno, anche lei aveva vissuto quella fantasia onirica.

Fu un attimo, poi lei scomparve tra la folla rumorosa e distratta.

Il giovane laureando pensò che da quel momento niente sarebbe stato più come prima. 

Si sentiva di nuovo vivo, aveva uno scopo, un nuovo motivo.

Si tolse gli occhiali, li ripulì meticolosamente, come per calmare quel mare in tempesta del suo animo, mentre nella testa gli risuonò un’ultima frase pronunciata in sogno dal mago mezzelfo, nonché suo alterego, Vargas:

 

“Cormamin niuve tenna' ta elea lle au”.

 

“Il mio cuore dormirà finché non ti rivedrà ancora”.

 

 

~~~~~~~~~

 

 

 

Note Dell’Autrice: eccomi qui, stavolta con un’originale introspettiva fantasy.

Inizialmente l’avevo scritta per partecipare ad un contest a tema “sogno”,poi ho deciso, data la lunghezza e la tematica strettamente autobiografica di non mandarla più…

Ad ogni modo chi mi conosce personalmente sa di cosa si tratta qui.

Stephan rappresenta un ragazzo che ho amato molto, in passato e che, ahimè non ha mai compreso fino in fondo i miei sentimenti.

Ritroverete accenni ai miei personaggi de “la promessa del mago”, che qui sono declinati in una dimensione onirica, nei sogni ricorrenti di Stephan, che vive una vita piatta e malinconica finché non trova la sua Isabel, così come Vargas aveva trovato la sua Isabeau.

Spero che vi piaccia.

È stato molto terapeutico per il mio cuore ferito e rimarginato, scrivere queste parole.

A presto Ladyhawke83

 

 

 

   
 
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