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Autore: nainai    30/11/2017    1 recensioni
Mi chiamo Alexandra Sarah Elisabeth Berg e tutti mi chiamano Lisette.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mascherine'
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Disclaimer: Attenzione. Il presente scritto ha per protagonisti persone reali e personaggi inventati, impegnati in vicende frutto di pura fantasia dell'autrice. La presente storia non ha alcun intento di verità o verosimiglianza; nessuna volontà lesiva nei confronti delle persone ivi citate; nessun diritto legale s'intende leso e ciascun diritto appartiene esclusivamente ai rispettivi titolari.

Heroes
A Christmas Carol


-Buon Natale, buon Natale!
Augurava il rubicondo omone all'angolo della strada.
Nelle luci e nei lustrini di inizio Dicembre il suono della campana che agitava richiamava già aria di festa, così come le risate allegre dei bambini con i visi contro le vetrine piene di giocattoli. Immancabile barba bianca, vestito rosso e pancetta prominente, era l'immagine di un tempo in cui i regali venivano confezionati dai folletti e lasciati cadere sotto l'albero quando i bravi bimbi erano già nel letto.
Gli stivali bassi della ragazzina slittarono sulla pavimentazione bagnata del marciapiede senza che perdesse l'equilibrio. Si fermò poco più in là, davanti alle vetrate di un negozio; le mani affondate nelle tasche dei jeans ed il giaccone chiuso fino al collo, il viso magro spariva tra le pieghe di uno sciarpone di lana colorata, che nascondeva anche gran parte dei lunghissimi riccioli scuri, vaporosi, su cui una pioggia sottilissima e costante distribuiva generosamente goccioline simili a perle. Gli occhi verdi ebbero un guizzo di attenzione che strappò loro sfumature azzurrate: dall'altro lato del vetro profumi, ordinati come soldatini di un esercito ben addestrato, promettevano scintillanti serate di fascino e seduzione.

Mi chiamo Alexandra Sarah Elisabeth Berg e tutti mi chiamano Lisette.
Il mio nome potrebbe sembrare poco importante, ma non è così. Io, infatti, mi chiamo Lisette Berg perché mia madre ha amato ed ama mio padre come mai nessun altro al mondo.
Se non fosse così, io porterei lo stesso nome di mio fratello.
Ma sono nata quattordici anni fa, dopo che i miei genitori avevano già smesso di essere una coppia, e, se mia madre aveva potuto sopportare l’abbandono di mio padre una volta, la seconda era stata semplicemente troppo.
Così io mi chiamo Lisette Berg.
Tra due giorni è il compleanno di mio padre. Vorrei fargli un regalo, non gliene ho mai fatti ma quest’anno mi sembra importante. Un po’ perché è quasi tre mesi che ho iniziato un lavoretto tutto mio per poter avere i soldi per i regali di Natale alla mamma ed a mio fratello, un po’ perché…non so. Mi sembra importante.
Mio fratello dice di no, dice che papà a certe cose non ci bada nemmeno, che ha poco tempo per pensarci e che, in generale, ha già tutto e non vuole niente.
Io lo so che nostro padre ha già tutto, ma questo non basta a me. E quest’anno voglio fargli un regalo di compleanno.

Il cellulare squillò in un borbottio basso ed incomprensibile, vibrando nella bambagia ovattata del piumino. La ragazzina si guardò perplessa, come a voler individuare con esattezza la fonte di quel disturbo, prima di tastarsi il petto ed i fianchi alla ricerca delle tasche del giaccone. Infilò due dita all’altezza del cuore, scavando per tirare fuori un vecchio telefonino malandato che scoppiò all’aria aperta in un guazzabuglio di suoni pop.
-…ciao.- annunciò soffocata la voce della ragazzina nel riconoscere il nome del chiamante, aprendo la comunicazione.
-Dove diavolo sei finita, Lisette?- irruppe suo fratello, perentorio e…paterno come sempre, con quel lieve accenno di sarcasmo che sembrava non abbandonarlo mai, in nessuna situazione. Lisette ricordava davvero poche occasioni in cui lui avesse perso la pazienza o manifestato un sentimento diverso da una quieta attesa nei confronti della vita intera.- Dovevi essere qui un’ora fa. Mamma è impazzita.- la informò.
-Mamma impazzisce troppo spesso.- osservò stringatamente lei.
-Oh, e questo ti giustifica?
-Non necessariamente. Comunque non torno ancora, Cody, sono in giro e devo vedermi con Maggie più tardi.- notificò mentre combatteva strenuamente contro la sciarpa per riguadagnare fiato e voce.
-Ottimo. Le verrà un colpo.
Lisette sbuffò, infastidita dalla piega che la discussione stava prendendo. Suo fratello approfittava un po’ troppo spesso della sua naturale propensione al senso di colpa.
-Dì la verità. Stai ancora cercando un regalo per papà?- insinuò l’altro con un risolino affatto divertito.
-Sì!- colse immediatamente lei, frenetica.- Quindi, se hai un’idea…- provò.
Ma lui la interruppe in modo talmente brusco da lasciarla senza fiato.
-Non ce l’ho. E non capisco dove sia il tuo problema. La mamma gli ha già preso un regalo.
La sottile vena di risentimento, che suo fratello sfoggiava ogni volta che toccavano quell’argomento, la lasciava ancora stupita e le dava noia come poche cose al mondo. Avrebbe voluto rinfacciargli che lui, almeno, papà lo conosceva e aveva avuto del tempo da passarci assieme. A lei questo diritto era sempre stato negato e la loro madre le concedeva a stento quelle brevi visite mordi e fuggi nelle feste comandate. Lisette, fin quando era stata bambina, aveva considerato il padre alla stregua di un estraneo e, crescendo, era arrivata a pensare che non sarebbe riuscita a provare per lui dell’affetto sincero.
Ancora adesso non era certa di provare alcunché.
Ma aveva maturato la convinzione – cosciente, e non emotiva – che, in qualche modo, le fosse stato portato via qualcosa, un suo diritto che rivendicava in quanto adolescente in conflitto con il mondo degli adulti. E Cody rientrava in quel mondo, sia perché non aveva mai fatto niente per appartenere alla propria età neanche quando era stato molto più giovane di così, sia perché a ventun anni e con una carriera universitaria avviata in medicina si stava avvicinando in fretta alle realtà dei “grandi”. Per cui, quando lui tirava fuori quell'accondiscendente e sbrigativo modo di liquidare la faccenda “papà”, lei provava istintivo un moto di rivalsa anche nei suoi confronti ed avrebbe voluto davvero rinfacciargli quei diritti negati.
Invece non lo faceva. Non esplicitamente, almeno. Si limitava a cercare di coinvolgerlo nei propri progetti, avanzando richieste di consigli in virtù della maggiore familiarità del più grande con il loro genitore. Cody rintuzzava, si scherniva, ironizzava e scrollava le spalle. Non rispondeva. Ridimensionava. Lasciava tutto nel limbo del non-detto. E lei viveva in quello del non-fatto. La naturale ritrosia del fratello davanti a quella storia la metteva in guardia contro tutte le ragioni che avevano spinto sua madre a fare determinate scelte, ma Lisette non voleva ascoltare ragioni. Solo quel desiderio di riprendersi la propria vita ed indirizzarla dove avrebbe preferito.
