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Autore: 50shadesofLOTS_Always    26/11/2017    3 recensioni
Dal testo: "« Puoi sempre iscriverti » ti distrae e riesce, come al solito a strapparti un sorriso.
Solo un altro uomo ci sarebbe riuscito…
« Ci farò un pensierino ».
Annuisce e accenna un sorriso mentre afferra il manico della valigia e si avvia fuori verso la macchina."
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Per la serie "quando fangirlare diventa pericoloso". Un altro piccolo esperimento, stavolta POST-AVENGERS, per cui sicuramente progetterete di uccidermi.
[nessun OOC di Tony/perchè faccio sogni strani]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold 'Happy' Hogan, James 'Rhodey' Rhodes, Nuovo personaggio, Virginia 'Pepper' Potts
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attorno a te c’è il caos: poliziotti che organizzano le volanti per portare i sopravvissuti a casa o in ospedale, paramedici che soccorrono le vittime più gravi ai lati delle strade devastate, pompieri che frugano tra i grattacieli sbriciolati per un solo segno di vita. Gli unici suoni che si sentono sono gli ululati delle ambulanze, lo scricchiolio delle macerie instabili e un mormorio indistinto.

Ti senti a disagio. Forse per via del tailleur bianco che non hai avuto il tempo di cambiare con abiti più comodi perché dovevi assolutamente sapere. Ti sembra tutto così surreale.
Cammini esitante sull’asfalto attraversato da profonde spaccature, facendo attenzione a non romperti il collo sulle Louboutin tortora. Non sai dove andare, anche perché i punti di riferimento che avevi non ci sono più.

‘La cosa ti spaventa, ma ciò che veramente ti terrorizza è che tu perda il punto.’

Svolti l’angolo e il tuo sguardo si posa su un bestione verde, fatto solo di muscoli, appoggiato al terreno sulle nocche con le spalle curve. Poco lontano un uomo dai capelli biondi e lunghi sembra essere uscito da un libro di leggende, con indosso una lucida corazza argentea, un mantello rosso sangue che sventola svogliato, e un martello stretto in un pugno. Accanto, chinato a terra su un ginocchio, un soldato fasciato da una tuta e, sulle spalle, uno scudo discoidale bianco e rosso con capeggiante al centro una stella.

Ti avvicini, attirando la loro attenzione. Si voltano e ti osservano insospettiti. Sui loro volti stanchi e coperti di polvere, a caratteri cubitali, la perplessità ma anche la stanchezza.

Ti schiarisci la voce.
« Dov’è Tony? ».

Un vago senso di panico scivola lungo le tue gambe verso l’alto, annidandosi nel tuo petto quando il viso del gigante umanoide si accartoccia mentre su quello del dio nordico, scorgi la presa di coscienza. E guarda il giovane che si alza in piedi, confuso ma vagamente sorpreso.

Lo guardi anche tu e aspetti che ti dica qualcosa, quando i tuoi occhi cadono su un oggetto dorato ai suoi piedi. Una maschera minacciosa che hai imparato ad amare pur conoscendo i rischi che si porta appresso.

E lo noti, disteso a terra, dentro la sua armatura rosso e oro, ammaccata in diversi punti e non lucida come al solito. Non aspetti la risposta e con un braccio, ti fai spazio. Il gesto è così debole che se non lo avesse voluto, non lo avresti mai scansato. Fanno un passo indietro tutti e tre, ma non t’importa.

Ti inginocchi lentamente così da poter raccogliere il suo capo e poggiarlo nel tuo grembo, come quando lui terminava di gingillarsi in laboratorio e ti cercava per infastidirti, di distrarti dal lavoro. Si distendeva sul divano e ricercava la sua dose di attenzioni quotidiane. E allora al diavolo i contratti, finivate per fare l’amore fino al mattino seguente.

Le tue mani tiepide sembrano calde a contatto con la sua pelle gelida. Tremano mentre gli incornici il viso disteso in un’espressione di calma soddisfazione, come se avesse compiuto ciò che era necessario.

