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Autore: mughetto nella neve    09/12/2017    8 recensioni
" [...] « Peter, aspetta! Tony ha detto che voleva accompagnarti oggi! »
Peter non torna indietro, ma la sua voce echeggia nel corridoio. Lo aspetta nell'ingresso, dice. Tony , tuttavia, quasi non lo sente dato che sta fissando l’altro uomo con occhi spalancati. Steve non si degna neanche di ricambiare il suo sguardo, rimanendo fermo sull’uscio della cucina a fissare la figura di Peter alla fine del corridoio.
« E ora a che gioco stiamo giocando, Cap? » domanda prendendolo per il braccio destro e tirandolo dentro la cucina. Sente i muscoli tesi – pronti a scattare al minimo segno – e ha quasi paura che Steve lo allontani d’improvviso. Digrigna i denti e stringe la presa. Quello che vorrebbe essere un gesto volutamente brusco sta presto trasformandosi in una disperata richiesta d’aiuto.
« Gli devi parlare » dice semplicemente Steve e Tony vorrebbe riempirgli la faccia di pugni.
[...] "
[ AU | Stony + Spiderpool ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore: mughetto nella neve
Fandom: The Avengers
Personaggi: Peter Parker, Steve Rogers, Tony Stark; [minori] Bruce Banner, Clint Barton, James Rhodes, James Bucky Barnes, Matt Murdock, Natasha Romanoff, Sam Wilson, Thor Odinson, Valchiria, Virginia Potts, Visione, Wade Wilson, Wanda Maximoff
Coppia: Steve/Tony, Wade/Peter; [minori] Bruce/Natasha, Visione/Wanda
Generi: Introspettivo, Malinconico Sentimentale
Avvertimenti: AU, possibili OOC, Tematiche Delicate, What-if
Note: Questa one-shot è lunghissima e tratta di tematiche controverse (quali l’omofobia interiorizzata, l’omogenitorialità, coming-out ed altre cose che - se c’avete pregiudizi - sicuro vi daranno sui nervi). Il mio consiglio e di farvi una lunga tazza di te, sedervi dove vi è più comodo e leggerla in tutta calma. Ringrazio Giulia Laufeyson per il suo prompt e tutti coloro che mi hanno ascoltato e supportato in questi mesi di stesura. Buona lettura!


 

 

Alla mia Giulia,
che è il fuoco che mi arde dentro



 

Tout le monde sait comment on fait les bébés
Mais personne sait comment on fait des papas


 


 

Domenica 3 settembre
Tarda Notte
Appartamento di James Rhodes

 

« Un calcio nei coglioni avrebbe fatto meno male »

Rhodes incrocia le braccia al petto ed annuisce lentamente. Gli appare trasognato, come se stesse ancora rielaborando quanto ascoltato. Si prende qualche minuto: alza entrambe le sopracciglia in un'espressione incredula e si passa una mano sul viso. È strano vederlo così silenzioso: Rhodes ha sempre qualcosa da dire, soprattutto quando ascolta l’amico lamentarsi. Tony è abituato a sentirsi dire di ricomporsi, di mantenere un certo contegno e decoro – in simili circostanze è facile intuire chi dei due ha affrontato un servizio militare ed è stato forgiato, fin dentro l'animo, con una pesante disciplina – e quasi vorrebbe scimmiottarlo, ma la sua testa è altrove.

Se Rhodes sta in silenzio è perché si sta ricordando di quanto è felice di non avere figli, si dice. Tony siede sul divano: ha allungato le gambe e fissa prima l’amico e poi il tavolo in legno davanti a sé. Ha bevuto metà della sua birra e tiene la bottiglia tra le mani. Ogni volta che ha nominato il nome di suo figlio, qualcosa nello stomaco ha preso a contorcersi ed è solo grazie ad un sorso d'alcool se è arrivato sino alla fine. Ha la faccia di uno che è stato appena messo sotto da un furgone. Si massaggia il viso e sospira.

Vorrebbe solo dormire.

« Ma tu che gli hai detto? »

Rhodes non è bravo con le domande. Sarà un militare, il mitico WarMachine, un amico fidato; ma non ci sa proprio fare quando deve ottenere informazioni da lui. Il che non deve essere per forza una brutta cosa, semplicemente il più delle volte il destinatario di simile interrogatorio si stanca dopo le prime tre domande e diventa un bambino che si rifiuta di prendere lo sciroppo per la tosse e scuote il capo ogni volta che gli si avvicina il cucchiaio.

Ora come ora, i nervi di Tony sono così tesi che basta poco per farli saltare del tutto. Sospira, infatti, e da un altro sorso alla sua birra.

« E cosa dovevo dirgli? “No, Peter, ora diventi etero perché io e Cap non siamo pronti a vederci imputare la tua omosessualità”? » Tony scuote il capo e si passa la mano tra i capelli. È distrutto: paragonare la faccenda all'essere stato messo sotto un furgone è quasi riduttivo – sarebbe più corretto dire che una serie di furgoni, quelli pesanti che si usano per il trasloco, lo hanno ripetutamente travolto ed ogni volta che suonavano il clacson si sentiva la voce di Peter ripetere “papà, sono gay papà, sono gay papà sono gay”. Rhodes, accanto a lui, sospira. Tony beve ancora. « Dovevo farlo, forse; ma me ne sono stato zitto »

Rhodes alza semplicemente le proprie sopracciglia, lievemente perplesso; ma preferisce non fare parola. Forse si sta chiedendo se può fidarsi davvero di quello che sta dicendo, dato che poche cose possono mettere a tacere Tony ‘Sono Ironman' Stark.

Li sorprende un silenzio pesante. Tony guarda il tavolino davanti a sé e si dice che è stata una stata pessima idea venire subito da Rhodes: non ha razionalizzato quello che Peter gli ha detto. Non una parola. Continua a vederselo davanti, con quei occhi che brillano sotto la luce del lampadario e le mani che si intrecciano freneticamente; ha la fronte sudata e la sua voce trema per l'emozione. Sorride, però. Cosa sorridi, Peter? avrebbe dovuto dirgli. Si sarebbe dovuto arrabbiare, urlargli che quelle che stava dicendo erano sciocchezze – solo grandissime sciocchezze – e che doveva smetterla di sorridergli come se si stesse liberando di un enorme peso dalla coscienza. È stato zitto, però. Suo figlio gli ha tagliato la lingua e catturato ogni pensiero e parola con un brevissimo discorso.

