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Autore: someonelikecris    08/12/2017    0 recensioni
Si siede così, in mezzo all’ultima banchina del porto, lontano più o meno da tutti, più vicino al fiume e al suono calmo dell’acqua piuttosto che a qualsiasi altra cosa. A gambe incrociate continua a fumare mentre riporta sul foglio ciò che crede di vedere, ciò che lo assilla, ciò che non lo lascia mai stare, ora che è solo, ora che è lontano, ora che può ricordarlo.
Su quel foglio non prende vita un semplice tramonto, la carta non si riempie di sole e uccelli che volano via verso posti migliori, sul foglio prende forma la sagoma di una schiena scoperta e muscolosa, decorata di qualche ricciolo che, dolcemente, ci ricade sopra, tutto attorno a lui lenzuola di notti che Louis non dimenticherà mai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Getaway Car
I was riding in a getaway car, I was crying in a getaway car, I was dying in a getaway car, 
said goodbye in a getaway car
 
 

Georgia, Luglio 2015
 
Louis ha sempre amato l’estate e non avrebbe mai creduto che, inaspettatamente, in un determinato periodo della sua vita, si sarebbe ritrovato ad odiarla, non avrebbe mai creduto di potersi ritrovare a sperare di vederla finire al più presto e di sparire insieme a quel Sole ormai troppo presente, insieme all’afa che sembra quasi voglia soffocarlo.
Le persone però crescono e cambiano e la vita di certo non attende che esse siano pronte a seguirla nei suoi tunnel tortuosi e nelle sue strade infinite e sciocche, decide anzi di tirare fuori una certa dolorosa ironia che Louis sente pesante sulle spalle in quella sera afosa del 10 Luglio del 2015.
Sua sorella è morta davanti ai suoi occhi e non c’è davvero più nulla che lui possa fare.
Sono passate due settimane da quella maledetta uscita in barca con sua sorella eppure, ogni volta che chiude gli occhi, gli sembra di essere ancora a bordo, lontano dalla terra ferma, sente le gambe molli, il corpo ondeggiare e continua a vederla cadere a peso morto, continua a sentire l’impatto dell’acqua fredda contro il suo corpo, inutile, continua a rivivere quel maledetto incidente, la sua personalissima fine del mondo.
Non può riportarla indietro, non può rimettere in piedi la sua famiglia quando è lui il primo a sentirsi chiaramente cadere in pezzi, li cerca ma trovarli ormai è impossibile. Non può ricreare la sua famiglia quando è stato lui a distruggerla, non può mostrar loro nemmeno la sua faccia.
È colpa sua, è solo colpa sua.
Sua sorella in quell’ultimo sorriso si è portata via tutto il mondo, la parte migliore di Louis per prima.
Eppure qualcosa rimane, qualcosa che forse non merita neanche.
Louis abbassa lo sguardo sulla sua mano e trova le sue dita intrecciate ad altre, lunghe ed eleganti, sono mani gentili, che lo conoscono a memoria e l’hanno sempre toccato come se fosse il più grande dei miracoli, forse l’unico sceso sulla terra.
Harry è accanto a lui, in quel momento come lo è da tutta la vita.
Sono cresciuti insieme, sono sempre stati l’uno il tutto dell’altro.
Sono stati amici, compagni di squadra, complici, fino a diventare amanti e forse anche qualcosa di più, qualcosa di inspiegabile, che ancora nessuno dei due sembra aver compreso bene, per questo è semplice prendere un respiro profondo e poggiare la testa contro la spalla di Harry.
Il più piccolo è sorpreso, sono giorni che Louis non lo cerca in quel modo, in realtà sono giorni che Louis quasi non sembra abitare nemmeno più nel suo corpo ma in un posto lontano, un posto tutto suo, inarrivabile per chiunque, persino per Harry.
Harry ha sempre sentito ogni più piccolo sentimento di Louis come fosse uno dei suoi, come se fossero collegati in qualche modo e tutto quello che sente in quel momento è dolore, un dolore oscuro e denso, uno spaventoso buco nero che sembra aver risucchiato il più grande. È tutto ciò che sente da due settimane a questa parte, da dopo “l’incidente” , così come lo chiama Louis, lo stesso Louis che non ha mai voluto raccontargli nulla di quelle tragiche ore ma a Harry va bene così, per capire il suo ragazzo non ha bisogno di parole e non avrà mai bisogno di spiegazioni, non da lui.
Si fa più vicino a Louis e lo stringe affondando il viso nei suoi capelli e “Cosa succede?” gli chiede.
Sono seduti sull’ultima banchina del porto di Savannah da due ore, Harry era arrivato di corsa non appena aveva letto l’ultimo sms di Louis.
Corri al porto, devo parlarti”.
L’aveva trovato seduto lì, con lo sguardo perso verso l’orizzonte e le labbra serrate, incapace di parlare o di muoversi. Si era limitato a sedersi accanto a lui e ad accendersi una sigaretta, paziente.
“Mio padre se ne è andato da una settimana ormai, non so neanche dove sia andato” dice ad Harry continuando a guardare le loro mani intrecciate “Mia madre ha deciso di tornare a Doncaster, in Inghilterra, non riesce più a stare qui e non riesce ad ammetterlo ma non riesce nemmeno a guardarmi in faccia” spiega completamente apatico e Harry a quella notizia lo stringe ancora un po’ più forte.
A quel punto Louis alza lo sguardo e “Il mio starle vicino le fa male e io non voglio andarmene” gli dice guardandolo negli occhi.
Harry ricambia lo sguardo e “Allora non farlo” quasi lo prega.
“Ma ho bisogno di allontanarmi da Savannah per un po’” dice tradendo finalmente un’emozione, è paura.
“Dove vuoi andare?” gli domanda Harry allarmato.
“Ovunque” risponde semplicemente il più grande “Basta che sia lontano da qui, ho qualche soldo da parte, magari vado a vedere il Grand Canyon” spiega con poca convinzione smettendo di guardare il suo ragazzo e liberando le loro mani da quell’intreccio stretto “Non posso più stare qui, Harry”.
“Voglio venire con te” Harry cerca nuovamente la sua mano e la stringe, si alza e si siede davanti alle gambe di Louis aggrappandosi a esse “Andiamocene, io e te” gli dice e Louis ha quasi paura di tutta quella intensità come ha paura di quell’idea.
“Hai solo diciotto anni, devi finire la scuola, non puoi venire con me, devi andare ad Harvard per diventare un buon medico, ricordi?” gli dice accarezzandogli una guancia, teneramente, soffermandosi nel punto in cui quel bellissimo difetto genetico disegna una fossetta.
Harry stringe più forte le ginocchia di Louis e “Non mi importa, Louis, non mi importa. Casa mia è sempre stata accanto a te, tutto il resto non conta, non è mai stato più importante di te”.
 

Georgia, Luglio 2017
 
Harry non ricorda un solo momento dei suoi venti anni in cui non abbia voluto diventare un medico, è sempre stato parte di lui, quasi come un arto, un prolungamento di se stesso.
Ricorda le volte in cui costringeva sua sorella Gemma ad essere la sua paziente e lui, con il suo stetoscopio di plastica e l’innocenza dei suoi sei anni, fingeva di ascoltare il battito del suo cuore, ricorda di aver rubato il blocco note di sua madre e di averlo scambiato e camuffato per il suo libretto delle ricette così tante volte che alla fine Anne, innamorata di quel suo piccolo miracolo tutto fossette, glielo aveva regalato.
Harry quel blocco lo conserva da anni e l’ha fatto diventare tanto, molto di più rispetto ad un semplicissimo insieme di fogli in cui sua madre annotava cosa mancasse in casa per fare la spesa.
Il ragazzo è diventato grande immaginando il suo futuro, ha perso notti intere ad immaginarsi in una sala operatoria, i guanti in lattice a coprirgli le mani, la cuffia a tenere i capelli lontani dal viso e una mascherina che gli lascia scoperti solo gli occhi.
Quegli occhi sono vivi, attenti, pieni di adrenalina e concentrazione, pieni di vittoria nel momento in cui riesce a salvare il suo paziente.
L’ha sognato così tante volte da essere convinto di voler studiare in uno dei college più prestigiosi al mondo e, ora che Harvard ha deciso di accettarlo e di plasmarlo nel meraviglioso medico che diventerà, Harry proprio non riesce a crederci.
Lui, un semplice ragazzo di Savannah, pronto a partire per Boston senza guardarsi indietro, è pronto a lasciarsi tutto alle spalle, non c’è più niente per lui lì, proprio niente che lo trattenga ancora nella città più antica della Georgia, o almeno questo è quello che ama credere e ripetersi ogni notte prima di addormentarsi, prima di dimenticare quel cassetto impolverato e lungo quasi un anno, quel cassetto che vorrebbe dimenticare ma che sembra quasi del tutto incapace di chiudere.
 
