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Autore: _Atreius_    07/12/2017    0 recensioni
"Gesta grandiose da sempre io canto
di paladini e guerrieri racconto l'ardore
e per le terre conosciute porto tal vanto,
ché ogni uomo ne conosca il furore.
Non sol gloria, non sol oro
queste mie corde narrano
le nobil imprese di costoro
che ai Reami la vita donano.
.
Orsù presto qui accorrete
sono storie che sempre ricorderete,
ora dunque mi appresto a cantare
voi tutti siete i benvenuti ad ascoltare."
||
Basata sull'ambientazione "Forgotten Realms" del popolare gioco di ruolo Dungeons and Dragons, questa storia originale traspone mesi di campagna giocata assieme al mio party.
Ci tengo a ringraziare chi ha permesso fosse possibile trascrivere questa avventura, uno per uno, a partire dal master, che ha creato la trama e le vicende che leggerete.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: Il posto che cerchi

Ero stanco di stare a Luna d’Argento.
Ero tornato da meno di un anno, lasciando il tempio dove avevo studiato per quindici anni senza mai allontanarmi, qualche rara volta avevo fatto visita a casa, ma era successo al più in occasione di qualche festa. Credevo che in questo modo avrei ottenuto un qualche risultato, ma ora che non c’erano più né lo studio intenso, né le funzioni o i momenti di preghiera comunitaria a occupare le mie giornate in realtà mi sentivo solo tremendamente inutile. Ellanann era morto da quasi due anni ormai, ma io ancora non ero stato in grado di mettere in pratica nessuno dei propositi che mi ero fissato. Fuggivo praticamente ogni contatto che non fosse indispensabile, tormentato dentro da qualcosa che non sapevo decidere se fosse rimorso, invidia per ciò che mio padre e mio fratello erano stati oppure ancora indecisione profonda. Volevo rendermi utile in qualche modo, avevo appreso l’arte della guarigione, mi ero consacrato a Torm perché credevo nei principi che offriva, eppure… Ancora non facevo nulla. Muovermi da solo per andare là ovunque ci fosse bisogno di aiuto era fuori discussione: non sapevo combattere, a stento ero in grado di difendermi, in un qualsiasi scontro che fosse da parte di umani o creature non avrei potuto fare granchè. Sapevo fornire protezione tramite preghiere e benedizioni, medicare ferite e per intercessione del mio dio accelerarne la guarigione, ma attaccare era fuori dalle mie possibilità sia fisiche che come adepto. Non ero diventato chierico per combattere, sapendo di non avere la forza fisica necessaria. Viaggiare in compagnia sarebbe stata la cosa migliore, ma… In quindici anni di lontananza non avevo stretto praticamente nessun rapporto all’interno della città che mi permettesse ora di chiedere aiuto per spostarmi in sicurezza.
I miei genitori si rendevano conto che non ero la stessa persona di quando ero tornato definitivamente dai miei studi, più di una volta avevano cercato di capire cosa mi passasse per la testa, perché fossi diventato ancora più silenzioso e stranamente cupo, ma io non avevo intenzione di metterli a parte di quei problemi; ero abbastanza adulto per trovare da solo una soluzione e lo sapevano anche loro. Scartata l’ipotesi di mettermi in viaggio completamente solo, la cosa migliore che avrei potuto fare a questo punto era cercare di fare conoscenza con uno dei molteplici gruppi di avventurieri che passavano per la città. Luna d’Argento era crocevia di molte razze, culture, storie e religioni, non sarebbe stato così difficile trovare qualcuno solamente di passaggio diretto in qualche altro luogo, ammettendo che questo qualcuno fosse disposto ad unirsi ad un completo sconosciuto incapace di combattere. Sapevo per certo, nonostante fossi rimasto lontano a lungo, che il governo centrale della capitale molto spesso arruolava avventurieri disposti a svolgere alcune missioni o a supportare il corpo armato cittadino e i distaccamenti nelle varie zone delle Marche, quindi forse avrei potuto trovare quella che mi pareva essere la soluzione migliore. Forse partire mi sarebbe davvero stato d’aiuto, rendermi conto di ciò che accadeva in altri luoghi al di fuori di un tempio e della mia città natale, di cui comunque non conoscevo granchè, avrebbe potuto aiutarmi a trovare quel posto che sentivo mi mancava. Non sapevo ancora se informare mia madre e mio padre di ciò che avevo scelto di fare, ma arrivai alla conclusione che gliene avrei parlato solo nel caso in cui fossi dovuto davvero partire.