E dire che sembrava una serata come le altre! Certo, qualcosa avrebbe dovuto sospettare quando il ragazzo si era presentato in salotto con espressione seria; ma Steve gli stava parlando della sua ultima missione e, in un primo momento, aveva creduto che Peter fosse semplicemente incuriosito dalla vicenda.

« E Steve come l'ha presa? » incalza, d'improvviso, Rhodes. Si piega di poco su di lui – come a ridurre le distanze e a voler far sembrare tutto ancor più confidenziale.

Tony agita il braccio, come a dire “non me ne parlare”. Si massaggia subito dopo le tempie e trae dei lunghi respiri. Sembra che qualcosa di orribile sia appena tornata alla sua mente; e, a modo suo, il viso contratto in una smorfia di Steve Rogers un poco lo è. Oltre che diventare più pallido di un cencio, lo ha visto stringere entrambe le mani in pugni e – appena Peter si è dileguato nella sua stanza – ha cominciato a guardarlo in cerca di spiegazioni.

« Steve sta peggio di me » dice, spalancando gli occhi al solo ricordo. Può ancora sentirlo cercare di articolare una prima frase e poi, come a riprendere fiato, fissare il corridoio che Peter ha lasciato illuminato. Tony si raddrizza sul divano e trae un lungo respiro: « Appena ho potuto, sono uscito »

« Stiamo freschi » borbotta sottovoce Rhodes alzando gli occhi al cielo. Aggrotta poi le sopracciglia, come se qualcosa gli fosse appena sfuggito, e torna a guardarlo. « Ma tu non gli hai detto davvero niente? Neanche che uscivi? »

Tony continua a scuotere la testa. Si passa una mano sul viso: è sudato, ma non ha caldo. « Appena si è alzato per andare a prendere qualcosa in cucina, sono schizzato via »

Non avrebbe dovuto farlo. Steve sarà sicuramente arrabbiato quando farà ritorno a casa. Tony non ci vuole pensare, però. È convinto che, se ci crede con abbastanza forza, le cose potrebbero sistemarsi da sole. Forse se sta fuori di casa per un'altra ora, quando tornerà, Peter starà parlando con Steve e questi gli dirà che il ragazzo era solo confuso e che non capiva davvero quello che stava dicendo. Se ci crede, succederà. Forse. Magari. Tony dovrebbe saperlo meglio di altri che certe faccende non si sistemano da sole.

J.A.R.V.I.S. non si è costruito da solo, la sua prima armatura nemmeno. Tony si passa una mano in viso. Se c'è qualcosa che le macchine gli hanno insegnato è che le cose non vanno mai abbandonate nella speranza che queste risolvano le loro imperfezioni. Lasciare a se stesse persone, affari da concludere, progetti da definire non porta mai a nulla di buono. Prendersi una pausa fa bene di tanto in tanto; ma Tony, in cuor suo, sa che l'unica cosa che deve fare è affrontare il problema faccia a faccia.

« Quindi questo Wade viene giovedì? » torna a domandare Rhodes, cercando il suo sguardo. Tony non gli risponde. Forse dovrebbe dirgli di sì o cominciare immediatamente col dire che suo figlio non è gay e, sicuro, questo è l'ultima trovata per farlo impazzire – dopo quella di Spiderman.

Tony guarda ancora il divano. Riesce a quasi a rivedere Peter che ci salta sopra ridendo. Quanti anni aveva al tempo? Sei? Quando andava a trovare Rhodes, il bambino insisteva a volerlo accompagnare. Passava tutto il tragitto in macchina a gorgogliare qualche strana canzoncina che aveva sentito in giro e a giudicare con la propria cintura. La prima cosa che faceva – dopo aver salutato l'uomo e aver preteso di fare merenda con il pane e marmellata che Rhodes teneva in dispensa – era cominciare a saltare sul divano lanciando briciole qua e là. Era una autentica peste.

« Lo so che sei turbato, ma quello che è successo non deve essere per forza un motivo per colpevolizzarti »

Rhodes gli passa una mano sulla spalla. Vuole fargli sapere che è vicino, ma Tony sente di star cadendo in un buco nero di pensieri. Si passa una mano sulla bocca e si asciuga le labbra ancora bagnate dalla birra.
Dovrebbe dire a Rhodes che non può capire quello che gli sta succedendo. Lui non ha figli, non può capire. È come se l'intero universo fosse stato capovolto e tutto il peso fosse finito sulle sue spalle.

« Peter ha deciso di dirlo a voi perché si fida e pensa che voi abbiate il diritto di sapere. Tony, esistono genitori che darebbero via ogni cosa pur di avere così tanta fiducia dal proprio figlio »

La voce di Rhodes gli arriva lontana. Improvvisamente si sente isolato. Non ha la forza di guardarsi attorno: pensa semplicemente a casa sua. Se ora si alza e si mette in macchina, arriverà a casa poco prima delle due. Sicuro Steve è ancora sveglio: lo starà aspettando, magari sul divano di casa, con quell'espressione corrucciata che ha quando sta pensando troppo. Se si alza adesso può andare da lui e parlargli, può dirgli che affronteranno questa cosa assieme ( insieme, si corregge; perché gli piace citare le frasi d'effetto che l'altro è solito rivolgergli ) e magari buttare la cosa sul leggero, con una battuta delle sue – una di quelle orribili che fanno ridere giusto qualcuno come Steve.

Se ora si alza … ed, invece, il suo corpo resta ancorato al divano. Tony si morde le dita e si scopre a guardare un punto indistinto nel vuoto. Quanto è rimasto così? Rhodes sta ancora parlando?

Si gira e nota l'altro uomo intento ad osservarlo. Quando Rhodes è preoccupato, aggrotta le sopracciglia e mostra i denti bianchi, quasi stesse provando sulla sua stessa pelle il dolore dell'altro. Gli occhi studiano con attenzione il suo viso, in cerca di un segnale o un qualche tipo di reazione.

« Non buttare nel cesso simile fiducia per paura di non essere stato un bravo padre, ok? » gli dice con voce ferma, quasi stesse cercando di fargli entrare in tesa qualcosa.

Tony annuisce, ma non sa nemmeno di cosa stia parlando.

 

Lunedì 4 settembre
Mattina
Avengers Facility

 

Steve non lo ha salutato quando è entrato in cucina.

Sta lavando dei piatti nel lavello e tiene gli occhi fissi sul lavello. Tony rimane sull’uscio, ad annusare l’aria. L’atmosfera che circonda l’uomo ricorda terribilmente arrabbiature che lo prendono d'improvviso e sono capaci di protrarsi per mezzo mese. Tony vorrebbe dirsi pronto per affrontare simile maremoto; ma, a dire il vero, ha dormito così poco la sera prima che gli risulta difficile perfino tenere gli occhi aperti per più di dieci secondi.