‘Necessario per tenerti al sicuro.’

Mentre le dita di una di esse assaporano il pizzetto ispido, che delinea la sua mascella, le altre s’intrufolano tra le ciocche dei suoi capelli sbarazzini.
« No, ti prego… No… ».

Sussurri debolmente mentre il cervello si spegne. Non riesci a sentire più niente, tranne la morsa al cuore stretto da una fascia di metallo.

Sei senza fiato mentre senti le lacrime rotolare sulle tue guance. Ti mordi il labbro inferiore per trattenere un lamento, ma è inutile.

‘La tua paura, il tuo peggior incubo è diventato realtà.’

Ti chini col busto su di lui, ti aggrappi al suo corpo artigliando la corazza mentre posi la fronte contro la sua. Un gesto che vi univa, forse anche più dei baci.

Nel farlo il dolore t’investe come le acque di un furioso torrente in piena e dal petto si irradia a tutto il tuo corpo, strappandoti un gemito. Singhiozzi nel tentativo di frenare il pianto, ma è inutile. Non puoi accettare che sia morto.

‘Morto per te.’

Deglutisci mentre coi pollici porti via le lacrime che hai versato sulle sue guance. Spinta da uno strano senso di colpa, lo baci perché la bambina che è in te crede nelle favole, che adesso si sveglierà. Magari ti sta facendo uno dei suoi soliti scherzi e, sei quasi pronta a prenderlo a schiaffi per quel suo insano modo di giocare.

Sollevi il capo e lasci vagare lo sguardo sul suo volto, che lentamente sta virando ad un colorito cinereo, in attesa di un suo segno. Vorresti che aprisse gli occhi, a volte cupi e torbidi come pozzi. Che ti guardasse con quel suo modo sempre un po’ malizioso, facendoti sentire la più bella che avesse mai frequentato.

Lo scuoti leggermente, ma non reagisce e ricadi sul suo petto.
« Tony… Per favore ».

Delusa, scoppi di nuovo a piangere perché per un attimo ci avevi creduto davvero. Posi un palmo sul reattore arc, sul suo cuore a batteria, che prima brillava di un’intensa luce azzurra e ti proteggeva come le coperte dai mostri quando avevi l’apparecchio ai denti.

Senti qualcuno che ti chiama dall’alto, ma non rispondi. Non vuoi sentire nessun’altra voce a parte la sua.
*
Così prendi il tuo cellulare, sperando che ti abbia lasciato un messaggio prima di sacrificarsi come avrebbe fatto un vero eroe, un vero uomo innamorato. Ma non c’è nessun messaggio e lo sai. Solo che comporre il numero alleggerisce il fatto di non avergli risposto.
« Signorina Potts? ».

La voce cortese di Happy ti distoglie dal tuo smartphone che tieni in mano, ti dice che fuori ti aspetta un gruppo di sciacalli. Raddrizzi le spalle, tiri fuori la parte di te che ti ha fatto guadagnare la sua fiducia. Ti chiamava Pepper per un solo e unico motivo.

Avanzi a passo sicuro e Happy ti precede di poco, per aprirti il battente a vetri. Giornalisti, fotografi e cameraman ti circondano e subito piovono domande da tutte le direzioni come proiettili.
« Signorina Potts, sa dirci chi salirà sul trono delle Stark Industries? »
« Cos’è successo al Signor Stark? »

Vacilli, colta da un senso di nausea ma riesci ad arrivare indenne alla Rolls Royce.
*
Il cielo è terso, sporadiche nuvole oscurano il sole per brevi istanti, gettando ombre insolite sul prato. L’aria fresca di inizio autunno sembra deriderti.

Non hai avuto il coraggio di tornare alla Stark Tower e dormire in quell’attico semidistrutto. Così hai dormito nella camera di un albergo e ti sei svegliata, in quel grande letto.

Ti sei guardata intorno, spaesata. Il silenzio è tuttora così vuoto da scavarti nell’anima e lasciarti spoglia.