-Vabbè, senti, dì a mamma che arrivo per cena.- sbuffò sbrigativamente.
-Uhm.
-…e torna a studiare.- ipotizzò.
Cody rise, dandole conferma dei propri sospetti, e Lisette sorrise nelle pieghe della sciarpa, che era tornata ostinatamente al proprio posto.
-Mi spiace di averti rubato tempo, fratellone.- recitò compitamente.
-Ah, se dovessero bocciarmi in Chimica, saprò con chi prendermela!- scherzò lui prima di riattaccare.
Mentre infilava nuovamente il cellulare nel taschino, Lisette continuò a sorridere ed il riflesso nella vetrina le sembrò molto felice.
Una volta, in un'intervista, aveva letto che suo padre usava un profumo di Chanel...
Scosse la testa, ridacchiando, a lei non piacevano neppure i profumi di Chanel!

Caldo. Freddo. Freddo e caldo. Dicembre era un mese che aveva una storia a sé, pensava oziosamente fissandosi la punta delle scarpe mentre aspettava che qualcuno venisse ad aprirgli. Aveva una storia a sé perché aveva troppe cose. Il suo compleanno non faceva che aggiungerne un’altra e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, doversi ricordare dei regali per tutti, dei biglietti di auguri, delle telefonate di cortesia…del profumo del legno nel camino, della neve fuori dalla finestra, della voglia di salire in montagna e rimanere con il naso incollato al vetro a vedere la notte ricoprirsi di luci artificiali a sostituire quelle della luna e delle stelle…
Quand’era piccolo, il Natale voleva dire regali, dolci, la messa di mezzanotte e il pranzo con il pastore il giorno dopo. Erano tutte cose piacevoli. L’aspettativa finiva per colorare di sfumature le temperature di Dicembre. Freddo pungente della neve e delle giornate limpide e caldo profumato degli interni di casa, dei biscotti alle spezie e degli abbracci di sua madre.
Ma aveva smesso di essere “piccolo” in fretta. Dicembre non aveva perso sfumature, ma erano diventate diverse e più tiepide. Meno nette, mentre sul pianerottolo tirato a lucido si chiedeva se fosse il caso di liberarsi già della sciarpa di cachemire e dei guanti di pelle.
Passi scoordinati dietro la porta ed una voce alta e sicura gli dissero che non avrebbe avuto il tempo di darsi una risposta. Qualcuno, all’interno, annunciò un “apro io”, cui seguì prontamente l’azione.
Sorrise. Avrebbe tanto desiderato specchiarsi nella medesima ansia gioiosa anche dall’altro lato, ma fra le cose che Cody aveva preso da lui c’era la capacità di sorridere senza mettere nemmeno un briciolo di anima nel farlo.
-Ciao, papà.- lo riconobbe asciutto.- Sei in anticipo.- asserì subito dopo, con un tono che sapeva anche troppo di rimprovero.
-Già. Mi sono liberato più in fretta di quello che pensavo.- si giustificò imbarazzato, avanzando dentro casa, mentre sfilava via il cappotto dalle spalle.
Cody lasciò chiudere la porta alle sue spalle e lui non ebbe bisogno di girarsi per intuire nel suo sbuffo tutto lo scetticismo con cui aveva accolto quelle parole. Fu l’arrivo di Helena a salvarlo in corner dal desiderio, pazzo, di fare dietro-front e tornare sui propri passi.
In fin dei conti aveva mentito. Sia nell’accampare un preteso, precedente impegno, sia nel dire che si era liberato prima. Aveva semplicemente mollato a casa un insoddisfatto compagno, che lo aspettava immusonito ed arrabbiato, una volta di più costretto ad un’esclusione forzata da quel nucleo – disintegrato – che lui si ostinava a chiamare “famiglia”. Anche se della famiglia non aveva più i connotati da un pezzo e, forse, nemmeno li aveva mai avuti.
-Brian!- lo salutò Helena vivace ed aggraziata come sempre. Impeccabile nel vestito di seta nera, gli anni sembravano passarle addosso con la gentilezza di chi regala doni, invece di rubare gioie.
Ogni volta che se la trovava davanti, si diceva che era stato uno stupido.
Ma per quanto se lo ripetesse mille volte, sapeva con precisione disilludente due verità incontestabili: Helena avrebbe fatto qualsiasi cosa per apparirgli nel proprio smalto migliore e lui non era davvero in grado di dare un calcio alla propria vita per fare una scelta differente. Avrebbe potuto. Anni prima. Ed avrebbe fatto meno male. Ma ora come ora sarebbe stata una semplice ed infelice fuga verso una vecchiaia “più facile”.
-Ti trovo bene.- lo accolse lei, avvolgendolo in una nuvola di profumo nel piegarsi a baciargli le guance.
-E tu sei meravigliosa.- ricambiò Brian.
-Adulatore.- liquidò cinicamente Helena, agitando una mano a cacciare via quel complimento infestante.- Lisette è in ritardo.- annunciò poi, breve, precedendolo nel passaggio dall’ingresso al salone.
Brian registrò l’informazione senza commentarla e Cody approfittò della scusa di aiutarlo ad appendere il cappotto, la sciarpa ed i guanti per defilarsi in camera propria appena terminato.
In salone, Helena lo accolse con un sorriso meno plastificato e più sincero, recependo con la solita dolcezza silenziosa lo sguardo perso e deluso di Brian nel realizzare la manovra del figlio. Lei gli versò da bere senza prendersi la briga di chiedergli cosa preferisse – anni di conoscenza le concedevano il privilegio di non dover fare una simile domanda – poi lo raggiunse vicino ad uno dei bassi divani champagne che decoravano l’elegantissima sala. Si sedette di fianco a lui, dopo averlo lasciato prendere confidenza, ancora una volta, con un ambiente che riusciva a disorientarlo anche dopo anni, e gli porse il bicchiere.
Brian accettò e mandò giù d’un fiato il primo sorso e quell’amarezza che sentiva ancora nel ritrovarsi davanti la madre dei suoi figli – e quegli stessi figli, quando gli era concesso farlo.
-Non farci caso.- esordì lei, quasi stesse riprendendo un discorso interrotto pochi istanti prima.
E siccome era davvero una situazione che si ripeteva con spaventosa ciclicità, Brian poteva considerarlo facilmente un “discorso interrotto” e non badare troppo al fatto che riprendesse con tanta naturalezza.
Non le chiese di cosa stessero parlando, si limitò ad annuire, fissando il fondo mielato del liquore ed avvertendo nello stomaco la sensazione piacevole di calore fittizio.