Per prima cosa, c'è bisogno di un caffè.

Non fa fatica a scorgere la tazza fumante sul bancone della cucina. È una di quelle che è solita usare Wanda per i suoi bizzarri infusi a base di tè. Si avvicina al tavolo e, afferrando lentamente la tazza, butta un'occhiata all'interno per accertarsi che si tratti davvero della sua medicina mattutina. Per fortuna, il caffè c'è e delle foglie profumate non vi è traccia. Ci da un sorso e mentalmente comincia a rassicurarsi, affermando che Steve non può essere poi così tanto arrabbiato se gli ha comunque preparato la colazione.

Da un secondo sorso al caffè e, appoggiandosi al bancone, incrocia le gambe. Osserva la schiena di Steve, la maglietta aderente e pulita che lascia intravedere le sue scapole. Sorride. Probabilmente è andato a fare jogging e si è fatto la doccia. Il che significa che la sera prima è andato a dormire abbastanza presto da riuscire ad alzarsi al suonare della sveglia.

Tony fa per continuare a bere, quando il rumore di qualcosa che si rompe gli fa perdere un battito.

Steve tiene tra le mani un piatto spezzato, una metà nella mano e la sua gemella nell'altra. Si gira verso di lui, con espressione indecifrabile, e Tony sente che quel piatto potrebbe essere l'osso del suo collo. Sente le proprie labbra secche. Passa la lingua sopra di esse per bagnarle.

« Prima di rompere tutti i piatti della cucina con la tua forza di super modello di Calvin Klein » comincia, buttando con fatica il caffè giù per la gola Sa che Steve lo sta ascoltando ed il fatto che non lo abbia fermato vuol dire che è ancora disposto ad intavolare una conversazione. « Vuoi dirmi cos’hai? »

Steve si volta e questo basta a Tony per far serrare la mascella. Ha la faccia di chi potrebbe aprirlo a metà - esattamente come ha fatto col piatto. L'uomo posa le schegge di lato, sul mobile della cucina, ed incrocia le braccia al petto. Prende lunghi respiri. Sembra star facendo esercizi per riprendere la calma: Tony osserva lo sterno dell'uomo alzarsi ed abbassarsi, ingoia con fatica la saliva che si è concentrata nella bocca.

Steve resta fermo dov'è. Non gli si avvicina. Non ha la faccia di chi ha riposato un granché – si sente un poco in colpa per quest’ultima cosa. « Non eri a letto ieri sera. Con chi eri?»

Tony preferirebbe affrontare di nuovo i chitauri piuttosto che subire un interrogatorio con Steve Rogers a fare le domande. Non gli piace l'atmosfera tesa che emana: gli sembra di essere in uno di quei film polizieschi dove il ladruncolo sta per essere pestato a sangue per ottenere le informazioni necessarie.

« Ero da Rhodey » parla lentamente, quasi a voler lasciare il tempo all'informazione di depositarsi dentro la testa dell'altro. Da un sorso al suo caffè e ne assapora il sapore amaro. Si sforza di mantenere un'espressione neutra, ma il nervosismo ha su di lui effetti catastrofici: uno strano sorriso nervoso gli si dipinge in volto, suda tantissimo e fa fatica a sostenere lo sguardo di chi gli sta parlando. Soffia sulla tazza di caffè, più per calmarsi che per reale bisogno di raffreddare la bevanda. « Avevo bisogno di parlare, di schiarirmi un poco le idee con qualcuno »

L'altro serra la mascella in un'espressione sofferente. Chiude gli occhi ed accosta la schiena contro il lavello della cucina. Tony lo osserva e si stringe nel suo angolo. « Anche io ne avevo bisogno ieri. Solo che tu non c'eri. »

Steve Rogers potrebbe scrivere un libro: “Come affossare Tony Stark in 12 parole o poche di meno”. Vincerebbe un sacco di premi, le recensioni sarebbero per lo più positive e sicuramente ci vorrebbero far sopra un film. Tony resta in silenzio. Abbassa lo sguardo e quasi spera che l’attenzione di Steve si sposti altrove. Non che sia intimorito dalla sua presenza o dalla sua lingua – improvvisamente preparata ad una discussione – semplicemente si sente in colpa. Sa perfettamente che l’altro ha ragione.

« Scusa » borbotta a voce bassa.

Scusarsi è la cosa migliore da fare. Scusarsi e sperare che la bomba non esploda. Non è il caso di paragonare Steve ad un ordigno esplosivo, ma Tony non vuole mentire a se stesso: il dolore che potrebbe lanciargli addosso potrebbe distruggerlo. Con gli anni passati insieme, ha imparato ad associare la rabbia di Steve all'acqua. È qualcosa di così apparentemente inoffensivo, regolata da forze esterne, la maggior parte delle volte si esaurisce da sola; ma, in quantità ingenti, è capace di prenderlo alle spalle e portarlo via con sé per chilometri e chilometri.

Tony vorrebbe chiudersi nel suo laboratorio, fingere di avere delle consegne da completare ed ignorare la rabbia Steve sta ammassando dentro di sé minuto dopo minuto. Non si sente ancora pronto ad affrontare la questione. Un po' perché non riuscirebbe a gestire il senso di colpa che Steve farebbe gravare sulla sua testa e un po’ perché lui stesso pensa di non aver ancora razionalizzato l'evento in sé.

Restano in silenzio, ma sa che l’altro non ha finito di parlare. Lo osserva guardare il pavimento e respirare profondamente. Forse si aspetta che parli ancora, magari che articoli delle scuse più specifiche e credibili. Tony non lo sa. Non sa molte cose al momento.

« Devo tornare più tardi o voi due volete essere fermati adesso? »

Natasha entra in cucina con indosso una canottiera nera e dei pantaloncini corti. Ha i capelli in ordine, sistemati accuratamente ai lati del viso ed è scalza. Tony guarda i suoi piedi bianchi e poi torna a sorseggiare il proprio caffè, fingendo indifferenza. Steve incrocia le braccia al petto e raddrizza la propria schiena, assumendo una postura più seria e composta.

« Buongiorno anche a te, Romanov » saluta lui con voce allegra. La dissimulazione è l’unica arma rimastogli: deve sforzarsi di sembrare sereno e riposato, anche quando ha accanto a sé uno Steve che pare pronto a sputare fuoco e fiamme.