Ti sei alzata, priva di forze e infreddolita, una volta in quella che era diventata casa vostra, hai preso a vagare per le stanze mentre alcuni operai sistemavano le finestre del salotto ridotte in granelli di silicio.

Sei entrata nel suo ufficio, dove non mettevi piede da diversi giorni, dalla partenza per Washington.

Ti sei avvicinata alla scrivania e i tuoi occhi si sono soffermati su una cornice, che vi ritraeva insieme a casa di Rhodey. Tu guardavi l’obiettivo, che ti aveva colta di sorpresa mentre lui aveva lo sguardo perso in te. Quel suo sguardo di bambino sperduto, tanto dolce da far sciogliere qualsiasi cattivo.

Poi ti sei ferita accidentalmente un dito, sfiorando i fogli di un documento che non avevi mai visto.

'Per fargli mettere una firma, ti ci voleva almeno una settimana.'

Lo hai sfogliato leggendo cifre esorbitanti, mobili e immobili affiancati al tuo nome di battesimo completo.

Poi in fondo dopo la data di una settimana fa, la sua firma veloce e accanto, quella dell’avvocato e il timbro dell’ufficio legale.

Porgi la fotocopia di quel plico a Rhodey, in piedi accanto a te mentre fissi impassibile la bara lignea che viene calata sotto due metri di terra.

‘Insieme al tuo cuore.’

Lui scorre quella lunga lista di beni che ora ti appartengono, ma a cui non hai mai prestato attenzione; poi solleva il volto verso di te.
« Non sapevo niente »
« Perché lo ha fatto? » gli chiedi, sperando che ti dia una risposta meno scontata.
« Lo sai ».
 
‘Certo, che lo sai.’
« Non voglio le sue cose » dichiari quasi arrabbiata.
Riesce a farti innervosire anche adesso che non c’è più…

« Sono le sue ultime volontà » ti ricorda e stavolta non riesci proprio a trattenerti.
« Io volevo solo che tornasse ».
Non replica e te ne penti.

‘Non è stata colpa sua, anche lui aveva la stessa speranza.’
« Che devo fare? ».

Gli altri non sanno che non eri a conoscenza di quel testamento abbozzato, ma sai perché ci sei solo tu su quel pezzo di carta.

Gli altri non sanno che entrambi non avevate nessuno a parte l’altro. Tranne…
« Non importa l’opinione degli altri » ti risponde Rhodey, quasi leggendoti nel pensiero.

Ti volti, gettando un’occhiata assente a quei fogli che tiene tra le mani. Ti viene da sorridere per l’ironia che conserva l'unico pensiero che t’impedisce di raggiungerlo, mettendo fine alla tua miserabile vita. A tutto.
« Sai, quella lista è incompleta »
« In che senso? »
« Ci sono beni che non possono essere valutati, Rhodey » dici quasi sovrappensiero, la voce consumata dal pianto notturno.

Ci impiega qualche secondo, ma quando ti accarezzi la pancia, sgrana gli occhi.
« Pepper… »
« Non sapevo niente » sussurri, portandoti una mano sulla bocca.

‘Se solo avessi risposto alla sua ultima chiamata…’
Senti il braccio del suo migliore amico avvolgerti le spalle, il pollice disegnare dei cerchi sulla tua spalla.
« Vi proteggeremo e andrà tutto bene ».
*
Ti guardano basiti quando dai loro la conferma. Non ci credono, ti danno dell’arrampicatrice sociale pur non dicendotelo ad alta voce.

Porti per istinto la mano sul tuo addome che ha cominciato a gonfiarsi, sperando che non senta le cattiverie che seguiranno a quella conferenza.
Rhodey si avvicina e ti porta via dalla sala del tribunale, dopo che il giudice ha emesso il verdetto. Happy è sempre un passo avanti a voi mentre cerchi di mettere un piede davanti all’altro. Sei così stanca che una volta a casa, affermi che smetterai di combattere.

