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Autore: Helmyra    07/12/2017    2 recensioni
Quintus amava la fragranza di menta, l'odore pungente della cannella in un infuso di malva, lavanda e camomilla. Nurelion gliene chiedeva uno ogni sera, prima di immergersi nella lettura dell'eventuale libro da cui avrebbe ricavato l'elemento mancante per scoprire il nascondiglio della fiala.
Che aveva avuto modo di toccare, con le sue stesse mani. Peccato che fosse rotta e, con essa, fosse peggiorata pure la salute del maestro.
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Il mistero della Fiala Bianca verrà risolto, e con essa saranno confermate le sorti dei tre personaggi coinvolti nella ricerca. Quintus è deciso a curare il maestro Nurelion dalla malattia, la dunmer Dyanna a fabbricarsi almeno un ricordo felice che può illuminarle il presente... ma cambiare il destino può essere arduo, nonostante la buona volontà.
Una storia semplice con un risvolto cupo, sperimentale a modo suo, tra il vecchio e il nuovo.
Genere: Fantasy, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Vennero solo Sofie ed Hermir Cuore-Forte. Quintus se l'aspettava: nessuno aveva osato interrompere la propria giornata per dare l'ultimo saluto a Nurelion, poiché egli era stato anche in vita schiavo dei propri impegni. A malapena lo conoscevano, in città; e i clienti del negozio erano in maggioranza studenti di magia e avventurieri di passaggio.

Dyanna aveva mantenuto la promessa e deciso di trattenersi a Windhelm ancora per qualche giorno. Lo speziale pensò che avesse altri motivi per rimandare la partenza: sembrava un animale in gabbia, nonostante si fosse presa cura dei resti mortali del vecchio prima che essi fossero lasciati a Helgrid.

“Sia benedetta la sua anima, durante il viaggio tra il Mundus e l'Aetherius. Che trovi in esso pace e dimora, diventando un tutt'uno col Cielo. Vola, anima mia, e sii benedetta.”

“Sii benedetta.” Ripeterono i quattro alla preghiera della sacerdotessa di Arkay.

La funzione fu accorata, dimessa. Al termine, Hermir rivolse a Dyanna solo un saluto di circostanza, ma si rivelò sincero. Aveva capito che non era una mercenaria, un'imbrogliona, una sfruttatrice. Il congedo tra le due fu cortese, ancor più sentito con Quintus, a cui la dunmer augurò tutto il bene possibile.

Infine, partì. Imboccò la salita verso nord a mente assente, guidando Meli oltre il mulino. Un tragitto che ricordava a memoria, sebbene le tracce del suo passaggio venissero cancellate dalla neve che per gran parte dell'anno ricopriva l'altipiano.

A vederla, qualunque viandante se ne sarebbe consolato. Una baita di montagna, al di là del sentiero tracciato a ridosso del crinale. Oltre la roccia vi era solo la ripida scogliera, e una distesa di lastre ghiacciate a galleggiare sul mare. Già, chiunque avesse scorto il camino fumante si sarebbe avvicinato per chiedere ospitalità, solo momentanea.

Cortesia che nascondeva un'accondiscendenza ipocrita, perché in nient'altro sperava l'abitante della casa, se non nella morte per assideramento del povero sprovveduto di turno.

“Riposa, carissima.” Dyanna accarezzò il cavallo e serrò le porte della piccola stalla. Finalmente poteva abbandonare qualsiasi scrupolo: affrontò la bufera senza mantello, in quel momento più un intralcio che una comodità.

Gli occhi della montagna non vedevano. L'elfa poteva rivelarsi per ciò che era.

Entrò senza annunciarsi. Aveva i capelli lunghi scomposti, ricoperti da piccoli cristalli di ghiaccio, che presero a sciogliersi al calore dell'ambiente.

“Quindi, il grado di solidificazione è importante?” Domandò una voce sconosciuta.

“Certo.” Fece quella più suadente e untuosa dell'altro abitante. “Per creare una gemma capace di contenere spiriti forti, è necessaria una composizione minerale stabile e allo stesso tempo malleabile. Soprattutto per gli spiriti daedrici più potenti, è meglio legare una parte di quarzo con l'argento, unire la polvere al metallo liquido e poi raffreddare la pietra grezza prima dell'incantesimo elettrico.”

“Ah, capisco...” Ribatté la voce. “Non posso rischiare di chiedere a Sergius nozioni di alta incantagione; tuttavia, dubito che le conosca. Devo trovare un luogo per... sperimentare questa cosa in privato.”

“Sono sempre disponibile, Phinis.”

Dyanna intravide il suo volto odioso, cereo, attraverso le fessure dei pannelli decorati, tra il focolare e l'area della baita arredata con più gusto. Sotto la scala che portava alla camera da letto, adibita sul soppalco, vi era una botola verso il laboratorio. Per quanto lei odiasse quel luogo, ormai era abituata alla vista di cadaveri imbalsamati e arti sezionati.