La donna li studia, passando lo sguardo da uno all’altro. Sta, con tutte le probabilità, cercando di decifrare la scena davanti ai suoi occhi. Non era a casa la sera prima, quindi è possibile che non sappia nulla di Peter. Steve, di certo, non le ha detto nulla. Non ha avuto nessuno con cui parlare, ecco perché è così arrabbiato.

La vede compiere qualche passo, silenziosa come una gatta, mentre continua a squadrarli con attenzione. Ricorda in tutto e per tutto un animale selvatico intenta a muoversi in un territorio familiare e tuttavia ricco di improvvisi pericoli: « Era un buon giorno prima di vedervi sul piede di guerra. Cos'è? Vi siete di nuovo rubati le coperte a vicenda stanotte? »

« Natasha, non è giornata » la ferma l‘altro uomo mantenendo le braccia incrociate al petto. Non la guarda già più. È tornato a studiare il pavimento in legno, con voce sempre più corrucciata. Qualunque cosa stia passando nella sua testa, non è delle più serene; Tony ha quasi paura che stia pensando a lui. Sente il respiro spezzarsi e quasi va in apnea.

Natasha, nel frattempo, ha aperto il frigorifero e sta guardando con finto interesse gli avanzi della sera prima ed una serie di bottiglie che stanno sistemate nel ripiano più basso. Lentamente passa la mano tra queste e tira fuori del succo di frutta all’arancia. Tony osserva i suoi movimenti e la calma presto torna a prendere il suo corpo.

« Ho notato » borbotta a bassa voce la donna togliendo il tappo dalla bottiglia con un colpo secco. Sta, infatti, fissando il piatto rotto da Steve. Ha in viso un’espressione indecifrabile – che non fa fatica a ricondurre ad un qualsiasi tipo di scontro che l’ha vissuto in sua compagnia. Sta, con tutte le probabilità, cercando di spiegarsi la situazione, deducendo dall’ambiente e dalle risposte datole cosa sia accaduto. E, tuttavia, i dati in suo possesso sono troppo pochi per darle una risposta.

La vede, infatti, sbuffare e passare di nuovo davanti a lei. Con tutta la bottiglia del succo in mano. Se la sta portando via? Così tranquillamente? Si aspetta che Steve dica qualcosa ma questi sta zitto, ancora perso nei suoi pensieri. Probabilmente sta passando dal voler rimproverare l’universo intero – Guardiani della Galassia, compresi – ad un ostinato silenzio, carico di crescente rancore. Il che è anche peggio. O meglio, Tony pensa che lo sia: perché un conto è uno Steve che ti rimprovera per l’essere stato uno stronzo, un altro è dover condividere il proprio spazio vitale con una persona che non ti risponde o ti ascolta per quanto è arrabbiata con te.

In tutto questo, Natasha se ne è andata via dalla cucina. Tony non se ne è accorto. Sta osservando il viso di Steve e si domanda se lo ha mai visto così arrabbiato con lui. Forse sì. Anzi, sicuramente. Solo che non riesce in alcun modo a configurare come sia riuscito a farsi perdonare le precedenti volte.

« Ciao, Nat! »

« Ciao anche a te »

Lo scambio di saluti tra Peter e Natasha sorprendono entrambi i genitori. In simultanea, i due alzano lo sguardo e si fissano con le mascelle serrate – manco fossero sotto attacco. Tony è il primo a voltarsi verso il corridoio e scorgere la sagoma del figlio che passa davanti a suoi occhi. Peter ha lo zaino solo sulla spalla destra e i capelli piegati su di un lato. Si ferma e li guarda. Sorride. Il viso è luminoso, sembra che abbia passato la nottata più riposante di tutta la sua vita.

« Pensavo fossi già uscito » inizia a parlare Steve ed, ecco!, improvvisamente la sua maschera irritata perdersi in pochi istanti. Sul suo viso, pallido e teso, appare un’espressione di sincero imbarazzo. Vede il ragazzo soffermarsi a guardarla ed il suo sorriso lentamente smarrire. A quanto pare, non gli è difficile ricondurre la situazione del genitore a quello detto la sera prima.

« Sto uscendo adesso » incalza l'altro, indicando la porta e già riprende il proprio passo, certo di avere ormai la fuga assicurata. « Ci vediamo stasera, allora! »

Vorrebbe afferrarlo per la felpa che tiene aperta e trascinarlo dentro la cucina, ripetendogli che se deve fare i conti con Steve – tanto vale che sia presente anche lui, dato che la colpa è sua. E tuttavia il suo corpo è praticamente fatto di ghiaccio. Gli risulta difficile perfino respirare. Il suo cervello continua a riproporgli la scena della sera prima – rendendo sempre più forte e invasiva la voce di Peter che ripete “gay”.

Vede Peter sparire nel corridoio – mentre saluta di nuovo Steve, il quale tiene ancora la mano in aria, come se volesse in qualche modo afferrarlo. Nella sua testa improvvisamente si fa silenzio.

« Peter, aspetta! Tony ha detto che voleva accompagnarti oggi! »

Peter non torna indietro, ma la sua voce echeggia nel corridoio. Lo aspetta nell'ingresso, dice. Tony , tuttavia, quasi non lo sente dato che sta fissando l’altro uomo con occhi spalancati. Steve non si degna neanche di ricambiare il suo sguardo, rimanendo fermo sull’uscio della cucina a fissare la figura di Peter alla fine del corridoio.

« E ora a che gioco stiamo giocando, Cap? » domanda prendendolo per il braccio destro e tirandolo dentro la cucina. Sente i muscoli tesi – pronti a scattare al minimo segno – e ha quasi paura che Steve lo allontani d’improvviso. Digrigna i denti e stringe la presa. Quello che vorrebbe essere un gesto volutamente brusco sta presto trasformandosi in una disperata richiesta d’aiuto.

« Gli devi parlare » dice semplicemente Steve e Tony vorrebbe riempirgli la faccia di pugni.

« Di cosa? » chiede, con voce stridula – ma bassa, così da non attirare l’attenzione del ragazzo. Cerca di richiamare l’attenzione dell’altro ed, infatti, gli afferra il mento e fa girare il volto verso di lui. « Cap, tu non puoi mollare a me la patata bollente! »

« Devo prenderla io invece? » gli risponde subito Steve, liberando il braccio dalla presa dell’altro. Lo sguardo che gli rivolge è duro e severo, come se gli stesse rimproverando qualcosa. Tony si pente di aver tanto penato per avere la sua attenzione. Ora vorrebbe solo seppellirsi per la durezza che gli viene rivolta. « Tony, se tu ci fossi stato ieri sera avremmo parlato, avremmo deciso insieme come comportarci– »

« Quindi mi merito una punizione, non è così? Deve andare tutto sulle mie spalle solo perché ho preferito parlare con qualcuno che non fossi tu? » urla, indicando prima se stesso e poi l’altro con fervore. Forse ha sbagliato. Non doveva parlare così ad alta voce. Forse Peter li ha sentiti. Oh, al diavolo Peter!, si dice.