‘Ma non puoi. Non potresti mai lasciare l’azienda, la Villa.’
Continuerai ad amministrare e dirigere le Industries, continuerai a camminare sul pavimento lucido di quelle stanze lussuose. Anche se è finito tutto.
*
All’inizio non volevi. I mesi passavano, la pancia cresceva così come il timore di essere incapace e il senso di solitudine, intessuti fino a creare una cappa; adagiata sulle tue spalle da quel maledetto giorno.

All’inizio non potevi. Solo portarlo in grembo ti toglieva il sonno e per un attimo, hai pensato perfino di abortire. Rhodey e Happy ti hanno convinta a non farlo, perché sarebbe equivalso a distruggere una parte di Tony.

Poi hai optato per l’adozione, convincendoti che oltre ad essere la soluzione più giusta, avresti reso felice quella vita e quella di un’altra donna.
Adesso è tra le tue braccia, ha smesso di strillare e ti senti smarrita. ‘Cosa puoi offrirgli se non le tue lacrime e la tua disperazione per suo padre?’

Ti senti in imbarazzo quando un paio di ore dopo, Rhodey e gli Avengers a turno, si avvicinano per vederlo. Si complimentano e dicono che ti somiglia, ma tu li smentisci: somiglia a suo padre.

Guardi l’infermiere che te lo ha portato, avvolto da una coperta azzurra, come il suo cuore luminoso.
« Non posso ».
Dichiari senza fiato mentre senti le lacrime rotolare sulle tue guance. Stavolta per un motivo diverso.
*
Il cielo è limpido, il sole splende sulla piatta distesa di acqua oceanica. Il vento frizzante di fine primavera pare aver ripulito il tuo animo tormentato.

Sono passate poche settimane da quando hai ripreso un po’ a vivere. L’apnea è finita e adesso, siedi sul una poltroncina, sul terrazzo che da sul Pacifico, con la tua nuova possibilità.

Si appoggia al tuo seno, in cerca del tuo calore e sospiri mentre prendi una delle sue piccole manine tra le tua. Distendi piano le sue dita sul tuo palmo e lui ti guarda, con quel buffissimo ciuffo di capelli scuri che sbucano da sotto un berretto, che lo protegge dal sole. E gli occhioni da cucciolo color cacao, i suoi.

E’ così piccolo, indifeso e innocentemente ti fa del male perché ti ricorda che non è solo parte di te.
E’ parte di Tony.

E’ così dolce, vitale e inaspettatamente ti fa sorridere perché è tutto ciò che ti resta di lui. Tutto ciò che ti resta di voi.

Lo stringi al petto e sospiri mentre gli massaggi la schiena. Senti che si aggrappa alla stoffa della tua blusa per poi nascondere il viso paffuto contro il tuo collo.

All’improvviso il mondo ha ripreso un po’ dei suoi colori, perché è vostro figlio il centro del tuo mondo.
*
« Mami… » mormora, seduto sul sedile accanto a te quando Happy ferma l’auto.
‘Ti fa ancora una certa impressione sentirti chiamare con quell’appellativo.’

« Sì? »
« Chi sono? » ti chiede, indicando con un ditino la calca di gente che vi attende all’ingresso dell’hotel.
« Sono solo persone ».

Odi queste serate, ma non puoi farne a meno e averlo con te ti aiuta a guardare in faccia magnati e ricconi – privi di scrupoli, decenza e spesso cervello – a stringere loro la mano e accennare un pizzico in più della tua solita cortesia.
« E che fanno? »
« Aspettano te » dici mentre Happy ti apre la portiera e ti aiuta a scendere.

Mentre ti sistema lo strascico allunghi una mano verso il tuo piccolo angelo, che ti fissa confuso con gli occhietti vispi stretti in due fessure circospette.
« Perché? »
« Perché… - ci pensi su, poi gli rispondi con la verità – Perché sei speciale, amore ».

Lo aiuti a scendere dal bolide e quando lo aggirate, mano nella mano, una seconda ovazione ancor più fragorosa si leva dalla folla, che comincia a premere sulle transenne da ambo i lati.

Il clamore non sembra turbarlo e noti con un cipiglio di rassegnazione, che comincia a godersi il proprio debutto in società con uno smoking su misura, ma soprattutto con la stessa sfacciataggine del padre.

