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Autore: Floccinauci    29/11/2017    3 recensioni
L’ombra si dissolse nell’aria, permettendole di scorgere nelle tenebre la sagoma di colui che l’aveva salvata. Si sollevò a fatica da terra, facendo forza sulle sue deboli braccia ferite. La sua figura imponente, ricoperta dalla testa ai piedi da una pesante armatura di metallo, incombeva su di lei con aria minacciosa. Il bagliore dei suoi occhi cremisi invadeva l’oscurità circostante. La fissò per qualche attimo, senza proferire parola. Dopodiché ritirò le lame che portava al polso e si voltò, allontanandosi.
- Aspetta!
Si fermò a pochi passi da lei.
- Non mi hai detto chi sei…
Volse leggermente il capo nella sua direzione. La sua voce profonda e metallica pervase l’aria.
- E’ meglio che tu non lo sappia.
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Zed
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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16. Another sunrise

Un grido agghiacciante pervase la foresta, spezzando il gelido silenzio di quella notte di gennaio. Zed si fermò di colpo, voltandosi. Le urla giungevano da lontano: erano indistinguibili, accompagnate dal rumore del vento e dallo stormire delle foglie. Era passata quasi un’ora da quando si era rimesso in marcia, aveva fatto molta strada. Per qualche istante rimase immobile, incerto sul da farsi. Non riusciva neanche a capire da dove provenissero. Poco dopo sentì un botto sordo, simile al suono di un colpo di pistola, seguito dopo poco da altre grida. Il suo cuore saltò un battito. Senza neanche riflettere, senza effettivamente chiedersi se fosse davvero lei, cominciò a correre con tutte le forze che aveva in corpo. Le aveva fatto una promessa. I fiocchi di neve trascinati dal vento picchiavano contro le fessure del suo elmo, infiltrandovisi e ferendolo in volto come minuscole lame di ghiaccio. Sfruttò le ombre quanto più poté, evocandone una davanti a sé ogni volta che riuscì e materializzandosi su di essa per guadagnare terreno. Corse così veloce che gli parve di volare, sembrava che non appoggiasse i piedi per terra, tanto che non veniva più neanche intralciato dallo spesso strato di neve che cresceva lentamente sotto di lui.

– Sublime! Musica per le mie orecchie. Quanto mi era mancata la sinfonia delle tue grida, mia dolce fanciulla! – aveva esclamato Khada Jhin sogghignando, comparendo dalle tenebre della foresta con la sua solita teatralità. Norin giaceva a terra, gemendo dal dolore, ferita dai petali fatali del fiore di loto. L’assassino le afferrò delicatamente il polso, con un gesto plateale, inchinandosi davanti a lei e dandole un languido, subdolo bacio sul dorso della mano insanguinata. L’aveva cercata per quasi un anno, non era riuscito a darsi pace nella sua mente malata. Lei era stata la migliore protagonista che avesse mai avuto in una delle sue opere agghiaccianti. Le sue urla strazianti, il suo volto così delicato incrostato del suo stesso sangue, la sua espressione contorta dall’agonia e dal terrore: suoni e immagini a suo avviso spettacolari, a cui non avrebbe mai voluto rinunciare. Era perfetta. Una volta trovata la sua casa, con la pazienza che solo un grande artista come lui poteva avere, aveva atteso il suo ritorno, per riaprire finalmente il sipario dopo tutti quei mesi. Il pubblico non poteva attendere ancora.
Si rialzò in piedi, facendo roteare agilmente la sua grossa pistola sul dito. Aveva una sagoma molto particolare. Era stata costruita minuziosamente, probabilmente da uno dei più grandi armaioli dell’impero, con diversi materiali metallici e non. Degli intagli sinuosi percorrevano l’intera superficie, intrecciandosi e snodandosi a comporre fantasiose geometrie che risaltavano le forme dell’arma da fuoco. La volata trasudava esalazioni violacee di quella magia tipica degli strumenti hextech costruiti a Ionia.
– Mia cara, mi auguro davvero che il nostro spettacolo non venga interrotto anche stasera. – riprese con fare sospetto, guardandosi intorno – Il nostro pubblico ne rimarrebbe deluso, non trovi?