« Non ho detto questo » parla lentamente Steve.

Tony scuote il capo con forza: « Invece si! Hai detto esattamente questo! »

« Se è un problema, accompagno io Peter a scuola »

Wanda è apparsa sull'uscio già vestita. Ha addirittura la giacca addosso. Tony aggrotta le sopracciglia ed osserva il viso della nuova venuta. Deve essere appena rientrata. Si, di certo è appena rincasata perché altrimenti non si spiega l'espressione rilassata che rivolge ad entrambi. La gente, di prima mattina, non sorride mai con simile serenità. Probabilmente è stata ad una di quelle serate organizzate da locali di periferia, dove pessimo alcool si combina a pessima musica. Dopo aver fatto il pieno di simile atmosfera ed aver perso se stessa in quell'oceano di pensieri, si è ritagliata le prime ore del giorno per osservare l'alba da qualche punto strategico.

Tony vorrebbe tornare ad avere venticinque anni. Sa che non può, ma lo vorrebbe davvero tanto. Sfortunatamente, ne ha ormai il doppio e le sue serate solitarie si riempiono solo di preoccupazione e di altri pensieri su come affrontare la giornata che viene dopo. Guarda Wanda, poi Steve. Questi ha in volto un’espressione indecifrabile: è ancora arrabbiato. Ovvio che sia ancora arrabbiato.

Sospira, già stanco: « Prendo la giacca »

*

Ed eccolo in macchina, con Happy che guida e Peter che tiene il viso contro il finestrino.

Da quando lo ha raggiunto in soggiorno, il ragazzo non gli ha rivolto una parola. Ha le sopracciglia aggrottate e tiene entrambe le mani sulle ginocchia. Quando fa così è nervoso. Forse ha sentito qualcosa. Tony sospira, portandosi una mano in viso. Si massaggia le tempie e guarda la strada davanti a sé. Da quanto tempo sono fermi? Avrebbero dovuto uscire prima da casa – in questo modo, avrebbero evitato di finire nel traffico – ma Tony doveva prepararsi e, neanche volendo, avrebbe impiegato meno di dieci minuti. Forse Peter è arrabbiato con lui per questo.

Da bambino, era solito fare così: quando arrivava in ritardo a scuola, gli teneva il broncio a tavola continuando a borbottare che era stato sgridato per colpa sua. Non era rara come cosa. Ai tempi, sia lui che Steve, parevano star impazzendo: non riuscivano a far coincidere in nessun modo i propri orari con quelli del figlio, più si ostinavano a farlo e più le cose andavano nel verso sbagliato. Sul finire delle elementari, avevano ormai rinunciato al voler accompagnare Peter a scuola ogni giorno; Steve aveva chiesto scusa al figlio per questo, gli aveva spiegato che non dipendeva da loro e che nonostante questo avrebbero fatto tutto il possibile per esserci a recite e ad altri eventi. A ripensarci adesso, l’immagine di Peter che a stento riesce a raggiungere il centro del tavolo – pur stendendo completamente le braccia e chiamando a gran voce l’acqua – ed delle sue guance rosse quando si arrabbia ha un che di adorabile.

Tony smette di massaggiarsi la fronte e torna stringere le mani in una salda presa. Il silenzio dentro cui la macchina è piombata è pesante. Happy ha provato ad intavolare una conversazione, ma ogni tentativo si è presto rivelato un fallimento. Tony osserva la figura del figlio seduto accanto e prova a scorgere la sua espressione attraverso il riflesso del finestrino.

Peter ha ancora le sopracciglia aggrottate, ma la sua espressione si è fatta meno dura. Sta ora osservando la gente camminare sul marciapiede: i suoi occhi seguono determinati soggetti e, una volta che questi sono usciti dalla sua visuale, passa presto allo studio di altri. Peter sa che lo sta fissando? Forse sì dato che il suo viso è riflesso nel finestrino, ma non da comunque segno di volersi girare.

« Lo so che non volevi accompagnarmi » parla improvvisamente, tenendo il viso contro il finestrino. La sua voce è ferma, pare averci pensato su prima di aprire bocca.

Tony si scopre quasi a trattenere il respiro mentre il più giovane parla. Scuote un poco il capo ed accavalla le proprie gambe: « Beh, io e i liceali non andiamo un granché d’accordo. Credo di essere allergico, con le dovute eccezioni, a tutto ciò al di sotto dei ventuno anni »

Il che é un po’ vero. I bambini gli danno l’orticaria e simile sentimento sta estendendosi lentamente anche agli adolescenti. Vorrebbe che la cosa fosse reciproca, ma sono spesso i bambini quelli più entusiasti di vederlo. Quando portava Peter a scuola, erano loro ad indicarlo allegri e gridare “mamma, è lui! È Ironman!”. E, tuttavia, a Tony basta vederli invadere la distanza di due metri per cominciare a sudare freddo.

« No » Peter scuote il capo. Non è un gesto nervoso, più un cenno che richiama le attenzione sia del padre che dello stesso guidatore – che, però, si limita a stringere un poco di più il volante e tornare a guardare la strada. « Oggi non volevi né vedermi né sentirmi »

« Peter, non dire sciocchezze » lo richiama, ma si rende conto troppo tardi di come la sua frase suoni più come una preghiera e non come un rimprovero. Non è mai riuscito a presentarsi come genitore autoritario. Quel ruolo è sempre spettato a Steve: è lui il soldato, Tony è il genitore miliardario che ti porta alla fiera della scienza e ti dimentica lì.

« Certe cose le capisco prima di te e di Steve. Forse c'entra con il senso di ragno o, non so, magari ho solo una percezione maggiore per queste cose » continua a parlare il ragazzo e, questa volta, si gira a fissarlo. Tony guarda il suo viso e gli sembra di aver di nuovo davanti un bambino. Si ricorda di come da bambino non riuscisse a stare composto in auto, di come fosse entusiasta di studiare scienze e perfino dello zaino che gettava qua e là per la casa. « So quando la gente non vuole vedermi perché imbarazzata »

Peter, forse, un bambino non lo è più. Il solo fatto che abbia capito cosa Tony stia provando in questo momento frantuma l’immagine che il genitore ha di lui.