Anni prima, quando Helena lo aveva lasciato per non tornare più indietro, si sarebbe accontentato anche della sua pazienza attuale, di quella compassione arrabbiata con cui faceva i conti ogni volta che si reincontravano. Ma lei gli aveva inizialmente negato anche quello.
Non poteva biasimarla – non ci riusciva ancora adesso – se avesse scambiato i loro ruoli, si sarebbe sentito abbastanza tradito, offeso ed usato da poter essere ben più vendicativo di così. Tornare assieme era stata una stronzata. Helena lo amava ancora, Brian non sapeva più cosa volesse ma sapeva che non era lei. Era la famiglia che lei offriva, forse, la sicurezza di poter trovare qualcuno disposto a sostenerlo davvero e a curare una ferita che non voleva smettere di sanguinare. Si sentiva troppo vecchio, allora, e troppo stanco per fare i conti, una volta di più, con il senso di abbandono di una storia finita senza essere mai iniziata davvero. Eppure sapeva – con la lucidità di ogni proprio errore – che stava sbagliando e non era davvero stato necessario che Matthew suonasse alla sua porta perché lui fosse consapevole che sarebbe finita. Non fosse stato Matt, sarebbe stato qualcos’altro o qualcun altro a decretare quella fine.
All’epoca aveva comunque finto di crederci. Aveva messo Matt alla porta, dicendogli di non farsi più vedere e con la segreta speranza che lui gli disubbidisse – in fondo, anche con la convinzione che lo avrebbe fatto – salvo morire dentro l’istante stesso in cui la porta si era richiusa alle sue spalle. Helena era incinta di Lisette e la sua menzogna non era durata abbastanza. Non abbastanza per aspettare che la bambina nascesse ed ancora meno. Perché non aveva atteso davvero che Matthew tornasse per affrontare Helena: lo spettro di quanto in quei due anni non si erano detti ed il proprio bisogno primario di fare i conti con un sentimento che non riusciva a schiacciare come avrebbe voluto.
Quando Matt era tornato, lo aveva fatto in una casa vuota. Helena si era portata via Cody ed una figlia ancora non nata.
-Come vanno le cose?- s’informò educatamente prima di bere un secondo sorso.
Helena giocherellò con i capelli, che portava molto più corti di quanto Brian ricordasse dalla volta precedente, ma erano ormai quasi sei mesi che non si vedevano e, quindi, era naturale che lei fosse leggermente “cambiata”.
-Come al solito. Cody studia ed i suoi risultati restano ottimi. Lisette studia meno, s’intestardisce in un milione di cose come tutti i ragazzini della sua età, ma ha un cuore grande e la testa sulle spalle.
Lui sorrise, soddisfatto ed orgoglioso. Helena aveva smesso da allora di chiedergli consigli su come educare i loro figli. Del resto, durante quel primo periodo di silenzio totale in cui si erano allontanati completamente, era stato necessario che lei imparasse a cavarsela da sé. E dopo, semplicemente, non aveva più avuto bisogno di chiedere.
-E tu?- domandò ancora. Scioccamente.
Helena lo guardò. Il sorriso che gli rivolse era genuinamente cattivo e Brian pensò che, se avesse potuto, presumibilmente gli avrebbe tirato uno schiaffo. Ma la buona educazione e quella tregua, firmata con il sangue, che avevano sottoscritto al compimento dell’ottavo anno di età di Lisette, la frenavano nei confini rigidi dell’educazione. Ingoiò la risposta autentica che avrebbe voluto dargli e si alzò.
-Come vuoi che stia, Brian? Benissimo, grazie.- mentì leggera, avvicinandosi nuovamente al mobile bar per servirsi a propria volta.- Spero che stia bene anche tu.
Difficilmente nominava Matthew.
Pensare che, una volta, Matt aveva creduto di trovare in lei l’unica alleata in un mondo che non faceva altro che esigerli separati.
-Ah…sì.- scorciò Brian, finendo il proprio bicchiere e posandolo sul tavolino di fronte.
Nel tornare indietro, Helena portò con sé la bottiglia e Brian pensò che erano patetici entrambi.

Lisette si sfilò la sciarpa ed aprì la lampo del giubbotto. Le guance si arrossarono non appena il calore del locale la investì, scaldandole le mani intirizzite. Girò attorno lo sguardo alla ricerca della propria amica ed individuò ad uno dei tavolini in fondo allo Starbucks la chioma bionda e boccolosa di Maggie.
-Ciao!- si annunciò vivacemente, approdando al tavolo dopo un veloce zig zag nella confusione caotica della caffetteria.
Il sorriso le morì sul viso non appena vide gli occhi azzurri dell’altra sollevarsi, velati di una patina così persistente di lacrime che sembrava quasi ristagnassero lì da sempre. Lisette arrotolò il proprio giubbotto sulla sedia vuota che aveva di fianco e sedette rapida, scrutando l’altra ragazza con aria preoccupata.
-…che succede?- sfiatò a voce bassissima, sporgendosi verso di lei.
I riccioli neri scivolarono in avanti sul tavolo, creando una tenda…una tana, in cui il singhiozzo strozzato della bionda si rifugiò quando lei abbassò la testa.
-Sono incinta.- mormorò a fior di labbra.
Lisette credette di non aver capito. La sua mente faticò a mettere a fuoco l’idea stessa che Maggie avesse parlato e poi, quando accettò che effettivamente avesse detto qualcosa, non riuscì ancora a capire cosa. Fu solo il suono del suo pianto, trattenuto e soffocato contro il palmo della mano e, poi, la manica del maglione rosa, a ricordarle la necessità di dire o fare qualcosa. Allungò una mano per istinto e quando incontrò la consistenza concreta del polso fragile dell’amica capì che era vero.
Semplicemente vero.
Maggie aveva quindici anni ed aspettava un figlio.
Studiava ancora, aveva un ragazzo poco più grande di lei e voleva diventare una ballerina. Ma aspettava un figlio.
-E’ di Luke.- biascicò ancora la bionda.
E Lisette si sentì umiliata al posto suo, pensando che era una precisazione inutile e che l’ultima cosa che avrebbe voluto farle pensare era che lei potesse credere fosse andata a letto con qualcuno di diverso dal suo ragazzo. Quel pensiero le fece capire quanto assurda potesse essere in quel momento la percezione che Maggie aveva della propria vita.
-Non è colpa tua.- fu la prima affermazione che riuscì a formulare a quel punto.
Gli occhi di Maggie dicevano l’esatto opposto quando tornarono ad alzarsi nei suoi, il senso di colpa le stava già divorando l’anima.
-Lui lo sa?- borbottò Lisette, agganciando una ciocca di capelli dietro l’orecchio in un gesto che la urtò l’istante dopo. Le sembrò indecoroso offrire a quel modo il viso di Maggie, stravolto dalle lacrime e dalla disperazione, agli occhi di tutti; ruotò attorno lo sguardo cercando di capire se qualcuno si fosse accorto di loro, ma sapeva da sola che, in quella situazione, si sarebbero sentite gli sguardi addosso anche se non fosse stato così.
