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Autore: topazio    27/11/2017    8 recensioni
Beth Greene è sempre stata diversa. Silenziosa, solitaria. Sa cose che non dovrebbe conoscere, perchè possiede un potere che la intrappola in un mondo fatto di immagini, frammenti e ricordi non suoi, non ancora avvenuti. E ha sempre saputo che prima o poi sarebbe finita in quel corridoio di quell'ospedale.
Dal testo:
Tra sette anni a partire da ora, io morirò. Nel 2011 una donna mi sparerà un colpo alla testa al quinto piano di questo ospedale. Ti prego salvami, Daryl.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Rick Grimes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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And Remember

 

 

 

Prefazione.

 

 

 

 

La gente parla delle premonizioni come se fossero qualcosa di strano. Non lo sono. Sono solo ricordi che vengono dalla direzione sbagliata.

– Doctor Who

 
 

 

 

 

 


 

Novembre, 1998

 

Beth capì di essere diversa un martedì mattina d’inverno. Aveva solo cinque anni quando nel giardino soleggiato dell’asilo si avvicinò a Ellie Gilbert.

«Mi dispiace per tuo padre» sussurrò soltanto. Ellie scosse i codini, aggrottando le sopracciglia scure. Appariva confusa, mentre domandava a Beth Greene una spiegazione alle sue buffe parole. Beth sollevò le spalle senza dire nulla. Perché non sapeva nemmeno lei cosa rispondere. Era convinta che Ellie sapesse.

Quattro giorni dopo Jason Gilbert morì in un incidente sul lavoro. E Ellie non parlò mai più con Beth.

 

 

 

Settembre, 2001

 

Hershel Greene comprese che sua figlia fosse diversa la notte in cui corse nella camera di Beth. Era stato svegliato dalle urla disperate. La trovò stesa sul letto, in un groviglio confuso di lenzuola e coperta. Piangeva, e quando lo vide allungò le piccole mani verso il padre. Trafelato si sedette accanto a Beth, tentando di calmarla.

«Salvali, papà» piagnucolò aggrappandosi alla sua maglia. «Salvali, ti prego.»

«Era solo un brutto sogno, Bethy» tentò di calmarla.

«No, papà. Non lo era.» Lo guardò con i suoi grandi occhi blu. «Salvali, stanno gridando»

«Chi, Beth? Chi?»

«Gli uomini nelle torri alte.»

Solo pochi giorni dopo, Hershel Greene si fermò davanti al televisore pietrificato. Beth sedeva sul divano della fattoria, accanto a lui. Ricambiò lo sguardo del padre, ma non disse nulla.

 

 

22 settembre, 2001 

 

Annette Greene si sedette accanto a sua figlia in quel tardo pomeriggio. Il marito Hershel era troppo nervoso per riuscire a fare lo stesso.

«Come lo sapevi?» le domandò sua madre, mentre Beth lasciava cadere il pastello giallo con cui stava disegnando il sole su un foglio.

«Non lo so» confessò, improvvisamente a disagio. Non fu necessario per Annette fornire alla figlia più dettagli riguardo alla domanda che le aveva posto. «Lo sapevo e basta.»

Non le fecero più domande.

 

 

Dicembre, 2002

 

Passò più di un anno prima che parlassero nuovamente dei sogni di Beth. Hershel parlò a lungo con il parroco della sua chiesa, per chiedere aiuto, consiglio, conforto. Pensò persino di rivolgersi a uno psichiatra quella volta in cui Beth giunse da lui nel cuore della notte per comunicargli che il cavallo di Patricia e Otis aveva bisogno del suo aiuto.   

Due giorni dopo, Otis corse dallo uomo per dirgli che la sua giumenta stava per partorire.

 

 

Maggio, 2003

 

Di nuovo, di nuovo quel sogno. La piccola Beth Greene si svegliò tra le urla. Era ricorrente, e vivido, reale, tangibile quasi.

«Che c’è?» domandò la voce di sua madre, accanto al letto. Era stata svegliata dalle grida. «Cosa hai sognato?»

«Niente» mentì. «Non ricordo.»

Non dormì quella notte. Ripercorse soltanto quelle immagini nella mente. Morte, morte ovunque.