Non fu facile dormire quella notte, raramente ero ansioso per qualcosa, ma il pensiero che forse avrei davvero iniziato a praticare quello per cui avevo dato tutto me stesso negli ultimi anni bastò a tenermi sveglio per parecchie ore, la luce della luna che filtrava dalla finestra, mentre tutta una serie di pensieri che non riuscivo a tenere a freno mi scivolava in testa. Sarei stato davvero in grado di fare ciò che mi ero preposto? Avrei davvero trovato qualcuno disposto praticamente a farmi da scudo umano lungo le strade che si snodavano per le Marche? E se avessi trovato una compagnia… sarebbe andato tutto a buon fine? Mi sembravano solamente le domande timorose di un bambino, ma d’altronde… quella era la prima volta in cui realmente cercavo di prendere una strada che fosse tutta mia. Non ero mai stato da solo, persino il viaggio di andata e ritorno dal tempio dove avevo studiato l’avevo fatto in compagnia. Mi arrotolai una ciocca di capelli attorno al dito sospirando: ventidue anni e ancora non sapevo cosa fare della mia vita. O meglio, l’intenzione c’era ed era la stessa che mi aveva accompagnato per tutto quel periodo di studi, era la messa in pratica che non ero sicuro di stare affrontando nel modo giusto. Sospirai, tornando a stendermi e cercando in qualche modo di prendere sonno o comunque di calmarmi, finendo così per recitare a fior di labbra una delle tante preghiere a Torm, sperando forse che la mano del dio potesse guidare il mio sonno. Mi addormentai solo poche ore prima dell’alba, restando comunque in un dormiveglia parecchio agitato; alla fine capitolai, rassegnandomi a rimanere steso a guardare il soffitto finchè non giunse l’ora in cui il sole sorgeva, momento per me sacro da che proprio alle prime luci secondo il credo di Torm si collocava il momento quotidiano di preghiera. Mi lavai viso e mani, raccogliendo i capelli sulla nuca dopo averli pettinati e mi raccolsi spiritualmente, i palmi giunti e gli occhi chiusi, iniziando un lieve mormorio le cui parole erano indistinte, ma abbastanza chiare da capire che si trattava effettivamente di una preghiera. Terminai un’ora esatta più tardi, il sole ormai era sorto praticamente del tutto, illuminando la zona dove mi trovavo; mi rialzai, dopo anni passati ad eseguire questo rituale ogni mattina le ginocchia non mi facevano nemmeno più male, anche se da bambino me ne lamentavo sempre: un paio di punizioni perché mi alzavo in piedi invece di stare un’ora in ginocchio mi avevano convinto però abbastanza in fretta a sopportare quella posizione scomoda e dopo tutto quel tempo ormai era diventata un’abitudine. Scesi al piano inferiore, sentivo trafficare in cucina perciò già doveva esserci qualcuno sveglio… Misi la testa dentro dalla porta ed effettivamente notai che come al solito c’era un po’ di viavai dal retro a qui, gente che spostava rifornimenti e soprattutto un buon profumo di pane appena impastato. In certi momenti, quando mi capitava di vedere l’andamento di casa, mi sembrava davvero che il tempo non fosse mai passato e che fossi ancora lo stesso ragazzino mingherlino di quindici anni prima che si infilava ovunque ci fosse abbastanza spazio, curioso come non mai e anche, devo ammetterlo, un po’ troppo invadente. Rimasi per qualche istante a guardare tutta quell’attività che sapeva tanto di tranquillità e pace, posato contro lo stipite, le braccia incrociate e un piccolo sorriso sul viso, forse il primo dopo parecchie settimane, quando qualcuno notò la mia presenza proprio mentre stavo per andarmene.
< Oh, signorino Fenven, è già sveglio! >
Sorrisi, un po’ imbarazzato, sapevo benissimo che era normale sentirmi dare del lei, ma dopo essere stato lontano così a lungo ed essere a casa solamente da pochi mesi ancora mi creava un senso di straniamento. Salutai con un cenno della mano la donna che mi aveva rivolto la parola, tra le braccia un grosso cesto coperto con un panno umido.
< Quante volte te l’ho detto Talita? Chiamami Fen per favore… > risposi con tono fintamente supplichevole; mi conosceva da quando ero alto poco meno della gamba di un tavolo, era una delle persone che mi avevano praticamente cresciuto quando non stavo con i miei genitori e adesso che ormai ero adulto sentirla in un certo modo così distante a causa di quel linguaggio rispettoso mi creava ancora più disagio. Lei fece un sorriso gioviale, sorridendo da un orecchio all’altro e annuendo come a volermi dare ragione per poi posare il cesto un tavolo lì accanto. < Come desidera signorino Fenven > rispose, facendo finta di non aver sentito, ma con una traccia di divertimento nella voce. Scossi la testa, una debole espressione sconfitta sul viso; le cose non sarebbero mai cambiate evidentemente, ma tutto sommato finchè quel posto restava come era adesso sarei stato contento così. La mancanza di Ellanann si faceva sentire alcuni giorni più forte di altri, ma d’altronde sapevo che non avrei potuto fare nulla per riportarlo in vita; il pensiero che fosse in un posto migliore, dove un eroe quale era doveva essere, contribuiva tuttavia a rendere la sua scomparsa in qualche modo più sopportabile. Non l’avevo visto spesso da quando si era iscritto all’accademia e meno ancora quando ero partito per studiare lontano da casa e mi mancava più di quanto volessi credere fosse possibile. Mi scostai dalla porta, spostandomi di qualche passo, pronto per uscire. Presi il mantello e quasi volessi allontanarmi il più in fretta che potevo, spalancai il battente d’ingresso chiudendolo subito alle mie spalle. Uscii, attraversando il cortile e scendendo in strada, già abbastanza animata per quell’ora del mattino. Ancora dovevo abituarmi alla folla e a quell’allegra confusione che contraddistingueva Luna d’Argento, ma tutto sommato non le trovavo così inadatte. Percorsi tutta la via, tenendomi sul lato del lastricato, svoltando al ponte che conduceva nella zona centrale della città; la capitale delle Marche era un capolavoro di architettura davvero unico, per quanto poco ne sapessi sull’argomento, e di una bellezza mozzafiato. Ma nonostante tutto, nonostante fosse la città più bella e accogliente che conoscessi, nonostante fosse il luogo dove ero nato, sentivo il bisogno di allontanarmi da essa: restando troppo ancorato al passato non avrei mai trovato un futuro.