 Stringe l’ultimo nodo, forte, mentre sente la corda cercare di bruciare, più di quanto non lo siano già, quelle mani che non hanno riposo ormai da quattro anni, da quando, come suo padre prima di lui, ha iniziato a lavorare nel porto che si affaccia direttamente sul fiume Savannah.
Ripercorre l’ultima banchina del porto con le mani nelle tasche e una sigaretta in bocca mentre il Sole tramonta lentamente regalandogli uno spettacolo che ha vissuto ormai quasi mille volte senza mai provare le stesse emozioni.
I tramonti agli occhi di Louis sono un po’ come le persone, sono tutti diversi, ognuno di loro ha sfumature e intensità diverse, ognuno di loro ha un inizio e una fine diverse, un significato, ognuno di loro, ogni giorno, lo colpisce in maniera differente.
Quel giorno in particolare Louis decide di ignorare il motivo di quell’eccessiva emotività, preferisce lasciarlo da parte, tenerlo in quel cassetto che da un anno a questa parte non ha mai più riaperto perché chiuso ermeticamente.
E se non può, se non riesce ad esprimere ciò che sente a voce alta, come non è mai stato in grado di fare, altro non gli rimane che tirare tutto fuori in qualche altro modo.
Prende un altro tiro di sigaretta mentre cerca nelle sue tasche qualcosa che sa non gli manca mai: un foglio di carta ripiegato in infinite parti su se stesso e un carboncino che gli sporca immediatamente le dita.
Si siede così, in mezzo all’ultima banchina del porto, lontano più o meno da tutti, più vicino al fiume e al suono calmo dell’acqua piuttosto che a qualsiasi altra cosa. A gambe incrociate continua a fumare mentre riporta sul foglio ciò che crede di vedere, ciò che lo assilla, ciò che non lo lascia mai stare, ora che è solo, ora che è lontano, ora che può ricordarlo.
Su quel foglio non prende vita un semplice tramonto, la carta non si riempie di sole e uccelli che volano via verso posti migliori, sul foglio prende forma la sagoma di una schiena scoperta e muscolosa, decorata di qualche ricciolo che, dolcemente, ci ricade sopra, tutto attorno a lui lenzuola di notti che Louis non dimenticherà mai.
 
 “Tequila liscia, grazie” ordina Harry al barista con un sorriso.
Lui lo guarda mentre lucida un bicchiere e “Ah si?” gli domanda alzando un sopracciglio “E quanti anni hai?” continua divertito dalla schiettezza del ragazzo.
Harry sorride abbassando lo sguardo, lentamente, passandosi due dita sul labbro inferiore per poi morderselo piano e “Quanti vuoi che io ne abbia?” gli domanda poggiando i gomiti sul bancone e Harry sa di averlo in pugno quando lo vede deglutire lentamente, incapace di staccare gli occhi dalle sue labbra.
“Fai almeno finta di mostrarmi un documento valido” gli risponde il ragazzo e le labbra di Harry si aprono in un sorriso meraviglioso, ciliegia e fossette.
Il ragazzo si sfila il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e mostra la sua tessera da studente, il barista alza gli occhi al cielo per poi guardarsi intorno prima di poggiare davanti ad Harry un bicchierino da shot e riempirlo con un liquido ambrato.
“Ti sei diplomato quest’anno?” gli domanda alzando un sopracciglio, confuso.
Harry svuota il bicchierino in un gesto secco sentendo gola e cervello prendere fuoco nello stesso attimo in cui la tequila si fa spazio dentro al suo stomaco.
“Ho perso un anno ma sì” dice porgendo di nuovo il bicchierino al barista che, pur di rimanere a parlare con lui, non esita a riempirlo di nuovo.
“Come mai?” domanda.
Harry beve, di nuovo, e poi ride, scuote la testa e “Questa è una storia che non ho raccontato neanche a mia madre, pensa se la posso raccontare proprio a te” lo prende in giro continuando a sorridere civettuolo porgendo ancora il bicchiere mentre la testa inizia a girare un po’.
“E adesso?” domanda il barista “College?”.
Harry sorride e “Harvard” comunica al ragazzo prima di buttare giù altra tequila da vero fuoriclasse, senza neanche chiudere gli occhi.
“Hai perso un anno e Harvard ti vuole lo stesso?” domanda sorpreso il barista che, invece di riempire di nuovo il bicchiere, lo sfila dalle mani del ragazzo e lo lascia nel lavandino.
Harry lo guarda contrariato e “Credi che tre siano troppo per me?” domanda ridendo.
Il ragazzo fa per rispondere ma Harry si sporge sul bancone, così tanto da riuscire quasi a sfiorare le labbra di quel barista su cui ha posato gli occhi da quando l’estate è iniziata.
“Non essere sorpreso per Harvard” sospira vicino alle sue labbra “Perché si, sono così intelligente” e starebbe anche per baciarlo se non fosse per il riflesso che cattura i suoi occhi nel vetro proprio alle spalle del barista che intanto si sta sporgendo verso di lui.
Harry si ritrae in un attimo quasi rischiando di cadere prima di voltare le spalle correndo via dal ragazzo e dal riflesso che ha visto in quello specchio, il riflesso di un profilo che ha stampato a fuoco in ognuno di quei ricordi che ogni notte cerca di scacciare e che non vuole rivedere.
 
Qualche minuto dopo Louis si avvicina al bancone e “Il solito” dice al barista che lo osserva per qualche secondo senza riuscire a tornare alla realtà, Louis se ne rende conto e “Tom?” lo richiama confuso “Tutto bene?” gli chiede sentendo le sue sopracciglia aggrottarsi.
“Il solito” ripete annuendo prima di sparire, Louis si volta verso Niall e lo trova divertito dalla reazione del barista.
“Ha una cotta per te” dice il biondo rivolto a Louis che alza gli occhi al cielo e “Certo, Niall” dice tagliando corto il discorso.
“Sei noioso” lo accusa il biondo che fa per continuare a parlare ma si zittisce non appena vede il barista ritornare e offrire una birra a Louis che fa per pagare ma “Non ti preoccupare” lo ferma “Offre la casa” dice lasciandogli un occhiolino prima di andarsene.
Louis ringrazia per poi girarsi verso Niall e “Stai zitto” anticiparlo.
Il biondo sospira alzando gli occhi al cielo e “Giusto, avevo scordato che sei Louis Tomlinson e che sei troppo attento a fingere che non ti importi nulla di nessuno per accettare che qualcuno ci provi con te” si giustifica “Per questo la birra, pagata gentilmente dal tuo culo, la prendo io, che ne dici?” domanda senza lasciare poi tanta scelta a Louis che si vede sfilare via la sua birra prima che se ne possa accorgere e potrebbe anche pensare di rispondergli se non fosse attaccato alla gola da uno sguardo che non vedeva da tanto, tantissimo tempo. I loro occhi si incontrano per pochi secondi che ad entrambi sembrano anni, troppo tempo da sopportare e Louis vorrebbe urlare, Louis vorrebbe sparire in quell’esatto momento ma non può.
Osserva lo sguardo di Harry farsi affilato e graffiarlo con intenzione, vede tutto il suo disgusto in quegli occhi verdi eppure non riesce a smettere di fissarli perché, anche in quello stato, quegli occhi sono e rimangono sempre il tramonto più bello che Louis abbia mai visto.
 
 
“Harry!” si sente richiamare da sua madre appena dietro la porta del bagno “Quanto ti manca? Noi siamo tutti pronti!” gli dice un po’ innervosita.
Non indossa niente altro che il suo accappatoio e i suoi capelli sono un disastro ma “Mi mancano solo cinque minuti” mente per farla andare via, infatti sente i passi della donna allontanarsi e ritorna a guardarsi allo specchio.
La verità è che è uscito dalla doccia da almeno dieci minuti ma non ha avuto la forza di prepararsi, non proprio per quel giorno, non per andare proprio lì, soprattutto non dopo la sera precedente.
Ha rivisto Louis e non è stato come Harry lo ha immaginato milioni di volte per un anno intero.
È stato infinitamente e incredibilmente peggio.
Rivederlo così, senza nessun avvertimento, bello da fargli male, bello da ricordargli la motivazione di ogni scelta sbagliata che ha fatto da quando l’ha incontrato, da quando è caduto nella sua rete senza riuscire più a liberarsi di quegli occhi capaci di racchiudere la più assurda delle tempeste.
Torna drasticamente alla realtà quando “Harry!” sente sua sorella urlare dietro la porta prima che ci sbatta contro anche un pugno “Sei lì dentro da quasi un’ora e stiamo aspettando solo te!” sbotta nervosa.
“Cazzo” sussurra Harry a bassa voce prima di “Arrivo, giuro!” dire prima di liberarsi completamente dell’accappatoio e ricomporsi, ancora un’altra volta, cercando tutti quei pezzi che Louis ha creato e ha messo in disordine.
 
