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Autore: The Mad Tinhatter    04/12/2017    1 recensioni
[Bioshock!AU] "Le note del giovane violinista si susseguivano veloci e perfette, mentre il suo corpo ondeggiava seguendo la musica. I suoi occhi erano chiusi, ed era come se lui e il suo violino fossero una cosa sola. Non stava semplicemente suonando uno strumento: tutto il suo corpo stava cantando, producendo quell'incantevole melodia."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 3: Columbia, 8 Ottobre 1903


Victor si sedette alla sua scrivania. Si mise a fissare un punto non ben definito della superficie di legno, massaggiandosi le tempie. Era sempre così, quando tornava a casa. Il lavoro e la vita sociale gli occupavano la mente per tutto il giorno, ma non appena ritornava a casa si ritrovava solo con i propri pensieri. Spesso cercava di rimandare il momento in cui avrebbe varcato quella soglia, perché non gli piaceva per niente rimuginare sulla sua vita.


Il se stesso bambino avrebbe pensato che stesse vivendo il sogno della sua vita. Lavorava per Albert Fink al Magical Melodies, facendo ciò che più amava al mondo: suonare il violino. Il suo stipendio era più che buono; abitava in un bell'appartamento, e poteva comprare praticamente tutto ciò che voleva. Indossava i vestiti migliori che si potessero trovare a Columbia, e poteva mangiare nei ristoranti migliori. La gente lo amava. Doveva essere la persona più felice del mondo... eppure non lo era.


Guardò fuori, attraverso la grande vetrata della sua camera. Anche quando si era trasferito in un appartamento tutto suo, aveva scelto una camera con vista. Poter vedere la città da quella prospettiva era forse una delle poche opportunità che Columbia gli dava per sentirsi libero.


La città era sempre bellissima, ma come sarebbe stato possibile per lui essere felice a Columbia, se la sentiva ostile verso una parte di sé? Uno degli ideali di quella città era il constrastare “il Sodoma del mondo di sotto”, la perdizione da cui erano scappati allontanandosi dalla terraferma. E lui sapeva benissimo che, anche se era una parte di sé che non poteva controllare, faceva parte di quel Sodoma che tutti lì odiavano.


Avrebbe soltanto voluto poter avere un compagno che non dovesse nascondere, qualcuno con cui poter liberamente camminare per strada mano nella mano, ma sapeva che non era possibile. Il suo animo cercava amore, anche se segreto, e aveva provato a trovarlo tante volte, ma la verità era che nemmeno lui riusciva più a provare niente, come se qualcosa nel suo cuore si fosse spezzato tanto tempo prima. Si sentiva soltanto sporco e sbagliato.


Così, quella città era diventata la sua prigione dorata. Era troppo tardi per ritornare sulla terraferma e trovare un posto che lo accogliesse veramente: Columbia era ormai isolata dal resto del mondo, nascosta tra le nuvole.


Aveva sicuramente più amici rispetto a quando era ragazzino, ma in cuor suo restava sempre solo.


Si stropicciò gli occhi. Sapeva che stare fermo a riflettere sui suoi problemi non gli avrebbe fatto per niente bene. Come tutte le sere, si sarebbe rifugiato nell'unica cosa che non lo aveva mai deluso: la musica.


Fece per andare a prendere il suo violino, ma non appena spostò la sedia per alzarsi sentì qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.


La melodia di un pianoforte. Chopin, Fantaisie Impromptu Opera 66. Era uno dei suoi brani preferiti. Il suo amico e collega Chris era un pianista, e spesso lo suonava.


Si voltò, cercando di capire da dove venisse quella melodia... e gli sembrò di tornare indietro nel tempo. In quel momento, come era successo dieci anni prima, nella sua stanza si era aperta una finestra su un'altra dimensione.


Nella dimensione che stava osservando in quel momento c'era un ragazzo che suonava. Era così concentrato sulla musica da non rendersi nemmeno conto che Victor lo stava guardando. Gli occhiali che indossava scendevano sul suo naso, ma l'espressione piena di tenacia del ragazzo restava immutabile.


Fino al momento in cui le sue dita inciamparono in quell'intreccio di note, e il ragazzo si fermò. Lo vide scuotere la testa ed esclamare, frustrato, qualcosa in una lingua che non conosceva.


Improvvisamente il ragazzo rivolse lo sguardo verso Victor, e sobbalzò nel rendersi conto che qualcuno lo stava osservando. Questo diede a Victor l'opportunità di guardarlo meglio.