Maggie parve farsi forza, invece, si raddrizzò sulla sedia, scavando nella borsa sul tavolo per cercare un fazzoletto ed asciugarsi gli occhi.
-Sì.- rispose intanto, con voce ferma.- Ma non è che cambi molto.
-Che vuoi dire?- chiese Lisette, torturandosi le maniche fino a sfilacciare il bordo del maglione nell’allungarlo a coprire le dita magrissime.
Maggie scosse le spalle, tirando su con il naso e strofinandoselo poi con il fazzoletto. Era rosso, così come gli occhi e le guance. Doveva aver pianto così tanto…!
-Avresti dovuto chiamarmi prima.- sfiatò Lisette, realizzando che avrebbe davvero voluto esserci fin dall’inizio, anche se nemmeno adesso aveva la più pallida idea di cosa andasse fatto.
-Non riuscivo a dirlo. Ora, invece, non provo più nulla. Le uniche persone a cui avrei dovuto davvero dirlo, non lo sanno ancora.
-I tuoi genitori…- intuì Lisette.
Maggie si concesse un sorriso storto.
-…mio padre mi ammazzerà con le sue mani.
-Come puoi dire una cosa del genere…?!- iniziò precipitosamente Lisette, ma lo sguardo serio e pacato dell’altra la zittì.
-…vedi…- iniziò piano, lenta ed impacciata, con un filo di voce così sottile che svaniva nel frastuono allegro del locale, spostando gli occhi attorno a sé come alla ricerca di un’ancora che avesse la consistenza di un’immagine colorata e diversa – …se pure non dovesse succedere…non potrei mai sopportare di averlo deluso…
Era logico, no? Insomma… chiunque avrebbe pensato quello, avrebbe pensato alla delusione dei propri genitori, al modo in cui dopo ti avrebbero fissata di nascosto, chiedendosi quando eri diventata così “grande” – così stupida ed avventata – così inutilmente incosciente! da dimenticare ogni cosa, ogni insegnamento, ogni morale. Quanto poteva pesare il giudizio dei genitori sulla coscienza di una ragazzina?
Eppure non era quello a lasciare Lisette senza parole. No…era stata…la scelta di Maggie di parlare solo di suo padre.
Una madre comprende. Una madre vive dello stesso sangue, della stessa vita dei propri figli. Ma un padre cos’è?
Mentre Maggie piangeva silenziosamente e soffocava se stessa per non mostrarsi al mondo intero, Lisette si sentiva egoista. Perché tutto quello che avrebbe voluto sapere lei era cosa ci fosse nella testa di un padre.

Brian bussò piano alla porta della camera di Cody. Sentì un rumore dall’altro lato che non riuscì ad identificare, poi la voce del figlio gli diede il permesso di entrare e lui ruotò delicatamente la maniglia.
Cody gli dava le spalle, seduto alla scrivania e con almeno tre diversi tomi e due quaderni aperti davanti. Era molto più robusto di quanto fosse stato lui alla sua età, aveva lineamenti più decisi e portava i capelli più corti. Rosicchiava la punta delle matite con i denti, quando era concentrato nella lettura, e sottolineava i passaggi più interessanti del libro o degli appunti: una volta quelli da leggere con attenzione, due quelli più importanti. Barry faceva la stessa cosa. Suo fratello aveva le spalle larghe come quelle di Cody – la pallacanestro ed il nuoto che lui, Brian, si era rifiutato di fare – portava i capelli corti e piaceva alle ragazze, perché aveva un viso bellissimo, dai tratti marcati e mascolini ma con occhi grandi ed espressivi.
Chissà se Cody aveva una ragazza…
Suo figlio si voltò a cercare chi fosse entrato ed i loro sguardi si incrociarono nel mezzo della stanza, impigliandosi in un momento di stasi perfetta prima che Cody battesse le palpebre, stupito da qualcosa, e lo fissasse interrogativo. Brian si rese conto solo in quel momento di stare sorridendo come uno scemo!
-Ce l’hai una ragazza?- si ritrovò a chiedere, semplicemente perché, lì per lì, non aveva trovato di meglio da dire per giustificare la propria presenza.
-…come…?- mormorò Cody.
Brian scoppiò a ridere, scrollando le spalle. Era consapevole che non glielo avrebbe detto comunque e non si aspettava, quindi, nessuna risposta. Allontanò da entrambi lo spettro della propria intrusione e si affacciò alla scrivania del ragazzo.
-Cosa stai studiando?- chiese, con più cortese distacco.
-Chimica.- rispose Cody agevolmente.
Se i loro rapporti restavano nei confini dell’educazione e del disinteresse reciproco, Cody riusciva a tollerarlo. Brian lo aveva capito anni prima ed ora, sebbene ogni tanto tentasse una timida sortita nella vita dell’altro, non provava davvero a recuperare un rapporto esauritosi da tempo. Non sapeva cosa Cody gli rimproverasse, lui non ne aveva mai parlato con nessuno – neppure Helena – ed era bravissimo a dissimulare il dolore, se mai ne aveva provato, che la lontananza del padre gli aveva procurato. Non c’era stato nemmeno un momento preciso in cui quella cosa era iniziata: quando si erano rivisti, otto anni dopo la nascita di Lisette, Cody lo aveva accolto con la freddezza di un estraneo. E basta.
Brian sedette sul letto, Cody gli stava illustrando compitamente i risultati degli ultimi esami, i progetti che aveva per la tesi e quello che pensava che avrebbe fatto dopo. Era una recita che ripetevano sempre uguale ogni volta – sei mesi prima c’era stata Anatomia, il Prof. Carrigane che gli aveva assegnato una relazione molto interessante ed il laboratorio di Biologia - Brian si dichiarava molto orgoglioso, Cody faceva finta che la cosa lo lusingasse... Mezz'ora di chiacchiere vuote e la voce di Helena, in corridoio, che li chiamava per la cena.
Brian gettò uno sguardo distratto all'orologio e calcolò quando sarebbe finita, quel giorno, la sua mezz'ora da padre.

Lisette aveva lasciato Maggie sotto casa. Lei aveva smesso di piangere da un po' e si era chiusa in un mutismo malinconico che aveva accompagnato, silenziosamente, i suoi inutili tentativi di distrarre l'amica dalla propria condizione. Lisette l'aveva abbracciata stretta. Voleva dirle qualcosa che la confortasse, che la aiutasse a passare incolume quella serata e la notte che le si apriva davanti.
La pioggia intorno a loro era neve, adesso. C'era buio, gente che continuava a camminare senza vederle, senza accorgersi dell'angoscia di Maggie.
Non sapeva cosa dirle e rimase in silenzio anche lei, appesa alle spalle troppo fragili di una quindicenne. Maggie le ricambiò l'abbraccio e si voltò per sparire nel portone senza guardarsi indietro.