Quando quella Domenica mattina Louis arriva al porto riesce a capire che quella sarà una giornata infinita per lui dal momento in cui si rende conto che dovrà occuparsi delle manovre di entrata ed uscita dal porto degli yacht.
Ama quel lavoro, ama quel porto e ama quel fiume come ama pochissime altre cose nella sua vita ma non è mai andato tanto d’accordo con nessuno dei proprietari di quegli yacht immensi.
E non si tratta di pregiudizi, in qualsiasi caso per Louis Tomlinson si tratta quasi sempre di sfortuna. Sospira e lascia le sue cose nella sua cabina, tutto tranne le chiavi della sua adorata Mustang del ’67. Se c’è qualcosa che Louis ama davvero più di tutto è la sua macchina.
Quando ha compiuto diciotto anni ha pregato suo padre di comprargli una macchina, una qualsiasi macchina, in qualsiasi stato, lui se ne sarebbe preso cura per sempre, l’aveva giurato a suo padre mettendosi una mano sul cuore e guardandolo negli occhi con serietà.
Così suo padre se lo era trascinato dietro per tutta Savannah fino a trovare quella vecchia Mustang nera del 1967 ridotta così male da non sembrare neanche più una macchina.
Era imperfetta,  malridotta e dimenticata, troppo vecchia e brutta per essere amata dal suo proprietario ma a Louis era bastato uno sguardo, una frazione di secondo per sentire una scarica elettrica lungo la schiena e una voce suggerirgli che era proprio quella la macchina che stava cercando. A suo padre non era servito altro.
Quattro anni dopo Louis l’ha resa un gioiello ed è la cosa di cui va più fiero.
La sua Mustang non è solo una macchina, è una pietra miliare della sua vita, è una miniera di ricordi che nella testa di Louis stanno iniziando a diventare grigi e sfocati.
Attacca, come ogni giorno, le chiavi della macchina a uno dei passanti dei suoi jeans e si dirige a lavorare. Sente dalla radio una richiesta di assistenza da uno yacht in entrata, a quanto pare il signor Payne deve essere finalmente tornato.
Riceve la segnalazione e prende svelto le chiavi del gommone.
Dieci minuti dopo sta navigando verso l’entrata del porto incontrando lo yacht del signor Payne, la “Lucky One”, ha sempre trovato il nome di quello yacht davvero di cattivo auspicio ma non si è mai azzardato a dirlo a nessuno per non essere incolpato di improvvise disgrazie.
Ride tra sé e sé di quel pensiero mentre riconosce Liam a prua, il figlio minore del signor Payne, che lo saluta sbracciandosi e “Ti sono mancato?” gli chiede divertito e abbronzato.
Louis ride e “Per niente” mente, Liam non poteva aspettarsi nulla di più “E ora spostati o non riesco ad aiutare tuo padre a far rientrare questo mostro” lo ammonisce.
Liam simula un saluto militare e corre ad aiutare suo padre ai comandi.
Louis lavora, come fa da sempre, come suo padre gli ha insegnato, concentrato sul guidare gli altri per non rendersi conto di non avere davvero nessun posto dove andare, dove nascondersi, nessun posto a cui appartenere o da chiamare casa.
 
Harry soffre il mare.
Fin da piccolo, è una cosa che non è mai cambiata ma che, anzi, è solo andata avanti peggiorando incredibilmente ed esponenzialmente.
Naturalmente il migliore amico di suo padre è un appassionato di barche, non poteva essere altrimenti.
La verità è che la nausea che Harry sente in quel momento non è data solo dallo yacht che esce lentamente e ondeggiando già più di quanto gli vada a genio, è data anche e soprattutto da tutta la paura che ha provato in macchina nel tragitto da casa sua al porto.
Sa che quel porto è praticamente casa di Louis, lo sa dall’infinito numero di ricordi che ha con lui lì dentro, in ogni angolo di quel porto, in ogni stupido rimedio contro il mal di mare che Louis aveva cercato di rifilargli.
Scuote la testa tenendosi più forte a una delle balaustre laterali e imponendosi di non vomitare, si sente meglio solo quando si rende conto che il ragazzo sul gommone che li sta aiutando ad uscire non è Louis.
Quando si lasciano alle spalle il porto, lo stomaco di Harry però proprio non ce la fa a imporsi di stare buono.
“E’ solo un fiume, diamine” dice a se stesso tra i denti, sperando che nessuno lo senta ma, la risata alle sue spalle, gli conferma che no, nessuna sua richiesta viene mai davvero ascoltata dal destino.
Liam lo guarda divertito, abbronzato e tranquillo nel suo costume arancione fosforescente.
“Ho qualcosa per te” dice al ragazzo accertandosi che i loro genitori e le rispettive sorelle siano in coperta prima di tirare fuori una canna perfettamente chiusa e pronta per loro.
“Ti amo” gli assicura Harry senza però riuscire davvero a muoversi dal punto in cui si è ancorato. Liam ride, di nuovo, prima di “Ti aiuterà a rilassarti” dire alzando le spalle “Ma questi potrebbero aiutare con lo stomaco” gli dice porgendogli due braccialetti anti-nausea.
Harry li afferra sistemandoseli a dovere per poi riuscire finalmente a sedersi accanto a Liam che intanto ha già iniziato a fumare tranquillamente.
“Quindi, Harvard!” commenta Liam girandosi a guardare il suo vecchio amico di infanzia, Harry sorride piano accettando la canna e prendendone un tiro “Ancora non ci credo” commenta “Non pensavo mi avrebbero ammesso” dice sicuro.
Liam ride scrollando le spalle e “Ma dai” commenta alzando gli occhi al cielo, Harry lo guarda confuso, Liam gli sorride e “Tuo padre è un uomo molto influente Harry, le vostre finanze non sono affatto male” gli spiega tranquillo e Harry in quel momento sente il suo cervello prendere fuoco.
“Non sono entrato perché mio padre ha pagato” prova a difendersi, Liam si volta a guardarlo e “Harry” lo richiama “Sei uno dei ragazzi più intelligenti che io conosca, forse il più intelligente, sei troppo sveglio per essere così ingenuo, hai perso un anno e diciamo che la tua fedina penale non è proprio immacolata, per quanto tu possa essere bravo, Harvard non chiude un occhio su queste cose se non spinta da un po’ di soldi, tuo padre lo sa” gli spiega semplice.
Harry si limita a scuotere la testa, a ridere istericamente e “Smettila” gli chiede “Per favore”.
Liam lo guarda stranito e “Cosa c’è di male? L’importante è che tu sia entrato, ciò che è successo con Louis, tutto quell’anno, è tutto un ricordo lontano, cancellato e-” ma Liam non riesce a finire di parlare che un conato di vomito risale lo stomaco di Harry costringendolo ad alzarsi e a sporgersi da una delle balaustre laterali e ritrovandosi ad odiare Harvard, se stesso e, più di tutti, ancora una volta e sempre più forte, Louis Tomlinson.
 
È sera tarda e Louis ha appena riposto le chiavi del suo gommone nell’armadietto della cabina di controllo, la abbandona con calma per poi avvicinarsi alla banchina proprio lì davanti e sedersi lasciando i piedi penzoloni nel vuoto.
Si accende una sigaretta e rilassa la schiena, non ha davvero molta voglia di tornare in quella che, solo un tempo, era casa sua. Quelle mura non sono più le stesse da quando la sua famiglia non vive più con lui e forse tornare a Savannah è sempre stata una cattivissima idea per lui ma ormai è lì, ormai è tornato e lasciare quel porto gli sembra un’impresa impossibile.
A Louis sembra quasi di essere incatenato a quella città, è incatenato senza sentirsi prigioniero e forse questa è una delle poche sensazioni che lo aiutano ad alzarsi dal letto ogni giorno e a ricominciare a lavorare, a convivere con quello che ha fatto alla sua famiglia e ad Harry.
È perso nel suo silenzio, nella sua sigaretta quando sente un'unica frase urlata nel silenzio di quel porto arrivargli dritta allo stomaco, è una voce che riconoscerebbe in mezzo a milioni, una voce che nell’urlare un “Stai lontano da me!” riporta a galla così tanti ricordi nella mente di Louis che, per un momento, quasi crede Harry stia ancora e di nuovo urlando contro di lui.
Ma non è così, quando lo cerca con lo sguardo e lo trova, vestito di una camicia a fantasia, come gli sono sempre piaciute, e di un paio di jeans scuri, il ragazzo sta urlando contro suo padre, gli sta intimando di non avvicinarsi ancora.
“Stai dando spettacolo” lo ammonisce il padre e Louis vorrebbe davvero smettere di guardare, vorrebbe distogliere lo sguardo ma ogni volta che si tratta di Harry gli risulta semplicemente impossibile, lo guarda allontanarsi del tutto dal padre e correre verso l’ultima banchina del porto.
Osserva la madre di Harry avvicinarsi a suo marito e trascinarlo verso la macchina, Louis si ritrova a pensare che quella sia un’ottima mossa, conoscendo Harry avrebbe fatto anche lui la stessa cosa.
Scuote la testa per la stupidità di quel pensiero, lui Harry non lo conosce più eppure non riesce a fare a meno di continuare a guardarlo mentre corre sempre più veloce verso la fine del porto, ormai riesce a vedere solo la sua camicia, un puntino bianco in lontananza che si muove velocemente mentre si fa sempre più buio su Savannah.
Scatta in piedi senza neanche rendersene conto, forse seguendo un vecchio istinto, una vecchia abitudine: quella di proteggere Harry sempre e comunque, da chiunque.
Butta via la sigaretta e inizia a correre anche lui verso l’ultima banchina, lo fa senza pensare davvero, si lascia trasportare da questa forza che sente manovrarlo e indicargli la strada giusta, è nel suo stomaco, è una delle sue solite ed avventate decisioni di pancia, una di quelle che possono portare a risultati disastrosi ma anche e soprattutto a delle vere e proprie vittorie ogni tanto.
 