Le parole del Virtuoso fecero balenare nella mente di Norin alcune immagini sbiadite dei mesi passati con Zed. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che aveva anche solo pensato a lui. Una solitaria lacrima di malinconia le attraversò il viso insanguinato, unendosi a quelle per il dolore lancinante. Stavolta era sola, non c’era nessuno pronto a salvarla. Strinse i denti e si alzò a fatica a sedere. Delle piccole schegge di metallo erano rimaste infilzate nella sua carne, tra gambe e braccia, mentre le più grosse le avevano lasciato profondi tagli su tutto il corpo. Lo guardò, sfinita.
– C-Cosa vuoi ancora da me? Lasciami in pace… – mormorò la ragazza, debole e dolorante.
– Cosa voglio? – ribatté Khada Jhin, alzando subito dopo le braccia al cielo in un gesto ridicolmente solenne – Mia adorata, cosa potrebbe volere un grande artista come me se non… Il Gran Finale!
Le afferrò il braccio e la strattonò con violenza per farla alzare in piedi, strappandole un grido di dolore. Nevicava sempre più forte, e i grossi fiocchi di neve cominciarono a schiantarsi prepotentemente contro le sue ferite aperte, facendole bruciare. Tra i tagli e il gelo di quella notte d’inverno aveva quasi perso totalmente la sensibilità alle gambe. Le sue ginocchia cominciarono a tremare, abbandonandola nel giro di pochi istanti e facendola cadere di nuovo a terra.
– Per piacere… – sbuffò l’assassino con fare risentito, chinandosi su di lei e stringendole il viso tra le dita – Vuoi davvero rendere il mio spettacolo così noioso?
Con gran teatralità le puntò la pistola alla fronte. Norin lo guardò dritto negli occhi, affrontandolo a viso aperto.
– Tesoro… – mormorò, premendo l’arma sulla sua testa, carica e pronta a sparare – Pensi davvero che io voglia darti una morte così poco armoniosa, così rapida, piantandoti semplicemente un proiettile in fronte?
In quel momento allontanò di scatto la pistola dal suo volto, sparando un colpo in aria. La ragazza sobbalzò dallo spavento.
– La morte non dovrebbe mai essere veloce mia cara. Dovrebbe essere… Un’opera. – esclamò, afferrandole d’un tratto il polso e strattonandola nuovamente per tirarla su in piedi, facendola gridare ancora di dolore – Mi concedi questo ballo?
Cominciò a danzare energicamente, sballottando qua e là in salti e piroette il suo corpo quasi inerte. Norin, a malapena nelle condizioni di tenersi in piedi, fu costretta a farsi trascinare dai passi di quel ballo fatale. Sotto di loro, la neve era diventata rosso scarlatto. Ad un tratto, alzando la testa, vide la mano che era stata ferita dallo shuriken di Zed – nera per via dell’Ombra che scorreva nelle sue vene – esalare una gran quantità di materia oscura. Il suo braccio pulsava sempre più forte, sentiva quel potere spingere dall’interno. Istante dopo istante, sembrava che l’Ombra racchiusa da mesi nel suo corpo le stesse dando l’energia per sopravvivere e reagire. Appena ebbe la forza sufficiente, afferrò il piccolo coltello che aveva sempre con sé e glielo piantò nella gamba, guardandolo negli occhi. Lo vide trasalire da dietro la sua inquietante maschera intagliata, mentre il suo sguardo si riempiva sempre più d’ira. Gemette di dolore, lasciando la presa su di lei per cercare di recuperare l’equilibrio e non cadere per il colpo infertogli. Le lanciò un’occhiata omicida.
– Mia cara… L’improvvisazione non è il tuo forte. Ho dei piani molto elaborati per te.
Si allontanò da lei di qualche passo, zoppicando. Norin lo guardava allarmata, chinata davanti a lui col respiro affannato e le ferite grondanti di sangue. Lo vide fermarsi, di spalle.
All’improvviso si voltò verso di lei, sfoderando il suo fucile.
– Sorridi! Tutti ti stanno guardando! Inizia la tua ultima scena.
Inspirò profondamente.
– Corri.
