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Autore: BabaYagaIsBack    30/11/2017    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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22. Whatever it takes
 
Non aveva ben chiaro per quale motivo si fosse allontanato con tutta quella fretta dal corridoio, ma sapeva per certo che non voleva star lì. Vedere come le mani di Arwen si erano strette intorno al corpo di Aralyn aveva scatenato in lui un mix di emozioni che non era certo voler definire; sicuramente c’era stata della rabbia, del fastidio, forse persino invidia. Sì, si sarebbe potuto proprio dire che Joseph provasse, nei confronti dell’Alpha, della gelosia: lui poteva fare e dire ciò che voleva, poteva avvicinarsi a lei senza che vi fosse nulla di male o che la ragazza desse di matto. Era un’aspettativa che, il solo immaginarla, gli smuoveva qualcosa di insolito dentro, come un piccolo maremoto interiore e, più cercava di farlo calmare, più si agitava. Perché? Cosa diamine gli stava capitando? Per quale ragione aveva iniziato a trasformare il suo odio per gli Impuri, per lei in particolar modo, in qualcosa di meno duro e più dolce?
Aumentò la velocità dei passi, imboccando la strada che portava verso l’uscita e, una volta sul portico, si fermò, picchiando furiosamente un pugno contro il parapetto di legno ed imprecando piano, a denti stretti. Non aveva più controllo su di sé. Ogni giorno la linea di separazione tra Joseph Menalcan e la finzione che era Josh si assottigliava, quasi sparendo; ma come?
Colpì ancora una volta il legno, digrignando sempre più i denti. Perché lo infastidiva tanto che Arwen, un altro maschio e Alpha, si avvicinasse a lei, la sfiorasse e le ronzasse intorno? In fin dei conti erano opposti, destinati a due mondi e realtà diverse; anche se avesse avuto particolari mire su di lei non ci sarebbe stato alcun futuro, quindi perché non lasciarla a lui?
D’un tratto, delle voci familiari lo riportarono alla realtà, come se fosse spinto da un venticello sempre più forte, capace di allontanarlo da qualsiasi cosa. Alzò lo sguardo, cercando le fonti di tali suoni e già sospettando il peggio. Mise in allerta i sensi, certo che ogni momento potesse essere utile per qualsiasi distrazione dai pensieri legati a quella femmina.
L’udito da Purosangue, fine più di qualsiasi altro, diede presto un nome ai due licantropi intenti a conversare animatamente, ma ciò che maggiormente lo interessò, fu l’argomento su cui vertevano i loro scambi: il Pugnale della Luna, l’oggetto per cui aveva abbandonato la Scozia e si era infiltrato in mezzo ai nemici, rischiando quotidianamente la propria vita.
La voce di Eike prese una nota acuta, mettendo in allerta il Nobile: «Ma dovrebbe sapere anche lei che è in nostro possesso!» Chi doveva saperlo? Quale lupo, nel silenzio, si era unito alla causa del Duca? Una lei, questo era certo; che si trattasse quindi di Ophelia, il quarto Alpha più importante che ci fosse nel Concilio?
«Il problema sono i Menalcan, non quella vipera! Ho sentito Aralyn che ne parlava con Arwen… quei bastardi sono in città, ci stanno ancora addosso» bofonchiò in risposta Garrel, ora abbastanza vicino da poter far recepire alla perfezione tutte le sue parole. Dal portico, Joseph riusciva adesso a scorgerli alla perfezione, uno accanto all’altro e con le braccia ricolme di tocchi di legna da ardere. Che avessero in programma qualcosa di particolare? Una grigliata di Primavera magari, oppure l’iniziazione di qualche nuovo adepto che, certamente, non era lui.
