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Autore: Il sistema umano    02/12/2017    1 recensioni
Thomas è un giovane aspirante avvocato alla ricerca di un nuovo impiego. Lo troverà in un prestigioso studio legale ma ben presto si renderà conto che c'è qualcosa di strano nel nuovo ambiente di lavoro. Trascinato dai colleghi all'interno di una realtà che non avrebbe mai potuto immaginare, si ritroverà ben presto coinvolto in una situazione pericolosa e dalla difficile via d'uscita.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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IL GIOCO
 

CAPITOLO 1: DI CORSA

 

La vita a volte può essere davvero imprevedibile, e benché la maggior parte delle volte si riveli null’altro che monotona e ridondante, dietro certi angoli oscuri del tempo alcuni avvenimenti possono prendere una piega davvero bizzarra e inaspettata. Queste erano considerazioni che al giovane Thomas neanche passavano per la testa, eppure avrebbe dovuto a breve fare i conti con questa realtà delle cose, nonostante ne fosse totalmente all’oscuro e nonostante ne avrebbe compreso il significato troppo tardi.

 

Il giovane Thomas camminava per strada quella mattina uggiosa di novembre. Aveva il passo svelto poiché se non si fosse sbrigato avrebbe perso il treno. Quel treno avrebbe dovuto portarlo ad un colloquio di lavoro importante. Le condizioni economiche in cui versava in quel momento non erano certo disastrose, ma vi si sarebbero rivelate ben presto se non avesse trovato un impiego decente. Tempo fa a lavoro fu licenziato, una brutta storia mai chiarita della quale il giovane Thomas si era sempre dichiarato innocente. E per certi versi lo era, solo che probabilmente si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, e questo a causa della sua indole curiosa. Questa indole apparteneva al ragazzo fin dalla tenera età, e se c’era una cosa che assolutamente non avresti mai dovuto dirgli, questa era proprio di non fare qualcosa. Al suono di quella frase nella testa del giovane Thomas scattava qualcosa, come se ci fosse un interruttore o una leva che all’udire quelle parole venivano di colpo premuti o abbassati. Ed è così che Thomas si sentiva quasi obbligato psicologicamente  fare quello che gli veniva detto di non fare. Potete immaginare quanto sia stato complicato per i genitori badare all’educazione di un ragazzo dalle simili caratteristiche psicologiche. Per cercare di portarlo su una via corretta era sempre necessaria una buona dose di arguzia e di fermezza. Ma Thomas non era un cattivo ragazzo, e a modo suo comprendeva ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Fu così che la madre, a causa delle sparizioni di bambini che stavano accadendo nella città, proibì al bambino di uscire in certi orari o di frequentare certe zone. Come non detto, sembrava quasi che Thomas lo facesse apposta a sgattaiolare fuori di casa passando per il garage, e ad andare a curiosare nei posti che gli erano stati proibiti, proprio nelle ore a cui gli era stato vietato. Quella sera si ritrovò al parco. Il sole stava tramontando e nonostante la luce iniziasse a diminuire, la tinta che aveva preso il cielo era di un meraviglioso arancione acceso e fiammeggiante. La luce si andava depositando sugli alberi, sui muri, e sulle persone, conferendo a tutto un alone caldo e avvolgente, delicato e candido. Stava giocando a pallone con altri bambini, i quali pero’ erano venuti accompagnati dalle loro mamme. Ad un certo punto un bambino, che tutti chiamavano “mocciolo” a causa della scarsa capacità del suo naso di tenere dentro i liquidi, tirò un calcio forte, ma proprio forte. Ovviamente, come era solito quando “mocciolo” tirava in porta, mancò il bersaglio e la palla andò rotolando via per il parco, in una zona che a vista si vedeva, ma che i bambini non erano soliti frequentare.

«E ora chi la va a prendere?» chiese Dylan. Era un bambino paffutello che aveva sempre qualcosa da mangiare. Era cicciottello è vero ma per quanto mangiava c’era da stupirsi che non fosse già scoppiato, e questa era una cosa sulla quale Thomas rifletteva spesso sia quando lo guardava, sia quando nei caldi pomeriggi estivi non aveva nulla da fare se non starsene un pò in giardino a prendere il fresco dell’ombra delle piante e a tirare qualche bastone al cane.