L’uomo prova a guardarlo. Questa volta, senza alcun tipo di filtro. Prova a studiare le guance rosate, gli occhi scuri, i vestiti del giorno primo – e, per un attimo, prova a dirsi che suo figlio sta cercando di fare una conversazione seria con lui. Che suo figlio sta cercando di capirlo. Magari dovrebbe accettare simile tentativo e provare ad aprirsi.

Peter sostiene il suo sguardo e tacitamente gli chiede di intervenire, di rispondergli e spiegargli cosa stia succedendo. Non deve per forza mettere in mezzo Steve, potrebbe semplicemente parlare per sé. Raccontare come si sente in questo momento, esprimere i suoi dubbi e chiedere all’altro ulteriori informazioni.

Il respiro nella sua bocca si è fatto corto, avverte il suo cuore battere all’impazzata contro il reattore Arc e quasi si sente minacciato dal più giovane. Peter sembra quasi un aguzzino ai suoi occhi, sta quasi tirando fuori con la forza qualcosa che Tony sta cercando di tenere stretto a sé. Un pensiero, un parere. Qualunque cosa sia, la vuole mantenere privata e il ragazzo tuttavia continua a pretenderla. Sospira e scioglie la posizione incrociata delle gambe.

« Peter, tu devi capire che non puoi uscirtene con affermazioni come quella di ieri sera e pretendere, la mattina dopo, che tutti si comportino come se niente fosse successo » sputa in un sol colpo.

Peter apre la bocca e aggrotta la sua espressione. No, non si aspettava una frase del genere. Passa qualche secondo prima che le parole comincino ad uscire: « Io non ho preteso che– »

« Te lo dico io quello che pensavi ieri sera » lo interrompe, agitando la mano davanti al viso del figlio – facendogli immediatamente chiudere la bocca. « Ti senti trascurato in queste settimane. Cap è tornato venerdì da Messico, io ho lavorato a quegli impianti fino a sabato. Volevi essere notato ed hai pensato che il modo migliore per farlo fosse quello di prenderci in giro con quella storiella di essere gay, di avere un fidanzato e tutto quello che hai detto. »

Forse non le pensa davvero le cose che ha detto. O forse sì. Magari non ne ha parlato con Rhodey perché sapeva che l’uomo avrebbe difeso sia lui che Cap, dicendo che la colpa non era certo la loro e che avevano delle responsabilità a cui non potevano sottrarsi. Ma quindi è vero? Peter avrebbe mentito su questa cosa solo per ottenere un po’ di attenzione da due genitori troppo assenti?

« Lo sapevo che non avevi capito niente! » tuona Peter, stringendo un pugno nella mano sinistra. Lo guarda, come se si aspettasse un qualche tipo di marcia indietro; ma, nel fermare gli occhi sul suo viso, la sua espressione si fece ancora più dura: « Non ascolti mai quando ti parlo! »

« Io ti ho ascoltato fin troppo ieri sera! » incalza a sua volta, puntando il dito contro il più giovane che lo osserva come se lo avesse appena tradito. « E sarebbe corretto da parte tua fare lo stesso. Ce lo devi, Peter. Lo devi a me e a tuo padre! »

Peter, però, sente di non dovere niente a nessuno. Non a lui, non a Steve. Forse nemmeno ad Happy che li guarda con sguardo sconvolto dallo specchietto retrovisore. Peter semplicemente freme di rabbia ed apre la portiera della macchina con un scatto tanto rapido che nemmeno Tony riesce ad anticiparlo.

Il ragazzo ha i denti digrignato e il volto di chi sembra appena aver ricevuto una coltellata da chi meno se lo aspettava. Prende lo zaino che ha tenuto fino ad allora tra le gambe e la richiude con altrettanta forza.

« Peter, torna immediatamente in macchina!» lo chiama Tony, uscendo a sua volta dalla macchina. Dall’interno sente Happy gridare qualcosa nella sua direzione, ma nulla di concreto arriva ai suoi occhi. Osserva la figura del figlio scivolare tra le macchina con sempre più velocità ed elasticità e quasi prova a inseguirlo. Le macchine però stanno talmente vicina l’una a l’altra da formare una sorta di cortina naturale.

Tony si fa strada comunque, sente il clacson arrivargli fin dentro le orecchie e così le imprecazioni dei vari automobilisti che si trovano spettatori inconsapevoli di un inseguimento già segnato.

Peter, infatti, scompare tra la folla ancor prima che Tony riesca a raggiungere il marciapiede.

L’uomo lo chiama. Grida il suo nome e quasi spera che l’altro riesca a sentirlo, che si fermi, che si lasci raggiungere; ma non va affatto così. Tony si guarda attorno: osserva i volti sconosciuti che lo squadrano disorientati e nemmeno i corpi più lontani ricordano di poco la figura di Peter.

Si ferma.

Si calma.

Si passa la mano sul viso ed impreca in direzione del figlio e forse anche in quella di Steve che lo ha costretto ad affrontare tutto quello da solo.

 

Lunedì 4 settembre
Primo Pomeriggio
Uffici Amministrativi Stark Company

 

« Mi ha chiamato la scuola di Peter. Hanno detto che oggi non si è presentato a lezione. »

La Signorina Pottes non lo guarda: è presa dal controllare le firme che ha posto su ogni foglio. Le conta e le sue labbra si dischiudono appena mentre pronuncia sommessamente il susseguirsi di numeri. Tony osserva la sua bocca e poi prende lentamente a far girare la sua sedia da destra a sinistra.

Guarda oltre la finestra e pensa al suo ultimo ricordo con Peter. Lo rivede intento ad urlargli contro che non capisce niente e che non lo ascolta mai; quasi vorrebbe afferrarlo per le spalle e scuoterlo fino a fargli tornare il senno. Sa che non servirebbe a nulla, ma il senso di frustrazione continua ad albergare dentro di lui e gli suggerisce scenari sempre diversi ed ugualmente deliranti.