Lisette guardò il vetro a specchio. C'era una ragazzina con i capelli neri, le guance rosse come mele per il freddo pungente, la sciarpa arrotolata attorno alla bocca e il giubbino chiuso fino in alto, fino a sotto il naso che spuntava da sopra l'orlo di lana. La ragazzina la guardava e lei guardava la ragazzina e si chiedeva se avesse gli occhi verdi, azzurri, o blu o...
Aveva gli stessi occhi di suo padre.
Ogni tanto sua madre lo ripeteva. Lo diceva come se fosse una constatazione incredibilmente dolorosa per lei. Cody non aveva i suoi occhi; erano color caramello, come quelli della madre, erano più grandi, con ciglia folte e scure, con un'espressività intensa e magnetica, ma color delle nocciole tostate, caldi e profondi.
Lisette guardò l'ora sullo schermo del cellulare sgangherato. Era tardissimo. Sua madre la stava aspettando sicuramente, arrabbiata. Anche suo padre e suo fratello la aspettavano. Digitò in fretta un messaggio per Cody, le dita intirizzite che saettavano sulle lettere della tastiera.
“Non vengo a cena”. Lapidario. Avrebbe affrontato le conseguenze più tardi.
Guardò il nome della strada in cui si trovava, appeso in alto sopra un lampione. Non era così distante dalla sua meta! Allungò il passo e quasi corse in direzione dell'isolato successivo.

La defezione di Lisette all'ultimo momento aveva rabbuiato Helena tutto d'un colpo.
L'umore generale della serata stava virando dal pessimo al più nero possibile. Cody osservava preoccupato la madre e il padre consumare la cena in un silenzio pesante che preannunciava lo scatenarsi di una tempesta. Conosceva quel tipo di tensione: sua madre era arrabbiata con la figlia, in parte si sentiva in colpa per la circostanza che lei non avesse ritenuto importante cenare con il padre, così deludendo le aspettative di quest'ultimo, e lei avrebbe finito per prendersela con lui quando, invece, Brian non aveva altra colpa se non quella di essere un estraneo per i propri figli.
Cody sospirò, posando cautamente la forchetta sul bordo del piatto e cercando affannosamente di trovare qualcosa che potesse ridimensionare la situazione. Non capiva perché Lisette, che in quei giorni sembrava ossessionata dall'idea di dover “piacere” al padre, avesse preferito restare in giro con l'amica, invece che tornare a casa e cenare con loro. Sua madre lasciava loro così poche occasioni per stare un po' con Brian...!
-Comunque...ho un ragazzo.- esordì Cody all'improvviso.
Brian sollevò lo sguardo dal proprio piatto, stupefatto. Helena si voltò anche lei in direzione del figlio, ma non sembrava sorpresa e, quindi, doveva già saperlo.
-Credevo...- Brian s'interruppe, rendendosi conto che stava per fare l'osservazione più stupida del mondo, resa ancora più stupida dalla circostanza che potesse uscire dalla sua bocca.- Oh. E come si chiama?- chiese invece.
-Thomas. E' un compagno di Università.
-In realtà, studia Farmacia.- intervenne quietamente sua madre.
Il tono controllato e pacato, con cui fece quella precisazione, lasciò intuire a Cody che anche lei doveva essersi accorta della direzione sbagliata che i propri pensieri stavano prendendo e stava cercando di porvi rimedio.
-E' un bel ragazzo!- commentò Helena, facendo arrossire Cody e strappando a Brian una risata.- Un bravo ragazzo.- aggiunse ancora.- Ti piacerebbe.
-Magari, potresti farmelo conoscere.- suggerì Brian, voltandosi di nuovo verso il figlio con un sorriso sereno.
-Può darsi che a Natale resti da noi per qualche giorno. I suoi sono di Manchester, così abbiamo deciso di passare le vacanze un po' qui ed un po' lì.- spiegò Cody.
-Quindi, è una cosa seria!- osservò Brian, leggermente stupito.
Cody arrossì di nuovo e si rifugiò nel cibo, prendendo ad inforchettare pezzi di arrosto e carote con ostinazione evidente.
-Oh, adesso non fare il padre geloso!- sminuì Helena in tono leggero.
Brian stette al gioco: Non faccio il padre geloso, ma penso di avere il diritto di conoscere il ragazzo del mio bambino.
-Papà, ho ventun anni.- intervenne Cody, senza alcuna ostilità.
-Appunto...bambino.- ribadì Brian.
Cody rise, fingendosi offeso: Non sono più un bambino da un pezzo!
Si sentiva bene. Cody afferrò quella sensazione in mezzo all'allegria strana che si era creata tra loro tre. Era come recuperare un senso di familiarità che gli sembrava impossibile poter provare di nuovo per l'uomo seduto a tavola con loro. Cody si chiese se anni di delusione e distanza potessero essere cancellati solo così, con un paio di battute e il confessare candidamente la propria sessualità ad un genitore che non era lì quando, al liceo, l'avevi scoperta, ti aveva fatto soffrire e piangere ed, infine, accettare per quello che eri.
-Non è che devo venire a sapere che anche tua sorella ha un fidanzatino?- insinuò Brian.
-Lisette?!- Cody sembrava realmente sconvolto da quella prospettiva. Helena rideva e Brian la guardò di sottecchi e sorrise anche lui, senza riuscire a mantenere quell'atteggiamento da padre severo – Lisette è piccola!- protestò Cody, intanto.
-Ecco. Adesso siete in due ad essere gelosi.- commentò Helena, indicandoli entrambi.
Brian e Cody arricciarono in naso nella medesima espressione stizzita, sembrando all'improvviso così simili che Helena avvertì distintamente una fitta affondarle rapida nello stomaco.
-Non sono geloso!- sbottarono entrambi.
E scoppiarono a ridere tutti e tre, subito dopo.
-In ogni caso,- riprese Cody colloquiale, appena furono tornati seri. Sollevò il pezzo sanguinolento di manzo trafitto in punta alla forchetta ed annunciò- ucciderò mia sorella non appena sarà tornata a casa.
-...meglio che non lo abbia, quel fidanzatino.- commentò Brian – Non vorrei essere nei panni del poveretto che dovesse avere a che fare con un fratello così!

Matthew Bellamy stava provando a concentrarsi sul proprio lavoro da ore, ormai. Ma la realtà dei fatti era che, con cadenza quasi fissa, si ritrovava piuttosto ad osservare in modo maniacale le lancette dell'orologio a parete del salotto. Quello appeso davanti al pianoforte apposta per dargli modo di rendersi conto degli orari e dell'opportunità di andare a dormire, arrivati ad un certo punto della nottata. Per quella funzione, l'orologio non aveva mai sortito alcun effetto – quando suonava, Matt dimenticava semplicemente di alzare gli occhi e guardare il mondo fino a quando l'ispirazione non era completamente svanita. In compenso, quando Brian era fuori, da Helena ed i figli, come quella sera, l'orologio si rivelava un ottimo diversivo ed una splendida ragione per ignorare totalmente il mucchio di spartiti che giacevano abbandonati un po' ovunque: piano, tavolo della sala da pranzo, tavolino da caffè davanti al divano...pavimento.
