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Autore: Herondale7    09/12/2017    0 recensioni
I magici sono stati sempre temuti ed esiliati sin dalla Ripartizione nel Vecchio Impero. Sabriellen Jacklyn, una giovane ladra, entrerà in questa realtà più grande di lei in uno dei periodi più temuti nel regno dove vive. La guerra tra Neblos e Trule è difatti alle porte, e ciò che resta alla ragazza è fuggire per aiutare la sua famiglia frammentata; per perseguire in questa sua decisione dovrà compiere un gesto molto pericoloso: arruolarsi tra i pirati.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13

Il giorno dopo al tramonto arrivammo a Windlake, una delle cittadelle più popolate della costa, più a Nord rispetto a Ember e sempre più vicina alla capitale: Shaka.
Sembrava che non fosse successo nulla il giorno prima, nessun morto e niente sangue sul ponte, mi chiesi chi ripulì l’orrore dell’esecuzione. Non ero scossa per la morte di Barrow, ma era davvero surreale che qualcuno uccidesse a sangue freddo e senza pentimento un altro essere. Era l’azione in se che mi terrorizzava.
Se Ark era capace di ammazzare con una freccia il suo più caro amico e al contempo il suo più acerrimo nemico, cos’altro avrebbe potuto fare alla mia famiglia, che non conosceva nemmeno? Fortunatamente avevo coperto abbastanza bene i rimasugli dei miei affetti, ma sapevo che arrivata a Shaka sarebbe stata solo una questione di tempo prima che fossi scoperta.
Pure la corona aveva le sue cose da sbrigare; nonostante avesse un carico da consegnare –me-, la priorità passava ad altro che non mi era dato sapere. Io e Kasim eravamo stati lasciati liberi di scendere dall’attracco di Windlake se accompagnati. Per quanto la città fosse piccola non era poi così difficile sparire, e perciò tentare la fuga considerate tutte le torrette di controllo. Di quella città si raccontavano storie raccapriccianti, come il fatto che il destino di un uomo era di facile decisione: o veniva venduto come schiavo, o arruolato.
Eppure qualcosa mi sfuggiva, ci avevano dato troppa libertà, ma in quel momento non ci pensai e iniziai a girovagare fino a quando non si fece abbastanza buio da adocchiare qualcuno e derubarlo. Non lo facevo da mesi ma non sarei riuscita ad andare avanti a thè ancora per molto.
Nonostante ormai fossi loro alleata i comandanti sottoposti ai reali non vedevano differenza tra me e uno qualsiasi dei pregiudicati nelle celle, e questo comportava lo scarseggiare del cibo. Ogni tanto qualche membro dell’equipaggio mi portava qualcosa da quando avevamo combattuto Balthazar, ma niente di più che un pezzo di carne e del pane raffermo.
Girando per le vie trovai qualcuno che faceva al caso mio: imbranato, confuso, forse ubriaco e abbastanza giovane per essere raggirato. Il malcapitato girava con un bicchiere in ceramica, il sacco portamonete che fuoriusciva dalla tasca e barcollava. Taglio di capelli da rifare totalmente e camicia abbastanza rovinata.
Veniva dalla mia parte, così spintonai per purissimo sbaglio il ragazzo che mi faceva da guardia contro di lui; quando l’uomo cadde a terra io lo aiutai ad alzarsi, e con la scusa sostituii il suo sacco pieno di monete con il mio, sostanzialmente quasi vuoto.
“Stai attenta…” tentò di dire il mio graditissimo accompagnatore.
“Fammi il favore, non osare chiamarmi strega. Ho un nome, Sabriel, usalo.”
“Stavo per dire ladra. Ho visto questo trucchetto fin troppe volte.” L’uomo sorrise.
“Oh, che paura, scommetto che ora mi arresterai!” dissi con ironia.
“No, se dividi il bottino con me.”
“Wow, altro crimine, corruzione di soldato.” Dissi lanciando l’intero sacchetto alla guardia.
