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Autore: Euachkatzl    28/11/2017    0 recensioni
"Siete attori. Il vostro corpo, la vostra voce, nulla vi appartiene più: le vostre anime sono al servizio di tutti i personaggi che andate ad interpretare, e nulla riuscirà mai ad estraniarvi gli uni dagli altri".
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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LE VITE DEGLI ALTRI

 

Venezia, 2016

Era una serata fredda, coperta da un cielo limpido ma scuro. Attraversata la stazione affollata, superata la gialla e artificiale luce dei lampioni, lo sfarfallio dell'insegna del ristorante, si infilò nello stretto vicolo che portava al luogo dove era stata allestita la mostra. Un luogo che conosceva bene, dove si era recata per anni, giorno dopo giorno, senza mai perdere l'entusiasmo della prima volta in cui si era imbattuta nella piccola e peculiare stanza. Si fermò davanti alle vetrate opache, attraverso le quali non si vedeva bene cosa accadesse all'interno; si fermò sui ciottoli che coprivano la strada, dove soleva gettare le sigarette che fumava insieme a lui, nascondendole sotto i sassi così che l'insegnante non le vedesse.

Entrò; la mostra era stata allestita, i quadri erano stati appesi alle pareti, ordinati, in fila uno dopo l'altro, a condurre lo spettatore nei luoghi della mente in cui l'artista voleva portarli. A lei i quadri non interessavano. A lei la mostra non interessava. Lei guardava ogni persona, ogni uomo fermo davanti a quei disegni grigi, cercando il blu profondo di quegli occhi che mai aveva dimenticato. Si portò dietro l'orecchio i capelli bianchi, sciolse il nodo in cui aveva ordinatamente legato la sciarpa, mosse qualche timido passo verso il centro della sala, in mezzo a tutte quelle persone silenziose, fisse sul grigio dei quadri. In tutto quel grigio, lei cercava il blu. Il blu che per lei rappresentava il cielo, l'aria, la libertà; il blu che per lei rappresentava ciò che aveva sempre voluto e che mai aveva avuto, in quella vita.

 

Atene, 486 a.C.

Era infuriata con lui. Era stata tradita; lo sapeva nonostante non l'avesse mai colto sul fatto. Non le serviva vederlo con i suoi occhi, le bastavano i sorrisi languidi di lui, quegli occhi che si perdevano a fissare il vuoto, quelle assurde canzoni che canticchiava tra sé e sé; canzoni d'amore, che nonostante fossero sempre pronte e sempre diverse, nonostante fossero frutto di notti e giorni di lavoro, a lei mai erano state dedicate.

D'altro canto, anche lui aveva da ridire. Lui si sentiva inappagato, incompreso, non amato. Ogni volta che chiedeva qualcosa a lei, a sua moglie, ecco che scappava un secco no, o una qualche rispostaccia. Lui era furibondo. Più volte aveva pensato di fargliela pagare; ogni secondo che trascorreva con lei, quando non erano troppo intenti a litigare, lo passava ad escogitare, insieme al suo servitore, qualcosa di abbastanza perfido.

Quando quell'amante che tanto lo faceva stare bene convolò a nozze, ecco che capì che sarebbe dovuto stare assieme a quegli inquisitori occhi verdi per l'eternità. Tornò da sua moglie con un grande sorriso; ciò che ottenne fu un'umiliante derisione per l'essersi presentato con la coda tra le gambe: ora che la sua sciocca amante si era sposata, ecco che lui tornava dall'unica donna che gli era rimasta, che aveva disprezzato fino al giorno prima.

Fu quello scherno a far scattare la scintilla, a fargli prendere l'estrema decisione: era il momento di far conoscere a quegli occhi verdi un'espressione diversa dal costante sguardo di giudizio che gli riservavano.