Il battibecco cessò d’improvviso e, quando il Purosangue alzò lo sguardo, si rese conto che i due si erano accorti della sua presenza, della vicinanza preoccupante che si frapponeva tra loro. Non si fidavano ancora di lui, non abbastanza, e quindi tacquero come se fossero stati scoperti a scambiarsi oscuri segreti.
Il viso del licantropo più anziano si indurì nello scorgerlo, mentre Eike parve trasformarsi in un bimbo. Gli corse incontro, quasi facendo cadere a terra tutto ciò che teneva tra le mani «Amico!»
«Ehi!Ho disturbato il vostro momento intimo?» scherzò Joseph, scendendo lentamente i pochi gradini che lo separavano dal patio. Doveva provare ad apparire il più ingenuo possibile, a fingersi ignaro di qualsiasi cosa, anche se seppur i Solitari, dovevano aver appreso del “grande colpo” inflitto ai danni del clan di Douglas.
Garrel soffiò dal naso, gonfiando subito dopo il petto, cercando di metterlo in guardia. Alla domanda sbagliata lo avrebbe attaccato, era chiaro come il sole. Forse Aralyn con lui aveva parlato, forse gli aveva rivelato tutti i suoi dubbi e gli aveva chiesto di tenerlo d’occhio; o forse, quel gorilla, ancora non era riuscito ad inquadrarlo.
«Come sempre, moccioso!»
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Non poteva negare a sé stesso di averlo sentito, distintamente come quando qualcosa cade in una stanza silenziosa; lui aveva avvertito l’odore del suo nuovo pupillo sulla pelle di sua sorella e la cosa l’aveva completamente fatto infuriare. Ecco cosa succedeva ad affidarle compiti del genere, si faceva palesemente trascinare. Se l’era anche portato a letto? Diamine, se fosse successo l’avrebbe fatta pagare ad entrambi. Li aveva visti, due giorni prima, scendere dalla stessa auto da soli e lei era nascosta dentro alla giacca di lui, troppo grande per il suo corpo da ragazzetta. L’idea che lei non indossasse nulla sotto a quel giubbino lo aveva fatto imbestialire, perché Aralyn era sua e di nessun altro; inoltre Josh non era del tutto parte del branco, cosa che lo rendeva ancor meno adatto a sua sorella. Doveva tenerli lontani, assicurarsi che tra loro non potesse aver modo di succedere nulla. Anche se era la cosa peggiore da fare, Arwen non l’avrebbe concessa ad altro uomo se non se stesso, non più quantomeno. Come poteva, però, trattenerla? Come poteva persuaderla a restargli accanto, a non scegliere nessun altro? D’improvviso la consapevolezza di poterla perdere, di essere faccia a faccia con una situazione che fino a quel momento aveva solo immaginato, lo infastidiva.
Si morse il labbro. Sì, più volte aveva pensato di darla in dono a qualche clan alleato, ad Alpha capaci di provvedere meglio a lei senza che incorressero nella pena dell’esilio -se non peggio-, ma dopo che aveva realmente saggiato quella possibilità, si rendeva conto che era esattamente l’opposto di ciò che desiderava.
Quasi come un’illuminazione, il suo sguardo cadde sul cellulare, abbandonato poco più in là della sua mano. L’afferrò, continuando a pensare a cosa fosse meglio fare per ghermire nuovamente sua sorella; infine, digitò un messaggio di poche parole, un ordine più che una proposta “Hai un’ora, preparati. Andiamo fuori a cena.” 
Sì, l’avrebbe coccolata un po’, lusingata con modi innocenti. Avrebbe usato su di lei l’ascendente da capobranco, quell’effimero charme capace di soggiogare ogni Beta presente nel clan. Non gli sarebbe sfuggita in alcun modo.
Attese la risposta, fissando senza sosta il display nero. Sapeva che sarebbe arrivata presto, conosceva Aralyn meglio di chiunque altro; e così accadde. Il suo “okay” apparve in un riquadro biancastro capace di illuminare nuovamente lo schermo.