“Non chiamarmi soldato. Ho un nome, Quan, usalo.” Risi sfacciatamente, nessuno si era messo in un testa a testa con me, oltre i pirati. “Ok, sono ridicolo, comunque non mi importa niente delle monete, avrei comunque dovuto fermarlo per quanto era ubriaco.” Disse rilanciandomi il sacchetto, che afferrai e misi velocemente in tasca. Dopo qualche secondo sentimmo dei lamenti dal malcapitato, ancora dove lo avevamo lasciato. Evidentemente si era accorto della truffa.
“Corri, prima che avvisi qualcuno dei vostri!”
Ovviamente non pensai né mi preoccupai di aspettarlo e iniziai la mia sfacchinata fino a quasi l’esterno della città, quando mi fermai mi resi conto di averlo praticamente lasciato indietro. Comparì una decina di secondi dopo con il fiatone, mettendosi le mani sulle ginocchia e piegandosi in avanti per riprendere fiato.
“Sai, vero, che non c’è bisogno che io corra per seminare i miei compagni? In ogni caso vedi di comprare alla svelta quello che ti serve, odierei dover spiegare perché abbiamo la refurtiva in mano.” Non potei fare a meno di guardarlo con uno sguardo tra il colpito e il confuso.
“Spiegami bene… non devi rendere conto a nessuno se tu rubi, ma vuoi fare scomparire il denaro se lo ho io?”
“Purtroppo non sei ben vista. Oltre a essere strega, magica e voltagabbana, ti manca la qualifica di ladra.”
“Ci sono nata con quella.” Sorvolai sul voltagabbana, in fondo non lo ero davvero.
Bastarono poche parole per rimandarmi con la mente a un giorno in particolare dove ero appena dodicenne e mi avevano beccata perché il mio complice non era stato abbastanza furtivo.
Un ragazzo poco più grande ed Elettra vennero in mio soccorso distraendo le due guardie, ci rimisi sei pietre d’onice nella fuga, ma un paio ero riuscita a recuperarle. Solo in quel momento riconobbi il volto cresciuto di Demien in quel ragazzino coraggioso. Era passato così tanto tempo e solo allora lo ricordavo, in un flash di consapevolezza. Che strana la vita. Avrei chiarito pure con lui al momento opportuno, dopotutto era il mio impaziente maestro.
Trascorsi l’ultima mezz’ora d’aria a comprare cibo più decente al piccolo mercato della città. Era un luogo molto frenetico con un sacco di teli azzurri e blu, i più ricchi mercanti avevano anche quelli rossi, o meglio color porpora. Su quelle bancarelle c’era talmente tanta roba da poter vestire, sfamare e armare un esercito, ma non era ancora tempo di guerra aperta, infatti si vedevano ancora passare uomini e donne con figli, anche davanti alle guardie arruolanti.
Mi avvicinai a una delle poche bancarelle rimaste nella mia strada, consapevole che non rimaneva molto tempo per imbarcarci di nuovo, ma fui colpita da una piccola ampolla di vetro verde, tappata con un fazzoletto bianco. All’interno sembrava esserci una sostanza simile alla polvere, ma non capivo perché vendere una cosa del genere.
“Attenta, donna stolta, quella che tieni in mano è una delle cose più preziose che ho! Mettila giù!” un uomo con il capo coperto da una sciarpa mi costrinse a posare la boccetta.
“Che cosa c’è dentro?”
“Si dice che la curiosità uccise il gatto.” Capita l’antifona gli feci dondolare il sacchetto di monete davanti. “Va bene, è polvere rituale dell’albero sacro, il Kethani. L’ho ottenuta da dei rami caduti dall’albero, si dice che simboleggino le persone morte o quelle che perdono la fede.” A quelle parole fissai la boccetta come attratta da qualcosa di proibito. Era la seconda volta che il Dio veniva nominato nel giro di due giorni, speravo che almeno stavolta finisse meglio delle precedenti.
Il culto di Kethani era sacro ed era la religione più diffusa nel vecchio impero. Con la Ripartizione tutto cambiò, le persone si divisero e quel credo antico come il mondo rimase vivo solo in alcuni regni a Est, oltre che nella pirateria.
A Ephilia, dove il potere fu affidato al popolo, dove i regnanti non comandavano realmente, ma erano state affidate loro le leggi da votare.