 

Stoccarda, 1132

Era il giorno della successione. Il palazzo brillava del colore della casata del signore, un vivo rosso. Stendardi pendevano dai soffitti, armature erano decorate e sfoggiate con orgoglio dai cavalieri, drappi e tappeti erano stesi sui pavimenti. La sala del trono sfavillante, coperta di tutto l'oro che la famiglia possedeva, a mostrare il potere e la gloria di cui erano stati investiti da, come sostenevano loro, Dio stesso. Quel Dio che tutti, in paese, ringraziavano per aver concesso loro un signore magnanimo e buono. Il signore era sempre stato gentile, posato, cortese; aveva voluto bene a sua moglie, aveva cresciuto il figlio con amore, istruendolo per il momento in cui sarebbe salito al trono. Il momento era arrivato, dopo una lunga malattia del signore, e sul trono di velluto e broccato era ora seduto il figlio, un figlio dai capelli lunghi e biondi e dagli occhi blu. Un vero principe azzurro, al quale era già stata offerta più di una mano. Le proposte di matrimonio erano iniziate quando aveva appena dieci anni, ma il padre era sempre riuscito a posticipare il momento e a non abbassarsi a qualche matrimonio combinato, che a suo avviso era una mera azione politica senza un briciolo d'amor cortese. Quegli occhi blu avevano perciò continuato a posarsi da una fanciulla all'altra, senza che mai si fermassero davvero. Forse a lei non ci avevano mai fatto caso, ma la speranza c'era, ed era costantemente nutrita da quelle dolci poesie che soleva leggere la notte, china sulla tavola, con una candela ormai consumata.

 

Atene, 486 a.C.

Aveva organizzato tutto alla perfezione, mobilitando servitori, per farla pagare a quella donna che da ormai troppo tempo lo scherniva. Aveva convocato uno zotico proveniente dal paese, lo aveva convinto a recarsi nel bosco, nella radura che gli aveva indicato, invocando sciocche giustificazioni. E lui aveva accettato ingenuamente, e quella sera si era ritrovato nella radura dove giaceva l'alcova della regina.

Lei stava placidamente dormendo; dame ronzavano attorno all'alcova, e si assicuravano che il suo riposo non fosse turbato da nulla. Purtroppo, non notarono l'irruzione di un uomo, che si aggirava confuso, si immergeva nel fitto del bosco, rispuntava da un punto diverso da quello in cui si era infiltrato. Si era perso, e nel tentativo di ritrovare la strada si avvicinava e si allontanava dalla regina, muovendo passi incerti e malfermi. Era scesa la notte, ormai, e poco si vedeva, date le fitte fronde degli alberi che non lasciavano filtrare la luna. Gli animali iniziavano a muoversi, a sussurrare tra loro, spaventando a morte il malcapitato visitatore del bosco. Lui iniziò a cantare, vuoi per farsi coraggio, vuoi perché non c'era molto altro da fare: proseguire a vagare nel buio era inutilmente pericoloso. Si sedette su un ceppo e iniziò a cantare sommessamente, facendosi poi coraggio e crescendo di tono.

Il poco melodioso canto dell'uomo ebbe come effetto quello di svegliare la regina. Lei ascoltò quello che le pareva il più bel suono che avesse mai sentito, più bello delle sottili note che suo marito le sussurrava, più dolce del cadere della pioggia. Una volta aperti gli occhi, si guardò attorno, a cercare chiunque fosse in grado di produrre quei meravigliosi suoni, che tanto le erano piaciuti. Scese dalla sua alcova e mosse passi incerti sull'erba, i piedi nudi che sfioravano appena il terreno. Vide l'uomo seduto su di un ceppo, nel mezzo di una radura; cantava ancora, e non si accorse di lei finché non fu abbastanza vicina da sfiorargli i capelli.

L'uomo ebbe un sussulto, la regina con lui; il re e il suo servitore ridevano silenziosi, acquattati tra i cespugli ad osservare la scena. Era successo. La regina si era innamorata di quello zotico, e nulla l'avrebbe liberata se non la volontà del re stesso.

 

Venezia, 2016

Fu lui a notarla per primo. Notò una scia di rosso farsi strada e correre in mezzo al grigio; la sciarpa diventata un po' opaca, ormai anni erano passati da quando, insieme, erano andati ad acquistarla. La loro insegnante aveva ordinato che trovassero quella sciarpa, e loro avevano rovistato in ogni bottega. Era lunga, morbida, rossa, rossa come quella passione che doveva unirli. A vederla così opaca, sembrava rappresentare appieno ciò che era accaduto nelle loro vite: si era spenta come si erano spenti loro, eppure in quel momento tornava a brillare, come gli occhi verdi di lei quando lo vide.