Decise di ignorare la presenza dello straniero, che continuassero a disquisire di misticismo ed evocazione.

Il fuoco del caminetto era così invitante. Avrebbe davvero voluto tagliare una mela a pezzi, cospargerla di zucchero e cannella e riscaldarla. Sarebbe stato uno spuntino invitante, se solo...

“Dyanna, mia cara.”

Si voltò controvoglia.

“Buonasera, signori.” Replicò in tono formale. “Non intendevo disturbarvi.”

“Al contrario.” Lo sconosciuto s'avvicinò, curioso. “È lei... lei, l'esperimento di cui mi hai parlato, Falcar?”

“Precisamente.” Il negromante nascose, quanto poteva, il vanto che provava nell'esibirla. “Dyanna è... una compagna per me, piuttosto che una serva. Le ho impresso un sigillo nell'anima, prima di morire. Poi, anche lei è venuta a mancare, proprio qui a Skyrim. L'evento ha innescato l'incantesimo, così siamo rinati... insieme.”

“Meraviglioso! Così nasce un lich e... la sua creatura!” Una cantilena entusiasta, petulante, sulle labbra di Phinis. “E quante formule di cui s'è persa la memoria, dopo il bando della Gilda dei Maghi! Storia... storia vivente, di fronte i miei occhi.”

L'elfa sentì montare dentro di sé la rabbia, mentre l'ospite sfiorava le sue dita di bambola. Rigide, da burattino.

“Forse è meglio che tu torni al Collegio, vero, Phinis?” Gli propose il mago altmer, con un cenno elegante. “Trattenendoti, la notte potrebbe scendere e coglierti di sorpresa. Meglio essere previdenti, non trovi?”

“Ah, amico mio... non solo sei un luminare, ma anche un elfo avveduto!” Scherzò, recuperando il mantello; era al settimo cielo. “Ci rivedremo molto presto, non mancherò di raccontarti dei progressi.”

“Sono sempre curioso, come ben sai, di sapere come procedono i lavori.” Un ghigno ipocrita, un lupo che recita la parte dell'agnello. Dyanna fissò quegli occhi grigi, acquosi, con l'innocenza di una volta. Un sentimento sciocco, che l'aveva condotta alla rovina.

La porta sbatté, e subito quel volto dai lineamenti regolari, patrizi, fu su di lei.

“Raccontami.” Cantilenò, sedendosi sulla base del camino. “Dov'è che ti ha portato la tua ultima... gita?”

Dyanna si rifiutò di stargli accanto. Preferì rimanere in piedi, con la veste di velluto color lapislazzuli ancora umida, fredda e spiegazzata. Attaccata alla sua pelle immune al gelo.

La frase era canzonatoria, ma venne invasa da un senso di tenerezza e protezione, di nostalgia e languore. Sensazioni che aborriva, percepite attraverso il legame spirituale.

“Un alchimista altmer, il suo allievo. Ho cercato di curare la malattia del vecchio, ma...”

“Ma...?” La esortò Falcar, quasi provasse diletto. Si stava divertendo, perché come lei assaporava il suo torbido desiderio, lui poteva guardarle nell'animo e carpire l'amarezza, il dolore.

“È volato verso l'Aetherius.”

“Dunque, è morto.” Lo disse ad alta voce, per osservare la reazione sul suo viso tondo, dalle guance piene e la pelle lucida delle mele, che non avrebbe mai più mangiato. “Ancora ti piace andare in giro a fare la guaritrice, alla stregua dei seguaci di Mara? Come ribadire il concetto? Ah, stavolta ci sei andata vicina... erano affiatati i due, padre e figlio, hm?”

Si avvicinò a lei, tentò di afferrarle il mento tra le dita. Dyanna indietreggiò, incupita dall'ira.

“O devo dire... affiatati come Sinderion e l'apprendista che lo amava in segreto?”

“Taci!” La dunmer si avventò su di lui, provò a gettarlo a terra, a immobilizzarlo; riuscì solo a spettinargli i capelli, di un grigio tendente al bianco. A rovinargli i vestiti eleganti, da cortigiano, ad intaccare parzialmente la sua infallibile sicurezza.

Le rughe sottili, a contrassegnargli l'incarnato smorto, lo facevano rassomigliare a un simulacro dorato, ricoperto dalla polvere.

“Perché vuoi che ti faccia questo, ogni volta che torni?” Scivolò dietro di lei, agguantandole l'orlo della veste, mentre erano sul pavimento. Dyanna cercò di sfuggirgli, di gattonare via, ma Falcar recuperò le distanze. “Ricordarti che la tua Gilda non esiste più. Che lui ha preferito inabissarsi nelle rovine di Blackreach per cercare delle pianticelle piuttosto che venirti a recuperare in quella grotta, credendoti morta. Ti brucia, eh? Tutti hanno dimenticato fuorché me.”