 Smette di correre solo quando arriva alla fine dell’ultima banchina, ad un passo dall’acqua mentre sente il fiato mancargli e il cuore risalirgli in gola prepotente mentre si ritrova a chiedersi se è questa la sensazione che si prova quando tutto il mondo improvvisamente decide di caderti addosso.
Ognuno dei piedistalli che tenevano in piedi il mondo di Harry si sta sgretolando, cadono a terra provocando un rumore assurdo che risuona sordo nello stomaco del ragazzo che si china per terra, quasi a volersi tenere in piedi, stanco di dover crollare, stanco di doversi ricomporre.
Il suo mondo è in frantumi, è la più grande delusione di se stesso.
Come potrebbe guardare in faccia quel bambino di sei anni con lo stetoscopio di plastica e dirgli di aver comprato il proprio lavoro e di non esserselo guadagnato, di averlo perso per uno sbaglio. Harry ha perso se stesso per quello che per molto tempo ha chiamato amore.
Si stringe la testa tra le mani, ha bisogno di urlare, non può più combattersi.
E lo farebbe pure se non fosse per una voce che alle sue spalle lo richiama in modo dolce, in un modo che ad Harry è mancato quasi come l’aria, in quel modo che è stato l’inizio della sua fine. Quando si volta lo riconosce, la sua malattia e la sua cura: Louis.
Se ne sta fermo davanti a lui, ignaro del terremoto che si sta diffondendo in tutto il corpo del ragazzo che ha davanti. Non ci crede neanche che gli stia parlando, non quando si è ritrovato per mesi ad essere inseguito da quella voce nei suoi sogni, in ogni momento di silenzio che non riusciva a riempire.
"Tutto bene?" gli domanda avvicinandosi lentamente.
Harry lo osserva per qualche secondo e "In ogni caso non sono fatti tuoi" risponde distogliendo lo sguardo e tornando a dargli le spalle.
Louis sposta il peso del suo corpo da un piede all'altro e "In ogni caso non posso lasciare che tu rimanga qui" replica. Sta esagerando e lo sa, non sa neanche bene che cosa lo spinga con così tanta insistenza a stargli vicino.
Harry si volta a guardarlo e, Louis deve dargliene atto, se gli sguardi potessero uccidere quella sera lui sarebbe morto proprio in quell'esatto momento.
Il ragazzo fa per andarsene ma Louis lo ferma per un braccio, senza prepotenza, delicatamente, come Harry in fin dei conti gli ha sentito fare troppe poche volte.
"Che succede?" gli chiede, una nota di pura preoccupazione nella sua voce, cosa che non sfugge a Harry che si libera della sua presa e si rende conto che, in fondo, non ha proprio nulla da perdere, che in fondo tutto ciò che gli è successo non è che colpa di Louis, sua e del suo essere così fastidiosamente e perfettamente se stesso.
"Mio padre ha pagato qualcuno ad Harvard per farmi entrare, il punteggio del mio test non è bastato" spiega guardandolo negli occhi, assicurandosi che i morsi della colpa si palesino negli occhi di Louis, che li spengano e li sporchino, ma non è questo ciò che realmente succede.
Louis lo guarda confuso, alza un sopracciglio credendo di aver capito male e "Sei arrabbiato con tuo padre perché ha deciso di darti una mano?"  gli chiede incredulo, incapace di vedere la voragine che sta lentamente divorando tutto ciò che era rimasto dell'orgoglio di Harry che si volta a guardarlo e capisce.
Harry capisce tutto, ha sempre colto Louis al primo colpo, al primo sguardo, alla prima parola e, nonostante il tempo passi, questo suo tratto non cambia, non sfuma, non sparisce come vorrebbe sparissero tutti quei sentimenti contrastanti che prova per il ragazzo che ha di fronte.
"Dovresti essere felice di avere un padre pronto a fare una cosa del genere per te" commenta Louis prima che Harry riesca a dire qualsiasi cosa ma il minore riceve solo un'ennesima conferma di ciò che pensava.
"Il mondo deve girare sempre attorno a te, non è vero?" domanda sarcastico Harry lasciandosi scappare una risata rassegnata, triste.
"Scusa?" domanda Louis.
"É così" conferma Harry "Io non posso essere ferito perché mio padre ha deciso di salvarmi il culo, giusto? Io non posso essere arrabbiato con lui perché almeno il mio di padre mi è rimasto accanto? Non é così?" Domanda Harry aggressivo avvicinandosi pericolosamente a Louis che sente lo stomaco contorcersi quando "Povero piccolo Louis" gli fa la cantilena il riccio "La vuoi sapere una cosa?" domanda sempre più cattivo, non attende una risposta, semplicemente "Questa è tutta colpa tua" gli dice spaccando quel sottile muro di autocontrollo che Louis stava costruendo.
"Ho perso un anno di scuola per starti dietro, per seguirti, per prendermi cura di te dopo che quel buono a nulla, dopo che quel bastardo di tuo padre vi ha lasciati qui dopo quello che é successo a tua sorella. Mi sono fatto incasinare da te, coinvolgere, ho lasciato che tu mi usassi in qualsiasi modo per aiutarti a convivere col fatto che, forse, è anche colpa tua se tuo padre se ne é andato, non sei stato abbastanza per farlo rimanere come non sei stato abbastanza per salvare tua sorella" ed é come se sputasse veleno, Louis sente ognuna di quelle parole colpirlo e tagliarlo come una lama, sente le vecchie ferite riaprirsi, sente il sangue colare caldo e denso senza riuscire a fermarlo, senza riuscire a dirsi che Harry ha torto, che si sbaglia, che gli dispiace, che se solo potesse tornare indietro non lo costringerebbe a scappare di casa, non gli chiederebbe di nuovo di lasciare tutto e diventare il centro del suo mondo solo perché suo padre non é riuscito ad amarlo abbastanza, solo perché mai nessuno, infondo, è riuscito ad amarlo davvero, neanche lui. Se solo Louis potesse tornare indietro questa volta riuscirebbe a proteggerlo, a lasciarlo fuori dalla sua furia cieca, non gli chiederebbe mai di rimanergli accanto, non adesso che sa di essere niente altro che veleno per lui.
Ma non può, non può e la cosa lo uccide.
"Non me ne fotte un cazzo se tuo padre è un pezzo di merda, Louis, questo non migliora la mia situazione, non sono più fatti miei da quando mi hai lasciato da solo, solo in una fottutissima stanza di ospedale nel Maryland".
Quelle parole per Louis hanno la stessa identica portata di un pugno in pieno viso, sente il respiro mancargli quando “Io-” prova a scusarsi ma non ci riesce, è passato un anno e non ha ancora trovato le parole giuste per chiedergli scusa, per questo"Rimangiatelo" lo minaccia Louis "Rimangiati qualsiasi cosa tu abbia mai detto su mio padre" gli intima mentre sente il cuore cominciare a correre sempre più veloce, mentre quei sensi di colpa che sembrano essersi fatti antichi lo portano a risollevare tutte le barriere che ha imparato ad alzare bene, a indossare quel muso duro, a sentire il sangue ribollirgli nelle vene soprattutto quando "Mai" gli dice Harry, duro. Ma Harry non è più parte della sua vita, non può più parlargli così, non può più avere il nome di suo padre in bocca o peggio, quello di sua sorella.
A quel punto per Louis spingerlo oltre la banchina è facile tanto quanto reprimere centinaia di flashback che per un attimo lo lasciano senza respiro, chiude gli occhi per qualche secondo stringendosi la testa tra le mani per trattenere le urla mentre il volto di sua sorella si fa spazio prepotente nei suoi pensieri e Louis vorrebbe morire in quell’esatto istante.
Che cosa ha fatto?
Corre verso la fine della banchina pronto, di nuovo, a lanciarsi come nei suoi peggiori incubi, ma prima che possa fare qualsiasi cosa vede Harry risalire a galla scioccato e arrabbiato e “Che cazzo fai?!” domanda urlando il più piccolo.
Louis a quel punto sembra tornare a respirare solo per "Nessuno ti ha mai obbligato a salire su quella macchina e seguirmi, io non te l'ho mai chiesto, é chiaro?" gli domanda a muso duro "La verità è che mi odi così tanto e ti sforzi di incolparmi solo perché, nel profondo, sai che la colpa è solo tua, sai di essere stato tu a preferire me a tutto quello che hai voluto lasciare a Savannah, mi odi così tanto perché, nonostante tutto, quei mesi con me sono stati i migliori della tua vita, quelli che non riuscirai a toglierti dalla testa neanche quando te ne starai comodo nel tuo letto del campus di Harvard. Perché ci andrai, Harry, perché ti renderai conto di avere una chance e di non poterla perdere, ci andrai perché sei così intelligente e, seriamente, non vedo l'ora che tu te ne vada per non doverti vedere mai più, tu e questa tua spocchiosa convinzione di essere sempre nel giusto, di essere sempre la vittima. Credevi la vita fosse una passeggiata in riva al mare? La vita è una fottuta nuotata in mezzo agli squali, Harry, e prima te ne renderai conto meno rischierai di affogare. Fatti un favore: cresci e vattene da qui" conclude alzandosi e lasciandolo lì, a mollo e senza parole, completamente scioccato da ciò che sente al centro esatto dello stomaco mentre guarda la silhouette del ragazzo andare via senza guardarsi indietro.
 