In quel momento, Norin raccolse tutte le poche forze recuperate e cominciò a correre come non aveva mai fatto in vita sua, addentrandosi nella foresta. Più andava avanti e più le sue ferite sanguinavano, ma il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio finché poté. Sentì un primo colpo di fucile. L’enorme proiettile la colpì di striscio sulla gamba, ustionandole la coscia. Cominciò a deviare il suo percorso, nella speranza di riuscire ad evitare anche i successivi tre. Fu in quel momento che uno scricchiolio metallico si sollevò da sotto di lei. Uno dei suoi fiori di loto stava per esplodere. Si gettò a terra rotolando per evitare le schegge, mentre il secondo colpo del fucile di Khada Jhin la sorvolò ad un palmo dalla sua testa. Il proiettile colpì il tronco sottile di un giovane albero, facendolo cadere rovinosamente a terra davanti a lei. Norin cercò di rimettersi in piedi il prima possibile per riprendere la sua fuga, ma non le ci volle molto per realizzare di trovarsi in un vero e proprio campo minato di fiori di loto. Il suo assassino aveva pianificato tutto nei minimi dettagli, e gli ordigni erano disposti di modo da intralciarle il percorso in qualunque direzione tentasse di andare. Partì il terzo proiettile, che la ferì sul braccio invaso dall’Ombra, sempre di striscio. Il colpo la fece cadere a terra. Del sangue nero cominciò a sgorgare lentamente, scivolando giù sino alla sua mano. Un alone di materia oscura sempre più fitta stringeva man mano le sue spire attorno al suo corpo. Cercò di rialzarsi in piedi, poggiando le mani a terra. In quel momento lo sentì. Un sordo schiocco metallico da sotto la neve. Le sue dita sfiorarono qualcosa di liscio e gelido, che cominciò a roteare sempre più veloce tagliandole il palmo. Sotto di lei, uno degli ordigni floreali di Khada Jhin si era innescato, preparandosi ad esplodere.
Il tempo sembrò fermarsi. Nel silenzio glaciale della foresta, accasciata a terra con uno dei fiori di loto dell’assassino in procinto di scoppiare liberando le sue lame fatali, le parve di sentire e vedere tutto a rallentatore, in quelli che credeva fossero gli ultimi istanti della sua vita.
QUATTRO!
Il grido vittorioso di Jhin pervase la foresta, mentre il suo proiettile intriso di magia hextech tagliava l’aria ghiacciata con un sibilo, accompagnato dallo stormire delle piante nei dintorni. Lo vedeva arrivare, seguito da una scia cremisi come una cometa mortale, diretto verso il suo volto.
In quell’istante di paralisi, d’un tratto, la sua vista si oscurò. Qualcosa la colpì violentemente, spingendola con forza di lato e allontanandola dal raggio di esplosione dell’ordigno. Sopra di lei, il grosso proiettile viaggiò senza più una meta, perdendosi nelle tenebre della foresta. Norin aveva gli occhi chiusi dal terrore. Percepì una fuggevole carezza sulla sua guancia, da parte di una mano non umana. Non appena ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, la vide. Un’ombra, immobile, imponente, era lì in piedi davanti a lei, come a proteggerla. Da lontano giungeva una sinfonia di colpi di proiettili, fragore metallico di lame, grida di sforzo e di dolore. Passò qualche istante, e di nuovo calò il silenzio. L’ombra davanti a lei si dissolse nell’aria, lasciandola nuovamente sola, in mezzo alla foresta, nella gelida oscurità di quella notte invernale. Quei secondi le sembrarono anni. Davanti a lei, grossi fiocchi di neve continuavano inesorabili il loro volo verso il terreno, dolcemente trasportati da una flebile brezza ghiacciata. Solo Zed sapeva sfruttare quell’arte proibita con una tale maestria, non poteva che essere lui, pensò. Eppure sembrava svanito nel nulla come la sua ombra, senza lasciare traccia, e con lui lo stesso Khada Jhin. Maniacale com’era nelle sue teatrali opere di morte, non l’avrebbe mai lasciata sopravvivere, e sicuramente si sarebbe fatto sentire o notare in qualche modo se l’avesse saputa ancora viva. Invece regnava il silenzio, rotto solo dal timido stormire delle foglie. Rassegnata, tentò di rialzarsi in piedi, mentre una gelida lacrima di malinconia le attraversava la guancia. Il ninja aveva mantenuto la sua promessa: l’aveva protetta, anche se distante. “Ed evidentemente vuole rimanere distante…” pensò.
All’improvviso sentì un sibilo dietro di lei.
– Stavolta evita di fare come quando ci siamo incontrati la prima volta, magari.