I suoi occhi erano a mandorla, di un bel castano scuro; erano nascosti da un paio di occhiali dalla montatura blu. I capelli neri erano un po' scompigliati. I lineamenti del suo viso erano dolci, le guance piene e tinte di rosa. Guardava Victor a bocca aperta, più sorpreso che spaventato.


Tutto di quel ragazzo sembrava essergli familiare. Gli ricordava una persona che aveva conosciuto dieci anni prima, nello stesso modo, ma che era scomparsa improvvisamente dalla sua vita, senza nemmeno dirgli perché.


Sarebbe stato incredibile, se fosse stato proprio lui. Si era convinto che non l'avrebbe mai più rivisto; era assurdo che, pur abitando ormai in un altro luogo, un portale si fosse aperto per fargli incontrare di nuovo la stessa persona che aveva conosciuto dieci anni prima.


Fu in quel momento che Victor si rese conto di un particolare nella stanza in cui si trovava il ragazzo: sopra il pianoforte c'era la statua di un angelo. Quello di Monument Island, per la precisione.


- Yuuri...? - mormorò.


Gli occhi del ragazzo lo scrutarono. Forse si stava chiedendo chi fosse, e come mai sapesse il suo nome. Non poteva biasimarlo: a differenza di Yuuri, il suo aspetto era cambiato drasticamente in quei dieci anni.


Poi, il ragazzo sgranò gli occhi, e si portò una mano alla bocca. - Victor? Sei... sei tu?


Victor annuì. - Stavi suonando uno dei miei pezzi preferiti – disse.


- Oh – fece Yuuri, e le sue guance si tinsero ancora più di rosa. Victor ricordava la sua tendenza ad arrossire. Lo rendeva carino nel passato, e ancora di più nel presente. - Scusa, non sono riuscito a finirlo.


- Non importa – disse. - Non dev'essere un pezzo facile.

Yuuri scosse la testa. - Devo riuscire ad eseguirlo perfettamente. Lo suonerò in pubblico il mese prossimo, e ancora non riesco a concluderlo....


Era davvero nervoso, in più sembrava che la sua presenza lo imbarazzasse.


- Sono contento che tu abbia continuato a suonare. Sei davvero bravo.


Se anche lui stava facendo carriera con la musica, Victor non poteva che esserne felice. Era un modo bellissimo per guadagnarsi da vivere.


Yuuri si portò una mano sui capelli. - A dire il vero, ho appena cominciato a fare più sul serio. Sicuramente adesso tu sarai famosissimo.


- Un po' – fece Victor. Yuuri non gli rispose. Sembrava che volesse dirgli qualcosa, ma che si stesse trattenendo.


Tra di loro in quel momento c'era una strana atmosfera. Victor non era tipo da portare rancore, e qualunque cosa Yuuri avesse fatto dieci anni prima, in cuor suo l'aveva perdonato. Si trattava del passato, dopotutto. Eppure, rivederlo gli aveva fatto pensare a quel periodo, e a come si era sentito nel momento in cui aveva capito che Yuuri non gli avrebbe fatto più visita. Il senso di abbandono, e il pensare di non essere abbastanza nemmeno per tenersi stretto un solo amico. Quando aveva diciassette anni, Yuuri era stato per lui come un raggio di sole; il non vederlo più l'aveva gettato nel buio.


Ci aveva ripensato, negli anni a seguire, e aveva capito che forse cause di forza maggiore avevano costretto Yuuri a non entrare più in quella stanza. All'epoca, però, aveva soltanto diciassette anni, e tutto quello che gli passava per la testa era una domanda: Yuuri, perché mi hai abbandonato?


In effetti, era una cosa che si chiedeva anche in quel momento. Cos'era successo, esattamente? Quella era la domanda che voleva porgli, ma che forse non avrebbe mai esternato.


Alla fine, Yuuri scoppiò. - Scusa, scusami davvero! Io... io non volevo abbandonarti, è che non mi facevano più entrare nella stanza, era chiusa a chiave! Ho provato in tutti i modi ad entrare, ma non ci sono riuscito! E poi-

- È tutto a posto – fece Victor, sollevato. Yuuri gli aveva confermato la sua teoria, e questo gli aveva tolto un grosso peso dal cuore. Avrebbe soltanto voluto tornare indietro nel tempo per dire al se stesso diciassettenne che il suo nuovo amico non l'aveva abbandonato volontariamente.


- D-davvero? - mormorò Yuuri. Sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere.


Victor annuì. - Ero un po' triste, all'inizio, ma alla fine... alla fine credo non mi sia andata tanto male.


- Decisamente no – disse Yuuri.

- Sono felice di rivederti. Mi sei mancato, Yuuri.