 
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La scelta, come capitava spesso, ricadde su un piccolo ed anonimo ristorante cinese nella periferia più ad est della città. Le lanterne di carta, rosse, ondeggiavano al vento quasi dando loro il benvenuto. Aralyn lanciò un sorriso timido nei confronti del fratello che, finalmente sceso dall’auto, poté ammirarla in tutta la sua mise elegante. Dai soliti abiti casual o d’allenamento, quel look un po' trasandato che era solita portare, era passata ad un vestitino leggero e del trucco più ricercato, entrambi capaci di metterne in risalto la bellezza cruda e rigida tipica dei membri della famiglia Calhum. 
Alle chiacchiere del viaggio ora si era sostituito un silenzio leggermente imbarazzato, tipico dei primi momenti di un appuntamento -sempre se come tale, quell’uscita, si poteva definire. Nonostante questo, Arwen si armò della cavalleria che tanto affascinava le donne e, trattando sua sorella come una qualsiasi sua spasimante, le aprì la porta invitandola ad entrare. Si fecero largo all’interno, poi lasciarono che una cameriera li conducesse ad un tavolo appartato in mezzo a due divanetti, a ridosso della parete. Era il punto perfetto per intraprendere qualsiasi tipo di discorso, dalla chiacchiera più futile a quella più intima, cosa che arrivò subito dopo l’ordinazione.
La ragazza sospirò appena, cercando di sembrare il meno ansiosa possibile «Notizie dal vecchio?» usando un nomignolo tipico loro, si rivolse all’Alpha riguardo al Duca. Riflettendoci, constatò l’uomo, ancora non avevano parlato di quella situazione dal momento in cui Joseph era arrivato nella loro tana; strano, vista l’importanza della situazione ed il fatto che entrambi fossero a capo, anche se in modi differenti, del clan.
«Non proprio… lui al momento si trova in Gran Bretagna, dettaglio non proprio a nostro favore. I suoi uomini saranno seguiti a vista dai Menalcan, così come i nostri. Non possiamo mandare degli inetti a fare lo scambio. Siamo in stallo per ora»
«Perché non mandi me e Garrel a fare lo scambio? Siamo i migliori e muovendoci in due non daremo così nell’occhio» Aralyn lo disse cose se fosse la cosa più ovvia da fare, una risposta semplicissima ad una domanda che appariva tutt’altro che alla portata di tutti. Il capobranco le lanciò un’occhiata di tralice, cercando di farle capire solo da quel gesto quanto fosse in disaccordo con la sua proposta: «Preferirei evitare, siete appena rientrati da un’altra missione suicida» bofonchiò poi, per essere certo che non vi fosse alcun fraintendimento. La sorella fece roteare gli occhi, sporgendosi subito dopo verso di lui. Era sprezzante del pericolo e riluttante all’idea di dover lasciare lavori di tale portata a terze parti, ne era più che sicuro. «Eppure anche tu sai che siamo la scelta migliore» sussurrò lei giusto pochi istanti prima che la stessa cameriera che li aveva condotti al tavolo li raggiunse per prendere l’ordinazione. Misero in pausa il discorso giusto il tempo di dettare le pietanze, ma nella mente di Arwen, i pensieri non si interruppero nemmeno per un secondo. Era fuori discussione organizzare una missione a quel modo, con solo due licantropi ed il rischio di non rivederli più; inoltre, si stava parlando delle sue punte di diamante, il migliore amico di una vita, il braccio destro di sempre e sua sorella, l’unico membro della famiglia che gli restava, nonché la femmina di cui, in modo forse malato, aveva finito con l’innamorarsi. Come poteva dare la propria approvazione ad una cosa del genere? 
Prese un lungo sorso dalla bottiglia d’acqua presente sul tavolo «Può darsi, ma ora mi serve che ti occupi di Josh. Potrebbe diventare un ottimo combattente, se riusciamo a farlo diventare parte del branco… al cimelio ci penseremo più avanti, quando anche il vecchio ci renderà partecipi dei suoi piani. Se ci muovessimo ora e da soli, finiremmo con avere anche Ophelia ed i suoi alle calcagna».