Non fece in tempo a voltarsi che Zed l’aveva già presa in braccio, stringendola amorevolmente a sé. Norin alzò lo sguardo, con le lacrime dall’emozione. Il bagliore cremisi dei suoi occhi risplendeva attraverso le fessure dell’elmo metallico, illuminando fievolmente l’aria circostante e i fiocchi di neve che fluttuavano davanti al suo viso. In quel momento ripensò alla figura ignota che l’aveva terrorizzata qualche ora prima e ricollegò.
– Eri tu… – mormorò, cominciando a singhiozzare piano.
Il ninja annuì, sospirando.
– Avevo promesso che ci sarei sempre stato, anche da lontano. Sono mesi ormai che vengo a trovarti ogni notte, passando con te qualche breve istante sfruttando le ombre. Avevo bisogno di rivederti, ma non potevo metterti in pericolo.
Lei appoggiò la testa sul suo petto, piangendo in silenzio. Incamminandosi lentamente nell’oscurità della foresta, Zed la strinse ancora più forte a sé.
– E’ tutto finito, Norin. – sussurrò, accarezzandole i capelli – Sei al sicuro ora.
Nevicava ancora molto forte, e grossi fiocchi di neve si posavano sul viso della ragazza, facendola rabbrividire. L’assassino avanzava a fatica, affondando i piedi nello spesso strato di neve, zoppicando.
– Cosa ne è stato di lui? – riprese lei, tremando dal freddo.
– Non lo so. – rispose il ninja, cercando di riscaldarla strofinandole la mano addosso – L’ho quasi ucciso ma è scomparso come l’ultima volta, facendo esplodere una delle sue bombe. E come se non bastasse nel combattimento mi sono anche preso un colpo nella gamba.
Norin lo guardò preoccupata, cominciando a dimenarsi per scendere e poterlo alleggerire del suo peso, ma lui la bloccò fermamente tra le sue braccia.
– Stai ferma. – le intimò, lanciandole un’occhiataccia – Sto bene, mi ha colpito di striscio. Ho avuto ferite nettamente peggiori.
Restò in silenzio, accoccolandosi di nuovo sul suo petto. Zed continuava a camminare, addentrandosi sempre di più nella foresta. Pensava che l’avrebbe riportata a casa, ma si stava dirigendo nella direzione opposta.
– Ma dove stiamo andando?
– Al Tempio.
– Ma avevi detto che…
– Non ha più importanza. – la interruppe, secco ma con tono di premura – Guarda qua.
Le fece cenno di alzare il braccio infestato dall’Ombra. La materia oscura serpeggiava docilmente attorno al suo polso, risalendo fino alla spalla. Non le faceva più male da mesi ormai, eppure era ancora invaso da quel potere illecito.
– Ora concentrati. – la incitò, con dolcezza – Pensa ad una figura semplice e convoglia tutta la tua energia mentale sulla tua mano.
Mentre Zed proseguiva lentamente verso il Tempio, la ragazza si impegnò nel seguire le sue semplici istruzioni alla lettera. Dopo pochi istanti, l’Ombra cominciò a confluire sul suo palmo, andandosi ad aggregare in una piccola sfera che si dissolse poco dopo. Norin rimase senza parole, con gli occhi sgranati.
– Visto? – riprese l’assassino, ridacchiando – Chi l’avrebbe mai detto. Sei riuscita a domarla con una facilità disarmante.
Norin lo guardò sconcertata, tornando poi a fissarsi la mano. Non riusciva a proferire parola.
– Avrai da combatterci ancora per molto, probabilmente per tutta la tua vita. Nessuno sfugge alla propria ombra. Ma di certo la vita al Tempio non rappresenta più un pericolo per te.
La strinse forte, strofinando delicatamente l’elmo sulla sua fronte come a volerle dare un bacio. Un brivido percorse la schiena della ragazza nel sentire quell’acciaio gelido sfiorarla con una tale tenerezza.
– Non ti lascio più andare. – riprese, sussurrando.

Arrivarono al Tempio a notte fonda. Nel buio di quella stanza in cui aveva vissuto per mesi, rischiarata dal timido pallore della luna al di là delle nuvole, si sentì di nuovo veramente a casa. La neve aveva ricoperto tutto il paesaggio circostante, facendo risaltare le forme degli alberi e delle montagne contro l’oscurità della notte. Zed accese una lampada, e si occupò delle ferite di Norin con premura. Entrambi stanchi, quasi non si rivolsero la parola. Potersi sfiorare e guardare negli occhi dopo tutto quel tempo era più che sufficiente. Non era necessario sforzarsi, cercando parole che comunque non sarebbero state adeguate a descrivere la gioia e la serenità di essersi finalmente ricongiunti dopo mesi. In quei loro lunghi silenzi comunicavano più che parlando. Era forse la cosa che più era mancata loro in quel periodo passato lontani.