Non ci volle molto perché raggiungessi infine il Palazzo della Signora e riuscissi ad entrare, mi era bastato presentarmi e non appena avevano sentito le mie generalità mi era stato accordato il permesso di passare. Parlare con un alto ufficiale dell’esercito di Luna d’Argento era la cosa migliore che potessi fare, dopotutto secondo le informazioni che avevo raccolto i giorni precedenti non erano certo i soldati qualsiasi che si occupavano di intrattenere rapporti con gli avventurieri di passaggio e assegnare loro compiti vari. Attesi qualche minuto e poi fui accolto in una piccola stanza dall’aspetto confortevole; dietro una semplice scrivania stava un uomo poco più vecchio di mio padre, corti capelli scuri, barba curata e un’espressione severa in viso. Mi osservò per qualche secondo, per illuminarsi quasi quando sembrò riconoscermi. Lo guardai interrogativo, un sopracciglio lievemente inarcato dalla sorpresa.
< Ah, il minore dei figli di Davahr dei Cavalieri! Sei Fenven, non è vero? > fece immediatamente, porgendomi la mano che strinsi ancora abbastanza confuso. Ricambiò con vigore, invitandomi a sedermi di fronte a lui. Mi sfuggiva ancora qualcosa… < Perdonate, credo di non sapere chi siate > feci con tono di scuse. Lui si aprì in un mezzo sorriso, scrutandomi con i profondi occhi scuri. < Conosco tuo padre da quando si è arruolato nei Cavalieri d’Argento, sono passati molti anni da allora, l’ultima volta che ti ho visto eri alto come la mia gamba… > rispose accarezzandosi la barba < Mi dispiace per Ellanann, ho conosciuto anche lui… valoroso soldato, che gli dei lo accolgano nella schiera degli eroi > aggiunse, tornando nuovamente composto e serio. Quell’uomo era stato quindi un compagno d’armi di mio padre e un superiore di mio fratello… Mi sforzai per ricordare se l’avessi già incontrato, ma alla mia mente non si affacciò nulla degno di nota. Scossi la testa, mantenendo comunque un atteggiamento rispettoso < Vi ringrazio… ma –perdonate l’audacia- non sono venuto per conoscere vecchi amici di famiglia, vogliate scusare la mia impertinenza > feci all’improvviso, forse con un po’ troppo entusiasmo. Mi sentii indagare a fondo dal suo sguardo, ma non mi mossi, aspettando che mi invitasse a proseguire o mi desse un qualsiasi segno che le presentazioni erano terminate e sarebbe stato opportuno passare al reale motivo della mia visita lì. Scosse una mano, annuendo appena con la testa.
< Non scusarti, mi sono fatto prendere dai ricordi… ad ogni modo non mi aspettavo ti ricordassi di me, in fin dei conti avrai avuto sì e no tre o quattro anni. Sono Dorman Lama di Fuoco, primo ufficiale di guarnigione. Prego, esponi dunque qualunque richiesta tu abbia, vedrò se è nelle mie possibilità trovarvi rimedio > disse infine e io mi affrettai ad esporre la questione su cui mi interrogavo almeno da due settimane. Non mi ero preparato un vero e proprio discorso, non mi ritenevo molto bravo con le parole ed era passato davvero molto tempo dall’ultima volta che avevo dovuto chiedere aiuto ad uno sconosciuto, ma feci del mio meglio, cercando di rendere chiaro ciò che volevo dire.
< So che il governo cittadino e le alte sfere dell’esercito spesso se ve ne è la necessità ingaggiano avventurieri per svolgere alcuni incarichi > iniziai < Io desidero potermi muovere al di fuori di Luna d’Argento, ma non dispongo di alcuna capacità combattiva e non ritengo giusto assumere qualcuno che perennemente mi protegga da eventuali pericoli: sarebbe solo per un mio capriccio e questa persona o queste persone rischierebbero costantemente la vita a causa mia. Unirmi ad un gruppo che sta per lasciare la città mi sembra una scelta ragionevolmente migliore: non dovrei preoccuparmi eccessivamente che si trovino in pericolo essendo abituati ai viaggi e alle difficoltà che essi comportano e potrei fornire supporto come guaritore che –concedetemelo- è una sicurezza maggiore. Riconosco di essere incapace di affrontare da solo spostamenti al di fuori dei centri abitati ed è per questo che chiedo il vostro aiuto: sicuramente voi conoscerete qualche gruppo assoldato per conto della capitale, se foste così gentile da darmi un modo per contattarli… > lasciai la frase in sospeso prendendo un gran respiro dopo aver sciorinato tutto praticamente senza fare alcuna pausa, teso e anche un po’ affannato. Il soldato mi fece cenno di prendere fiato, tornando a fissarmi, le mani giunte e il mento posato su di esse, lo sguardo severo che pareva stare indagando il mio alla ricerca di qualche altro indizio. Rimase ad osservarmi per qualche altro istante e non sapevo bene se dovessi sentirmi in soggezione o meno; certo era che non mi risultava semplice ignorare quegli occhi profondi. Alla fine, disgiunse le dita e posò il palmo della mano sul piano in legno, accarezzandosi con l’altra il mento e la barba.