Aralyn sbuffò «E così mi releghi ad un lavoro del genere? Non pensavo che mi volessi addosso a quel novellino!»
«Se con “addosso” intendi che voglio sapere la tua opinione sulla sua ammissione nel clan o meno, allora sì, lo voglio. Se ti stai riferendo ad altro, invece sappi che ne sono altamente infastidito» con uno sguardo tutt’altro che amichevole, Arwen cercò d’infondere ancora più enfasi alla propria frase. Non si era certamente scordato il rientro di quei due: aveva ancora ben impressa nella mente l’immagine di lei semi nuda, avvolta in una giacca non sua e lo sguardo indagatore di Josh, intento a studiare ogni lembo di pelle visibile. Solo un altro maschio, invaghito della stessa donna, avrebbe potuto notare quel tipo di occhiate, il modo con cui andavano ad accarezzare e mordere la carne. 
«Ha qualcosa che mi spinge a credere che possa essere come una lama a doppio taglio» la voce di lei fu un soffio perso nel vento: la sua mente era adesso altrove.
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Joseph rimase immobile sul portico, intento a fumare l’ennesima sigaretta del giorno. Aveva avuto la mente occupata da tutto e al contempo da niente: ogni pensiero si era dissolto in quello successivo, senza fargli ottenere nulla. I gemelli non si erano visti per tutta la giornata, così la sua compagnia si era ridotta ai fantasmi della coscienza. Molti lupi lasciavano la tana per passare il tempo in città: chi per lavorare, chi per studiare e altri ancora per il semplice gusto di stare tra la gente. Persino Aralyn, dopo il loro incontro sulle scale, era scomparsa in qualche luogo a lui oscuro e, non sapere dove fosse, lo mandava sempre più in ansia. 
Con un certo fastidio, del tutto incomprensibile, si ricordò che quella altro non era che una dannatissima nemica. Doveva bramare il momento in cui le avrebbe spezzato il collo o strappato il cuore dal petto, non desiderarla e basta! Quel desiderio era un abominio, un aborto da portare a termine al più presto possibile, eppure non ci riusciva. Ogni giorno, scontro o incrocio di sguardi era benzina per l’incendio che si era andato a creare in lui. Lui era un Menalcan, sant’Iddio! Era figlio ed erede di Douglas, uno dei licantropi Puri con il diritto di sedere tra i sette Nobili del Concilio, mentre lei era un’Impura, prole di umani. Il suo sangue era sporco, il suo animo meno animale, la sua progenie non avrebbe mai eguagliato quella di un purosangue -eppure la voleva. Dopo il modo in cui si era aizzata contro Kyle, sfoderando la sete di vendetta, poi contro di lui, mostrandogli la forza del suo orgoglio, aveva finito con il vederla in modo diverso, più intenso. Perché, però? Cosa la distingueva da una qualsiasi femmina presente anche nel suo clan?
Un colpo di tosse alle sue spalle lo fece sussultare. Il cuore gli schizzò in gola e, per un istante, si sentì come scoperto. Volse appena lo sguardo, titubante ed impaurito dal fatto che sul proprio viso si potesse leggere chiaramente a cosa stesse pensando. Non doveva lasciare che nessuno, nemmeno il più inutile tra quei lupi, si accorgesse di quell’innaturale invaghimento. Gli occhi azzurri di Joseph andarono così a cozzare con l’espressione indagatrice di Garrel, l’immenso omaccione che era sia braccio destro dell’Alpha, sia della ragazza a cui aveva pensato per tutto il giorno.
Con un cenno del capo l’Impuro accompagnò il suo saluto. 
«Moccioso…» e per un istante, parve quasi che volesse trovare una scusa per tirargli un pugno dritto in faccia.
Di rimando, quasi offeso da quello scambio, il Menalcan rispose a tono: «Gorilla…»
Per quanto Garrel potesse incutere un certo timore, per lo più a causa della sua immensa stazza, lui non si sarebbe fatto vedere impaurito. Era discendente di un Alpha e avrebbe sempre combattuto per dimostrarlo, volente o nolente, come purtroppo era inevitabile per la sua natura. 