Una volta fasciate sia le ferite di Norin che le sue, si alzò in piedi, avvicinandosi ad una delle grandi finestre. Grossi fiocchi di neve continuavano a scendere lentamente, come piccole piume, andando ad unirsi al manto azzurro che si era disteso tutt’intorno al Tempio, a perdita d’occhio. Il silenzio che regnava era così pacifico da sembrare quasi irreale. Il ninja sospirò profondamente, godendosi la serenità ritrovata.
– Pensavo che questo momento non sarebbe mai arrivato. – proruppe, voltandosi verso la ragazza. Ma lei, esausta, dormiva già profondamente, accoccolata sul letto. Vederla di nuovo lì, placidamente assopita, gli strappò un sorriso immenso, incondizionato. Si sdraiò accanto a lei, stringendola forte a sé e sommergendosi con lei sotto alle pesanti coperte invernali. La materia oscura, come ogni volta che si avvicinavano, si avvolse intorno a loro come se fossero un unico corpo, sibilando e fluttuando nell’aria circostante.

Norin si svegliò all’alba, destata dalla luce del sole nascente. Le nuvole si erano diradate, lasciando carta bianca alle pennellate di colori caldi dei primi raggi. Lo spesso manto di neve che ricopriva tutto il paesaggio brillava, dipinto anch’esso di un tenue arancione dalla prima luce solare. Era tutto esattamente come mesi prima: Zed era in piedi davanti alla finestra, assorto nella contemplazione del panorama, con l’Ombra che si avvinghiava mollemente attorno al suo torso scoperto. Si girò, guardandola con quei suoi occhi vivaci resi scarlatti dalla luce solare, sorridendole teneramente. La stanza risplendeva dei toni caldi dell’alba, mentre il sole continuava lentamente la sua ascesa. Il ninja, fremente, si mosse verso di lei, accucciandosi davanti al letto. Doveva riuscirci stavolta. Lei lo osservò emozionata, lasciandolo immergere di nuovo nei suoi occhi neri, dove l’assassino aveva trovato la sua vera dimora. Le scostò delicatamente qualche ciuffo scompigliato di capelli dal viso, accarezzandola con dolcezza.
– Norin. – iniziò, schiarendosi la voce profonda – Io…
La ragazza era in trepidazione. Gli sorrise, con le lacrime agli occhi all’idea di essere di nuovo con lui.
– Io ti…
Fece un respiro profondo.
– Io ti devo ringraziare. – riprese, tutto d’un fiato. Norin lo guardò interrogativa, corrucciando le sopracciglia in una buffa espressione.  
– Perché mi devi ringraziare? – gli chiese, ridendo intenerita dal suo imbarazzo. Gli afferrò saldamente i polsi e lo tirò sul letto, abbracciandolo forte. Si guardarono, con una tale intensità da farli emozionare, e si avvicinarono sino a far toccare le punte dei loro nasi, mentre l’Ombra serpeggiava sfacciatamente tra i loro volti. Il sole, ormai alto sopra le montagne, illuminava con la sua luce calda i loro corpi, risaltandone delicatamente le forme. I loro respiri tornarono ad essere una cosa sola, le loro labbra si sfiorarono appena.
– Perché senza di te non avrei mai capito cosa significasse amare.

 
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Ciao lettori! Non sono stata di molte parole negli ultimi capitoli, ma non avevo nulla da aggiungere di essenziale quindi ho preferito lasciare spazio al racconto. Qui si conclude la nostra storia - oserei dire finalmente visto tutto il tempo che ci ho messo - mi auguro che vi sia piaciuta e di non avervi deluso in alcun modo! Vi ringrazio di cuore per avermi supportato, anche semplicemente leggendo il racconto fino a questo punto, siete fantastici. Ho un'altra storia in incubatrice, sempre su questa stessa linea da romanticona persa (non la perderò mai questa indole mi sa) ma un po' più intricata e più legata al percorso interiore del personaggio principale. Appena avrò tempo e delle idee su come portarlo avanti pubblicherò i primi capitoli. A presto!
  
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