Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Daleko    26/11/2017    1 recensioni
«Riesci a sentirmi?»
Camilla poteva percepire l’aria fredda che le accapponava la pelle. Le labbra le tremavano, gli occhi le dolevano dalla forza con cui li stringeva.
«Riesci a sentirmi?»
Camilla era immobile, non aveva il coraggio di muoversi. Contò mentalmente, piano, da dieci a zero. Iniziò con anche i pensieri irrigiditi dalla paura: dieci, nove, otto… Arrivò a tre, poi trovò il coraggio di annuire. Fu un gesto breve, quasi uno spasmo, ma l’aria davanti a sé riprese a vibrare.
«Puoi aiutarmi?»
Camilla aveva sognato migliaia di volte quel momento, e un migliaio di volte l’aveva tenuta sveglia nel letto, angosciata da qualcosa che non riusciva a comprendere appieno. La consapevolezza della realtà di quel momento, il viverlo davvero le diedero la spinta che le serviva per annuire nuovamente. Fu un altro piccolo gesto, appena più convinto, anche se continuava a tenere gli occhi chiusi.
«Abbassati, così ti dico cosa fare…»
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I.


   «Riesci a sentirmi?»
   Camilla poteva percepire l’aria fredda che le accapponava la pelle. Le labbra le tremavano, gli occhi le dolevano dalla forza con cui li stringeva.
   «Riesci a sentirmi?»
   Camilla era immobile, non aveva il coraggio di muoversi. Contò mentalmente, piano, da dieci a zero. Iniziò con anche i pensieri irrigiditi dalla paura: dieci, nove, otto… Arrivò a tre, poi trovò il coraggio di annuire. Fu un gesto breve, quasi uno spasmo, ma l’aria davanti a sé riprese a vibrare.
   «Puoi aiutarmi?»
  Camilla aveva sognato migliaia di volte quel momento, e un migliaio di volte l’aveva tenuta sveglia nel letto, angosciata da qualcosa che non riusciva a comprendere appieno. La consapevolezza della realtà di quel momento, il viverlo davvero le diedero la spinta che le serviva per annuire nuovamente. Fu un altro piccolo gesto, appena più convinto, anche se continuava a tenere gli occhi chiusi.
   «Abbassati, così ti dico cosa fare…»
 