Alle parole di Victor, l'espressione preoccupata di Yuuri si sciolse in un sorriso. - Anche tu mi sei mancato, Victor.


Sì, era decisamente carino.


Victor prese in mano il violino. - Ti va di sentire qualcosa? Come ai vecchi tempi.


- Mi piacerebbe davvero tanto, ma ho un appuntamento, e sono quasi in ritardo – fece Yuuri, alzandosi dallo sgabello del pianoforte.

- Oh – disse Victor. - Romantico?


Forse era stato troppo invadente.


- Eh? No, no, no, devo solo vedere un amico! - fece Yuuri, agitando freneticamente una mano davanti al volto.


- Buon divertimento, allora! - esclamò Victor, uscendo dalla sua camera per dare a Yuuri un po' di privacy.


Il suo umore per quella giornata era decisamente migliorato. Quella coincidenza era troppo assurda per non essere un segno del destino. Forse i portali (o, per chiamarli con il giusto nome, gli squarci) decidevano su che universi aprirsi a seconda di chi fosse presente al momento dell'apertura? O, forse, era davvero tutto frutto del caso? Victor non lo sapeva, e probabilmente nemmeno l'avrebbe mai saputo. Era un musicista, e nonostante alcune delle melodie che riarrangiava per lavoro provenissero dagli squarci, non era sicuro di come funzionassero esattamente. Per dire, nessuno era mai riuscito ad entrare in uno degli squarci con cui lavorava. Quello che si era aperto in camera sua dieci anni prima era stato molto probabilmente un'eccezione. Comunque, era bello vedere che il caso gli aveva permesso di incontrare di nuovo un vecchio amico.


Quella notte si addormentò col sorriso sulle labbra, per la prima volta dopo tanto tempo.


*


Il giorno seguente sembrò quasi volare. Victor si sentiva più leggero. Probabilmente quella sensazione sarebbe presto passata per lasciare spazio al consueto grigiore, ma Victor non poté che essere felice del cambiamento. Persino le note scorrevano più fluide dal suo violino. Rivedere Yuuri gli aveva trasmesso una briciola di positività, dandogli qualcosa da attendere alla fine della giornata. Era strano, perché nemmeno sapeva che persona fosse diventata in quei dieci anni. Poteva essere diventato insopportabile. Beh, era ansioso di scoprirlo.


Tornò a casa il prima possibile, sperando che, come la sera prima, Yuuri stesse suonando. Con suo grande disappunto, fu accolto dal silenzio. Sbirciò nello squarcio. La stanza di Yuuri era deserta.


Avrà avuto da fare, pensò. L'avrebbe rivisto il giorno dopo, molto probabilmente.


Peccato che, anche il giorno dopo, Yuuri non ci fosse. A Victor sembrò di sentire qualche rumore provenire dall'altra parte dello squarcio, quella notte, ma decise di non disturbare Yuuri così tardi.


Il terzo giorno in cui Yuuri non si fece vedere, però, Victor cominciò a porsi qualche domanda. Come mai lo stava evitando? Insomma, era strano che non si incontrassero mai. Al mattino avevano orari diversi, e quando Victor si svegliava Yuuri era già andato via, ma almeno la sera... era come se vivessero nello stesso appartamento, non era possibile che non riuscissero ad incrociarsi per nemmeno qualche minuto. L'unica possibilità era che Yuuri non volesse vederlo, ma per quale motivo? Era forse stato troppo invadente? L'aveva spaventato? Ce l'aveva con lui per qualche motivo?


Victor prese in mano il violino, e si mise a suonare, pensieroso. La sua era una melodia lenta, giusto per rilassarsi e non pensare troppo al movimento delle dita. Aveva sperato che Yuuri gli portasse una boccata d'aria, il ritorno ad un periodo in cui ancora sentiva che qualcuno al mondo poteva volergli bene davvero. Forse aveva sbagliato, a sperarci. La solita sensazione di tristezza si stava di nuovo facendo strada nel suo cuore.


No, pensò. Stavolta non avrebbe lasciato che Yuuri scappasse senza dargli una risposta.


La notte successiva aspettò alzato che Yuuri tornasse. Era molto più tardi rispetto all'orario in cui di solito si addormentava, ma non gli importava. Doveva chiarire la situazione.


Si avvicinò allo squarcio. Vide che Yuuri si stava preparando per dormire, e si era appena tolto la camicia, restando a torso nudo.


Si ritrovò ad osservarlo. Era piacevole da guardare, dovette ammetterlo. Il suo fisico era ben proporzionato, pur seguendo la delicatezza del suo viso. La linea morbida della schiena era seguita dalla curva ben definita dei suoi glutei. Quello aveva decisamente attirato la sua attenzione.