Sbuffò.
Premette senza intenzione reale uno dei tasti del piano e storse il naso. Era praticamente scordato! Come accidenti poteva essere quasi scordato?!
Valutò l'opportunità di alzarsi, gettando un'occhiata annoiata al telefono di casa che lo attendeva all'ingresso: magari poteva fissare un appuntamento con l'accordatore... Magari...
Chissà se Brian avrebbe invitato Cody e Lisette da loro per Natale...
Ed Helena avrebbe mai permesso che pranzassero con loro? Matt ne dubitava. Magari se lui avesse acconsentito a partire per l'altra metà del globo terracqueo, o se avesse giurato di imbarcarsi per una missione per Marte, lei avrebbe permesso a Brian di invitarla insieme con i figli per il pranzo di Natale.
...avrebbe potuto trovare on line dei biglietti per un tour natalizio di Marte?
Rise istericamente a quell'idea. In quel momento aveva voglia di spaccare qualcosa, tanta era la rabbia che avvertiva sotto pelle. Era stato bravo, in quegli anni, aveva fatto di tutto per non interferire con la vita di Brian quando aveva a che fare con la donna, per evitare che una sua eventuale intrusione significasse perdere quei pochissimi progressi che lei aveva faticosamente concesso. Praticamente, conosceva i figli di Brian esclusivamente dalle foto che l'altro gli mostrava quando tornava da uno degli incontri che aveva con loro o dallo scambio di qualche battuta veloce al telefono, prima che lui gli passasse il padre.
Questa cosa gli pesava tantissimo. Da parte sua, aveva voluto che Bingham crescesse conoscendo il suo compagno, instaurando con lui un rapporto di affetto, e il risultato era stato che Brian e Bing andavano fin troppo d'accordo, in una versione di famiglia allargata che era un po' tipica della sua cerchia. L'esatto opposto di quanto accadeva nella vita di Brian.
Sapeva che pesava anche a lui. Dover tenere i figli distanti da Matt significava, in qualche modo, doverli tenere distanti da sé. E non solo in senso fisico, perché non poteva permettersi di ospitarli a casa loro se non dopo aver cortesemente chiesto a Matthew di sparire per qualche giorno, ma anche in modo più profondo e difficile: era impedire loro di conoscere qualcosa di lui che per lui era davvero importante.
Al momento, però, non c'era verso di fare altrimenti.
Il cellulare di Matt, appoggiato sul piano a cui era ancora seduto, squillò. Lui lo sollevò per controllare chi fosse e riconobbe il nome del chiamante in pochi istanti.
-Dom.- salutò asciutto, aprendo la comunicazione.
-Ehilà! Stai ancora struggendoti di noia davanti ad un pianoforte muto o sei giustamente indaffarato nella preparazione della festa di compleanno del tuo uomo?- s'informò il batterista canzonatorio.
...come lo conosceva dannatamente bene!
Matt preferì non rispondere direttamente, comunque.
-La festa del mio uomo è a un punto ottimo.- disse invece. E puntigliosamente elencò – Ho già fissato il locale, il catering, comprato il regalo e mandato gli inviti.
-Da quando sei diventato tanto efficiente?
-Da quando tu mi stai con il fiato sul collo, senza nessuna ragione reale per farlo!- ritorse Matt piccato.
-In realtà, sto penosamente cercando di distrarti. Non potendo essere lì per farlo fisicamente,- Matthew avvertì distintamente il senso di abbandono che le parole dell'altro risvegliarono tutto in un colpo: Dom era dall'altra parte dell'Oceano, al momento, e lui si sentiva ancora più solo senza il sostegno dell'amico – ti importuno al telefono.
Matt sfiatò un respiro profondo, cercando di cacciare almeno in parte quella malinconia che avvertiva. In fondo, Brian sarebbe rientrato a breve.
-...grazie.- mormorò. Dom non si premurò di farci caso.- Comunque...voi ci sarete, vero?- s'informò con praticità l'istante successivo.
-Io sicuramente. Kate ed i ragazzi resteranno qui, probabilmente. Vengono in Inghilterra per Natale, lei deve ancora sistemare delle cose del lavoro e i ragazzi hanno lezione fino al 20 Dicembre.
-Come va con Bing?
-Un disastro!- rise Dom.- Tutto suo padre!
-...ah...ah.- mimò Matthew, senza nessuna inflessione.
-Santo Cielo, Bells! Sei di umore esecrabile!
Il campanello della porta suonò. Matt si chiese perché il portiere non lo avesse avvisato che c'era una visita per loro.
-Devo andare, Dom.
-Dove?
Matt guardò l'orologio: Mi sa che Brian si è dimenticato le chiavi di casa.- sospirò.
Dominic rise nuovamente e lo salutò breve, mentre Matt, già in piedi, raggiungeva la porta. Intascò il cellulare nei jeans, allungò una mano verso il battente ed aprì, dandosi mentalmente dello stupido per non aver prima controllato chi fosse dallo spioncino della porta.
-Ciao...- esordì una vocetta incerta, inciampando anche su quelle pochissime lettere infilate a forza tra la lana di una sciarpa enorme, in cui la bocca piccolissima svaniva come in una nuvola.
Matt sbatté gli occhi un paio di volte, la mano ancora sulla maniglia della porta e il cervello che lavorava alla velocità della luce. Lei schiacciò in basso la sciarpa, dopo aver allentato la cerniera del giubbino, e sfoderò un sorriso enorme – incerto quanto il suo “ciao” - che gli fece mancare un paio di battiti, data la somiglianza spaventosa con ben altro sorriso.
-...Lizzie...- sussurrò alla fine Matthew.
Una manina aperta a mo' di saluto e, insieme, di assenso a quel riconoscimento, Lisette rimase ferma e composta, arricciandosi su se stessa come una gattina infreddolita ed aspettando la sua reazione.
-...mi fai entrare?- chiese alla fine, con la stessa vocina sottile.
Matt si riscosse in quel momento, la squadrò ancora e poi chiese, tentando di non suonare troppo brusco: Tua madre sa che sei qui?
-Ovviamente no.
Matthew si spostò dalla soglia: Entra.
Dopo essersi assicurato che la ragazzina riprendesse un minimo di calore ed averle, a questo scopo, fornito prontamente un proprio maglione ed una tazza di tè bollente, Matthew raggiunse Lisette in salotto, dove lei si era accomodata al centro esatto del divano più grande, togliendosi gli stivali umidi di neve e arrotolando le gambe sotto il sedere. Eliminato il giubbotto ingombrante, lei sembrava una versione più giovane e con i capelli più lunghi di suo padre. Un Brian in miniatura – Lisette era perfino più minuta di lui – ai tempi migliori della propria carriera.
Matt si sedette sulla poltrona davanti al divano, cercando di dire al proprio battito impazzito che non c'era nulla di così speciale in quella situazione: la figlia del suo compagno era lì, in casa loro, a parlargli. Ok. Niente di speciale, proprio.