< Capisco… dunque vorresti semplicemente cercare un qualsiasi gruppo con cui muoverti > concluse, un’espressione vagamente pensierosa sul viso; annuii, teso e ritto sulla sedia come se dovessi schizzare via da un momento all’altro. Prese a cercare qualcosa tra la pila di fogli che teneva lì accanto, borbottando di tanto in tanto, mentre io non potevo far altro che aspettare e sperare che avesse davvero una risposta alla mia assurda richiesta. Mi sembrò fosse trascorsa praticamente un’eternità quando poi un foglio un po’ spiegazzato su un angolo mi venne messo davanti; in una grafia piccola e ordinata era scritto un elenco di nomi e qualche dettaglio sull’incarico affidato. Dorman alzò gli occhi su di me, un lieve sorriso sulle labbra. < Avevamo ingaggiato questo gruppo tempo fa, oramai dovrebbero tornare da un giorno all’altro secondo le ultime notizie portate dai corpi di guardia esterni alla città… Non so cosa decideranno di fare, ma non appena saranno rientrati a Luna d’Argento potrei combinarvi un incontro se lo desideri > spiegò tranquillo. Fissai per un momento quella lista, un paio di nomi mi sembravano alquanto di stampo elfico, gli altri non avrei saputo però associarli a nessuna razza in particolare. Annuii convinto, i capelli che ondeggiarono leggermente sulle spalle, per poi fare un leggero inchino con la testa. < Vi ringrazio, nobile Dorman, per la gentilezza e la disponibilità. Attenderò vostre notizie allora > risposi e feci per alzarmi, congedandomi così da quel luogo. L’uomo si alzò assieme a me, mi strinse nuovamente la mano e mi salutò definitivamente, promettendo di farmi recapitare un messaggio una volta che l’incontro fosse stato stabilito.
Tornai a girare per le vie cittadine, molto più tranquillo della mattina e della notte stesse; mi sentivo davvero meglio, come se mi fossi tolto un gran peso di dosso, e quella sensazione opprimente al petto se n’era quasi completamente andata. Mi rimaneva da fare solamente una cosa: informare i miei genitori della mia decisione, ma l’avrei fatto solo nel momento in cui sarebbe arrivata la missiva che annunciava l’effettivo incontro con quel gruppo sulla via del ritorno. Mi persi a vagare per le strade della capitale, una leggera brezza che mi scompigliava piano i lunghi capelli rossi e istantaneamente mi ritrovai a pensare che forse avrei dovuto tagliarli prima di partire e andarmene praticamente “all’avventura”, anche se… fino a quel momento averli più lunghi del normale non mi aveva creato mai grossi problemi, bastava solo li tenessi raccolti a dovere e inoltre molti miei compagni di studi li portavano allo stesso modo. Scossi la testa, un piccolo sorriso in viso: in un momento del genere pensare ai capelli era davvero la cosa meno intelligente che potessi fare. Raggiunsi nuovamente la zona dove abitavo, fermandomi all’esterno della casa per fare visita al piccolo santuario eretto quando mio fratello era morto; molti ci dicevano che eravamo due gocce d’acqua e quando lui si era iscritto all’accademia e poi era entrato a fare parte della guardia cittadina e delle pattuglie esterne, io avevo sentito la pressione di quella somiglianza anche solo fisica premere sempre di più. Mi inginocchiai lentamente di fronte alla piccola scultura di pietra e chinai la testa, le mani giunte. Il desiderio di eguagliare Ellanann era stato così forte da contribuire alla decisione di partire e andare a studiare lontano da casa, nella speranza di poter davvero imparare qualcosa che potesse aiutare me e anche altri. Ora quello stesso desiderio mi imponeva di cercare il mio posto e mi aveva guidato fino a prendere la decisione di mettermi in viaggio: come lui, sarei andato là dove c’era necessità, dove lo richiedeva la Giustizia e dove il mio dio mi avrebbe condotto.
Mi rialzai dopo qualche minuto, spolverandomi le ginocchia, e tornai in casa; fra una cosa e l’altra, il tempo che era trascorso era molto più di quel che pensavo e ormai si era fatta ora di pranzo. L’idea di vedere i miei genitori sapendo che avevo in un certo senso qualcosa da nascondere loro non mi entusiasmava così tanto, anche perché mia madre –forte anche del suo ruolo di sacerdotessa di Sehanine Arcodiluna - era in grado di capire praticamente sempre e solo guardandomi in viso se stessi mentendo o meno. Sospirai, preparandomi ad un interrogatorio che ero abbastanza sicuro sarebbe potuto arrivare. Tempo solo un paio di giorni, però, e avrei potuto spiegare loro ogni cosa.
Mi recai nella mia stanza, cambiandomi e indossando un vestiario più adatto per poi fermarmi davanti allo specchio accanto alla porta: il mio riflesso mi fissava tranquillo, l’occhio verde smeraldo nascosto appena dal ciuffo rosso. Ero nato con quella particolarità, da che ricordavo avevo sempre avuto un occhio azzurro e uno verde, ma tutto sommato mi piaceva che fossero di due colori diversi; da bambino pensavo fosse qualcosa di magico, a volte me ne vantavo anche un po’ troppo, poi crescendo piano piano avevo imparato quasi a nasconderlo, come se tale azione fosse un segno che avevo abbandonato ogni fantasia della giovane età. Guardai nuovamente il riflesso, ricambiandone lo sguardo a tratti serio, per poi raccogliere i capelli e legarli alla base della nuca. Non era la sola particolarità che mi contraddistingueva, d’altronde. Io e mio fratello avevamo ereditato il colore dei capelli da nostro padre, anche se Ellanann li aveva molto più scuri dei miei, ma non era solamente questo: ero mancino, fin da quando avevo imparato a tenere in mano qualcosa, l’avevo fatto usando la mano sinistra, anziché la destra. Pareva proprio che dei due io fossi quello destinato ad essere perennemente diverso e fuori da qualsiasi metro di paragone con il resto della mia famiglia.