 

 

14 Marzo, 2004

 

Quando Beth Greene corse dal padre per dirgli che doveva andare all’ospedale, Hershel Greene si sentì quasi mancare.

«Cosa c’è?» domandò preoccupato come mai prima di allora. «Cosa sta per succedere?»

«Niente, papà» assicurò la bambina. «Ma devo andare all’ospedale»

«Perché, Bethy?» insistette l’uomo.

«Perché…» mi salverà. «Devi andare a prendere gli esami, ricordi? Vengo con te.»

Quell’anno sua madre aveva acceso dieci candeline sulla sua torta di compleanno. E nonostante fosse una bambina, Beth possedeva una parlantina sorprendentemente sciolta, ma non fornì al padre nessun’altra informazione.

 

***

 

La mano di Beth era saldamente stretta a quella del padre, mentre lo guidava verso l’ascensore e premeva il tasto numero quattro. Quando le porte si aprirono, la bambina scivolò fuori, lasciando la presa sulla mano del padre.

«Aspetta qui» lo avvertì la bambina.

Passò in mezzo a due signore anziane, prendendo a muoversi per il lungo corridoio con una sicurezza tale da far pensare che sapesse esattamente dove fosse diretta.

«Beth, aspetta!» ignorò il rimprovero del padre, girando l’angolo e sparendo dalla sua visuale.

Si strinse nel cappottino nero, mentre si passava una mano tra i capelli biondi, stranamente nervosa. Non bussò prima di entrare nella stanza, vi entrò tranquillamente, sperando che suo padre impiegasse un po’ prima di riuscire a trovarla.

«Ciao» disse, attirando l’attenzione del ragazzo seduto sulla scomoda sedia gialla. La stanza era vuota, il letto accanto al quale attendeva era disfatto, in attesa del ritorno del paziente. Era vestito leggero nonostante le basse temperature di fine inverno. Gli occhi azzurri come il ghiaccio la raggiunsero non appena entrò nella stanza, fulminandola. Beth si sentì arrossire senza alcuna motivazione.

«Ti sei persa, ragazzina?» domandò quel ragazzo con i corti capelli castani.

Beth scosse la testa, agitando i capelli biondi. «Sono dove devo essere»  fece un passo avanti, raccogliendo ogni briciola di coraggio che possedeva. «Merle starà bene, vedrai.»

L’uomo assottigliò lo sguardo, staccando la schiena dalla sedia. «Non ti hanno mai detto che non si deve origliare?» forse stava tentando di spaventarla, convinto che in questo modo l’avrebbe spinta a tornare in qualunque posto fosse saltata fuori.

«Non ho origliato» assicurò Beth accennando un sorriso. Sapeva che non le avrebbe creduto, nessuno le credeva mai la prima volta.  L’uomo inclinò la testa, irritato.

«Cosa vuoi?» domandò scortese.

«Tra sette anni a partire da ora, io morirò» il sussurrò della bambina giunse chiaro e distinto alle orecchie dell’uomo, che assottigliò lo sguardo e non riuscì a impedirsi di mostrare un’espressione sorpresa. Beth fece un passo avanti, senza mostrare il minimo rumore. Non lasciò il tempo all’uomo di ribattere. E lui continuò a scrutarla senza dire nulla, domandandosi forse come una bambina così piccola potesse pronunciare frasi tanto strane. E tanto allarmanti. Doveva aver visto troppa televisione.

«Nel 2011» proseguì. «una donna mi sparerà un colpo alla testa al quinto piano di questo ospedale.» L’uomo guardò gli occhi blu della bambina velarsi di un sottile strato di lacrime. «Ti prego salvami, Daryl.»

Cosa? Guardò interdetto quella ragazzina minuscola davanti a lui.

«Come fai a sapere il mio nome?» Fu l’unica cosa che riuscì a dire, troppo confuso. Nella sua testa non sembrava essersi formulato nessun pensiero razionale. Guardava quella bambina, e non capiva. Aprì la bocca per porre un’altra domanda, una a cui l’avrebbe costretta a rispondere.

Che cazzo stai dicendo?

Ma un uomo si presentò alla porte, profondamente a disagio.