-Che ci fai qui?- le domandò, quando si rese conto che lei, impegnata a sorseggiare serenamente il proprio tè, non sembrava particolarmente intenzionata a spiegare da sé quella presenza.
Lisette mise via la tazza, abbassandola sulle gambe incrociate, e lo guardò.
Era davvero molto, molto carina, pensò Matthew. La ragazzina più carina che avesse mai visto. Sicuramente quella con l'espressione più dolce.
-Ho bisogno del tuo aiuto.- annunciò con sicurezza.
-Del mio aiuto?- ripeté Matt perplesso.- Per cosa?
-Per papà, è ovvio!- esclamò lei, stupita che lui potesse anche chiederlo.- Tra poco è il suo compleanno...
-Sì.
-Ed io non so cosa regalargli.- concluse Lisette.
-Tua madre gli avrà già preso un regalo, Lizzie.- fece notare Matt, ripetendo il contenuto di quanto era usuale da sempre Helena facesse per il compleanno di Brian: un regalo prezioso a nome proprio e dei due figli.
-Quello è il regalo della mamma.- ribatté lei, senza farsi scoraggiare.- Nemmeno ci chiede se ci piaccia, prima di comprarlo. E papà avrà l'armadio pieno di orologi costosi, ormai!- sbuffò.
Matt rise. Sì, lo aveva.
-Non...credo...gli importi del regalo che la mamma gli fa. E' solo un'abitudine.- mormorò ancora Lisette, senza guardarlo più ma fissando il fondo limaccioso del tè.
Matthew la scrutò con attenzione nuova. Lisette sembrava sinceramente colpita da quella cosa. Matt sapeva poco del suo rapporto con il padre; Brian, in realtà, aveva sempre fatto intendere che fosse piuttosto superficiale: Lisette era educata con lui, socievole come era, peraltro, con chiunque, cordiale...ma non si conoscevano e la ragazzina non faceva nulla per infrangere quella barriera invisibile che si era creata tra loro. Adesso, questa Lisette, tutta presa dall'idea di un papà che non apprezzasse il regalo di compleanno fattogli a suo nome, non corrispondeva affatto all'idea mentale che Brian gli aveva trasmesso.
-E' molto carino da parte tua volergli fare un regalo personale.- le disse, incoraggiante.
Lisette sembrò apprezzare le sue parole, sollevò di scatto la testolina e lo guardò con un'espressione felice.
-Ecco vedi! Cody dice di no!- affermò concitata.
Matt non seppe cosa rispondere. Cody era un discorso parecchio complicato e lui non se la sentiva di entrare così prepotentemente nelle dinamiche familiari di Brian, non senza che la situazione con Helena si fosse chiarita.
-Lui dice che a papà non interessa che io gli faccia un regalo ma...per me è importante!- sottolineò con enfasi.
-Se lo è, dovresti farlo.- annuì Matt, prendendo molto seriamente le sue parole.
-Ma non so cosa regalargli!- si lamentò a quel punto lei, sgonfiandosi sotto i suoi occhi come un palloncino riempito di sentimenti contrastanti.- Io...! Io non lo conosco quasi per niente! Non conosco i suoi gusti e...! Cody non mi aiuta!- concluse piccata, stringendo le braccia al petto e mettendo su un broncio talmente grazioso che Matt ebbe voglia di abbracciarla.
-Cody avrà le sue ragioni, Lizzie.- lo giustificò, invece, Matt.
-Cody è uno stronzo!
Matthew spalancò gli occhi.
Eccola lì! Adesso sì che era una copia in miniatura del padre: una piccola furia arrabbiata, pronta a mordere il fratello maggiore per aver deluso le sue aspettative. Decisamente, era come sentir dire le parolacce ad una bimba di sei anni...
Matt decise in fretta come muoversi. Lisette gli piaceva davvero e non era così sciocchina o ingenua come poteva sembrare, anzi: pareva che lei fosse molto più sveglia e sensibile di quanto sarebbe stato opportuno, data la situazione.
-Se ha preso almeno un decimo del carattere di vostro padre, è ben più di uno stronzo.- la informò.
Lisette ristette, sgranando quegli occhioni assassini per un momento e trasformando poi, lentamente, la propria espressione stupita in una divertita, sorrisetto sottile e complice tutto per lui.
Matt pensò che, a breve, lei lo avrebbe fottuto esattamente come aveva fatto suo padre.
-...quindi...mi aiuterai?- chiese la ragazzina, speranzosa.
Matt ci pensò su un momento, poi sospirò.
-Lizzie...- iniziò con difficoltà. Si grattò la testa, imbarazzato, cercando le parole migliori per spiegarle bene quel concetto.- Non è importante.- decise alla fine, sebbene stesse, di fatto, ripetendo le parole di Cody. Così, ritenne opportuno spiegarsi meglio – Potrei, effettivamente, portarti in giro con me e indicarti un regalo che potrebbe andare bene, ma non è davvero necessario. Il regalo più bello, che tu o Cody possiate fare a Brian, è questo.- spiegò indicandola. Lisette sbatté gli occhi senza capire. Matt sorrise, intenerito.- Hai una vaga idea di quanto tuo padre sia...orgoglioso o felice di avervi?- le chiese a bruciapelo.- Siete la cosa migliore che gli sia mai successa, credimi, e non fa altro che ripeterlo a chiunque sia disposto ad ascoltarlo.- La vide stringere forte le labbra, emozionata.- E adesso sei qui, seduta in salotto a parlare con me.
Lisette fece per aprire la bocca e replicare, ma non parlò. Come se stesse lentamente capendo quello che lui voleva dirle.
-Qualunque stupido oggetto tu gli comprerai, anche il più...inutile, ingombrante, idiota degli oggetti che potrai trovare!- esclamò Matt, allegramente.- sarà il regalo più bello del mondo, per lui, Lizzie.
-Ma io...- mormorò lei, leggermente delusa.
-Sono sincero. Tuo padre non ha bisogno di nulla e non vuole nulla. Tuo padre ha bisogno di voi.

Cody, dopo cena, gli aveva mostrato sul cellulare un po' di foto di Thomas.
Era davvero un bel ragazzo, aveva convenuto Brian, anche se si era guardato bene dal dare “ufficialmente” la propria approvazione al riguardo. E così, a pelle, sembrava anche un tipo a posto. Uno tranquillo. Ma Cody stesso era “uno tranquillo” e Brian dubitava potesse scegliere un compagno che fosse, invece, una gran testa di cazzo.
...mica come lui.
Rise a quell'idea.
Cody, seduto al suo fianco sul divano, in salotto, ed impegnato a raccontargli come si erano conosciuti lui e Thommy, lo fissò senza capire quella reazione.
-Scusa.- si giustificò rapidamente Brian, ammettendo sinceramente.- Stavo pensando a Matt.