 Louis ha speso quasi un anno della sua vita a rimettere insieme i pezzi della macchina che guida ormai da quasi tre. La conosce in ogni suo minimo dettaglio e difetto, conosce i suoi rumori, i punti in cui la carrozzeria é un po' ammaccata, riesce a sentirla mentre la guida ed é certo che sia una delle più belle sensazioni che possa mai provare. Quella macchina è l'ultima cosa vera che gli è rimasta, è risorta tra le sue mani e quelle di suo padre che ha passato giorni e notti ad aiutarlo a ridarle lo splendore e la classe di un tempo.
Si sono innamorati insieme di quella macchina. Insieme l'hanno ricomposta, guidata, tirata a lucido, insieme le hanno ridato vita ed é proprio per questo che nel momento in cui Louis la parcheggia nel retro di casa sua sa che non può fermarsi, sa che non può più tenere a freno quella furia cieca che sente nelle mani nonostante faccia male lasciarla andare, nonostante gli sembri quasi di bruciare all'inferno mentre scende e recupera la mazza da baseball che tiene nell'armadio.
Esce di casa senza spostare lo sguardo dalla sua macchina e la colpisce.
È liberatorio, più di quanto si aspettasse, perché non è la macchina a cadere a pezzi, nella testa di Louis è suo padre.
Suo padre che è scappato in una notte di Agosto, suo padre che gli ha fatto solo credere di essere indispensabile, suo padre che non si è guardato indietro mentre li lasciava lì, da soli davanti a una bara bianca, suo padre che gli ha rovinato la vita e l'ha reso un buco nero.
Colpisce il parabrezza e nel momento in cui lo vede rompersi definitivamente sente la voce di Harry riecheggiare lontana nella sua testa, accusarlo ancora.
Chiude gli occhi e colpisce ancora, forte, ammaccando il cofano, davanti ai suoi occhi ripassano le immagini di un Harry più piccolo, con i capelli più corti e un sorriso più luminoso, seduto accanto a lui proprio in quella macchina, una canzone tra le labbra e la vita a scoppiargli dentro al petto,  la mente piena solo di Harry, Harry e basta.
Un altro colpo sui fanali e l'immagine cambia, tutto ciò che riesce a vedere è Harry disteso nei sedili posteriori della macchina, una sigaretta tra le labbra rosse, i capelli spettinati e gli occhi incollati su di lui, uno scatto improvviso e quel bacio a labbra aperte, quel concedersi senza limiti, senza freni mentre le lacrime rigavano le guance di Louis.
Il finestrino lato passeggero va in frantumi nel momento in cui un ultimo fotogramma colpisce Louis in faccia, gli fa mancare il fiato e lo fa sanguinare dentro: quelle poche parole sussurrate alle prime luci dell'alba nella stanza di ospedale di Harry, con più punti di sutura in faccia che pelle, quell'ultimo duro, doloroso e bugiardo "Non cercarmi più" nel quale Louis fatica a riconoscere le sue ragioni.
L'ultima raffica di colpi disperati alla carrozzeria prima di fermarsi e di tenersi stretto alla sua macchina mentre si rende conto che é finalmente pronto, che per rinascere doveva crollare in pezzi, che per ritornare ad amare quella macchina doveva rimetterla insieme da solo, senza l'aiuto di nessuno, un po' come con se stesso.
 

Arizona, Agosto 2015
 
La strada scorre davanti a loro sgombra e silenziosa, come unico sottofondo un vecchissimo CD dei Mayday Parade e il respiro pesante di Harry nel sedile accanto al suo.
Louis sorride nel sentirlo russare in quel modo che gli parla di casa e lo riporta indietro con la mente verso ricordi felici, ricorda i pomeriggi uggiosi e bui di Novembre passati sul divano di Harry, l’uno contro l’altro sotto una coperta che non sarebbe mai riuscita a coprirli entrambi se non fossero stati così vicini.
Girovagano per l’America da ormai un mese e Louis quasi fatica a ricordare la sua vita prima di quel viaggio, Savannah quasi gli sembra essere in un’altra dimensione e con lei tutto quello che hanno lasciato lì. La madre di Louis, ormai lontana e fuggita in Inghilterra - suo padre chissà dove -  e la famiglia di Harry, intenta a cercare per l’America il loro figlio modello, scappato nella notte lasciando solo un biglietto e nessun’altra spiegazione, senza guardarsi indietro, senza preoccuparsi di altro che non fosse Louis. Non rimangono nello stesso posto per più di tre giorni e sono riusciti ad ottenere dei documenti falsi solo grazie alla grandissima faccia tosta di Harry, a Louis quasi viene da ridere, non riesce a ricordare il momento in cui la sua vita è diventata uno di quei film che tanto piacevano a sua madre.
Scuote la testa prendendo un tiro di sigaretta, gli occhi fissi sulla strada davanti a lui.
Sono quasi arrivati al Grand Canyon e Louis sente la vita minacciare di fargli esplodere lo sterno, è da quando era un bambino che sogna di poterlo vedere e di poter assistere al tramonto davanti a quello spettacolo creato dalla natura.
Rallenta per svoltare ed entrare nell’ultima area di servizio disponibile prima di arrivare a destinazione, parcheggia la sua Mustang nera e sistema meglio il suo giacchetto su Harry per tenero al caldo. Si guarda di sfuggita nello specchietto retrovisore della macchina e quasi gli sembra di essere in grado di riconoscere di nuovo gli occhi del vecchio Louis, sorride e scende dalla macchina lasciandola in moto.
Si fa strada dentro il piccolo supermercato dell’area d servizio e recupera tutto l’essenziale per quella sera: due bottiglie di vino, una confezione di candele e due porzioni di lasagna già pronte che non lo convincono molto, ma a loro basterà. Fa tutto con calma, in maniera posata, prendendosi anche il tempo di fingere di scegliere accuratamente la sua spesa e, non appena si rende conto che il ragazzo alla cassa si è allontanato, inizia a correre. Corre oltre la porta del supermercato tenendo stretta a sé la sua spesa. Corre e gli viene da ridere mentre sente l’adrenalina fargli quasi scoppiare il cervello al suono di quel ragazzo che lo chiama e gli intima di fermarsi.
Uno sparo nell’aria e, un secondo dopo, Louis è in macchina accanto ad un Harry assolutamente sveglio e confuso.
“Louis?!” lo richiama il più piccolo ma lui non gli da ascolto, scaraventa tutto tra le braccia di Harry e riparte maltrattando la sua bellissima macchina mentre il cassiere corre loro dietro sbracciandosi.
Si rimettono così sull’autostrada e, dopo aver superato un primo momento di confusione, Harry si volta a guardarlo e “Lo sai che abbiamo ancora qualche soldo per pagarla la spesa?” gli domanda incrociando le braccia sul petto, è divertito, Louis riesce a leggerlo nella sua voce.
Il più grande scrolla le spalle e “Si, ma così è più divertente” commenta porgendo l’ultima cosa che è riuscito a rubare: una cartolina del Grand Canyon.
“Così puoi aggiungerla alla tua collezione” gli spiega facendogli un occhiolino.
Harry sorride e “Sai, già mi piace l’Arizona” gli dice ridendo per poi accendersi una sigaretta.
Si sente libero come mai, libero di andare dove vuole, di fare quello che vuole ma soprattutto di sbagliare quanto vuole.
 
Qualche ora dopo, una volta lasciata la strada statale 64, sono finalmente sul South Rim e, davanti a loro, si estende uno dei luoghi più belli che Louis abbia mai visto, forse il più bello. Harry sembra un bambino mentre sistema le candele comprate da Louis sul cofano della macchina e le accende per far loro luce davanti ad un lentissimo imbrunire.
Louis ha tirato giù il tettuccio della sua Mustang e se ne sta seduto sui sedili posteriori, intento a riempirsi gli occhi della bellezza del Grand Canyon ma soprattutto del sorriso che sta spaccando le guance della sua persona preferita sulla Terra.
“Se anche solo un po’ di quella cera si scioglie sul cofano della mia macchina te la faccio pagare, lo sai?” gli domanda prendendolo in giro mentre fuma una sigaretta.
Harry alza gli occhi al cielo e “Tu si che sai come rendere magica l’atmosfera, non è così?” gli domanda sarcastico.
Louis ride, butta via la sigaretta e “Dai” lo richiama “Vieni qui” lo invita a sedersi sui sedili posteriori insieme a lui e Harry non se lo fa ripetere due volte, abbandona le candele e lo raggiunge. Si siede accanto a Louis e lo avvolge con un braccio stringendoselo contro. Passano qualche minuto in silenzio ad osservare quel regalo che il fiume Colorado ha deciso di fare al mondo. Harry perde le mani nei capelli di Louis e si fa sempre più vicino, percorso da qualche brivido dovuto al freddo.
“Aspetta” lo ferma Louis per allontanarsi dal più piccolo solo un attimo, il tempo che gli serve per recuperare una delle due bottiglie di vino che ha comprato e aprirla. Ne prende un sorso e la passa ad Harry “Questo ci terrà al caldo per un po’” gli dice ridendo.
Harry prende la bottiglia e ne beve un sorso per poi guardare Louis e “In realtà avevo in mente un’altra cosa che può scaldarci entrambi” dirgli malizioso.
Louis, nonostante gli anni, sente il fiato mancargli alla vista di quelle labbra rosso ciliegia, di quei capelli troppo lunghi e di quegli occhi che sono in grado di parlargli senza nessun tipo di sforzo.
Così Louis non se lo fa ripetere due volte, sposta la bottiglia di vino nei sedili anteriori per poi buttarsi e perdersi sulle labbra e sul corpo di Harry mentre il Sole muore lentamente davanti a loro.
 