«Mia mamma dice che non mi posso allontanare» disse Robert, un’altro bambino che giocava a pallone, ma che apparteneva alla squadra avversaria a quella di Thomas.

«Già anche la mia dice così»

«Pure la mia»

Sembrava un coro di voci perfettamente sincronizzate, tutti i bambini esprimevano in quel momento lo stesso concetto, governati dall’istinto ancestrale di obbedire ai propri genitori. Ma come sopra riportato, Thomas quell’istinto non ce lo aveva, o meglio, ne aveva un concetto assai differente. In ogni caso aveva già disobbedito alle direttive dei genitori, e anche se la mamma, se fosse stata li in quel momento, probabilmente gli avrebbe dato le stesse indicazioni che erano state date agli altri bambini, beh ormai il danno era fatto quindi non aveva senso per Thomas tirarsi indietro a quel punto.

«Andò io» disse Thomas con fermezza

«E tua mamma? A lei lo hai chiesto?» chiese con indecisione Dylan.

«Mia mamma non è qui, quindi no può proibirmi di andarci»

E detto questo, con passo svelto Thomas si avviò nella direzione in cui il pallone era stato scagliato con troppa violenza da “mocciolo”. Il tragitto non era poi così lungo, infondo si trattava di percorrere non più di duecento metri, ed essendo sera l’aria estiva stava iniziando a rinfrescarsi. Non ci sarebbe voluto molto, nell’arco di una decina di minuti Thomas sarebbe riuscito a tornare dai suoi amici e se le loro mamme gli avessero concesso ancora del tempo avrebbero finito la partita, che ora era bloccata ad un pareggio. Era su quello che ragionava Thomas mentre camminava e procedeva spedito verso la meta. Non c’era da stupirsi infondo che stesse pareggiando, nella sua squadra erano state scelte tutte le riserve, e infondo la maggior parte del gioco la stavano facendo lui e un altro bambino che neppure conosceva, ma con il quale c’era stata fin da subito un’intesa nel concludere le azioni.

Thomas non si era voltato indietro neppure una volta da quando aveva iniziato ad allontanarsi, eppure era convinto che i suoi amici lo stessero ancora guardando e che avessero gli occhi incollati sulla sua schiena.

Poi, quasi tutt’un tratto, Thomas giunse a destinazione. Non se ne rese neanche conto, dato che il flusso di pensieri aveva occupato interamente il tempo del tragitto.

La palla non si vedeva eppure era proprio li che doveva essere, insieme agli altri l’aveva vista dirigersi proprio in quel punto e proprio li fermarsi. Che l’avesse presa qualcuno? Così Thomas si guardò un po’ intorno alla ricerca del pallone o di qualcuno che avrebbe eventualmente potuto prenderlo. Nella zona intorno a lui, che si faceva secondo dopo secondo più buia lasciando al rosso del tramonto il posto di un bluastro notturno, c’erano diverse panchine ma quasi tutte vuote. Una era occupata da una coppietta tutt’assorta in effusioni amorose

«Bleah» fece Thomas, accompagnando il verso con una smorfia di ribrezzo. Infondo, dal basso dei suoi otto anni non era ancora in grado di comprendere davvero appieno molte sfaccettature della vita. E se lo avesse fatto, probabilmente non si sarebbe trovato li in quel momento. Oltre la coppietta, c’era un signore di mezza età che portava a spasso il cane, un meraviglioso alano che già a quattro zampe era alto quasi quanto Thomas. Chissà se i genitori prima o poi gli avrebbero fatto tenere un cane in casa, lui ci sperava così tanto…

«Hei bambino» una voce adulta riscosse Thomas dai suoi pensieri e dalla sua ricerca.

«Bambino, dico a te» La voce sembrava molto calda e gentile. Thomas si voltò di scatto in direzione di quel suono.
Poco più avanti, seduto su una panchina leggermente coperta da alcuni arbusti, vi era seduto un uomo. Aveva un giubbotto beige e faceva a Thomas un sorriso amichevole a trentadue denti. Ma la cosa che colpì di più Thomas era quel che l’uomo aveva in braccio: proprio il pallone!