Cody s'irrigidì. Brian capì di aver fatto un tragico errore nel citare Matthew: Helena non era l'unica che aveva maturato del risentimento nei confronti del suo partner, si rese conto.
Suo figlio, comunque, scelse di non rovinare quell'attimo di intimità e, con uno sforzo fin troppo evidente, superò quel piccolo ostacolo spigoloso – quel nome fastidioso incastrato nel mezzo dei loro intricati rapporti familiari – e andò avanti.
-Insomma, siamo usciti per un po' solo come...amici. Nel senso,- corresse immediatamente- sapevamo entrambi di piacerci, ma non ci andava di farci coinvolgere subito da questa cosa.
-Molto maturo.- assentì Brian, pensando che lui, invece, maturo non lo era mai stato in vita propria.- E come siete...passati oltre?
Cody sbadigliò, stanco. Si stava facendo tardi. Di solito, Brian a quell'ora era già a casa propria da un pezzo, ma quella sera erano tutti e tre in piedi, ad aspettare il rientro di Lisette.
La ragazza avrebbe preso la più madornale lavata di capo della propria intera esistenza.
Il ragazzo mise da parte quel pensiero e considerò se rispondere al padre. Aveva creduto, inizialmente, che sarebbe stato più difficile parlargli di Thomas. Invece, le cose venivano fuori con una tranquillità familiare che lo faceva sentire particolarmente sereno.
-...non lo so.- confessò quietamente.- Ad un certo punto l'ho baciato e non ricordo nemmeno perché accidenti l'ho fatto.- ammise.- Sarà stata la situazione, immagino. Ma non era una gran situazione, effettivamente. L'ho solo baciato, ecco.
-Evidentemente, eri arrivato a sentirti sicuro di lui.
-Sì.- annuì Cody, stropicciandosi il viso e lasciandosi sprofondare contro il divano.- Beh...Tu hai mai pensato semplicemente che qualcuno fosse la persona giusta per te?- chiese tornando a fissarlo intensamente.
“Sì. E ci vivo assieme dopo aver abbandonato la mia famiglia, Cody”.
Brian non lo disse.
-Ammetto che le mie relazioni sono sempre state più tormentate.- ridacchiò, invece.- Sono felice che mio figlio non abbia preso esempio da me.
Anche Cody rise, leggero.
-Papà...- mormorò dopo un istante di silenzio che, per una volta, non sembrava né forzato né imbarazzato, ma estremamente naturale.- Mi fa piacere che tu sappia di Thomas.- gli disse.- E mi farebbe piacere che lo conoscessi. La mamma ha ragione, ti piacerebbe.- ammise con un sorriso.- E' il genere di ragazzo che piace ai genitori!- rise poi.
-Ottimo! Approviamo i ragazzi che piacciono ai genitori.- affermò Brian molto seriamente, facendo ridere ancora il figlio.

-Ogni volta che veniamo qui, papà fa sparire qualsiasi cosa ti appartenga.
Matt la guardò senza rispondere.
Lisette stava girando per casa con l'attenzione accorta di chi, effettivamente, la vedesse per la prima volta. In particolare, il grande piano bianco in salotto l'aveva attirata come una falena; aveva sbirciato i suoi spartiti, scavato nel suo disordine e quasi...annusato la sua presenza come un gatto, come se avesse bisogno di capire se i loro “odori” potevano confondersi adeguatamente, adattarsi l'uno all'altro.
Matt l'aveva lasciata fare. Si stava facendo davvero tardi e la madre di Lisette sarebbe stata terrorizzata a morte. Si chiese se fosse il caso di avvisare che era lì ed, alla fine, prese il cellulare e mandò un messaggio a Brian.
“Tua figlia è a casa nostra”, comunicò stringatamente.
Si assicurò che lui avesse letto, ma non aspettò la risposta.
Lisette era seduta al suo posto al pianoforte e schiacciava tasti a caso.
-E' scordato.- osservò piattamente.
-Sai suonare?
Lisette scosse la testa: Cody suona il piano.- lo informò invece.- Molto bene.- aggiunse. Lo guardò- Fa anche dei concerti, sai?
-Davvero?
Lisette annuì, tornando a fissare il piano e premere tasti: Io canto.
-Oh.
Matt pensò una cosa come “spero tu abbia una voce migliore di quella di tuo padre”, ma si astenne dal dirlo Lei non avrebbe necessariamente apprezzato l'ironia cattiva che lui e Brian erano soliti scambiarsi in quell'ambito e lui non era abbastanza in confidenza per poter cancellare una brutta impressione con una scrollata di spalle.
In realtà, sapeva che Cody suonava il piano molto bene e sapeva, anche, che Lisette aveva iniziato a studiare canto quando era ancora piccola. Una passione che aveva manifestato quasi subito e che non era più andata via.
Brian rispose al messaggio: “Rispediscimela in taxi. Helena ci ucciderà entrambi.”
Matt intascò nuovamente il cellulare.
Lisette sembrava essersi stancata del pianoforte, ma non delle partiture abbandonate lì davanti. Le sfogliava con interesse, concentratissima.
-Papà diceva che non sai scrivere la musica.- affermò.
-Sì. Tre milioni e mezzo di anni fa, era così.- convenne Matt senza offendersi, avvicinandosi anche lui al piano.- Ma tuo padre tende a dimenticare che nella vita si può anche progredire.- aggiunse divertito.
Lisette gli sorrise, complice: Per papà io ho ancora sei anni!- ridacchiò.- ...in realtà, anche per Cody.
-Abbastanza normale. Mio fratello mi tratta da poppante ogni volta che ci vediamo.
-Comunque...- Lisette gli sorrise con una dolcezza così autentica che Matthew ebbe nuovamente voglia di abbracciarla.- grazie.
-Figurati, Lizzie.- Guardò il piano, le partiture che lei posò con delicatezza lì dove le aveva prese.- Sai...mi farebbe piacere se, magari, tornassi qualche altre volta. Se ti va.- aggiunse rapidamente.- Non dobbiamo per forza dirlo a tua madre.
Lisette rise: Mi stai suggerendo di disubbidirle?!- esclamò fingendosi scandalizzata.
Matt non si perse d'animo: A differenza di tuo padre, io sono un pessimo genitore.- confessò candidamente.- Andiamo.- la incitò poi.- Ti chiamo un taxi perché ti riporti a casa e, intanto che aspettiamo, ti preparo qualcosa da mangiare. Ho il sospetto che tu sia a digiuno...
Lisette non negò. Saltò giù dallo sgabello del piano e lo seguì diligentemente in cucina.

Nota di fine capitolo della Nai:
Questa storia è vecchia.
L'idea di fondo è coeva a quella di LLL, ma cronologicamente la seguiva per cui...
In ogni caso, ho sempre pensato che Lisette e suo padre non potessero restare degli sconosciuti l'uno per l'altra e che, prima o poi, i rapporti che avevo “massacrato” con LLL dovessero riprendere a funzionare.
Spero che vi piaccia! A breve la seconda parte...
MEM
  
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