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Autore: MadAka    27/11/2017    0 recensioni
Breve fan fiction con protagonisti i fratelli Blues.
Mi sono chiesta cosa potrebbe essere successo nell'orfanotrofio in cui i due sono cresciuti e questo è il risultato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ti ricordi come abbiamo iniziato?» 

Al suono della domanda di Jake, Elwood reagì voltando impercettibilmente il capo verso il fratello. Gli occhi dell'altro erano oscurati dalle lenti nere degli occhiali, ma stavano certamente vagando nello spazio; un altro spazio, con tutta probabilità.

La stanza era un caos di custodie di strumenti musicali, vestiti sgualciti, lanciati alla rinfusa su sedie e mobilio. Il tavolo al centro della stanza, intorno a cui sedevano i fratelli Blues, era sovraccarico di vinili, avanzi della cena e bottiglie ormai vuote. 

Elwood fece cadere lo sguardo sulla bottiglia di whisky rovesciata, in cui il poco liquido ambrato oscillava lentamente seguendo i movimenti che avevano appena scosso il tavolino. Un ondeggiare lento, lentissimo, fino ad arrestarsi.

Certo che ricordava come tutto era iniziato. Come avrebbe potuto dimenticare il momento in cui aveva capito che non sarebbe rimasto mai più solo? L'istante in cui aveva compreso di aver finalmente trovato una famiglia?

 

 

Chicago aveva sempre avuto lo stesso odore. Ogni volta che ripensava a quella città, alla sua infanzia, Elwood aveva sempre perfettamente impresso nella mente e nelle narici l'odore di Chicago. L'aria pesante, carica dei fumi delle industrie, delle auto sempre più usate. Anche nel cortile di cemento e mattoni dell'orfanotrofio quell'odore si faceva sentire persistente, quasi pretendesse di essere ricordato in eterno.

Elwood aveva da poco compiuto sette anni. Era più alto di tutti gli altri bambini dell'orfanotrofio e sembrava non nutrire il minimo interesse nel parlare con loro, provare a conoscerli o giocarci insieme. Trascorreva i pomeriggi soleggiati, quelli piovosi e anche quelli semplicemente nuvolosi con se stesso, sperimentando di cose a cui nessuno interessava, all'apparenza troppo complesse per un bambino di quell'età.

Gli unici momenti che trascorreva volentieri insieme agli altri erano quando li andava a trovare Curtis. Gli incontri con l'uomo, per il piccolo Elwood, erano minuti magici. Per lui, Curtis aveva un'aura unica, quasi trascendentale, mentre raccontava di storie di uomini lontani, persone che suonavano la chitarra, componevano canzoni. Intervallava i suoi discorsi con brani musicali e melodie suonate con l'armonica, lo strumento che il piccolo Elwood aveva imparato ad amare più di qualsiasi altro. 

Là, nel seminterrato in cui viveva Curtis, o nel cortile dove l'uomo era solito radunare i bambini per raccontare loro avventure o suonare qualcosa, Elwood aveva incontrato Jake.

Gli altri bambini lo chiamavano "Joliet" – il luogo da cui sembrava provenire – un soprannome che nessuno, in verità, sapeva da dove fosse comparso; alcuni sostenevano che se lo fosse dato lui stesso.

Jake era un bambino solo, scontroso e di poche parole. Proprio come Elwood, non era interessato a passare il tempo con i propri coetanei, né con i bambini più grandi. Trascorreva le giornate da solo, distante da tutti, a scarabocchiare fogli su fogli, come se stesse disegnando i progetti per il suo futuro.

Esattamente come Elwood, gli unici momenti in cui Jake si univa al resto dei bambini dell'orfanotrofio erano solo quelli in cui arriva Curtis, armonica alla mano, a proporre alcuni dei pezzi migliori di Little Walter.

Per il resto del tempo, Jake ed Elwood trascorrevano le proprie giornate con se stessi, lanciandosi qualche occhiata di sottecchi quando uno dei due intravedeva l'altro.

Poi, una notte, era cambiato tutto. Nel silenzio dell'enorme camerata, i letti a castello in fila a custodire fra le lenzuola i bambini assopiti, Elwood aveva sentito un rumore. Con l'immotivata indifferenza del pericolo che sembrava caratterizzarlo, il bambino era sceso dalla branda e aveva seguito la piccola macchia nera che si muoveva furtiva fuori dalla stanza, scendeva le scale e si infilava sempre più in profondità nell'edificio, fino al seminterrato di Curtis. Era stato allora che Elwood, gli occhi non più gonfi per via del sonno, aveva riconosciuto la sagoma di "Joliet" Jake.

Quest'ultimo, sentendo la monissilabica esclamazione di sorpresa dell'altro, si era voltato, pronto a difendersi con i pugni alzati.