 
Georgia, Agosto 2017
 
“Non ci vado” ripete lapidario al padre seduto dall’altro lato del tavolo rispetto a lui.
Al suono di quelle parole la temperatura all’interno di casa Styles sembra precipitare in un abisso infinito e gelido e riflettere le condizioni in cui si trovano i pensieri di Harry ormai da giorni.
Harry è sempre stato un ragazzo cocciuto e orgoglioso, due caratteristiche che suo padre non ha mai davvero apprezzato più di tanto in lui.
“Non ho capito bene” mente l’uomo mentre, con calma, lascia le posate sul tavolo abbandonando del tutto la sua cena fissando Harry negli occhi.
Al tavolo sua madre e sua sorella hanno l’aria di chi vorrebbe essere completamente da tutta altra parte.
Harry imita suo padre scansando il suo piatto e “Non ci vado, troverò un’università meno facoltosa in cui mi accetteranno per le mie capacità, non ho intenzione di lasciare che i tuoi soldi comprino il mio posto lì dentro” spiega guardando il padre negli occhi, quasi con aria di sfida.
Il Signor Styles non è mai stato un tipo rumoroso o impulsivo, non si è mai ritrovato ad essere sopraffatto e vittima della sua rabbia, mai, prima di quella sera.
“Domani prenderai il primo aereo per Boston, Harry, non voglio sentire altre storie” dice lapidario, mirando a chiudere il discorso, aspettandosi niente altro che silenzio da suo figlio ed è proprio per questo che quando “Io non-” prova a parlare il ragazzo, l’uomo non fa in tempo a ripetersi di calmarsi che rovescia il piatto contenente la sua cena per terra e “Ma cosa ti aspettavi?!” tuona aggredendo suo figlio e lasciando tutti a quel tavolo con il respiro bloccato in gola.
“Sei sparito di casa per sette mesi lasciando niente altro che un misero biglietto per seguire Louis nella sua missione suicida, non una spiegazione, non una rassicurazione, non una chiamata! Io e tua madre non abbiamo dormito – non abbiamo vissuto -  per mesi, abbiamo rivoltato il paese per cercarti e ti abbiamo ritrovato in fin di vita in un ospedale a Baltimora, con più ossa rotte che intere, da solo, distrutto! Hai perso un anno di scuola, sei stato accusato di furto, eri un ricercato eppure ti abbiamo tirato su di nuovo senza che ti venisse torto un capello, ti abbiamo rimesso in piedi dal nulla! Ti abbiamo capito, Harry, ti abbiamo ascoltato, sostenuto, ti abbiamo seguito e siamo stati presenti per te! Il minimo che tu possa fare adesso è fare silenzio, ringraziare e obbedirci!” conclude rosso in viso, le vene del collo in evidenza e gli occhi lucidi per il nervosismo.
Mentre guarda negli occhi suo padre sente sua madre, accanto a lui, sospirare e trattenere le lacrime, sua sorella incapace di guardarlo.
Si alza lentamente da tavola e “Hai ragione, su tutto. Sono il pezzo di merda più ingrato che il mondo abbia mai creato ma io non posso andarci, mi dispiace” dice sincero per poi allontanarsi.
Ignorando le urla di suo padre indossa la sua giacca ed esce di casa salendo in macchina come una furia. Anni prima sarebbe corso a rifugiarsi a casa di Louis ma ora non può più farlo, non potrà mai più farlo eppure, quasi come fosse un automa, si ritrova proprio lì davanti in pochi minuti, gli occhi pieni di lacrime che non osa lasciar cadere e il cuore stracolmo del buco nero che quei sette mesi hanno creato, di flashback di notti passate e urla, le sue, in una stanza di ospedale.
Stringe il volante della macchina fino a farsi diventare le nocche bianche, le labbra tra i denti mentre si ripete e implora sé stesso di non scendere dalla macchina, di non attaccarsi a quel campanello, di non tornare a dipendere da Louis, di non tornare ad amarlo in quella maniera che solo lui conosce, che lui gli ha insegnato: cervello, cuore e stomaco, tutti e tre insieme.
Sbatte la testa contro il volante, il vuoto cosmico nella mente.
Cosa potrebbe mai dirgli?
Quanto altro male potrebbero mai farsi?
Sussulta quando, d’un tratto, il suo telefono inizia a vibrare nella sua tasca. Lo tira fuori velocemente, quasi avesse paura che Louis possa sentirlo, è Liam.
Osserva lo schermo per qualche secondo, completamente indeciso su che cosa fare, fino a decidere di rispondere.
“Styles, raggiungimi al pub!” esordisce il suo amico dall’altro lato del telefono, ad Harry sembra quasi di riuscire a sentirlo sorridere attraverso quel tono esuberante e si ritrova ad invidiarlo.
“Non ne ho voglia, Liam, scusa” risponde quasi automaticamente e immagina il suo amico alzare gli occhi al cielo.
“E dai Harry, abbiamo un sacco di alcool, sbrigati, non te lo far ripetere!” gli dice il ragazzo.
Harry ci riflette qualche secondo, sussulta quando nota la macchina di Louis – quella che popola ogni suo pensiero – farsi strada nel vialetto e fermarsi, segue la figura snella di Louis camminare verso casa a testa bassa, completamente solo e, a quel punto, “Dove ti raggiungo?” domanda a Liam distogliendo lo sguardo dalla vecchia casa dei Tomlinson e mettendo in moto.
 

Florida, Settembre 2015
 
Sta annegando, non ha bisogno di aprire gli occhi per saperlo perché riesce semplicemente a sentirlo. L’acqua lo sovrasta, sembra spingerlo ancora più a fondo, verso quell’abisso che appare chiamarlo dolcemente, in maniera ammaliante, quell’abisso che potrebbe finalmente segnare la degna fine di tutto quel dolore che tiene stretto al centro del petto.
Deve trovare sua sorella prima, per questo continua a nuotare, anche mentre i polmoni sembrano prendere fuoco, nuota anche mentre l’acqua inizia a trasformarsi in una colata di cemento che, lentamente, lo blocca e lo trascina giù, sempre più giù, fino a quando non sente qualcuno afferrarlo per una caviglia in maniera decisa. Sta precipitando in quel buio pesto e, nel momento in cui guarda verso la sua caviglia, ciò che vede lo fa urlare: è sua sorella, il volto gonfio e sfigurato, gli occhi pieni di cattiveria e di sete di vendetta, i capelli chiari leggeri attorno a quel volto che quasi non riconosce.
Urla.
Urla e finalmente apre gli occhi ma, prima di essersi reso conto di essere tornato alla realtà, nel buio di quella camera, si volta in maniera confusa verso il comodino e, dopo dei rumori che non fanno altro che confonderlo ancora di più, sente una delle sue mani iniziare a bruciare come se avesse toccato dei carboni ardenti.
Prima che possa capire cosa sta succedendo la luce torna ad illuminare quella stanza e insieme a lei Louis torna ad essere di nuovo cosciente. Accanto a lui Harry lo guarda spaventato, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi di sonno.
“Louis?” lo richiama allarmato avvicinandosi al più grande che gli da le spalle “Louis, stai bene?” gli domanda con urgenza ma, nel momento in cui il ragazzo si volta, Harry non ha più bisogno di una spiegazione. Il volto di Louis è sporco di lacrime e di sangue ma soprattutto è sporco di qualcosa che spaventa Harry strozzandogli il fiato in gola: è pieno di terrore e di senso di colpa, la maschera che Louis ha addosso da quasi tre mesi sembra iniziare a creparsi e, attraverso le sue fessure, Harry riesce a vedere il vecchio Louis, quello che a soli venti anni ha perso tutto, tutto tranne lui.
 