* * *
 
   Lo zaino le sbatteva ritmicamente sulla parte bassa della schiena. Era sudata nonostante il freddo e i capelli fulvi le si erano tutti attaccati sulle guance, rosse dallo sforzo. Aveva corso per due isolati, ma era riuscita a prendere l’autobus in tempo; così invece di dirigersi verso casa, vi si allontanava gradualmente. Osservava la periferia scivolare sotto il suo sguardo, e ogni due fermate si agitava un po’ di più. Quando il sole cominciò a scendere verso l’orizzonte, abbagliandola, un respiro le solleticò la nuca. «Alla prossima, va bene?» le suggerì una voce amica. Non si voltò, limitandosi ad annuire nuovamente; quando le porte dell’autobus si aprirono di nuovo Camilla saltò giù, riprendendo a camminare con lo sguardo dritto davanti a sé. Nella mano destra stringeva spasmodicamente un bigliettino stropicciato. Camminò per qualche altro minuto, poi si fermò all’esterno di un portone. Controllò il numero civico, lesse attentamente quanto scritto sul pezzo di carta sudato e poi tornò a stringerlo nel pugno serrato. Inspirò un paio di volte, poi si alzò sulle punte per passare in rassegna tutti i cognomi sul citofono; trovò quello desiderato e pigiò con forza il pulsante, rilasciandolo solo dopo un paio di secondi. Aspettò, aspettò, aspettò. Poi: «Chi è?». La voce era di una donna, e Camilla restò spiazzata. «Salve signora, cerco il signor Sorrentino» scandì al citofono. «Chi?» domandò di rimando la donna e Camilla, mordicchiandosi il labbro inferiore, ricontrollò il cognome sul citofono. Ci pensò su. «Il signor Sorrentino, ehm… Salvatore» precisò. «Aaah! E dillo subito, no?» commentò la donna, poi si allontanò dal citofono. «Salvatoreee, al citofonooo!» si sentì urlare dall’apparecchio al muro, e Camilla socchiuse gli occhi. «Coraggio!» le mormorò una voce vicina. Lei annuì senza staccare gli occhi dall’altoparlante del citofono. «Sì?» tornò una voce maschile. «Salve, signor Sorrentino. Mi chiamo Camilla. Posso parlarvi un minuto soltanto?» buttò fuori tutto in una volta. Il citofono rimase silenzioso per un po’, tranne che per un ronzio di sottofondo. «Sì, prego. Secondo piano» la informò la voce con un’inflessione appena turbata. Il portoncino si aprì con uno scatto metallico e Camilla lo spinse con il fianco destro, intrufolandosi nell’edificio.
   Il condominio non era di quelli più alla moda; qui e là, sui muri ingrigiti, c’era qualche scritta a penna e le scale puzzavano di cibo. Camilla salì gli scalini due alla volta, fermandosi solo al secondo piano. Non ebbe bisogno di cercare la porta giusta, perché una era già aperta e sul campanello poteva leggere gli stessi cognomi del citofono. S’incamminò titubante, strusciò forte le suole sullo zerbino e si affacciò timidamente all’interno. «È permesso?» domandò a voce troppo bassa; dalla cucina proveniva un forte odore di caffè. Aveva la mancina poggiata sul gelido pomello d’ingresso e la mano destra infilata in una tasca del cappottino; quando una donna di mezza età si affacciò in corridoio, Camilla trasalì visibilmente. «Ciao cara, entra, entra! Non stare sulla porta!» la invitò allegramente. Camilla sgusciò all’interno a capo chino, guardando la donna quasi intimorita dalla sua presenza, e chiuse la porta alle sue spalle. Sentiva dolore al petto, ma non poteva andar via prima di aver concluso il suo compito. «Salvatore è in salotto, là sulla destra. Vai, vai, che mo’ porto il caffè. Lo vuoi con lo zucchero?» chiese ancora la donna; aveva i capelli tinti di un biondo molto chiaro. Camilla le sorrise con gentilezza. «Grazie, ma non mi è permesso bere caffè» rispose con voce sottile. Le labbra della donna si schiusero in un’espressione di stupore, ma tornarono presto a distendersi in un’espressione amichevole. «Allora prendo l’aranciata e dei biscotti, non ti preoccupare! Qua non manca mai niente! Va’, va’, mo’ arrivo a portarvi da bere» concluse defilandosi in cucina. Camilla dondolò sul posto per un momento; la timidezza la spingeva a tornare da dov’era venuta… Ma la curiosità le imponeva di continuare. Un passo dopo l’altro, le scarpe da ginnastica la condussero verso la porta del salotto. Era aperta e lei non chiese il permesso di entrare. La stanza non era molto grande e all’interno c’era solo l’uomo da lei cercato: era seduto su un divano a tinta unita, chiara, probabilmente molto vecchio. Aveva un gomito poggiato sul ginocchio, la schiena ricurva in avanti e si tormentava il pizzetto con una mano, riflettendo su qualcosa di distante.