Subito sotto a Neblos, da noi il regno non era ereditato, ma veniva affidato all’uomo che era votato maggiormente, e solo alla sua morte c’era la votazione successiva (anche se a volte veniva eletto un suo figlio, perché il re aveva regnato bene).
Oltre il confine a Sud c’era Fleoria, l’ultima regione praticante del culto Kethani. Era una terra molto rigogliosa, dove l’Estate non sembrava mai finire e le foglie degli alberi non divenivano mai gialle. O almeno, questo era ciò che si diceva di quella terra fantastica. Lì veniva eletto un sacerdote all‘anno tra i nobili, che avrebbe dovuto passare delle prove religiose per entrare in carica.
Chi aveva visto di persona Kethani ripeteva quanto fosse grande la sua maestosità e come non esistesse albero simile a quello in tutto il mondo. Gli erano attribuiti poteri miracolosi, per tale motivo era sempre tenuto a vista dai sacerdoti della Divinità. Chissà cosa aveva fatto quel mercante per riuscire nel furto di quei rami, insignificanti per i miscredenti.
“Può far spostare chi la usa con il pensiero, o sbaglio?”
“No donna, non sbagli affatto. La morte e la fede indicano uno spostamento talmente duro e difficile che, se ci si crede fervidamente, la polvere di una boccetta può far percorrere a una sola persona la distanza tra qui e Dragonside in meno di un giorno in stato di veglia.”
Quan, incuriosito, mi si era affiancato e aveva convinto l’uomo, con un giro di parole immenso, affinché ci consegnasse le boccette che aveva. Saranno utili alla corona, diceva. Sì, certo, come no. Alla fine venne accanto a me e sollevò la manica della camicia, come per intimorirlo.
Non che non fossi contenta di avere quella benedetta e divina rarità tra le mani, ma non volevo essere riconosciuta per minacce, estorsioni e guerre, per il mio marchio, che per altro non avevo nemmeno richiesto.
Ce ne andammo con tre ampolline piene e coperte dai fazzoletti per evitare l’umidità, ma durante il ritorno non spiccicai una parola, quasi innervosita da quel clima di sfruttamento che aveva avvolto non solo quella serata, ma anche tutta la mia infanzia. Ero cresciuta sempre con il detto che chi ruba a un ladro avrebbe avuto le sue stesse colpe, ma iniziavo a capire che c’era chi lo faceva per piacere e non per esigenza, e quelle persone non erano di certo giustificate.
In generale, pesavo che rubare non fosse giusto, ma da piccola la vita mi aveva rubato padre, madre e zio, inoltre la corona aveva rubato le case che avevamo io e zia Harriet, oltre la possibilità di una vita serena. Aspetto di sentirmi dire che in tutto questo rubare c’è del giusto o dello sbagliato, ma finora nessuno l’ha mai detto.
Nessuno può giudicare oltre la vera Divinità.
Quasi non ci feci caso al passare del tempo che eravamo già ritornati. Adesso si vedeva bene il nome sulla fiancata, Duruche, in uno stile impeccabile. La prima occasione di vedere quel capolavoro di scritta l’avevo persa, ero troppo affaticata per tenere anche solo lo sguardo aperto, e per di più venivo tirata su da una fune legata al mio stomaco.
Potevo comunque dire che il nome rispecchiava perfettamente il capitano: nella lingua fleoriana significava senza anima. Dovevo ancora capire come risultasse facile a certe persone uccidere. Ero abbastanza intimorita da quell’omicidio, ma non era la prima esecuzione a cui assistevo; probabilmente era perché tutti si comportavano come se la cosa più grave accaduta lo scorso giorno fosse stata la rottura di un piatto a terra.
Nonostante tutto avevo preoccupazioni maggiori, e non mi sembrava quasi vero che mancavano solo tre giorni e sarei ritornata alla mia città, con quella mastodontica nave ormeggiata al porto. Con Bellamy e l’equipaggio della Savior era stato molto più lungo il viaggio, dato che quasi ogni giorno dovevamo fermarci in qualche villaggio per poi ripartire solo dopo il tramonto o all’alba.