Tony si rigira la penna nelle mani e finge serenità: « E tu cosa hai risposto? »

« Che avrei chiesto a te e che li avrei richiamati » risponde semplicemente la donna. La sua voce è ferma, ma non sembra irritata o indispettita dal suo comportamento. La vede raccogliere i fogli, raddrizzarli e sistemarli ordinatamente uno dietro all'altro. Probabilmente li darà alla segreteria una volta che quella conversazione terminerà: « Cosa è successo questa volta, Tony? »

C’era stata un tempo in cui Tony poteva dirsi perdutamente innamorato di lei. Guardandola negli occhi, sentiva di non poterle raccontare bugie. La donna non lo avrebbe mai tradito o mentito; era schietta e diretta, ma lo rimproverava senza troppa cattiveria. Aveva un modo di muoversi e di parlargli capace di imbarazzarlo ed incantarlo: ogni volta che gli stava vicino, Tony sentiva il proprio cuore battere veloce, arrivando quasi a fargli del male, e tuttavia non riusciva ad allontanare lo sguardo da lei.

« Abbiamo avuto qualche divergenza, ma niente di serio » si ritrova a fare il vago Tony, sforzandosi di tenere lo sguardo sulla lunga serie di finestre che davano sulla città. Sapeva che, anche solo rivolgendo un’occhiata a Pepper, avrebbe ceduto e svuotato il sacco. Raccontando tutto, ma proprio tutto.

« Talmente poco serio che il ragazzo non ha voluto presentarsi a scuola » la sentì borbottare sarcastica mentre prendeva a stringersi le mani. Non era convinta da simile versione. Era facile intuirlo e questo mandò Tony ancora più nel panico.

Si allentò leggermente il nodo alla cravatta, nel disperato tentativo di ritrovare l’aria che stava velocemente venendogli a mancare per via del nervoso: « Lo sai come sono fatti i ragazzini, Pepper: se la prendono appena si dice loro che si sta sbagliando »

Fece un lieve cenno della mano, uno di quelli che era solito fare annoiato e che solitamente aveva come significato “non fare più domande”; tanto che Pepper alza un sopracciglio, leggermente confusa. La sua espressione si fa lentamente più serena.

« Oh, so perfettamente cosa si prova. Lavoro per un ragazzino da ormai vent'anni » commenta sarcastica, mostrandogli poi un sorriso sinceramente divertito. Tony la osserva con occhi spalancati, salvo poi trattenere una risata. Il modo con cui la donna si fa beffe di lui lo ha sempre divertita: Virginia Potts ha un sarcasmo così pungente e sincero da far breccia dentro di lui.

Sposta lo sguardo lentamente sul tavolo, prendendo a guardare le sedie foderate. Sono soliti cambiare fantasia e colore delle federe ogni tre anni. Ricorda che, da bambino, Peter era solito salire su una di essa e prendere a girare freneticamente. Non era solito frequentare il suo ufficio. Le rare occasioni in cui ciò accadeva era perché si fingeva malato a scuola e Steve era, ovviamente, dall’altra parte del mondo per andarlo a prendere; va da sé, che toccava a lui occuparsene e che il più delle volte avesse la giornata piena alle Stark Company. Era Happy quello che andava a prenderlo e lo scortava dentro. Il bambino trotterellava verso il tavolo e lì prendeva a disegnare o guardare la televisione.

Tony quasi lo vede, Peter, su quella sedia. Lo vede sfruttare il tavolo per avere la spinta giusta e roteare velocemente assieme alla sedia mentre ride. Quanti anni aveva mentre si divertiva a fare cose del genere? Otto? Nove? A Tony sembra quasi che sia passata una settimana dall’ultima volta in cui l’ha visto giocare in quella maniera ed invece è quasi passo un decennio.

Riprese a giocare con la propria penna mentre, con lo sguardo, tornava a studiare la figura ora in piedi della donna. Pepper stava, infatti, avviandosi alla porta: « Perché la scuola chiama te e non me quando Peter non si presenta? »

Questa si girò leggermente sorpresa. Lo osservò per qualche secondo e poi scosse le spalle con semplicità, come se gli fosse stata fatta la domanda più ovvia della giornata.

« Perché io non salvo il mondo almeno due volte durante la settimana, Tony » rispose, quindi, mostrando poi un leggero sorriso – questa volta più malinconico, come se provasse un’improvvisa tenerezza nei riguardi dell’uomo che non aveva saputo rispondersi ad un quesito così semplice.

Detto questo, afferrò la maniglia della porta e la chiuse alle sue spalle. I suoi capelli rossi furono l’ultima cosa che l’uomo vide di lei. Questi restò per qualche istante con lo sguardo fisso davanti a sé, intento ad assimilare la risposta che le era stata appena data. Sistemò, poi, i gomiti sul tavolo e portandosi su le mani vi poggiò contro il mento. Si ritrovò presto a ragionare su quante volte aveva chiesto alla donna di pensare a Peter: tre, quattro volte. No, forse di più. Non ricordava con precisione. Si trattava sempre di urgenze, però, questo glielo si doveva concedere. Ama Peter con tutto se stesso e non avrebbe mai derogato ad una terza persona suo figlio.

Crescere un figlio quando si è un eroe è difficile. Ci sono degli orari da rispettare, delle responsabilità che non si possono ignorare ed è capitato che non vedesse Peter per quasi un mese. Certo, lo contattava e Steve non la smetteva di parlare di lui quando non stavano combattendo; ma forse non era la stessa cosa.

Forse Peter è gay perché né lui né Cap hanno saputo prendersi cura di lui. O magari non lo è proprio perché, appunto, non ha ricevuto abbastanza attenzioni ed ora cerca di attirarle in questo modo – magari non lo fa neanche con malizia ed è convinto che, dichiarandosi “come loro” avrà accesso a più affetto.

Tony si massaggia le tempie. Sente che queste riflessioni stanno portando con loro un micidiale mal di testa. Ha quasi paura che più si concentrerà più sulla faccenda e più ne uscirà matto.

E la parte peggiore deve ancora arrivare, si dice. Deve avvisare Steve dell’accaduto.

Sospira ed accosta la fronte contro le mani. Sa perfettamente cosa accadrà quando riporterà simile notizia all’altro uomo. Anche se non potrà vederlo, Steve sbarrerà gli occhi e aprirà la bocca. La sua espressione si farà d’improvviso più dura e prenderà a chiedergli nel dettaglio cosa sia successo, cosa lui abbia fatto e dove si adesso Peter.

Tony sente che non ce la può fare. È semplicemente troppo per lui.

 

Lunedì 4 settembre
Prima Serata
Avengers Facility

 

Alla fine glielo ha detto. Ovvio che l’abbia detto. Se non lo avesse fatto, sarebbe stato lui quello a dover amministrare la situazione ed ha come la mezza idea che il ragazzo possa scappare ancora davanti a simile argomento.