   «Salve» s’introdusse Camilla; ora toccò all’uomo trasalire, facendola sorridere. «Oh, salve! Prego! Non togli la giacca?» chiese l’uomo alzandosi dal divano per tenderle la mano destra. Camilla lo reputò molto alto, almeno un metro e ottanta -lei non arrivava al metro e mezzo- e longilineo, probabilmente attraente per le donne della sua età. Arrossì appena a quel pensiero, e si sforzò per sostenere il suo sguardo mentre gli stringeva la mano. «Oh, no, Signor Sorrentino, ma grazie. Resterò poco. Sono Camilla» si presentò. «Chiamami Salvatore, Camilla. Dimmi tutto. I tuoi genitori sanno che sei qui? Quanti anni hai?» iniziò a chiedere con tono preoccupato, tornando poi a sedersi. Camilla sfilò lo zaino dalle spalle, lo poggiò a terra e si sedette su un divano posto accanto all’altro, ad angolo retto, in modo che potessero guardarsi durante la conversazione. Stringeva lo zaino fra le gambe e lo sguardo, timido, si soffermava sul tavolino davanti a lei. «Io… Ehm… Ne ho quattordici. No, insomma, non credo che…» la voce le si ridusse a un sussurro, poi si schiarì la voce. «Non credo che ce ne sia bisogno. Ero di strada da scuola» mentì. Salvatore non commentò e restò in silenzio, in attesa di sentire cos’altro avesse da dirgli, ma l’altra non aprì bocca per più di un minuto; sembrava star riflettendo su cosa dire e lui non voleva metterle fretta. Alla fine parlò.
   «Voi siete… Un poliziotto, giusto?» chiese alla fine, scoccandogli uno sguardo preoccupato. L’uomo sorrise divertito, puntando i suoi occhi azzurro ghiaccio in quelli verdi della ragazzina. «Una specie. Sono più un carabiniere» scherzò per alleggerire la tensione, ma vedendo l’altra annuire senza un sorriso tornò ad accigliarsi, sporgendosi in avanti per dimostrarle la sua attenzione. Camilla strinse le labbra, di nuovo con lo sguardo perso sul tavolino. «Voi siete… Voi avete parlato con Mattia? L’anno scorso, voglio dire. Avete parlato con Mattia… No?» chiese con un filo di voce; quasi piangeva e a Salvatore servì qualche istante per capire l’argomento. «Mattia?» chiese infatti, brusco. Tornò in silenzio, lo sguardo basso, poi lo rialzò sulla ragazzina. «Rossi? Quel Mattia?» domandò di nuovo. Camilla annuì con il capo chino.
   «Ecco il caffè! Salvatore, dammi una mano che pesa proprio…» entrò d’un tratto la donna di mezza età; l’uomo ci mise un momento di troppo per alzarsi, ancora con lo sguardo perso nel vuoto. «Dai a me. Grazie mamma» congedò la donna con uno sguardo eloquente, uno sguardo che le aveva già rivolto altre volte e che voleva sempre dire: “Qui ho un problema, sii discreta”. La madre intese, annuì e uscì silenziosamente, mentre il vassoio veniva poggiato sul tavolino. Salvatore tornò a sedersi con un sospiro, poi prese la sua tazzina di caffè e la portò alle labbra, senza bere. Aveva lo sguardo fisso sulla ragazzina. «Camilla, prendi un biscotto. Con l’aranciata quelli sono proprio buoni» la invitò con dolcezza. La ragazza rialzò lo sguardo su di lui, annuì con un sorriso e allungò una mano verso i biscotti. «Grazie…» bofonchiò prendendone uno e tenendolo fermo tra due dita, mani in grembo e spalle ricurve, come durante una confessione particolarmente dolorosa. Salvatore non la forzò, sorseggiando il caffè con calma. «Non potete… Parlare di quello che vi ha detto, vero?» chiese a bassa voce. Salvatore scosse piano la testa, anche se Camilla non poteva vederlo, e mormorò piano un diniego. Non capiva e non aveva intenzione di spaventarla ponendo domande difficili, così si limitava ad ascoltare e rispondere quando doveva. Sembrava calmo, rilassato, ma dentro di sé era animato da una smania di sapere incontenibile. L’unico movimento che si concedeva era quello degli occhi, che febbrili si spostavano sulla figura di Camilla alla ricerca d’informazioni.
   «Sì» bofonchiò d’un tratto la ragazzina. Salvatore batté le palpebre. «Come?» chiese, ma lei si coprì il volto con la mano libera. «Dio mio, è terribile!» mormorò con voce angosciata. L’uomo si mosse sul posto, impacciato, poi si protese verso di lei e allungò una mano per toccarle una spalla, cambiando idea all’ultimo momento e ritraendola con una smorfia. «Camilla, stai bene?» le chiese preoccupato. Quando la vide rialzare il volto quasi si spaventò: aveva gli occhi lucidi, le guance scarlatte e si mordeva le labbra con tormento. Salvatore aprì la bocca per dire qualcosa, ma non trovando nessuna parola adatta si allungò di nuovo per poggiare la tazzina sul suo piattino e incrociò le gambe, in attesa. «Signor Sor… Salvatore» Camilla richiamò la sua attenzione senza che ve ne fosse bisogno, inspirando profondamente. «Salvatore, voi avete chiesto a Mattia se il compagno della mamma gli avesse fatto qualcosa che non gli piaceva» annunciò con tono vibrante, in modo spedito per non perdere il coraggio a metà. Salvatore si accigliò ancor più di quanto già non fosse; la notizia era facile da ricavare, o quantomeno da intuire, ma non disse nulla. «Mattia vi ha detto di no. Allora voi avete chiesto alla signorina bionda che era con voi se poteva prendere la bambola speciale, e lei ha detto di no, non era l’ambiente e non si poteva e altre cose del genere, ma voi l’avete fatta andare via e poi…»