I miei genitori avevano tentato, con successo praticamente nullo, di insegnarmi ad utilizzare la mano destra, ma ancora una volta – come avrei fatto spesso anche dopo a dire la verità – li avevo delusi; anche al tempio il Gran Sacerdote che si occupava di istruire gli adepti più giovani ci aveva provato, con metodi più discutibili di mia madre certo, ma non erano bastate le punizioni, il costringermi a scrivere con la mano “corretta” e la sinistra bloccata al banco o la minaccia della furia divina a farmi imparare l’uso della destra. Per me, però, non aveva tutta questa importanza. Contavano la fede e l’animo di una persona, non che mano utilizzasse per compiere rituali o medicare ferite. D’altra parte, nessuna furia divina si era mai abbattuta su di me perché nei gesti di preghiera o durante le cure avevo usato la “mano maligna”.
Terminai di prepararmi, lisciai le pieghe sulla tunica e poi scesi nuovamente le scale, il piano inferiore che si era animato di un vivace chiacchiericcio e soprattutto di un delizioso profumino che prometteva un pranzo assai squisito. Chiunque incontrassi, mi salutava con un misto di deferenza e giovialità e come era successo il mattino con Talita e come succedeva da quando ero tornato dai miei studi, la sensazione che provai a tutte quelle cordialità fu tutt’altro che positiva. L’ultima volta che avevo visto la servitù di casa al gran completo era stata quando ero tornato per la morte di mio fratello e a quel tempo, quei giorni, erano tutti troppo impegnati ad onorare la sua scomparsa per pensare a me, ma la cosa mi aveva solo fatto piacere: non avrei sopportato di venire costantemente salutato e appellato con tutto quel rispetto quando l’unica cosa che avrei voluto era che quella pattuglia, la sua pattuglia, non fosse mai partita da Luna d’Argento. Erano persone che mi avevano visto crescere, che mi ricordavano come uno scalmanato ragazzino sempre a perdersi per le strade, che spesso e volentieri tornava a casa con il viso sporco e rigato di lacrime, ma non perdeva mai l’occasione per allontanarsi ancora e ancora… Io li ricordavo come una seconda famiglia, quasi più affettuosa della mia naturale. Sentirli distanti e rispettosi era qualcosa che in alcuni momenti mi creava quasi un misto di insofferenza ed ansia. Scossi la testa, sospirando sconfitto; ero proprio fatto per pensare sempre e solo al lato funesto della vita? Pareva davvero di sì, se consideravo tutti i pensieri poco allegri che mi passavano per la testa durante il giorno. Varcai la soglia della sala principale della casa, dove solitamente mangiavamo e dove mio padre, quando era ancora in attività, invitava spesso i propri compagni d’arme, spesso la sera del loro giorno di riposo. Quasi potevo rivedermi, prima di entrare al tempio a Maiverno, scorrazzare per quella stessa sala che all’epoca mi sembrava enorme, usando le grandi piante in vaso per nascondermi e poter finalmente vedere tutte quelle armature luccicanti e le spade che i soldati portavano alla cintura… Potevo vedere e ricordare anche le urla di mio padre, quando mi ordinava di andare a letto e io non obbedivo, mia madre intervenire e con l’aiuto di una allora più giovane Talita portarmi di peso in camera…
Un leggero colpo di tosse mi distolse da tutti quei pensieri e mi raddrizzai immediatamente, spalle dritte e lo sguardo pronto a sostenere quello di chiunque fosse appena arrivato sulla soglia, subito dietro di me. Mio padre, i capelli rossi striati ormai di grigio da… da quanti anni non lo sapevo, stava dritto in piedi accanto a me, i profondi occhi verde scuro che mi scrutavano come se stessero cercando di capire cosa mi stesse impedendo di continuare a camminare e raggiungere il tavolo. Chinai leggermente la testa, salutandolo.
< Padre… > feci, cercando di non far trasparire dal tono della mia voce tutto il turbinio di pensieri che mi occupava la mente in quel momento, nessuno dei quali era troppo allegro per essere riferito. Per tutta risposta, lui mi posò una mano sulla spalla, dandomi una leggera stretta e facendo un mezzo sorriso; capii immediatamente che sapeva. Sapeva che stavo nascondendo qualcosa e adesso era davvero curioso di sapere che cosa potesse essere. Rassegnato, risposi con un mezzo sorriso colpevole e avanzai fino ad una sedia dall’altro lato del tavolo, sedendomi e facendo un impercettibile sospiro sconfitto. Non avrei potuto in ogni caso continuare a nascondere la mia visita al Palazzo, lo sapevo. Aspettai che si sedesse accanto a me, ad un capo del tavolo, il posto di fronte al mio ancora vuoto; lo guardai interrogativo, chiedendomi dove potesse essere mia madre.