Thomas fece un sorriso e si rivelò essere contento di averlo finalmente trovato. Così istintivamente voltò la testa verso dove sarebbero dovuti essere i suoi amici, in lontananza. Non ne vide neppure uno, anzi si accorse che il parco in generale si stava facendo praticamente deserto. Probabilmente le loro mamme avevano deciso che si era fatto troppo tardi e che era ora di tornare a casa, pensò Thomas. Poco male, il pallone a “mocciolo” glielo avrebbe ridato domani, tanto ormai le partitelle di pallone erano all’ordine del giorno. Anzi, Thomas pensò pure che forse era venuto anche per lui il momento di rincasare: fra poco la mamma lo avrebbe chiamato per la cena, e se avesse scoperto che non era più in camera sua sarebbe andata su tutte le furie. Probabilmente gli avrebbe tolto i videogames per almeno una settimana! No, questo non doveva succedere. Così Thomas si tolse il sorriso che gli era venuto e mise un tono cordiale ma formale, per quanto sia possibile per un bambino di otto anni «Signore, quella è la mia palla! Potrei riaverla indietro?»

Il signore, che aveva la schiena poggiata sulla panchina, si fece avanti e iniziò a passarsi la palla fra le mani, esaminandola.

«È davvero una bella palla! Di quelle che usano i professionisti negli stadi!»

E Thomas prontamente rispose «Si perché il papà di “mocciolo” ha giocato tanti anni in una serie minore, quindi ha molti palloni a casa. A volte andiamo a casa sua e “mocciolo” ci fa giocare con i palloni con cui si allenava il papà. Solo quelli che non sono importanti però, perché gli altri il papà non ce li fa usare» lo disse in un fiume di parole, come se ogni parola avesse lo stesso senso di quella prima e di quella dopo, cioè tutto e niente.

«E chi e è “mocciolo"?» chiese il signore con espressione incuriosita

«È il proprietario del pallone» rispose Thomas

«Ma non avevi detto che il pallone è tuo?»

«Si ma… Beh non è proprio mio, io ci stavo solo giocando insieme a lui»

«In questo caso non so se potrò ridartelo, non ti appartiene» disse il signore ritraendo a sè il pallone.

«Ma io… non ho mica intenzione di rubarlo. Mamma dice sempre che le cose degli altri non si devono prendere. Io stavo… Lui ha tirato una pallonata troppo forte e ha mandato la palla fin qui, ma nessuno la poteva andare a prendere perché le loro mamme glielo hanno proibito. Così sono venuto io»

Nello sguardo dell’uomo si dipinse un’espressione curiosa. Fu solo un attimo e Thomas non riuscì a coglierla. In ogni caso se anche l’avesse vista, probabilmente non avrebbe compreso il significato.

«E la tua mamma non te lo ha proibito come agli altri bambini?»

«No perché lei non c’è. Mia mamma è a casa. Anzi signore, per me è tanto tardi e se non rincaso in tempo mamma si accorgerà che sono uscito. Per favore, mi ridà il pallone? Prometto che domani lo ridò a “mocciolo” subito!»

L’espressione del signore si fece pensierosa, e sembrò quai che un’ombra scura gli traversasse per un attimo il volto. Ormai la tinta rossastra del tramonto era scomparsa del tutto e il buio della notte stava per dominare incontrastato il panorama. Il parco era praticamente deserto e anche la coppietta e il signore con il cane erano andati chissà dove.

«Facciamo così allora» disse il signore «io ti ridò la palla, ma tu ti lasci dare un passaggio fino a casa con la macchina. Mi dispiacerebbe se tua madre ti sgridasse a causa del tempo che ti ho fatto perdere. Se non accetterai, dovrò tenere il pallone»

Thomas ci pensò un attimo su. Probabilmente era un’ottima idea. Infondo la mamma gli aveva sempre detto di non camminare da solo di sera perché si rischia di incontrare guai, e con quel signore sarebbe arrivato dritto a casa in un baleno. La mamma sarebbe stata fiera di lui.

«Va bene» disse Thomas.

«Ottimo» così il signore, in gesto lento ma deciso sporse, tenendola con tutte e due le mani, la palla in avanti. Era un gesto d’invito che Thomas colse alla svelta. Così si avvicinò al signore e gli prese la palla dalle mani.

«Bene» disse in signore alzandosi «Dammi la mano, così posso portarti alla macchina » continuò.