Corse. I capelli bianchi ondeggiarono, scivolandole davanti al viso. La sciarpa rossa riprese a brillare. Lei riprese a brillare. Lui riprese a brillare.

Avevano brillato anche quando si erano conosciuti, in quella stessa stanza. In pochi l'avevano notato; loro no di certo. Non era tuttavia fondamentale che se ne rendessero subito conto: la loro insegnante l'aveva visto, e quello bastava. Aveva capito che i due erano destinati ad essere legati, e così furono infatti per anni: uniti, in un'indissolubile coppia che non doveva per nessuna ragione essere divisa. Se i fatti, gli eventi sembravano minarla, ecco che gli eventi sarebbero cambiati: non erano loro a doversi adattare, erano il tempo e i luoghi a doversi aggiustare.

Con il tempo, si erano accorti di brillare, e ciò non li aveva stupiti: forse un po' turbati, ma stupiti no. Sentivano di essere perfettamente aderenti l'uno all'altro, un perfetto incastro che a loro andava più che bene. Si adoravano. Insieme ridevano, scherzavano, tiravano fuori l'uno il meglio dell'altro. E talvolta anche il peggio, se necessario.

 

Stoccarda, 1132

Di bianco vestita, nonostante il bianco fosse decisamente inappropriato per lei, aveva mosso passi sicuri lungo il tappeto rosso appositamente fatto stendere nella sala del trono. Camminava a testa alta, sola; del padre non si era più saputo nulla, dopo che ebbe ottenuto i favori del signore e l'ebbe abbandonata nella corte. A lei non importava.

Arrivò al fianco del suo futuro sposo e lanciò uno sguardo al vescovo, appositamente recatosi nel castello per consacrare l'unione del signore con quella che fino al giorno prima era stata una servetta. Giovane età ed inesperienza sfavoriscono anche il migliore dei cuori, mentre malizia ed astuzia riescono a modellare ogni situazione a proprio vantaggio. In quel modo lei era riuscita ad ottenere la mano del signore, con malizia e con astuzia, facendosi casualmente scoprire nelle sue stanze ed intrattenendo conversazioni che mai lui aveva affrontato, facendogli scoprire segreti piaceri non destinati ad un signore ed accompagnandolo per mano nella sua tela.

Il signore ora aveva una signora, pallida e sorridente, dai scintillanti occhi verdi e gli scuri capelli neri. Una signora coraggiosa, che a vista di lui aveva osato sfidare leggi ritenute invalicabili, che a vista del popolo aveva osato aprirsi alla persona giusta, nonostante il severo giudizio che Dio le avrebbe riservato.

 

Venezia, 2016

Si osservavano, si sorridevano, distogliendo imbarazzati lo sguardo; si avvicinavano, si sfioravano, ritraendo in fretta la mano impauriti. Si volevano incastrare di nuovo, come quando erano stati giovani: sapevano che si sarebbero ancora uniti perfettamente, gli anni non potevano averli cambiati così nel profondo. Era lì che si incastravano, loro: erano giorno e notte all'esterno, i capelli neri contro un biondo delicato, gli occhi verdi contro un blu libero, ma nel loro profondo erano esattamente la stessa, piccola cosa, che solo unita alla sua metà riusciva a diventare qualcosa. Peccato che la vita li avesse portati ad unirsi alla metà sbagliata.

Erano ventenni o poco più, quando si erano visti l'ultima volta. Erano passati cinquant'anni. Cinquant'anni che suonavano sbagliati, vissuti nel posto sbagliato, accanto alle persone sbagliate, con un incastro che non combaciava perfettamente, e che sembrava sempre e comunque non adatto a sé.

Lui sorrise, guardandola: non era cambiata di un solo dettaglio. I capelli neri erano diventati bianchi, la pelle intorno agli occhi si era riempita di sottili rughe, le mani si erano macchiate, ma non era cambiata di una virgola. Quel verde, a cui si era ritrovato vicino tante volte, era così simile a come se lo ricordava che non avrebbe saputo dire se lei avesse avuto venti o settant'anni.