< Non verrà > disse, precedendo la mia domanda e incrociando le dita sotto al mento, una posizione che mi ricordò immediatamente il colloquio avuto con Dormar quel mattino. < Al tempio hanno bisogno di lei oggi > aggiunse come spiegazione, non senza che rimanessi comunque piuttosto sorpreso e forse anche un po’ deluso. Avrei voluto parlare ad entrambi, invece non mi era possibile; il fatto che mi fossi reso conto che mio padre aveva capito che stessi nascondendo qualcosa non rendeva la faccenda più semplice. Non ero in grado di parlare bene sotto pressione e la sua presenza me ne metteva parecchia. Il silenzio era parecchio pesante, nessuno dei due si azzardava a parlare, ma avevo la netta impressione che lui stesse solo aspettando il momento opportuno per farlo o che abbassassi la guardia per cogliermi di sorpresa; sbirciai da sotto il ciuffo la sua espressione, per nulla mutata da quando ci eravamo entrambi seduti. Fissai il piatto di fronte a me, improvvisamente mi era del tutto passata la fame, anzi provavo quasi un senso di nausea. Come potevo dirgli che avevo intenzione di andarmene nuovamente di casa per inseguire un sogno che non ero ancora riuscito a mettere in pratica dopo anni? Non sapevo combattere, non ero in grado di affrontare l’ambiente esterno ad una città e lui lo sapeva quasi meglio di me. Cosa avrebbe potuto dirmi? Forse… avevo solo paura di vedere la delusione o peggio la compassione nel suo sguardo. Ma con la paura non sarei andato lontano, provarla non mi avrebbe dato alcun effetto positivo, mi avrebbe solo ridotto incapace di seguire il mio volere.
< Fen? Mi stai ascoltando? >
Sobbalzai di scatto, alzando subito la testa e voltandomi alla mia destra, il volto severo di mio padre appena nascosto dal ciuffo che mi era scivolato parzialmente sul viso. Mi posai all’alto schienale della sedia, sospirando qualche scusa.
Lui ricambiò lo sguardo, lasciando momentaneamente perdere il pranzo. Ero così sovrappensiero che non mi ero nemmeno reso conto delle persone che facevano avanti e indietro dalla porta in fondo alla sala che portava alla cucina e di ciò che stavano portando con sé. Quella situazione mi stava davvero mettendo alla prova più di quanto potessi immaginare. Dovevo calmarmi, calmare e rimettere in ordine tutti quei pensieri impazziti che avevo in testa.
< C’è qualcosa che devi dirmi, vero? > mi chiese, un lieve sorriso sul viso. Annuii.
< Come lo sai? > Rise leggermente, non l’avevo ancora mai visto farlo dalla morte di mio fratello e ne rimasi per qualche istante sorpreso.
< Fen… anche se sei rimasto lontano per quindici anni, sono tuo padre e ti conosco meglio di quanto tu possa credere. Sei sempre sovrappensiero e agitato quando hai qualcosa che ti turba > rispose, posandosi anche lui allo schienale e giungendo le punte delle dita < Quindi… vuoi mettermi al corrente di cosa si tratta? > aggiunse dopo qualche secondo di pausa, gli occhi fissi su di me. Non potevo più nascondermi, lo sapevo. Dovevo raccontargli tutto.
Presi un profondo respiro, preparandomi a metterlo al corrente della conversazione avuta quella mattina con il suo ex commilitone e della decisione che avevo preso di allontanarmi dalla capitale delle Marche assieme ad un qualsiasi gruppo di avventurieri che fosse stato disposto ad accogliermi.
< Voglio partire > dissi e poi mi fermai, già insicuro, scrutando la sua espressione, che tuttavia non mutò. Stette in silenzio, invitandomi, muto, a proseguire.
< Sono stanco di rimanere qui. Non posso farmi proteggere per sempre dalla tranquillità di Luna d’Argento, non è per questo che ho studiato per tutti questi anni, che ho messo alla prova la mia fede, visto innocenti morire senza poter far nulla per aiutarli perché ancora troppo inesperto… So bene che non potrò mai eguagliare te o Ellanann, non ho le capacità di un combattente, ma-- >
Mi interruppi all’improvviso, agitato. Aveva uno sguardo che mi metteva parecchio a disagio e che non riuscivo a decifrare. Continuò a guardarmi, senza proferire parola, come se stesse aspettando il resto del mio racconto. Inghiottii, un’assurda sensazione di vuoto che si stava impadronendo di me. Dovevo proseguire, fermarmi ora non avrebbe avuto granchè senso, l’avrei solo lasciato con troppe domande e l’ennesima prova che fossi davvero un incapace.
< --ma ho trovato una soluzione per sopperire a questa mancanza. Ho parlato con Dorman Lama di Fuoco, mi ha concesso un incontro con uno dei gruppi di avventurieri arruolati dal Consiglio per alcune missioni, dovrebbero ritornare in questi giorni. Se… fossero disposti ad accogliermi con loro avrei una protezione ed io potrei aiutarli. E’ un rischio, lo so, ma restando qui non sarò mai di alcuna utilità a nessuno. Tu ed Ellanann avete fatto così tanto per i popoli delle Marche, io… > Sospirai < Io non so tenere in mano una spada, non so difendermi, ma sono guidato dalla forza di Torm e protetto dalla mia fede. Se avrò salvato anche solo una vita, questa decisione che ora sembra solo avventata, avrà dato i suoi frutti. > terminai, lo sguardo ora nuovamente acceso dal desiderio di muovermi e realizzare finalmente qualcosa di concreto.
Lo vidi sistemarsi meglio sulla sedia, accarezzandosi la corta barba ordinata, rossiccia come i capelli. Sentii il cuore battermi forte contro la cassa toracica; in qualche modo sapevo che non avrei accettato un no o una qualsiasi forma di obiezione, da parte sua o di mia madre non importava. Io sarei partito, in un modo o nell’altro.
O non avrei mai imparato a volare da solo, non avrei mai trovato una realizzazione concreta per tutto ciò a cui mi ero consacrato.
Posò una mano sul bracciolo della sedia, gli occhi seri e fissi su di me, su quel figlio che fin da bambino aveva tradito tutte le sue speranze di un brillante futuro militare, sviluppando l’intelligenza ma non il fisico. Sostenni il suo sguardo, non avevo intenzione di cedere. Nemmeno contro mio padre.