Ti sistemi una ciocca di capelli sfuggita all’acconciatura dietro l’orecchio, lasciandolo appena un secondo per sistemare gli ultimi dettagli con Happy.

« Anthony...! » lo richiami mentre lo prendi in braccio, appena in tempo, prima che sfugga al tuo controllo e soprattutto mettendosi in pericolo.
Non riesce a stare fermo per più di cinque secondi senza combinare guai.

I mass media vi guardano da tre anni basiti e ancora non ci credono, ma non possono a questo punto negare o fingere che non sia uno Stark.

Gli permetti di sedersi a cavalcioni sul tuo fianco e ti avvii sul red carpet. Dei fotografi non tardano a chiedere di fermarti per farvi una foto, che sai compirà il giro del mondo in pochi secondi.

Tenendolo saldo, gli aggiusti il papillon mentre lui saluta tutti con una manina e ti viene di nuovo da sorridere. E’ proprio figlio di suo padre, perfettamente a proprio agio davanti alle telecamere.

Giri su te stessa cosicché possano ammirare il tuo principe mentre ride, entusiasta, con quell’ilarità che viene forse dal cielo.

I flash scattano all’impazzata. Ma lui si concentra su di te e teneramente sposta la frangia dai tuoi occhi con quell'amore che ha ereditato, e capisci che Tony è qui con te, non ti ha mai lasciata.
*
Lo hai beccato inflagrante mentre cercava di forzare, per la quarta volta solo quella settimana, la teca che contiene la Mark III. Lo hai sempre saputo che prima o poi ci sarebbe riuscito perché, dannazione, è così furbo e così precoce, che quasi ti spaventa.

Lanci un’occhiata a Ferro Vecchio, immobile da cinque anni e lo immagini che se ne va a spasso alle sue calcagna.

Ci hai provato a tenerlo lontano da quel laboratorio, avvolto in teli di plastica ormai coperti da un manto fastidioso di grigiore. Non volevi che entrasse in quel seminterrato, con la scusa che è pieno di cose pericolose per un bambino della sua età.

‘In realtà è perché ti fa male non sentire i Black Sabbath a tutto volume, lo sferragliare della saldatrice, il tintinnio della chiave inglese e le imprecazioni.’

Tiene il capo basso, le mani giunte dietro la schiena mentre con un piedino, disegna dei cerchi sul pavimento e capisci di aver fatto il tuo primo errore da mamma.
Senti la rabbia scivolare via lentamente e prima che tu possa accorgertene, lo hai perdonato, perché sei conscia che non gli hai dato il suo stesso nome a caso. 

Hai sottovalutato diversi episodi come il fatto che la sua prima parola è stata “bullone”, seguita da “J.A.R.V.I.S” e solo dopo da “mamma”. O come quando alcuni mesi fa, lo hai trovato a sfogliare un libro sulla fisica avanzata.

Ed è mentre ti sfida con timidezza, sollevando lo sguardo su di te – proprio come avrebbe fatto lui – che ti arrendi come burro fuori dal frigo perché, maledizione, è troppo carino. Si avvicina con quel passo ancora ciondolante e si stringe alle tue gambe per scusarsi.

Gli passi una mano tra i capelli scuri, sempre più folti, e lui ti guarda da sotto le ciglia, pregandoti silenziosamente di raccontargli di nuovo chi fosse Iron Man.
*
Lo hai sgridato quando hai visto, per la terza volta in quel mese, le sigarette spente dietro la pianta in salotto. Lo hai sempre saputo che, prima o poi, ci sarebbe cascato perché è un pazzo spericolato senza alcun rispetto per il tuo cuore, ricucito alla bell’e meglio.

Lui ti fissa indignato, come solo un dodicenne alla ricerca di approvazione sociale può esserlo. E lo immagini mentre ti tiene il broncio per settimane.

Ci hai provato a tenerlo lontano da brutte compagnie, di cui non ricordi neanche i nomi, perché non volevi fare la fine delle tue dipendenti che si lamentano dei propri figli ribelli.