Nemmeno lui, dopotutto, era cambiato. Anche i suoi capelli erano diventati bianchi, il biondo era scomparso; la pelle sempre abbronzata si era tirata, oltre che impallidita; l'anulare era circondato da una fede dorata, che a vent'anni non c'era. Ma il blu, il blu lei lo riconosceva: era il blu che aveva visto ad Atene, a Stoccarda. Il blu che aveva visto anche a Venezia, cinquant'anni prima, e che non avrebbe mai voluto smettere di guardare.

 

Atene, 486 a.C.

Scene ridicole si susseguivano in quella radura; languide carezze che sua moglie gli aveva dedicato in rari, speciali momenti, e che quell'uomo otteneva con una disarmante facilità. Stava quasi pensando di tornare dalla sua amante, facendo in modo che mandasse a monte il matrimonio per stare con lui, ma qualcosa lo tratteneva. Vedeva sua moglie tra le braccia di un altro uomo, e ciò lo infastidiva. Era una sensazione che non riusciva a concepire completamente, ma gli dava un immenso fastidio. Sapeva di avere il potere di porre fine a tutto, ma era comunque trattenuto: voleva che sua moglie ricominciasse a guardarlo con quegli occhi che lo scrutavano nei loro primi incontri, e che il disprezzo scomparisse totalmente dal suo viso. E poi, quando si sarebbe resa conto di aver tradito il suo potente marito per le carezze di uno zotico, sarebbe strisciata da lui, addirittura implorandolo per un briciolo d'amore. Era perfetto.

Si sentì tirare i capelli e, guardando verso il basso, notò il suo piccolo servitore porgergli un fiore.

“E' l'antidoto” spiegò questo con un ghigno. Il re infilò il fiore tra i suoi capelli biondi, il rosso sgargiante che risaltava sulla chioma. Lanciò un ultimo sguardo verso la moglie, ancora abbracciata a quell'orribile uomo, e si decise a recarsi da lei.

“Maltrovata al chiaro di luna, orgogliosa” esordì, sfoderando un sorriso che di amorevole non aveva nemmeno il più lontano retrogusto. Il re volteggiò intorno alla felice coppia, seduta sul ceppo al centro della radura, prendendosi gioco della regina, lanciandole velenose parole, colpendo talvolta lo zotico, difeso sempre da lei, che lo abbracciava e lo tirava a sé per proteggerlo.

 

Stoccarda, 1132

Seduta sul trono, accarezzando distrattamente il velluto rosso che lo copriva, lei dava ordini. Ordini che non erano particolarmente graditi né al popolo né alla corte, ma questo poco le importava. Lei era al potere, in quel momento. E nessuno era sopra di lei a contrastarla. L'unica persona che poteva stare al di sopra di lei era invece parecchi metri sotto il trono, nelle prigioni umide del castello. Una causa precisa non c'era, se non le astute parole con cui lei era riuscita a manovrare ogni singola persona nella corte. L'inganno si era poi scoperto, ma ormai sul velluto rosso c'era lei, e nulla si poteva più fare. Lunga vita alla signora.

E poi, il sipario si chiuse.

 

Atene, 486 a.C.

Era di nuovo tra le sue braccia. Stava di nuovo accarezzando il miele dei suoi capelli. Stava di nuovo baciando le sue labbra. Sua moglie era tornata sua, dimentica di tutto ciò che era successo. Lui aveva deciso che il gioco era chiuso, che quella folle notte era finita. E che era arrivato il momento di ridonare la vista alla sua signora. La strinse un'ultima volta a sé.

E poi, il sipario si chiuse.

 

Venezia, 2016

Un bacio le sfiorò le labbra, un bacio leggero, diverso da tutti gli altri che aveva sentito. Era stata baciata da lui molte volte, ma nessun bacio aveva brillato a quel modo, nessuno era mai stato così vero, così vivo.
Essere attori porta a perdersi in vite parallele, dimenticandosi di vivere la propria.

 

  
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