Sono passati circa venti minuti dal loro risveglio e Louis ha ancora un po’ la mente annebbiata, si è risvegliato urlando e, nella foga, è riuscito a rompere la bottiglia di vetro che aveva sul comodino, tagliandosi. Harry l’ha raccolto tra le sue braccia, come altre innumerevoli volte, e l’ha costretto ad alzarsi. Louis ha seguito i suoi ordini in silenzio, senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo dal taglio sulla sua mano. Si è seduto alla scrivania di quella camera di hotel e ha atteso in silenzio. Harry è tornato dopo nemmeno dieci minuti con un kit di pronto soccorso tra le mani ed ora è seduto davanti a lui e a Louis viene quasi da piangere mentre lo guarda impallidire davanti alla sua mano.
“Menomale che hai fatto quel corso sul primo soccorso questa estate” snocciola timidamente il maggiore, sono le prime parole che dice da quando si è risvegliato. Harry alza di scatto la testa per guardarlo e gli sorride mentre continua a tamponare la ferita.
“Sei un ragazzo fortunato, Louis Tomlinson” lo prende in giro accarezzandogli poi una guancia con un sorriso timido tra le labbra.
“Scusa se ti ho spaventato” risponde Louis mentre le dita di Harry sono ancora sul suo volto, dolci e sapienti “Scusa se sono un disastro” scrolla le spalle e il più piccolo lo guarda male.
“Non dire queste cose” lo riprende per poi alzarsi e baciarlo, sono fronte contro fronte e “Adesso sistemiamo questa ferita e poi pensiamo a tutto il resto, ok?” gli domanda e Louis annuisce.
Harry torna al suo posto, prende la mano di Louis e rimuove la maglietta che aveva usato per tamponare la ferita.
“Farà male, amore, ma cerca di stare fermo o ti lascerò una cicatrice orrenda” lo avverte Harry mentre si infila i guanti e inizia a disinfettare tutto. Louis annuisce, in silenzio e, non appena Harry inizia a ricucirlo, si concentra sul viso di Harry, così concentrato e attento, così teso.
Guarda il suo ragazzo a lavoro e gli sembra di non sentire nulla, un piccolo eco di dolore in lontananza ma ormai Louis ha imparato a conviverci, giorno dopo giorno, pensiero dopo pensiero.
“Sei nato per questo, lo vedo così chiaramente in questo momento” commenta Louis mentre, con la mano libera, butta giù un po’ di quel vino che era rimasto dalla cena che avevano consumato in camera. Vede Harry sorridere e scuotere la testa.
“Che c’è?” gli domanda Louis “È vero, sarai un medico eccezionale, il migliore al mondo, non sento niente” commenta.
“Certo” sorride Harry “Ho anestetizzato la zona” gli spiega sistemando un punto.
Louis alza gli occhi al cielo e “Farai un figurone quando andrai ad Harvard” gli dice sorridendo, riuscendo perfettamente ad immaginarselo.
Harry si ritrova a trattenere il fiato prima di “Non andrò ad Harvard, Lou” dire al ragazzo “Ma non mi interessa, il mondo è pieno di università” si affretta a dire iniziando a bendare la ferita e a quelle parole il mondo sembra crollare sulle spalle di Louis.
Il mondo torna ad essere un posto reale, concreto, ricomincia a girare.
“Non ti ammetteranno ad Harvard se continui a non andare a scuola, se continui a stare con me” riflette il più grande a voce alta. Ha pensato solo a se stesso, lasciando indietro Harry e il suo sogno.
“Louis-” inizia Harry ma il più grande non lo fa finire che “Ti riporto a casa” gli dice immediatamente sottraendo la sua mano da quelle di Harry che lo guarda allarmato.
“Ti riporto a casa” ripete Louis alzandosi in piedi e cercando le chiavi della macchina.
“Fermo” Harry cerca di richiamarlo fino a quando “Fermo!” non si ritrova a urlare, gli occhi rossi e gonfi “Io non voglio tornare a casa, io non voglio Harvard, io voglio questo” gli ripete.
“Hai solo diciotto anni” gli ricorda Louis mentre anche i suoi occhi iniziano a sporcarsi di colpa e di rabbia verso se stesso, verso quel mondo che continua a prenderlo a pugni in faccia.
“No” lo rimprovera Harry guardandolo negli occhi “Non usare questa scusa con me, Louis. Sono stato io a scegliere di partire, a scegliere di seguirti, non me ne frega un cazzo di Harvard. Avrò tutto il tempo del mondo per il mio futuro, avremo tutto il tempo del mondo, ci penseremo insieme, faremo tutto insieme, come abbiamo sempre fatto” gli dice tendendogli la mano “Io non voglio tornare a casa, voglio solo stare con te” termina guardandolo.
Louis guarda quella mano tesa verso di lui e per quella sera non ha più forza per lottare, non ha più forza per fare nulla che non sia afferrare la mano di Harry e tirarselo addosso, baciarlo come se stesse per perderlo, in quella maniera disperata e forte, intensa, infinita che è sempre stata solo loro.
Per quella sera non ha più forze per lottare, non ha più forze per non fare nulla che non sia ripromettersi di portare l’amore della sua vita ad Harvard, lì dove merita di essere prima o poi, a qualsiasi costo.
 

Georgia, Settembre 2017
 
“Non fare qualcosa di stupido come al tuo solito”.
Le parole di Liam continuano ad infestargli la mente mentre parcheggia la sua Mustang davanti casa Styles e scende sbattendo con foga lo sportello.
Non avrebbe mai pensato che Harry potesse comportarsi in maniera così stupida, nonostante quella sua immensa dose di orgoglio che più di una volta, negli anni, li aveva portati a litigare.
Attraversa il giardino a grandi falcate, come era solito fare anni prima, come se fosse ancora il benvenuto in quella casa, come se solo la vista del suo viso non spaventasse ancora la famiglia di Harry.
La verità è che non gli importa e che, tutto sommato, non ha davvero più niente da perdere, solo qualcuno da deludere, e Louis non vuole farlo, non deluderebbe mai quella versione di Harry che ormai è lontana e quasi dimenticata, la versione di Harry che lo amava fino a stare male, fino a spaccarsi le ossa, letteralmente. Non può farlo.
Ripercorre quella strada che potrebbe disegnare anche ad occhi chiusi, arriva sul retro, esattamente sotto la finestra di Harry e a quel punto, come ha imparato a fare quando era ancora un bambino, inizia ad arrampicarsi sull’albero che lo avvicina a quella finestra che ormai non vede da più di un anno.
Fa tutto in maniera automatica, senza avere paura e soprattutto senza guardarsi indietro, agisce d’istinto come non faceva da tempo, come sempre e solo Harry è riuscito a farlo muovere.
Arriva alla finestra e quando comincia a battere contro il vetro si rende conto che in realtà non ha pensato a cosa potrebbe dire, da quando ha lasciato Liam seduto da solo a bordo della sua barca, Louis non ha avuto neanche un secondo di lucidità per riuscire a mettere insieme un discorso. Doveva arrivare da Harry e doveva farlo il prima possibile.
Le tende si aprono con un gesto deciso per mostrare un Harry confuso e spiazzato che apre la finestra solo per “Che cazzo ci fai tu qui?” chiedere a bassa voce senza però tralasciare nessuna traccia del suo odio.
“Fammi entrare” gli chiede Louis.
“Entrare? Sei fortunato se non ti spingo di sotto, Tomlinson” gli dice in modo cattivo, con un tono che fa venire i brividi lungo la schiena a Louis, gli occhi di Harry sono irriconoscibili ma non sono pieni di rabbia. C’è qualcos’altro in quel verde, c’è una miniera di terrore, angoscia, amarezza e una briciola di sorpresa e soddisfazione mischiata alla malinconia, quella malinconia che li attanaglia entrambi nel momento in cui si rendono conto che nonostante tutto e nonostante tutti, rivedersi è sempre un grandissimo colpo allo stomaco.
“Fammi entrare” gli ripete Louis, questa volta con un tono quasi disperato.
“Se non te ne vai chiamo la polizia” gli dice senza riuscire a convincere neanche sé stesso.
“Senti, Harry” lo richiama Louis stringendosi un po’ più forte all’albero “Mi dispiace per l’altra sera al porto, ok? Davvero, non avrei mai dovuto spingerti o parlarti in quel modo-” prova a parlare ma Harry ride in maniera ironica per poi “Ti dispiace solo per questo?” gli chiede pieno di cattiveria.
Louis alza gli occhi al cielo e “Possiamo non parlarne mentre cerco di non cadere da un albero?” chiede stizzito. Harry sembra pensarci su per qualche minuto per poi “Se mio padre ti trova qui ti uccide con le sue mani” dirgli “Ci vediamo tra mezz’ora al porto” conclude.
“Vieni con me” gli propone Louis.
Harry lo incendia con lo sguardo prima di “Puoi scordartelo” dire per poi chiudere la finestra e sparire.
 