Tuttavia li aveva abbassati immediatamente quando aveva visto chi c'era davanti a sé. Quel bambino, Elwood, lo attraeva in qualche modo. Lo incuriosiva per come studiasse ogni oggetto gli capitava in mano, sembrando disinteressato a tutto il resto.

I due bambini si erano guardati nella penombra per un lungo momento, infine Jake era stato il primo a parlare: «Vuoi venire con me?»

Avevo dato le spalle a Elwood, come se già avesse saputo cosa il destino stava per dedicare loro e aveva ricominciato a trafficare con la porta che si trovava davanti.

«Dove stai andando?» aveva domandato Elwood in risposta, guardando incuriosito l'altro.

«Da Curtis» aveva replicato secco Jake. «Mi sta aspettando. Mi lascia ascoltare Muddy Waters, e bere latte al cioccolato. Suor Mary non sa niente, quindi se non vuoi venire con me farai meglio a tapparti la bocca.»

Con quell'affermazione Jake aveva dimostrato tutto il suo carattere; la scontrosità, le poche e dirette parole. Erano tutte caratteristiche che si sarebbe portato avanti negli anni, che lo avrebbero reso l'uomo che era. Ed erano tutte caratteristiche che Elwood non temeva.

«Voglio venire anche io da Curtis ad ascoltare Muddy Waters» aveva esclamato immediatamente quest'ultimo, avvicinandosi di un passo.

Jake, allora, lo aveva guardato serio, dopodiché era tornato a dedicarsi alla porta, l'aveva aperta e aveva fatto cenno a Elwood di seguirlo.

Da quel giorno le strade dei due amici non si erano più divise. Jake ed Elwood erano cresciuti insieme fra le mura dell'orfanotrofio. Aveva imparato a condividere la stessa passione per la musica, per il blues. Avevano iniziato a trascorrere le giornate cantando B.B. King e mettendo su carta parole abbozzate nella speranza di vederle diventare canzoni. Condividevano tutto; dal racconto del proprio sogno alla gomma rosa in cima alla matita, dalla tazza di latte al cioccolato alla loro prima birra.

Una volta raggiunta la maggiore età ed essere diventati uomini liberi e indipendenti, autorizzati a decidere cosa fare della propria vita, Jake ed Elwood avevano deciso di lasciare l'orfanotrofio insieme.

«Noi due siamo fratelli, ormai» aveva detto Jake. 

Insieme avevano espresso il loro amore per la musica scegliendo di darsi il cognome Blues e, appena messo piede fuori dal perimetro dell'orfanotrofio, avevano deciso di siglare definitivamente il loro legame.

«Lo faremo per la musica. E per la nostra amicizia.»

Jake aveva teso la mano all'altro con quelle parole. Il look tipico di Curtis ormai radicato indosso e sugli occhi dei due.

Elwood aveva stretto la mano dell'amico e lì aveva capito di aver finalmente trovato una famiglia, un fratello con cui condividere le mille peripezie della vita, qualcuno a cui era legato dal passato comune e dalle profonde passioni. Qualcuno insieme al quale costruire il proprio futuro.

«Per la musica. E per la nostra amicizia.»

 

 

Elwood stava ancora guardando Jake. Dietro alle lenti scure lo sguardo del fratello era perso, distante. Nessuno poteva immaginare cosa si celasse oltre gli occhiali, eccetto Elwood. Un'intera vita insieme a Jake gli aveva insegnato a comprenderlo alla perfezione. 

Riuscì a vedere quello che vedeva lui. Ripercorse i chilometri che avevano calcato insieme con la loro Cady, quella splendida auto blu. Le canzoni che avevano cantato, la stanchezza dei lunghi tour, delle sveglie all'alba. Rivide le loro avventure, le liti con sconosciuti in un bar, i confronti a parlare di blues, di jazz. La Blues Brothers Band che si era formata un componente alla volta fino a quella sera, in cui era pronta a portare la propria musica in un nuovo, sgangherato, pub di periferia.

La domanda di Jake, ancora sospesa nell'aria della piccola stanza, ancora senza una reale risposta, racchiudeva molto di più di quello che si potesse credere all'apparenza. 

Quello di Jake non era stato un quesito, ma un'affermazione e Elwood lo sapeva. Il fratello aveva ripercorso brevi tratti del loro passato, fino al giorno in cui tutto era iniziato. Lo aveva fatto nel ricordo di ciò che era stato e che, Elwood lo sapeva, avrebbe rivissuto allo stesso modo in ogni suo minuto.

Lo stesso valeva per lui. Il giorno in cui si erano stretti la mano, il giorno in cui avevano deciso di farlo per la musica e per la loro amicizia, era stato il giorno in cui la vita di Elwood era iniziata veramente. Avrebbe rifatto tutto dall'inizio, non una, infinite volte. Esattamente come Jake.

«Certo che mi ricordo come abbiamo iniziato.»

 

  
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