Avvicinandosi, l’energumeno continuò a guardarlo di sbieco, fin quando, giunto alla sua stessa altezza sul portico, non spezzò il silenzio che aveva seguito quelle prime e brevi battute.
«Non azzardarti a toccarla» soffiò fuori dalle labbra, spostando lo sguardo verso le fronde delle conifere non troppo distanti da loro. A quelle parole, Joseph sentì le ginocchia farsi molli. Come aveva fatto quel tipo a leggergli nei pensieri? Era davvero così palese, ciò a cui aveva rivolto i propri ragionamenti? Deglutendo si fece forza: «Perché no? Non mi sembra che ci sia qualcosa di sbagliato…» a sua volta si mise a fissare oltre il parapetto in legno, concedendosi brevi ma frequenti occhiate al viso del nemico. Garrel non reagì in alcun modo, rimase fermo a fissare il nulla per alcuni istanti, poi riprese: «Non mi interessa cosa tu pensi. Aralyn non deve importarti, punto e stop».
«Per quale ragione? Arwen le ha già messo le zampe sopra?»
L’altro si voltò prontamente, incuriosito e al contempo sconvolto. Qualcosa, nella sua espressione, fece intuire a Joseph di aver toccato un tasto dolente, una specie di dente scoperto all’interno della bocca del clan.
«Ascoltami bene: lei non è e mai sarà di Arwen. Non azzardarti a ripeterlo in altre circostanze» e quasi, nel suo tono, si poté leggere una minaccia velata.
Come era possibile che non fosse sua? Li aveva visti, aveva visto il modo in cui si guardavano, il modo in cui i loro corpi non scappavano l’uno dall’altra, aveva visto qualcosa -anche se lei aveva negato. Era dunque una menzogna? Una copertura? O forse una sorta di gelosia da parte del licantropo che ora gli stava accanto?
Dopo un lungo tiro dal filtro ingiallito provò ad avanzare quell’ipotesi «Quindi suppongo sia tua …» Di tutta risposta, una risata roca e corposa si fece strada verso i suoi sensibilissimi timpani, facendogli storcere le labbra. Un’ondata di pura forza parve investirlo e fargli male. Il gorilla sembrò poi asciugarsi le lacrime d’ilarità con un dito. 
Joseph iniziò a capirci ancora meno. Per quale ragione se la stava ridendo a quel modo? Cosa aveva detto di tanto ridicolo? Inesorabilmente si ritrovò a corrugare le sopracciglia.
«Oh no! E’ come una sorellina per me, non potrei mai avere mire su di lei. Dannazione, che fantasia! Ciò che intendo è che lei ha bisogno di un lupo diverso da te.»
«Perché? Cosa ho che non va?» d’un tratto l’insicurezza venne sostituita dalla curiosità, un sentimento tanto forte da fargli cambiare il modo di approcciarsi a quella situazione.
«Perché c’è qualcosa in te che ancora non mi convince, ragazzo. Stalle lontano, non combinare casini, sennò ti ammazzo» e così dicendo, con una pacca un po' troppo forte sulla spalla, Garrel si congedò da Joseph, lasciandolo nuovamente solo.
Cosa diamine sapeva, quel tipo? Per quale ragione aveva detto quelle parole? Che Aralyn gli avesse parlato di ciò che era successo in città? No… avevano fatto un patto infondo. Allora perché sospettava di lui? Il cuore riprese a martellargli il petto, tanto forte che per un attimo credette che potesse sfondargli il petto ed uscire dal suo corpo. Non poteva essersi già fregato, non poteva aver mandato a puttane la sua missione. Doveva fare qualcosa, agire al più presto. Se quell’energumeno avesse parlato con Arwen o si fosse confrontato con qualche altro lupo pericoloso per lui sarebbe stata la fine; lo avrebbero inseguito, catturato, torturato e poi ucciso, cosa che non poteva assolutamente permettere accadesse.

 

AniaWow! Credo sia passata una vita dall'ultimo aggiornamento, ma finalmente sono riuscita a mettere mano al capitolo, sistemarlo un po' e presentarvelo.
Ho interamente tolto dei pezzi, modificato dei discorsi e provato a rendere i rapporti tra i personaggi più reali: dite che ho fatto bene?

Cosa ne pensate? Avete voglia di dirmi la vostra?

Aspetto vostre news, lupacchiotti! Intanto vi saluto e ci vediamo al prossimo aggiornamento :D

 

 

 
   
 
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