< Ne sei certo? > chiese infine. Annuii, risoluto, quasi senza badare al fatto che non aveva fatto nessun tentativo per farmi cambiare idea. < Assolutamente > risposi, più convinto che mai. Fin da bambino ero sempre stato testardo e se volevo qualcosa cercavo in ogni modo di ottenerla: era ora che questo fastidioso comportamento si rivelasse finalmente utile.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, durante i quali rimasi teso, dritto immobile sulla sedia, le dita intrecciate per impedire loro di tremare dall’agitazione. Cosa mi avrebbe detto ancora? Potevo aspettarmi il suo appoggio oppure avrei dovuto dire altro per convincerlo? L’attesa mi stava piano piano attanagliando, risvegliando la sensazione di ansia che avevo provato poco prima. Non distolsi lo sguardo finchè non fu lui ad abbassare, forse quasi sconfitto, la testa. Mi guardò poi con un misto di paterno affetto e una piccola traccia di orgoglio, lo capii non appena parlò.
< Sai Fen, solo ora mi rendo conto di quanto tu sia veramente cresciuto in questi anni. Averti così lontano ha reso difficile capire i tuoi desideri per il futuro, ma non devi fartene una colpa… Non posso che essere fiero che tu abbia finalmente deciso che strada prendere. > Si fermò per qualche istante, permettendomi finalmente di scaricare tutta quella tensione che sentivo essersi accumulata sulle spalle e all’altezza del cuore. Mi stavo davvero levando un grosso peso, parlarne con mio padre era ciò che mi spaventava di più riguardo quella faccenda, persino che non con mia madre, considerando che lei poteva facilmente intuire grazie ai propri poteri ciò che avevo in testa e probabilmente aveva già da quel mattino o forse ancora dai giorni precedenti qualche sospetto sul perché fossi così cupo e di poche parole ancora più del solito.
< Non c’è molto tempo prima che tu parta, mi è parso di capire, ma forse posso aiutarti ad affrontare meglio questo tuo futuro, in qualche modo. Ti fidi di me? > chiese infine, tornando ad occuparsi del proprio pranzo, cosa che feci anche io non appena sentii tutte le cattive sensazioni provate fino a quel momento attenuarsi notevolmente. Annuii, sarei stato davvero stupido a non farlo, dopotutto si trattava di mio padre, l’uomo migliore che conoscessi al mondo assieme a mio fratello. Mi guardò con un paterno sorriso e poi allungò la mano, arruffandomi i capelli, un gesto che non faceva più da quando avevo cinque anni e che mi stupì parecchio. Rimasi per un momento con la mano sollevata a mezz’aria e sbattei le palpebre un paio di volte prima di capire che mi aveva davvero accarezzato la testa; mio padre… no, entrambi i miei genitori non avevano più dimostrato gesti di affetto così plateali da quando io ed Ellanann avevamo raggiunto i sette anni di età, me lo ricordavo molto bene: l’ultimo abbraccio che avevamo ricevuto era stato quello prima di partire ciascuno per la sua strada, lui in accademia e io per il tempio di Maiverno. < Allora fatti trovare in cortile tra un paio d’ore. Vedremo di insegnarti a maneggiare qualcosa di appuntito, figliolo > concluse e avrei giurato di vedere una strizzatina d’occhio fugace prima che tornasse a mangiare.
Qualcosa di appuntito…? Continuai il pranzo, chiedendomi sovrappensiero cosa intendesse. Non sapevo maneggiare armi, le spade per me erano troppo pesanti se proporzionate alla mia altezza e quelle più leggere erano praticamente formato bambino in addestramento. Era escluso comunque che potessi riuscire ad imparare ad utilizzare un’arma in poco meno di una decade, non riuscivo a capire perché mio padre mi avesse proposto quell’assurdo invito. Era stato soldato per anni, sapeva meglio di me i rischi che correva… eppure non aveva esitato un solo secondo nel parlarmi di un breve addestramento. In silenzio, finii il pranzo, alzandomi poi da tavola e dirigendomi nuovamente al piano di sopra. Non c’era traccia di lui, evidentemente se n’era andato poco prima di me e senza che io me ne accorgessi, troppo impegnato a pensare e rimuginare sulle sue ultime parole. Ma feci come mi aveva detto, cambiandomi nuovamente e indossando vestiti più maneggevoli e poco ingombranti, cosa molto difficile in ogni caso, perché il mio fisico lungo e fin troppo magro faceva sì che qualsiasi abito indossassi mi stesse di lunghezza ma non di larghezza, a meno che non venisse stretto su misura. Mi legai i capelli nuovamente, raccogliendo in qualche modo anche il ciuffo che ricadeva perennemente sul viso, e poi mi recai nell’ampio cortile che si trovava dietro casa, su cui si affacciava il porticato della cucina. Ci avevo giocato spesso da bambino, quando io ed Ellanann eravamo piccoli era il nostro piccolo regno, sede di improvvisate roccaforti di paglia e terreno di scontri fra paladini armati solamente di spade di legno. In effetti, ora che ci pensavo, quello era l’unico tipo di arma che avessi mai usato e fossi mai riuscito a tenere in mano… Anche se mio fratello si era fin da subito rivelato essere assai più abile di me, persino con un’arma che era praticamente un giocattolo, fatto che poi non si era smentito negli anni successivi. Guardai i piccoli sbuffi di sabbia sollevati dal venticello leggero che attraversava lo spiazzo, le fronde degli alberi poco distanti appena mosse. Tutto sapeva di calma, una calma quasi irreale che non sentivo più così tanto adatta a me, come se tutto il mio corpo, inconsciamente, volesse allontanarsi dalla città, da casa, tanto quanto lo voleva la mia anima. Un chiacchiericcio alle mie spalle mi indusse a voltarmi e notai mio padre e un altro uomo che non conoscevo, ma avevo l’impressione di aver già visto, venire proprio verso il punto in cui mi trovavo io; li accompagnava un suono metallico che capii ben presto essere armi lunghe e un paio di scudi. Perciò avevo ragione, la proposta di poco prima prevedeva davvero un piccolo addestramento. Posarono tutto accanto ad uno dei muretti che delimitavano il cortile e poi tornarono da me. Entrambi erano vestiti in modo piuttosto sobrio e alla mano, di certo per combattere o anche solo esercitarsi gli abiti comodi erano assai migliori; fissai intensamente lo sconosciuto, cercando di capire dove potessi averlo incontrato e cercando fra i miei ricordi se potesse essere uno dei tanti soldati che passavano spesso e volentieri per casa nostra. Feci un inchino non appena mi fu di fronte per poi tendergli la mano, in attesa delle presentazioni.