«Santo cielo, ti ho cercata ovunque!» disse, entrando e prendendo per mano quella ragazzina. «La stava importunando?»

Daryl scosse la testa dopo un istante di confusione. Era un uomo dallo sguardo gentile, con i capelli nevati di una striatura grigiastra.

«Mi scuso per mia figlia, a volte è incontrollabile» poi guardò la bambina. «Andiamo tesoro, si è fatto tardi.»

Con la mano stretta in quella grande e gentile dell’uomo, la ragazzina venne trascinata fuori dalla stanza. Daryl la guardò ipnotizzata muovere quei pochi passi fino a raggiungere la porta della stanza d’ospedale. Ma un istante prima di sparire, quella ragazzina si voltò, certa che avrebbe avuto addosso gli occhi dell’uomo.

«Stai attento» lo avvertì in un sussurro. «E ricorda.»

 

 

Ottobre, 2005

 

Si svegliò all’improvviso. Non trovò sua madre accanto a sé, né suo padre. Non aveva gridato, questa era l’unica spiegazione. Ancora quel sogno, così vivido e reale da poterlo quasi toccare. E per la piccola Beth Greene quando le cose apparivano così nitide e intense nella sua testa, significava che non potevano essere in alcun modo evitate.

Non aveva idea di come lo sapesse, né del perché quei sogni e visioni tormentassero lei. Sapeva solo che quello che vedeva era reale, lo sarebbe diventato. E solo un’altra visione era apparsa nella sua mente così reale. Solo un’altra. Che appariva come un punto fermo nell’universo, qualcosa di immobile, inevitabile. Inutile tentare di fare qualcosa, di scappare, di avvertire. Lo sapeva che non sarebbe cambiato niente. In un modo o nell’altro lei si sarebbe ritrovata in quel corridoio d’ospedale. Eppure aveva tentato. Si era avvicinata a quell’uomo che per lei non era altro che uno sconosciuto, ma che Beth sapeva di conoscere profondamente.

Ogni persona al mondo viveva giorno per giorno, senza chiedersi mai quando e come morirà. Ma lei lo sapeva. Lo sapeva. Il suo appuntamento con la Morte. Aveva avuto il privilegio più grandi di tutti – un privilegio che per lei non era altro che una maledizione.

Sapeva esattamente quanto tempo aveva. Beth era già nata vecchia, già cresciuta, già adulta. Come se un enorme timer dentro di lei contasse i suoi istanti. Secondo dopo secondo.

Si rigirò tra le coperte, consapevole che entro cinque anni la tua vita e quella di tutti sarebbe stata completamente stravolta. Cercò di cancellare dalla sua testa quelle immagini, ma erano come incise a fuoco nelle sue palpebre. L’epidemia sarebbe scoppiata, e lei non avrebbe potuto fare niente.   

 

 

Novembre, 2008

 

Sapevano che aveva ragione, Beth ce l’aveva sempre. Poteva scrutare, prevedere, intuire. Spesso lei stessa non capiva. Spesso erano solo frammenti quello che percepiva. Puri scorci spezzettati di un futuro solo meramente possibile. Ma quanto più quelle visioni erano nitide, tanto più erano precise.

Avvertì comunque suo fratello di non partire per Atlanta in quell’estate del 2008. Il cielo era limpido, eppure Beth era certa che presto sarebbe si sarebbe scatenata una intensa pioggia. E così era accaduto. Ma non aveva idea che avrebbe forato la settimana successiva mentre tornava da Atlanta. Tre miglia a piedi prima di trovare segnale per chiamare a casa.

E quando in autunno Beth Greene disse al padre che non avrebbe avuto senso andare a votare, suo padre aprì la bocca e la richiuse senza dire nulla. Posò le chiavi della macchina nel portaoggetti e si tolse il giubbotto. Non andò a votare. Nessuno di loro lo fece. Venne eletto un presidente democratico. Ma Beth non disse a nessuno che non avrebbe finito il mandato.