‘In realtà è perché ti ricorda Tony quando ancora non stavate insieme e si autodistruggeva fra sesso e alcol.’

Quando ti urla che sei insopportabile per poi sbattersi la porta della sua camera al piano di sopra, capisci di aver commesso il tuo secondo errore da mamma.
Senti la rabbia scivolare via di nuovo – meno lentamente però – e prima che tu possa accorgertene, lo hai perdonato perché capisci che il suo caratteraccio non dipende dal DNA.

Hai sottovalutato altri episodi, come quella volta che ti ha chiesto se ti vedessi con quel dipendente. O quando ha smesso di farsi accompagnare da Happy perché aveva saputo che ti aveva invitata a cena.

Ed è mentre lo senti scendere le scale, che ti prepari al secondo round. Ma si avvicina con quel passo sicuro – esattamente uguale al suo – e ti stringe alla vita per scusarsi.

Gli passi una mano tra i capelli, di cui si è tinto un ciuffo di rosso, e lui ti guarda da sotto le ciglia, pregandoti silenziosamente di raccontargli di nuovo chi fosse Iron Man.
*
Esci dall’ufficio. Non porta più il ciuccio, ma non ha ancora la barba quando…
« Mamma, io devo andare » ti dice titubante, in piedi davanti all’ingresso di casa con un trolley accanto e un borsone sulla spalla.

…arriva quel – secondo – giorno maledetto. Ti abbracci l’addome, hai lo stomaco in subbuglio.

Ti sei rifiutata di sapere che prima o poi sarebbe partito per il mondo, di cui ha una fame spropositata. Trovi curiosa quella volta in cui Rhodey ti ha detto che, di solito, i figli maschi sono mammoni.
‘Accidenti a te, Colonnello!’

‘La verità però è che sei tu che non vuoi stare da sola. L’idea di quella casa, di quel letto e del silenzio ti terrorizza.’

Non sei pronta per tornare a quel periodo in cui ogni minimo suono ti costringeva a temere per la tua incolumità, perché non ci sarebbe stato un supereroe a sollevarti prontamente in volo.

Te lo aveva detto di voler andare al MIT, di studiare sugli stessi banchi di quel padre che ha amato e continuerà ad amare, a prescindere dalla sua assenza involontaria. Ma credevi che lo dicesse solo perché ogni bambino desidera diventare come papà.
« Okay » balbetti dopo esserti schiarita la gola, ma la voce ti si spezza comunque.

‘Non sei pronta per questo.’
Ti manca il fiato e ti senti una schifosa egoista perché dopo avergli negato una figura paterna su cui fare affidamento, cerchi in ogni modo di legarlo a te.
« Se vuoi, puoi venire con me all’aeroporto » ti propone perché sa.

Lui ha sempre saputo, che adoravi portarlo a Washington o a New York.
« Meglio di no ».

Il solo pensiero di non poterti sedere accanto a lui, come quando ti accompagnava a conferenze e riunioni, ti distrugge.
« Puoi sempre iscriverti » ti distrae e riesce, come al solito a strapparti un sorriso.

Solo un altro uomo ci sarebbe riuscito…
« Ci farò un pensierino ».

Annuisce e accenna un sorriso mentre afferra il manico della valigia e si avvia fuori verso la macchina.
Immergi la faccia fra le mani, soffocando un singhiozzo.

‘Dio, come sei sciocca…’
Senti un tonfo e lo scricchiolio delle sue scarpe.

Dopo qualche breve istante, le sue braccia ti salutano un’ultima volta.
« Ti chiamo appena atterro. E quando arrivo al campus. E ogni mattina appena sveglio e ogni sera prima di andare a letto » mormora senza bisogno che tu dica una sillaba, perché sa.