“Sei solo un folle, Falcar.” Lo bersagliò di insulti, lui mantenne contegno e posa. “Un folle che s'è alleato con Mannimarco pur di mandare avanti i propri studi. Pur di diventare come lui!”

“E con questo?” La contrariò, lisciandole con le dita le pieghe dell'abito. Giocando a disegnare i contorni delle sue gambe formose. “Lui potrebbe rinascere. Potrebbe, ma io sono qui. Il tempo mi ha dato ragione, la conoscenza sopravvive qualsiasi dettame etico. La mia Arte non è più fuorilegge. Ti ho resa immortale, però continui ad accusarmi.”

“Mi provochi ogni volta. E maledico quel giorno che ti ho conosciuto. Maledico di averti piantato una lama nel cuore, dandoti accesso alla mia anima... permettendoti di trasformarmi in un abominio! Maledico di non aver ascoltato Deetsan, di averti voluto bene comunque... tutta gente morta, morta.”

“Io sono qui.” La rassicurò. “Non ti lascerò mai... sei l'unica che abbia amato. Ti ho insegnato tutto, non partire più. Rendi i tuoi ideali consoni a questo tempo, aiutami nelle pratiche di magia...”

Le strinse, consapevolmente, l'anulare della mano destra.

“Consolami e ricominciamo daccapo.”

“No!”

Nel deliquio scalciò, rimettendosi in piedi e risalendo le scale, fino al soppalco. Portò con sé la borsa di velluto, la strinse al cuore e se ne liberò momentaneamente, solo per spogliarsi e indossare una camicia da notte di lana. Per infilarsi sotto le coperte e dormire, a lungo, prima di avere le forze per rialzarsi ancora.

Lui non la braccava al muro, mai. In cuor suo era convinto che un giorno avrebbe ceduto. Che avrebbe accettato la sua natura da non-morto, di consacrarsi infine all'arte oscura della negromanzia.

Dyanna slacciò le fibbie d'ottone. Il liquido perlaceo brillava ancora all'interno della fiala. Era il tonico che avrebbe restituito la vita a Nurelion, ma che mai l'avrebbe ridata a lei.

Poggiò l'antico recipiente sul comodino, assieme a libri, figurine di legno e altri orpelli di poco conto che aveva raccolto durante i viaggi, il suo piccolo mondo.

Buon riposo... buon riposo a tutti voi, pensò, cadendo nella catalessi. La morte per lei era stato un breve incidente, la vita si protraeva in un'aberrazione continua. Eppure, in quell'unico istante in cui riusciva davvero a provare una sorta di conforto, Dyanna pensava sempre a coloro che si era lasciata indietro.

E sperava – nella sua incrollabile, eterna ingenuità – che potessero udirla dall'alto.
 



Questa breve storia giunge al termine in un modo più burrascoso, rivelando il suo lato oscuro. Dyanna è un thrall, ovvero, un non-morto che un lich ha asservito al proprio volere. Il lich in questione è Falcar, che ha fatto in modo di mantenere integri aspetto e personalità della dunmer. Perché, poi? Semplicemente, creare un essere autonomo e senziente è un traguardo ragguardevole, rispetto allo zombie che agisce a comando. Lo ha fatto esclusivamente per il suo piacere personale.

Del resto è un narcisista, proprio come si dimostra in Elder Scrolls: Oblivion.

Questo capitolo è un grandissimo what if. Il personaggio è assolutamente in character, ma in questa narrazione riesce a raggiungere l'abilità del maestro, Mannimarco, nel trasformarsi in un lich umano. Ovvero: un non-morto che mantiene le fattezze più rassicuranti di ciò che era in vita.

Nelle quest di Oblivion, Falcar è colui che fabbrica gemme dell'anima capaci di contenere spiriti molto potenti. Quindi, come “secondo” di Mannimarco, avrebbe potuto avere le conoscenze per compiere il grande passo, almeno secondo le mie supposizioni.

Sfortuna vuole che sia innamorato/ossessionato da Dyanna. Lei preferisce rimanere salda ai suoi principi demodé e condannare la negromanzia in ogni sua forma, andando in giro per Skyrim a sottrarre dalla morte quante più anime possibili. Per ovvi motivi, il ritorno a casa le brucia sempre, specie se è un'esigenza fisica, perché non può nutrirsi di cibo, ma solo di energie spirituali.

E soprattutto, perché è il lich stesso che le chiede di tornare, inculcandole i suoi sentimenti.

Spero che questa storia non vi abbia ammorbato. :) Ho cercato di renderla misteriosa ed intrigante quanto più possibile... grazie per aver letto e a presto. Come al solito, sarei lieta di leggere i vostri pareri e di rispondere a tutte le domande che vi vengono in mente.

 

 
  
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