 

 

Maggio, 2009

 

L’autobus l’aveva lasciata a mezzo miglio dalla sua destinazione. Aveva camminato stringendosi addosso il cappotto leggero. Nonostante fosse pieno giorno, non si sentiva al sicuro in quel quartiere. Non aveva idea del perché fosse lì. Voleva solo dare un’occhiata, probabilmente. E arrivarci era stato piuttosto semplice in confronto alla fatica fatta per trovare il posto. Alla fine si era fatta praticamente guidare dall’istinto. Lo seguiva ciecamente, ormai.

Fu certa di essere arrivata nel posto giusto. Non perché avesse guardato il numero civico, ma lo sentiva semplicemente. Le tende erano tirate, e Beth osservò quella vecchia casa malandata dall’altra parte della strada. I bidoni della spazzatura rovesciati, la grondaia spiovente, le tracce di un vecchio incendio.

Rimase lì ferma per un tempo incredibilmente lungo, eppure questo passò in un batter d’occhio. Si diede mentalmente della sciocca. Cosa si aspettava? Di vederlo uscire da quella porta? Che lui la vedesse? Che la riconoscesse magari?

Scosse la testa Beth. Mentre tornava verso la fermata dell’autobus. Un solo pensiero riuscì a consolare quel tragitto di ritorno a casa. Non ancora. È troppo presto

 

***

 

Solo qualche mese dopo, nel mezzo di una tranquilla cena Beth pronunciò quella frase che fece rimanere Hershel Greene con la forchetta ferma a mezz’aria.

«Come?» domandò, certo di non aver capito bene.

«Dovremmo costruire un recinto» ripeté la ragazza.

«Ma perché?» domandò Shawn, perplesso quanto il padre.

«Dovremmo e basta.»

Erano abituati alle frasi sconnesse che lei pronunciava da tutta la vita. Qualche anno prima aveva anche tentato di spiegare il perché uscissero fuori dal nulla. Era puro istinto. Un pensiero nato dal nulla, del tutto scollegato dl resto. Come quando si sceglie qualcosa senza alcun ragionamento logico. Era soltanto istinto.

Ognuno lo chiamava in modo diverso, ogni membro della famiglia Greene aveva un modo tutto suo per vedere quello strano fenomeno. Shawn lo chiamava sesto senso, Maggie intuito femminile. Per Hershel era semplicemente un dono. Ma per Beth era solo una maledizione.

Poter vedere, percepire, intuire, prima degli altri, prima di chiunque. La sua famiglia le stava vicina, come nessuno avrebbe fatto mai. Ma non erano in grado di comprendere, non fino in fondo. Spesso si limitavano a scambiarsi cupe occhiate tra di loro, senza mai lasciarsi sfuggire un commento, e un borbottio perplesso. Le credevano, ma in qualche modo erano intimoriti da quello che Beth poteva percepire. Come se fossero totalmente ciechi, e lei fosse l’unica a poter vedere oltre.

Così fecero come lei aveva detto. Hershel Greene costruì un recinto attorno alla sua proprietà. Installò un generatore indipendente di energia. Comprò un secondo fucile. E poi anche un terzo l’anno successivo.    

Ma il pensiero intrappolato nella testa della ragazza era uno soltanto.

Non basta.

 

 

                                                                        ҉

 

 

 

Ecco il primo capitolo. Sono cinque in tutto, già completi, quindi non dovrete attendere molto per leggere il seguito. È solo un assaggio, ma spero davvero che vi sia piaciuto e siate curiosi. Fatemi sapere se vi va, mi sarebbe piacere.

La ff percorrerà  la storia fino al tremendo episodio Coda, e la coppia principale sarà ovviamente Bethyl, con qualche riferimento a un’altra che amo particolarmente. Il prossimo capitolo Primo Atto, parte con l’arrivo di Rick e del suo gruppo alla fattoria, e sarà quasi totalmente su Beth e Daryl.

Note:

– Elezioni del 2008. La Georgia è una roccaforte Repubblicana, quindi ho presunto che la famiglia Greene avrebbe votato in questo senso. Le elezioni sono state poi, storicamente, vinte dai Democratici, per questo Beth dice al padre che non avrebbe avuto senso andare a votare.

– Sono stata  molto indecisa se fare il riferimento all’11 settembre, prendetelo per quello che è, solo un riferimento, spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno.

 

Alla prossima, Topazio ♥

 

  
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