Ha sempre saputo che è tutto ciò che ti resta di bello nella vita.
*
Il cielo è screziato di rosa e di oro, il sole è pronto a tramontare e l’atmosfera calma sembra il riflesso apparente della situazione.
E’ stato un giorno come un altro…

Anthony ha deciso di portarti a cena per parlarti di ciò che gli succede, di ciò che ha progettato in quella pausa tra un master e l’altro e tu speri solo che la sua nuova invenzione non butterà giù casa.

Una parte di te è inquieta. ‘E se ha trovato una ragazza?’
 
Ma tanto, l'alter ego del tuo istinto materno l'ha già etichettata, come la decina di ragazze diverse corteggiate in precedenza: proverà ad appropriarsi solo della sua immagine di ricco ereditiere.
 
Davanti allo specchio, ti sistemi la gonna a tubo del vestito rosso. Sono cambiate molte cose nel corso di venti anni, come i tuoi capelli sempre meno ramati e la tua pelle con più rughe di quante ne avessi mai contate; ma non il rosso. Era il suo colore, gli piaceva vedertelo addosso.

Il rosso è scomparso dai capelli di vostro figlio, che fa capolino nella tua stanza con un’espressione malandrina. La stessa che indossava insieme alla toga il giorno della laurea. La laurea numero tre.
« Sei già pronto? » gli chiedi un po’ colta di sorpresa.

Non hai mai tardato nel prepararti.
« Io sono nato pronto » scherza, ma c’è verità in quelle quattro semplici parole.

E’ nato per salvarti e renderti felice, come avrebbe fatto lui.

Si avvicina a te e nel mentre, ti accorgi che tiene una scatolina in mano. Solo quando si ferma al tuo fianco, ti accorgi che ha l’aria invecchiata, ma il velluto che la ricopre è ancora lucido.
« L’ho trovato nella giacca di Happy – aggrotti la fronte – Papà gli aveva detto di custodirlo »
« Custodirlo? »
« Per il momento opportuno ».

Fissi quell’innocua scatola che lui ti porge, una parte di te sa che cosa contiene…
« Vuoi che la apra io? » mormora, quasi in un suggerimento.

Osservi le sue dita che agitate come il tuo labbro inferiore, sollevano il coperchio per rivelare il brillante, da almeno un miliardo di carati per millimetro quadrato, che riflette i colori di una promessa mai fatta ad alta voce.
« Da quanto? » chiedi, incapace solo di ritrovare un minimo di senso logico.

« Dal 2008 ».
Non riesci a fermare un gemito, che cerchi di celare dietro una mano mentre l’altra si stringe a pugno.

Fissi, quel trio di diamanti su montatura oro bianco, pietrificata e non sai cosa fare.
« Mamma… » perché è cresciuto e sa che dopo tanto tempo, non è più necessario fingere che vada tutto bene.

Ti porti una mano alla fronte, incapace di guardarlo perché sai che se lo fai adesso, scoppierai in lacrime.

Sono cambiate molte cose nel corso di venti anni, ma la voragine che squarcia il tuo cuore sanguina ancora copiosamente, così come adesso scendono le lacrime dai tuoi occhi.

Ed è mentre ti prende la mano per metterti l’anello, che ti accorgi che è troppo tardi. Stai già piangendo perché Tony ti manca da morire. Nonostante il tempo, non ci hai ancora fatto l’abitudine.
« Va tutto bene, mamma. Va tutto bene » ti rassicura perché ora sa che a guardare le spalle di Iron Man c’eri sempre tu.

Angolo Autrice: Lo so, lo so. Mi odio anch’io, ma l’angst è il mio pane quotidiano ultimamente… *sob*
Per chi mi segue: vi avevo promesso una one-shot e questa era chiusa da un po’ nel pc, insieme a tante altre che spero di pubblicare tra non molto. L’ho rivista ed è uscito questo, che malgrado gli accidenti che mi invierete, spero sia stata di vostro gradimento. Avviso inoltre del mio ritorno a breve con “Rescue Heart” e (spero >.<) anche “You’ll Be in My Heart”.
Per chi è nuovo e giunto fin qui, grazie :*
A presto,
50shadesofLOTS_Always
PS: se vi va, lasciate pure un commentino 😉


   
 
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