   «Chi ti ha detto queste cose? Amelia?» la interruppe stupito il carabiniere, ma Camilla andò avanti senza ascoltarlo; gli occhi erano fissi sul bicchiere d’aranciata, dimenticato sul vassoio. «…l’avete fatta andare via e poi vi siete avvicinato a Mattia, vi siete abbassato di nuovo vicino a lui e avete detto: “Matti’, se ti ha fatto male noi lo portiamo via da qua, però ce lo devi dire, così non ti farà mai più del male”…» continuò. Salvatore la fissava con le labbra schiuse, in un’espressione di sincero stupore. «E lui vi ha detto di no, si è messo a piangere ed è arrivata la mamma, e voi ve ne siete dovuto andare. È vero?» domandò con la voce che le tremava. Salvatore aveva la bocca secca. «Come… Come fai a saperlo? Te l’ha detto Mattia?» si sforzò di chiedere, ma Camilla non rispose limitandosi a tener chino il capo. Salvatore si spostò verso il bordo del divano, per avvicinarsi alla ragazzina. «Camilla, per piacere, dimmelo. Te l’ha detto Mattia? Hai visto Mattia? Quando te l’ha detto?» chiese di getto, ma Camilla scosse il capo. «No, Salvatore, voi non avete capito…» mormorò la ragazzina. Gli occhi verdi erano fissi sulle scarpe da ginnastica e i capelli rossi, sciolti e ribelli, le coprivano il volto come una tendina. «Io vi posso dire quello che non sapete, ma voi non mi potete chiedere come faccio a saperlo… È questo il guaio e mi dispiace tanto, davvero tanto, ma le cose stanno così» mormorò con voce appena udibile. Salvatore continuava a fissarla senza sapere bene cosa dire, cosa fare.
   «Camilla, sai che dovresti venire in Caserma con me, vero?» chiese anche lui con un filo di voce; senza volerlo si erano ritrovati a mormorare. La ragazzina annuì. «Lo so. Ma se mi portaste davanti altre persone io direi che non è niente vero e voi fareste una brutta figura senza ricavarci niente» rispose lei, poi cominciò a muovere nervosamente una gamba. Salvatore annuì, come convinto di quanto appena udito; poi portò il busto allo schienale, poggiandocisi quasi stancamente. «D’accordo, allora dimmi pure» si arrese, le dita intrecciate e portate alla bocca, concentrato sulla figura giovanile davanti a sé. «Il compagno della mamma gli ha davvero fatto cose brutte, ma Mattia non poteva dirlo. Era molto, molto spaventato. Non potete nemmeno immaginare quanto. Così un giorno, durante una… Una di queste, di queste cose brutte…» si ammutolì. Salvatore pensò che non era argomento per una quattordicenne e gli si strinse il cuore nel vederla così. «Lui ha urlato, e ha detto che l’avrebbe detto alle maestre, e le maestre avrebbero chiamato la polizia, e pure quel poliziotto gentile che poi siete voi, Salvatore. E così lui… Lui…» tornò in silenzio. Salvatore non poteva vederle il volto, ma dal tono della voce immaginò stesse piangendo. Chiuse gli occhi, sospirò, portò la mano destra a massaggiare il setto nasale. Non disse nulla e alla fine Camilla si alzò molto, molto lentamente. Portò il biscotto alla bocca, ne spezzò un pezzo con gli incisivi e lo masticò con calma; Salvatore non rialzò lo sguardo e lei terminò lentamente il biscotto. Portò la mano al bicchiere d’aranciata, lo terminò in due sorsi, lo poggiò nuovamente sul vassoio e alla fine infilò la mancina in una tasca del cappottino, estraendone un altro bigliettino -questa volta ben piegato. Lo porse a Salvatore, il quale lo prese con indice e medio senza convinzione, quasi temendolo. Rialzò lo sguardo sulla ragazzina, scoprendole senza sorpresa gli occhi lucidi dal pianto. Lei gli sorrise tristemente e lui ricambiò. «La descrizione era molto accurata e con Google Maps non è stato molto difficile, ma se fosse sbagliato l’indirizzo allora lo scoprirò dal telegiornale e vi farò avere informazioni più precise. Mi dispiace tanto. A Mattia piacevate proprio tanto» concluse con un mormorio. Salvatore annuì e Camilla si voltò, recuperò lo zaino dal pavimento e s’incamminò verso l’uscita. «Ah, per favore, ringraziate vostra madre per l’aranciata e i biscotti» lo pregò prima di sparire nel corridoio. Salvatore non disse nulla, e pochi momenti dopo udì la porta d’ingresso richiudersi con garbo.
    Gli ci vollero quasi cinque minuti per aprire il foglietto, dove una grafia da ragazzina aveva scritto, in blu, un indirizzo a lui sconosciuto completo di coordinate. Il carabiniere lo fissò per un po’, poi tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e andò nelle chiamate rapide. «Sono Sorrentino. Ho una pista per il caso Rossi» borbottò senza entusiasmo, lo sguardo fisso su quel pezzo di carta quasi troppo bello per essere vero; non fosse stato per l’odore di Camilla, un profumo di shampoo fruttato rimasto nell’aria, probabilmente avrebbe temuto di averla solo immaginata.
 