Era una vera e propria seccatura, provate voi a stare con un tipo come Demien che non fa altro che ripetervi quanti guai creiate nello scaricare le merci o nel non aggiornare l’inventario fino all’ultima spilla… eppure era la prima volta che riflettevo sul tempo passato sulla Savior, e mi resi conto che avevo lasciato non solo la nave e la ciurma, ma anche tutti i miei unici rimasugli di famiglia.
Kasim aveva lasciato a bordo il disegno di mia madre e le mie armi. Non mi ero potuta portare nulla tranne il polsino del capitano e la collana con la chiave argentata regalatami dai miei genitori.
A proposito di chiavi, feci appena in tempo a girare la mia nella toppa della cabina, che venni presa a colpi di qualcosa di morbido, diverse volte, prima di capire che Bellamy non aveva notato che ero solo io, smettendo di fare una tentata aggressione –se così si vuol chiamare- con tanto di fuga. “Per tutto l’oro del mondo, sei tu!” esclamò a voce alta, così gli tappai la bocca con una mano e con l’altra chiusi la porta alle mie spalle, poi iniziai a strillare a bassa voce.
“Dannazione, certo che sono io! Togli le mani dal mio cuscino e vedi di fare meno casino. Sei un pirata e hai il passo di un elefante, in quale mondo possono coesistere cose così?”
“Nel nostro, adesso mi dici che diamine è successo? E perché sono chiuso qui dentro da un giorno intero?”
“Abbiamo affrontato Barrow e la Baltharen.”
“Vorrai dire hanno.” Alzai gli occhi al cielo per la precisazione, si vedeva che lo infastidiva che mi ricollegassi, anche per sbaglio, alla Compagnia delle Terre Occidentali. Qualche secondo dopo riprese. “Com’è andata?”
“Abbiam… hanno vinto, e Ark ha ucciso Barrow. Hanno ripulito il ponte durante la notte, mentre sistemavo i danni alla Duruche.” Bellamy non disse nulla, aveva capito da sé. Probabilmente era felice di non dover competere più per il commercio, ma conoscendolo pensava che non fosse moralmente giusto pensare che la morte di qualcuno potesse giovare a qualcun altro.
“Fammi uscire di qui, non passano per i pasti e non posso darmi nemmeno una ripulita. Per lo più se mi vedessero, ammazzerebbero anche me.” Disse disperato.
“Ho avuto un’idea che potrebbe funzionare, ma non credo ti piacerà.” Affermai quasi ridendo per la mia genialità.
La sua faccia sembrava inorridire sempre più mentre spiegavo accuratamente il mio piano e quello di cui avevo bisogno. La sua espressione sembrava vacillare tra l’indignato e il preoccupato, eppure non disse una sola parola per controbattere fino a quando non terminai, era la migliore idea che avessimo. “Tutto chiaro?”
“Non funzionerà mai, è pura immaginazione, e poi che dovrei fare? No no, non se ne parla nemmeno, Briel.” Sorvolai sul gesticolare frenetico e l’avanti e indietro per la stanza, sorvolai pure sul soprannome per quella volta.
“Davvero? Perché sai bene che potrei farlo comunque e non avresti scelta se non assecondarmi nelle mie follie.” Un sorriso diabolico si allargò sul mio volto.
“Non oseresti.” Disse fermandosi davanti a me. Peccato che la sua altezza non mi spaventasse più come prima.
“Oh sì, invece.” Un sorriso ancora più maligno si allargò sul mio volto. Bellamy cedette e mi fece girare per cambiarsi i vestiti, che molto affettuosamente mi tirò addosso mentre sghignazzavo. Posso dire che provai non poca soddisfazione nel vederlo pochi minuti opo conciato in quel modo, bello e pronto per andare da Ark.
Feci tutto secondo copione. Andai sul ponte appena potei e chiesi a Quan di controllare delle cose prima di salpare, per farlo allontanare. Rimasi lì per vari minuti, in modo che mi notassero sul ponte prima della partenza, e poi andai velocemente nella mia cabina dove gustai il mio costoso pollo arrosto con il mio capitano.
In realtà il capitano non era più un capitano, la cabina era quella di un nemico, e perfino il pollo era stato comprato con soldi non miei. Appunto, suonava quasi come se avessi realmente qualcosa di mio lì.