«Signore, sono un po’ grande per la mano »

«Hai ragione, sei un ometto tu! Andiamo»

E così si avviano, percorrendo il proseguio del parco e andando quindi in direzione opposta rispetto quella da cui Thomas era arrivato. La notte ormai aveva completamente fagocitato i colori naturali delle cose, portando il mondo che si apriva agli occhi di Thomas in sfumature di blu. Mentre camminavano nel parco aperto su tutti i lati, le stelle troneggiavano su di loro, e qualche grillo rompeva il silenzio di quella che ormai era diventata la notte.

«Ti piacciono i fumetti?» chiese il signore mentre camminavano.

Thomas aveva il pallone infilato sotto al braccio e camminava seguendo il ritmo dell’uomo.

«Certo, mi piacciono Superman e gli X-Men. Wolverine è fichissimo, riesce a farsi uscire della lame dalle mani e con quelle ci puo’ tagliare qualsiasi cosa!»

«Sembra che Wolverine sia proprio il tuo preferito» disse in tono accondiscendente il signore.

«Cero che lo è! È indistruttibile e quando qualcuno lo ferisce le ferite si rimarginano da sole!»

«Io ho molti fumetti in macchina, se vuoi posso farteli leggere»

«Ce li hai gli X-Men?»

«Certo. Ora ti confesso un segreto» l’uomo fece una pausa seria e Thomas lo guardò incuriosito «anche per me Wolverine è il preferito»

Thomas fece un grande sorriso «Ma dai! Non ci credo!» era davvero contento di aver incontrato quel signore. In quel momento pensò che sarebbe piaciuto alla mamma.

Attraversarono tutto il parco e finalmente uscirono dall’altro ingresso. Si affacciava su un lato della città che Thomas non aveva mai frequentato, e ripensandoci in quel momento, se fosse andato da solo probabilmente ormai sarebbe arrivato a casa. Poco importa comunque, con la macchina sarebbero arrivati in un baleno. Ed avrebbe anche potuto leggere i fumetti nel viaggio!

«Ecco, quella è la mia » disse l’uomo indicando quello che più che un mezzo di trasporto sembrava essere un rottame preso direttamente dalla spazzatura. Gli sportelli e il cofano avevano un colore diverso fra loro e la macchina sembrava davvero sudicia.

«Vieni» disse dolcemente l’uomo.

Thomas lo seguì e quando l’uomo gli aprì la portiera posteriore per farlo entrare, Thomas notò che all’interno erano sparsi rifiuti do ogni genere, da lattine vuote a avanzi di cibo e giornali. Thomas si fermò un istante sulla soglia della portiera, esitante. Così l’uomo si sporse all’interno, rovistò per qualche secondo fra la spazzatura, poi…

«Ahhh, eccolo qua» e dicendo questo tornò alla posizione normale sfoderando un meraviglioso fumetto degli X- Men.

A Thomas si illuminarono gli occhi «Non ci posso credere, ma questo è… RARISSIMO! Dylan dice sempre che un giorno me lo presta, ma non lo fa mai perché è troppo geloso delle sue cose. Dice che l’ultima volta che ha prestato un fumetto a “mocciolo” poi lui glielo ha restituito tutto impasticciato»

«Ti piace? Lo puoi tenere» disse con un sorriso l’uomo.

«Davvero?» a Thomas non servì altro per essere convinto, a dire il vero per perdere completamente la testa. Così, di getto si fiondò dentro la macchina.

L’uomo fece un gran sorriso mentre chiudeva la portiera. Ma non un sorriso normale. Uno di quei sorrisi che hanno una nota agghiacciante dietro, uno di quelli che a vederli si gela il sangue. La portiera si stava per chiudere quando.

«Si fermi immediatamente!» una voce ferma e sicura ruppe il momento.

«Lasci subito la portiera e metta bene le mani in vista»

L’uomo si voltò di scatto verso la voce, e la sua espressione completamente cambiò quando vide il poliziotto che gli puntava l’arma contro. L’uomo si gelò e rimase di sasso.

«Agente io… C’è qualche…»

«Metta le mani in vista e…»

Ma la frase dell’agente fu interrotta a metà dalla voce di una donna, proveniente da dentro la macchina parcheggiata della polizia proprio sull’altro lato della strada «Che cazzo stai facendo con mio figlio! »

Dicendo questo la donna uscì tempestivamente dalla macchina e fece per attraversare l’agente, che però la bloccò con un braccio, tenendo comunque l’altro con la postola teso verso l’uomo.