Mezzora dopo Louis è seduto all’ultima banchina del porto quando lo vede arrivare, da lontano. Una felpa verde scuro a fasciargli le spalle e le mani nei pantaloni neri, i soliti stivaletti scuri ai piedi, distrutti dal tempo e da tutti quei chilometri, tanti dei quali consumati insieme.
Quando si avvicina Louis nota che ha tagliato i capelli e che deve aver perso qualche chilo perché il suo viso, lo stesso che ha disegnato milioni di volte senza riuscire a rendergli giustizia, sembra essere più scavato, la pelle ancora più chiara e quelle labbra ancora più rosse a causa del freddo, ancora più cattive quando “Che cosa vuoi da me?” gli chiede incrociando le braccia al petto “Ti avverto, non sono in vena per un’altra nuotata” lo avverte sarcastico, senza accennare a volersi sedere accanto a Louis.
Il più grande si alza, si sposta verso la poca luce prodotta da uno dei lampioni ed Harry, inaspettatamente e senza nessun commento, come fosse una calamita, lo segue. Louis non dice nulla, si limita solo a mostrargli la cicatrice che gli attraversa il palmo della mano.
Passano qualche minuto in silenzio.
Harry è convinto di riuscire a sentire il suo cuore battere e cercare di ucciderlo mentre la sua mente si riempie di svariati flashback di quella nottata. Ricorda di essersi svegliato e di aver trovato Louis sporco di sangue, in pezzi, distrutto e sconvolto. Ricorda di avergli ricucito la mano, tranquillo davanti a Louis ma terrorizzato dentro. Ricorda le urla, ricorda di averlo supplicato di tenerlo con sé, ricorda tutto ma più di tutto ricorda quelle sensazioni e quel sentimento che gli spaccava lo stomaco ogni volta che si svegliava accanto a Louis. Ricorda come fosse ieri quell’amore che li ha consumati fino alle ossa, quell’amore che lo ha quasi ucciso, ricorda ogni più piccolo dolore come riesce a ricordare ogni più piccola gioia. È come se attraverso quel taglio potesse rivivere quei sette mesi, tutti i loro baci, tutte le volte che hanno fatto l’amore, le parole dolci e le urla, l’alcool, il fumo e quella macchina, la libertà e l’America intera ai loro piedi, spettatrice di quella fuga e di quell’amore folle, di quei mesi che li hanno riportati a casa in frantumi.
Harry ricorda tutto e sente tutto, tranne la rabbia, quella per un momento sembra averlo abbandonato quando accarezza la mano di Louis e “Me lo ricordo” dice in un sussurro.
“Quella notte mi sono promesso che ti avrei portato ad Harvard a qualsiasi costo. Liam mi ha detto che hai deciso di non andarci e, non arrabbiarti Harry, so che non è più affar mio da tempo, ma non posso lasciare che tu faccia questo sbaglio” gli dice il maggiore lasciando la sua mano tra quelle di Harry “Lascia che ti accompagni, lascia che io faccia finalmente qualcosa di giusto per te” e a quelle parole, quasi come fosse percorsa da una scarica elettrica, Harry lascia andare la mano di Louis e “Cosa sono per te? Un modo per pulirti la coscienza?” gli domanda allontanandosi, il tanto che gli basta per uscire dal cerchio di luce prodotto dal lampione.
“Non dire stronzate, Harry” Louis prova a riprenderlo ma il piccolo si fa ancora più lontano e “Non toccarmi” gli intima con qualcosa di incredibilmente rotto nella voce “Ho smesso di vivere in funzione di te, Louis. L’ultima volta che sono salito in macchina con te sono quasi morto, questo te lo ricordi?” gli domanda aggressivo.
“Come potrei mai dimenticarlo?!” gli domanda stizzito Louis mentre sente i suoi occhi iniziare a bruciare “So che non potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto, diamine, non riesco a farlo neanche io, ma perché pensi che io sia tornato a Savannah? Dovevo sapere che avresti preso la tua strada, che la tua vita sarebbe stata meravigliosa nonostante tutto quello che ti ho fatto. Se potessi tornare indietro nel tempo-” prova a parlare ma Harry lo ferma e “Ma non puoi” gli dice “Non puoi e non sono più affari tuoi e, se mi hai mai amato, non cercarmi più” gli chiede lasciando andare via una lacrima. Quando si volta e inizia ad andarsene Louis non riesce neanche a muoversi, riesce solo a seguirlo con lo sguardo fino a quando non sparisce.
 
L’impatto con l’asfalto gli fa mancare l’aria mentre sente la pelle bruciare e le ossa fargli male.
“Se ti becco di nuovo qui dentro ti do le altre” lo minaccia un uomo, enorme, davanti a lui, incapace di alzarsi e di muoversi. La sua vista è annebbiata mentre, lentamente, cerca di rimettersi in piedi e di capire che cosa sta succedendo e non solo quella sera.
Harry ha bevuto fino a dimenticarselo, fino a dimenticare tutto il resto tranne Louis.
Louis da bambino intento a rubare un muffin appena sfornato, sempre pronto a dividerlo in due e a dare il pezzo più grande a lui.
Louis e il primo giorno in cui l’ha costretto a marinare la scuola per andare alla pista dei go kart.
Louis a notte fonda, quindici anni e la prima canna tra le mani, incerto se dividere anche quella con il suo Harry, con il suo piccolo Harry.
Louis alle prime luci dell’alba, anni dopo, nudo nel suo letto e illuminato da uno dei primi raggi di Sole di quella giornata, le mani sporche di carboncino e il corpo sporco di loro due e di una delle notti più belle della vita di Harry.
Louis e il giorno più brutto della sua vita, le lacrime e le urla alternate a silenzi di piombo, tutti i suoi incubi, tutto quell’alcool.
Louis e la sua macchina, la loro fuga, i sette mesi più belli della vita di Harry, i sette mesi che hanno cambiato tutto spazzando via Harvard e la sua famiglia, chiunque sulla faccia della Terra non fosse Louis.
Louis e l’ultima risata prima dello schianto, prima di quel dolore lancinante, prima di quel rumore che Harry non riuscirà mai a scordare, l’ultima risata prima che tutto finisse, prima che Louis diventasse niente altro che un brutto ricordo, una ferita così profonda che Harry non riesce a sanare. Harry non riesce a dimenticare Louis, non ci è mai riuscito, neanche mentre dimentica tutto il resto. Così si alza e cammina, ubriaco per le strade di Savannah, una città che odia e che non avrebbe mai più voluto rivedere, una città in cui ha paura di rimanere bloccato.
Cammina e dimentica Harvard, la delusione di suo padre e la rabbia di sua madre, dimentica tutto tranne casa di Louis. Si ritrova lì davanti senza neanche sapere bene come o perché.
La testa gira e le mani tremano, gli occhi bruciano e non riescono a rimanere aperti quando si attacca al campanello di quella casa ormai abitata solo da Louis.
Harry non sa che ore sono e nemmeno gli importa, tutto quello che gli serve in quel momento è vedere Louis e, proprio mentre sta per suonare ancora una volta, la porta davanti a lui si spalanca rivelando un Louis completamente spiazzato, ancora con i vestiti che aveva addosso poche ore prima e i capelli spettinati dal sonno.
“Harry?” lo richiama spalancando la porta.
Il più piccolo cerca di parlare ma non ci riesce e, prima che possa riprovarci, un conato di vomito lo stravolge e lo costringe a piegarsi e sarebbe caduto a terra se Louis non l’avesse afferrato per un braccio.
“Cazzo” sussurra il maggiore rendendosi conto delle condizioni di Harry “Vieni dentro” gli dice e il minore non riesce a opporsi, non vuole farlo. Si lascia guidare da Louis come gli ha lasciato fare altri milioni di volte. Sono in bagno in qualche secondo, Louis lo fa sedere e inizia a pulirgli il viso con un asciugamano umido, con una dolcezza che molte persone in quelle mani non riuscirebbero mai ad immaginare. Quelle persone però non sono Harry che, lasciandosi andare completamente, stringe forte il polso di Louis bloccandolo e “Sono ubriaco” gli dice.
Louis annuisce e “Si, l’ho notato” gli dice senza muoversi.
“Non mi ricordo più neanche perché ti odio” gli dice strascicando un po’ le parole “Ricordo perché dovrei e mi impongo di farlo, ogni mattina, ogni volta che ti vedo. Mi ripeto che mi hai rovinato la vita e che mi hai quasi ucciso ma la verità è che sono stato io a rovinarmi la vita, non avrei dovuto lasciare che le cose andassero così nonostante quei sette mesi mi manchino ogni santo giorno. La verità è che non mi hai quasi ucciso perché quello lo sto facendo io, imponendomi di odiarti” conclude a fatica mentre la voce e gli occhi gli si sporcano contemporaneamente, entrambi dello stesso sentimento, entrambi dello stesso lancinante dolore.
Louis è senza parole mentre sente il suo stomaco cercare di spaccarsi a metà.
“Ho dimenticato tutto, Louis, tutto tranne me e te” gli dice prima di scoppiare in un pianto liberatorio, quel pianto che tratteneva da un anno, quel pianto che nessuno avrebbe mai potuto capire, nessuno se non il suo Louis che, senza aspettare altro, si libera della presa di Harry e lo abbraccia, lo stringe tra le sue braccia e non si perde neanche un secondo di quello sfogo accogliendolo tutto sul suo petto. Gli accarezza i capelli mentre lo stringe sempre più forte.
“Lasciami sistemare tutto” gli chiede “Lasciamelo fare, ti prego” lo implora Louis con le labbra tra i suoi capelli. Harry alza il capo e lo guarda con quegli occhi che a Louis sono sia familiari che estranei allo stesso tempo, gli accarezza una guancia e sospira nascondendo di nuovo il viso.
“Lascia che ti accompagni ad Harvard” lo prega “Abbiamo tutto il tempo per arrivarci con calma, in macchina, io e te, ti prego” chiede con un filo di voce “Permettimi di fare almeno questo per te”.
Harry lo stringe più forte e “Non me lo merito” gli dice poi lasciandolo, le guance sporche di lacrime che si sono seccate, gli occhi di nuovo lucidi.
Louis lo guarda sorridendo teneramente e “Te lo meriterai” gli assicura “Te lo sei sempre meritato” si guardano negli occhi per quelli che a Louis sembrano anni prima che Harry riesca ad annuire e a “Ok” dire con
un filo di voce.




 
Siate clementi con me! Torno a pubblicare dopo quelli che non sembrano ma effettivamente sono anni e sono troppo felice, mi mancavano tantissimo i larry e mi mancava scrivere.
Come potete notare dal titolo del capitolo questa è solo una prima parte, sto scrivendo la seconda e continuerò a farlo, magari un po' lentamente perché la sessione si avvicina ma continuerò perché amo questa storia e amo quello che significa per me!
Per qualsiasi cosa, potete trovarmi su twitter, rispondo allo stranissimo nome di @atacamasrose
Spero questa prima parte vi sia piaciuta, a presto!

 
  
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