Un’ora dopo aver salpato, ed essermi assicurata che nessuno avrebbe replicato con il fare marcia indietro, uscii dalla cabina con Bellamy, quasi trascinandolo, pronta per mettere in pratica un metodo già collaudato con Kasim. Pregavo che Ark fosse abbastanza clemente da lasciarlo sulla nave e non buttarlo fuori bordo.
Il ragazzone era terrorizzato dall’idea che fossi incapace di mantenere l’incantesimo che avevo lanciato poco prima, e ogni volta che una guardia o uno dell’equipaggio ci si affiancava lui finiva per stritolarmi il polso dal nervoso, come se potesse influire sull’efficacia della mia illusione su di lui.
Salimmo di tre ponti e bussammo alla cabina privata di Ark, che ci aprì, abbastanza sorpreso di trovarsi davanti me ed un ragazzo di massimo diciassette anni. Grazie ad un ottimo trucco di base e qualche capo rubato dalla stiva, Bellamy sembrava davvero ringiovanito.
Avevo cambiato il colore dei suoi occhi da grigio a celeste chiarissimo, inoltre avevo fatto sembrare il viso meno spigoloso e contornato da più capelli, addolcendolo, ed infine le labbra erano più sottili nell’illusione. L’unico cambiamento che sarebbe avvenuto realmente era quello dei capelli, in parte perché non sapevo come tagliarli, in parte perché dopo averli fatti crescere con la magia mi piacevano di più del suo classico taglio corto.
“Mi aspetto di sapere come mai un brufoloso, incapace, poppante sia sulla mia nave, entro ieri, Jacklyn.” Disse Ark tentando di mantenere la calma.
“Sarò pure vostra alleata, ma non riesco a fare tutto da sola, e da qualcuno dovrò pure iniziare ad addestrare. Lui si chiama Belis, ha assistito alla morte della mia famiglia, dopo la tragedia mi è rimasto accanto, e poi è un mago. Sapevo che si era trasferito qui così, se per Lei va bene, mi farà da assistente.” Dissi tirando su una manica mostrando un marchio finto, fatto con un po’ di grasso e sistemato alla meglio con un’altra illusione.
Sempre con un’espressione tirata ci fece entrare e accomodare a un tavolo, meno prestigioso di quello nella stanza dove lo avevo sempre incontrato, ma funzionale. “Dammi un motivo per non buttarlo fuori bordo.”
“Gliene ho dato…”
“Uno valido, Jacklyn.” Disse acido. “E desidero sapere quando l’hai fatto salire, giusto per capire quali incapaci dovrò punire.” Fui felice di aver preso tutte le possibili precauzioni per crearmi un alibi.
“Circa un’ora e mezzo fa, è salito prima di salpare e l’ho condotto nella mia cabina mentre Quan, la mia guardia, era scesa nella stiva... di sicuro mi hanno vista sul ponte.” Ark diede un pugno di frustrazione sul tavolo. “Giurerà sul suo marchio, e se la corona non si ostinasse a cacciare i Magici saprebbe certamente che siamo vincolati ai giuramenti sul nostro marchio.”
“Tu come hai scoperto quest’affascinante fatto?” Chiese curioso Ark.
“Ha preso a fare molto male, urlavo più di una madre al parto del primo figlio.” Dissi sviando la domanda, che puntava ovviamente a sapere cosa avessi promesso. L’uomo soppesò per molto l’offerta, continuando a fare domande su domande, finché non sembrò farsi convinto dell’utilità di un’assistente. “Allora abbiamo un accordo, Jacklyn?”
“Certamente, resterà a bordo facendo tutto ciò che riterrò necessario, sempre in modo da rispettare la nostra alleanza.” Diedi una gomitata a quello che in realtà era Bellamy. “Giuralo, dai.”
“Lo giuro.” Subito dopo simulò un dolore allucinante, ma non sembrava abbastanza convincente, così feci inavvertitamente alzare le sue urla di un’ottava.
Ero fortemente convinta che una volta finita tutta questa sceneggiata me l’avrebbe fatta pagare, ma la scena era stata davvero memorabile.




 
  
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