«Stia indietro per favore»

Udendo la voce di donna, Thomas fece capolino fuori dalla macchina «Mamma!» e così dicendo corse tempestivamente fra le braccia della madre, che lo cinse a sé «Come stai amore mio» chiese la mamma con gli occhi lucidi e la voce tremante.

«Benone mamma, questo signore mi stava accompagnando a casa perché ha detto che non poteva ridarmi il pallone sennò. Mi ha anche regalato un fumetto, lo vuoi vedere?»

L’uomo era ancora immobile davanti la portiera, e aveva le mani in alto all’altezza del volto «Io… volevo… Era tardi e…»

Il poliziotto si fece avanti a passo deciso e quando  fu alla giusta distanza dall’uomo, lo afferrò per un braccio torcendolo su se stesso. Lo gettò con il busto sul portabagagli e gli infilò le manette.

 

Di ciò che successe quella sera, Thomas ne ebbe una completa comprensione solo anni più tardi. Portò addirittura il broncio per alcuni giorni, credendo che se la stessero prendendo con una persona buona e gentile. La madre cercò di spiegargli che quella era una persona cattiva, ma scelse di omettere le cose più importanti, che comunque Thomas lesse in vecchi articoli di giornali un po’ di tempo dopo.

Conseguentemente all’accaduto vennero fatti degli accortamente sull’uomo, che viveva in una piccola e degradata baracca leggermente fuori città. Ciò che vi fu trovato dentro è qualcosa che nessuno dovrebbe mai vedere. Qualcosa che se non fosse accaduta davvero, si riterrebbe niente più di una storia inventata. Diversi bambini furono trovati incatenati e denutriti all’interno della baracca. Mangiavano poco, e quello che mangiavano era o cibo per cani, o avanzi avariati di cose che erano difficili anche da catalogare. Alcuni avevano intossicazioni alimentari ed altri stavano anche peggio. Tutti avevano lesioni sul corpo, chi più chi meno profonde, indice che erano stati picchiati e neanche Dio sa cos’altro.

Quella volta in ogni caso non fu la prima che la curiosità e la disobbedienza di Thomas lo mettesse nei guai. E di certo non sarebbe stata l’ultima. Da quella e da altre storie però comprese che avrebbe fatto meglio a darsi un limite. Se perciò non poteva non lenire la sua curiosità quando un fatto lo stuzzicava, decise che in alcuni casi si sarebbe limitato alla conoscenza di un determinato fatto, più che ad essere parte attiva. A conoscere osservando più che dover agire per forza. E fu questo il tipo di condotta che lo portò ad avere quell’ ”incidente” sul lavoro e a causa del quale al momento si trovava in strada con il rischio di perdere il terno.

Guardò l’orologio, un bel Festina con il cinturino in pelle. Quello che l’orologio gli disse non fu molto di suo gradimento: in 5 minuti il treno sarebbe partito. Questo vuol dire che il passo svelto non sarebbe più bastato. Ora era necessario correre. Nel farlo urtò diverse persone, le quali gli inveivano dietro e gli ricordavano quanto fosse maleducato, ma lui non si curava degli insulti. Quella era l’unica via percorribile e non aveva intenzione di fare tardi solo per rispettare il buon senso civile.

«Ma quante persone ci stanno oggi in giro?» si chiese mentre correva e cercava il più possibile di evitarle. Nel frattempo qualche gocciolina iniziava a cadere dal cielo, e a guardalo probabilmente di acqua ne sarebbe venuta giù davvero parecchia. Poco male in ogni caso, dato che aveva appena raggiunto la stazione. Si fiondò all’interno e percorse le scale mobili correndo anche su quelle. Mentre sfrecciava nel corridoio principale della stazione, guardò di nuovo l’orologio: solo un minuto alla partenza del treno. Non c’era più tempo. Accelerò ancora di più la corsa e quando girò l’angolo vide il treno che doveva prendere. Non c’era più nessuno sulla banchina e il controllore aveva appena messo un piede sul mezzo fischiando la possibilità di partire. In un ultimo scatto fulmineo, Thomas riuscì a salire sul treno e le porte gli si chiusero proprio alle spalle. Tirò un sospiro di sollievo e poi si guardò intorno, alla ricerca di un posto libero per sedersi.

   
 
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