< Fen, Bareris Rein, maestro di lancia e spada. Bareris, mio figlio minore, Fenven > fece mio padre e alzò una mano ad indicarmi. L’uomo allungò il braccio, stringendomi la destra con una presa salda e facendo un gesto con la testa. Carnagione abbronzata, capelli castano ramato e barba ben curata: ora che l’avevo potuto osservare per bene, la sensazione di averlo già visto si era acuita ancora di più. Ci pensò egli stesso a fugare tutti i miei dubbi qualche istante dopo.
< La somiglianza con Ellanann è impressionante, devo riconoscerlo. Forse non ti ricorderai di me, > proseguì < ma addestrai tuo fratello maggiore per un periodo, all’inizio del suo percorso in accademia. Un grande talento > concluse, incrociando le braccia e guardandomi fisso. Mi sentii estremamente sotto esame, come se con i suoi occhi potesse davvero valutare le mie capacità combattive; forse era davvero così e quell’impressione non era poi così infondata, dopotutto aveva avuto la possibilità di vedere e allenare decine di giovani cadetti, perché non avrebbe dovuto giudicare anche me? Ero forse diverso da tutti i ragazzini che entravano, volenti o nolenti, alle armi per poi servire un giorno nella Legione d’Argento o nei Cavalieri? Ero qualcuno da addestrare, un allievo come altri, nulla di più e nulla di meno. Cercai di sorridere, parecchio a disagio. Non erano trascorsi nemmeno cinque minuti che già gli inevitabili paragoni con Ellanann erano venuti alla luce. Avevo sempre ammirato mio fratello per le sue abilità e il suo coraggio, ma ugualmente non potevo sopportare che mi mettessero a confronto con lui così spesso; ero consapevole di essergli inferiore praticamente in tutto e per quanto ormai, dopo tutti gli anni che erano passati, fossi in grado di pensare a me stesso, sentire ancora quelle parole mi faceva ricredere su molte delle mie convinzioni, costruite con fatica. Abbassai la testa in un cenno di assenso, salvo poi rialzarla quando mio padre battè le mani per richiamare entrambi al motivo per cui ci trovavamo lì.
Addestramento.
Presi un gran respiro, deciso a dare il meglio di me nonostante tutti gli ostacoli, primo fra tutti la poca abilità, che mi si ponevano. < Davahr mi ha informato della tua decisione di partire assieme al primo gruppo di avventurieri che lascerà prossimamente la città. Vista la tua costituzione fisica, eliminerei l’uso della spada a priori. Dovresti stare in prima linea in caso di combattimento e non vi è il tempo necessario per impartirti un addestramento anche solamente di base per un ruolo simile > iniziò a spiegare Bareris e prese poi a camminare a passi leggeri di fronte a noi. Guardai con la coda dell’occhio mio padre, che seguiva il discorso interessato; sperai fosse lì solamente per assistere e non proporsi come sfidante, non avrei sopportato uno scontro diretto con lui, anche se fosse stato solo come allenamento. Tornai a concentrarmi sul maestro d’armi, quietando l’ansia che sentivo.
< Suggerirei senza mezzi termini la lancia. Si accorderebbe anche alla tua costituzione fisica e inoltre ti permetterebbe di colpire da una distanza maggiore. Ovviamente non sarà la tua unica difesa, per questo esistono gli scudi > continuò e poi mi squadrò come a voler valutare altezza e peso. Di nuovo, la sensazione di essere sotto esame si impadronì di me, per poi sparire quando una familiare e paterna mano si posò sulla mia spalla, tranquillizzandomi.
< Vogliamo iniziare dunque? >
Annuii e feci un passo in avanti. Non sapevo esattamente cosa dovessi fare, era il mio primo serio tentativo di addestramento con armi vere e non simulate, non ero a conoscenza del modo in cui mi sarei dovuto muovere, ma d’altronde ero lì proprio per imparare quindi… perché preoccuparmi così tanto? Avevo un maestro, uno dei migliori, l’appoggio di mio padre e… no, quello di mia madre non ancora, ma presto avrebbe saputo ogni cosa e avrebbe dovuto accettare la mia decisione, in un modo o nell’altro.
Avrebbe dovuto accettare che avessi trovato il posto che avevo sempre cercato.
  
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