Distolse lo sguardo e si allontanò dallo squarcio. Non era corretto spiarlo così. Non era certo il modo per cominciare una conversazione col piede giusto. E non era nemmeno una manifestazione di buon vicinato.


Aspettò qualche minuto, poi lo chiamò per attirare la sua attenzione. Lo vide avvicinarsi allo squarcio. Indossava la vestaglia da notte, e non portava gli occhiali. Senza la copertura degli occhiali, gli occhi di Yuuri erano enormi, anche se in quel momento li stava strizzando leggermente per vederci meglio.


- Possiamo parlare? - gli chiese.


Yuuri sospirò, ed annuì. - Vieni – gli disse, facendogli cenno di entrare.


Victor attraversò lo squarcio, e si guardò intorno. La stanza di Yuuri era piccola, ma ben illuminata dal lampadario sul soffitto. Era con ogni probabilità un requisito necessario in quella città, data la mancanza di luce solare. Il letto era attaccato alla parete, vicino allo squarcio. Victor sorrise nel rendersi conto che era posizionato in maniera perfettamente speculare rispetto al suo. Se non si fossero trovati in due dimensioni diverse avrebbero potuto comunicare, da sdraiati, attraverso colpi sulla parete.


Davanti al letto c'erano il pianoforte, una scrivania, un armadio e una libreria. I mobili erano di buona qualità, e nel complesso sembrava che Yuuri se la cavasse piuttosto bene. Ma lui non era lì per parlare di quello.


Si sedette sul letto, accanto a Yuuri.


- Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? - domandò.


Yuuri guardò in basso. Era evidente che non volesse incontrare il suo sguardo. - No....


- Sembra che mi stia evitando, e vorrei capire perché. Siamo praticamente vicini, credo che sia giusto che lo sappia.


Yuuri scosse la testa. Ancora era riluttante a guardarlo. - Pensavo... pensavo che non volessi più vedermi – disse. - Pensavo che le tue parole di ieri fossero soltanto una cortesia.


- Yuuri....

- Avevo smesso di cercarti, avevo smesso di preoccuparmi per te....

- Yuuri....

- … non ho più provato ad entrare in quella porta, mi sono arreso....

- Yuuri....

- … e se ti fosse successo qualcosa? Con che coraggio avrei potuto farmi vedere da te?

- Yuuri.


Victor prese la mano del ragazzo, e lui smise di parlare, un po' stupito.


- Va tutto bene. Io... io sono davvero felice di vederti. Non avresti potuto farci nulla, non è stata colpa tua. E, come puoi ben vedere, non mi è successo nulla. Non ti devi vergognare.


Yuuri si tranquillizzò, e finalmente riuscì ad incontrare il suo sguardo. Victor notò che i suoi occhi erano davvero profondi.


- Cos'è successo dopo che hanno chiuso la porta? - domandò.


Victor cercò di tornare indietro con la mente. Si era trattato di un'esperienza così peculiare da essere impossibile da dimenticare, ma alcuni dettagli erano andati persi col tempo.


- Ricordo che una notte sentii dei rumori in camera mia, mentre dormivo. Forse era entrato qualcuno, ma non ne sono sicuro. Suppongo che quella persona non abbia trovato nulla di interessante, perché da allora nessuno ha più attraversato lo squarcio. Io... volevo vederti, anche se tu non eri più venuto a trovarmi, così un giorno l'ho attraversato. Nella stanza non c'era nessuno, ma vicino allo squarcio c'era uno strano macchinario. Non ho mai capito cosa fosse.


Ho cercato di aprire la porta, ma era chiusa. In quel momento credo di aver capito che non saresti tornato, almeno non subito. Avevo paura che qualcun altro attraversasse lo squarcio, così ho spinto l'armadio per chiuderlo. Se tu fossi tornato avresti capito, e ovviamente avrei spostato l'armadio.


- Ma non l'ho fatto – disse Yuuri.

- E va bene così. Chissà, magari non avremmo avuto l'opportunità di vederci adesso, se le cose fossero andate diversamente dieci anni fa.


Lasciò andare la mano di Yuuri. - Apprezzerò sempre la tua compagnia – disse.


Yuuri sorrise. Era evidente che fosse ancora un po' nervoso, ma Victor era felice di aver chiarito.


- Bene, ora credo che andrò a dormire – disse, alzandosi. - A domani, vicino di casa!


Attraversò di nuovo lo squarcio. Una volta tornato a Columbia vide Yuuri che, dall'altra parte, agitava la mano per salutarlo. Ricambiò il saluto, poi si buttò sul letto. Era soddisfatto.

   
 
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