* * *
 
   Il telegiornale regionale parlava di un bambino. La sua foto era in sovrimpressione e Camilla lo vedeva per la prima volta; non guardava molto la televisione. Era piccolo e sorridente e alla ragazzina sembrò simpatico. Un microfono era puntato verso il viso sbarbato di Salvatore, ben dritto nella sua uniforme da carabiniere e intento a spiegare, in modo un po’ impacciato, la chiusura delle indagini. Camilla ridacchiò nel sentirsi definire “un informatore anonimo”.
  «Grazie» scandì affettuosa una voce alle sue spalle. Camilla sorrise al televisore. «Non c’è di che» rispose malinconica. La voce, sottile e infantile, tornò a farsi udire. «Non vuoi guardarmi, vero?» chiese con tono triste. La ragazza abbassò il capo, incapace di rispondere, e l’altro rise. «Non ti preoccupare. Chiudi gli occhi» mormorò e lei eseguì. Le venne scoccato un bacio sulla guancia, che continuò a scottare per ore; quando riaprì gli occhi, qualche minuto dopo, era di nuovo sola.


 


Note dell'Autore
Questo è il primo capitolo del mio nuovo romanzo. Lo scriverò lentamente, ho un altro lavoro da terminare prima di questo, quindi ho deciso di postarne l'inizio su EFP. Il continuo della pubblicazione in anteprima su EFP dipende dall'eventuale successo che riscuoterà o meno sulla piattaforma. Insomma: se volete continuare a leggerlo, fatemelo sapere: recensioni e messaggi privati sono ben accetti.

 

Pagine – 9
Parole – 2.658
Caratteri – 16.267
Tempo di lettura – 13 minuti

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Daleko