Ovviamente Steve non l’ha presa bene; ma, contrariamente a quanto Tony ha immaginato, non se l’è presa con lui. Ha passato mezz’ora in silenzio, tanto che gli si è accostato ed ha provato più volte ad intavolare una conversazione – raccontando di come anche lui fosse solito saltare le classi e che non è poi una tragedia se ogni tanto lo fa. L’occhiata che gli ha lanciato l’altro, però, lo ha fatto dissuadere dal continuare la discussione.

Discussione che, sa, dovranno riprendere prima o poi. Magari non adesso. Ora stanno cenando ed il polpettone che Clint ha preparato è qualcosa a cui non rinuncerebbe nemmeno con il ritorno dei Chitauri.

Steve, però, non è dello stesso avviso: « Peter, hai qualcosa da dire a me o a tuo padre? »

Tony smette di mangiare e lancia un’occhiata prima all’uomo, poi al figlio – che continua a mangiare di gusto – ed, infine, al resto del tavolo. Anche Clint ha abbassato la forchetta, mentre Natasha sta mangiando silenziosamente e questo cerca di fare anche Bruce. Wanda è alla sua sinistra quindi gli è impossibile capire cosa stia facendo: sospetta però che anche lei stia continuando a mangiare, prestando però orecchio alla conversazione.

« Si, mi servirebbero dieci dollari. Vorrei uscire stasera » Peter mostra una sfacciataggine che può aver ripreso solo da lui. Tony comincia a fare mente locale di tutte le volte in cui ha osato rispondere sarcasticamente a Steve e si ritrova con una lista molto lunga – probabilmente simile pensiero è apparso anche nella mente dell’altro uomo dato che lo osserva per qualche secondo e poi torna ad osservarlo. Tony sente lievitare la quantità di colpe di cui Steve lo accuserà se questa discussione non andrà a buon fine.

Si è generato uno strano silenzio a tavola. Bruce continua a lanciare occhiate nella sua direzione, probabilmente in cerca di spiegazioni; mentre Clint ha preso una seconda fetta di polpettone, forse perché intenzionato ad avere qualcosa sotto i denti mentre si gode lo spettacolo.

« Peter, perché non sei andato a scuola oggi? » chiede ancora Steve, questa volta con voce più ferma e dura. Osserva il figlio con quegli occhi chiari – di un azzurro talmente pulito da non essere paragonabile al cielo inquinato di New York, tanto meno all’East River – e presto anche l’altro fa altrettanto. Peter tiene alto lo sguardo, quasi con sfida.

« New York aveva bisogno di Spiderman » risponde semplicemente, salvo poi chinare il capo sul piatto. Potrebbe essere la verità. Magari era sua intenzione andare a scuola, ma è stato coinvolto in un’emergenza ed ha preferito essere Spiderman piuttosto che un liceale qualunque. Può essere. O magari no. Magari ha preferito marinare la scuola perché troppo arrabbiato con lui, se ne è andato a zonzo, poi magari gli è venuto in mente Wade ed ha passato l’intera giornata con lui.

L’immagine del figlio mano nella mano con un uomo fa saltare qualsiasi connessione celebrale. Tony si ritrova con la bocca aperta e l’aria di chi ha appena subito una lobotomia. Accanto a lui, Steve ha raddrizzato la propria schiena e non pare per niente felice della risposta che gli è stata data.

« Pensavo di averlo già detto … » inizia a parlare, scuotendo leggermente il capo « La scuola ha la priorità sulla tua attività superoistica. Non puoi saltare le lezioni così alla leggera, Peter »

« Ha ragione, Peter. L'istruzione è importante » si intromette Clint, masticando a bocca aperta il boccone di carne. Probabilmente nel sentire simile parentale si è sentito in dovere di intervenire e ricordare che, si, anche lui è un padre e che, si, sa far le prediche anche lui. « Altrimenti finisci come me o Natasha »

La donna, chiamata in causa, sta ancora tastando il polpettone con la propria forchetta. Alza lo sguardo ed un leggero sorriso in direzione dell’altro uomo: « Veramente, il diploma ce l'ho »

Tony sgrana gli occhi stupefatto, mentre Clint spalanca la bocca: « Cosa? E da quando? »

L’altra e sorride leggermente, spostandosi i capelli rossi dietro le spalle – non vuole essere un gesto presuntuoso, ma tanto basta per far sogghignare Clint: « Corsi serali »

« Con Bruce che fa il supplente sexy? » indaga Tony, mostrando un sorriso sardonico. L’idea di Natasha intenta a studiare per dare un’esame è qualcosa che lo disturba. Conosce le competenze di quella donna: la padronanza di dieci e più lingue, l’intelligenza rapida e veloce e la formidabile capacità. A cosa le serve un diploma?

Il chiamato in causa, comunque, per poco non si strozza con il bicchiere che si è portato alla bocca. Spalanca gli occhi e butta giù l’acqua con non poca fatica, cercando di ignorare il volto divertito di Barton. Perfino Wanda ha mostrato un sorriso, passando lo sguardo dall’altra donna al novello insegnante. l’atmosfera è tornata a farsi piacevole: Peter continua a guardare il piatto, ma non pare intenzionato a protestare circa il suo comportamento. Forse dovrebbero lasciarlo stare.

Steve, di nuovo, non è dello stesso avviso. Il sorriso che ha avuto in volto mentre ascolta lo scambio di battute dei due scema nell’incontrare lo sguardo di Peter. Questi, a sua volta, torna serio ed abbassa lo sguardo. L’uomo emette un lungo sospiro.

« Che non si ripeta più » dice semplicemente, anche se il tono resta duro ed intriso di una severità tipicamente genitoriale.

Peter ha come un sussulto e subito alza lo sguardo. Lo guarda con rinnovata sfida, come se improvvisamente si sentisse offeso da quelle parole. Lo vede stringere i pugni e, tuttavia, tenerli lungo il corpo: « Io ho dei doveri verso questa città! »

« Tu hai dei doveri nei riguardi miei e di tuo padre! » tuona, allora, Steve. Lo vede stringere la forchetta e già la vede in due pezzi. Vorrebbe dire qualcosa, magari per tranquillizzare entrambi – cosa che, no, proprio non sa fare bene; ma l’altro uomo lo precede e prende ad osservarlo determinato: « Diglielo anche tu »

Tony avrebbe voluto rimanere fuori dalla discussione. Lo avrebbe voluto davvero tanto. Sente ancora troppa fresca quello che è successo questa mattina e teme che possa ripetersi ancora. Che Peter corra via in quella maniera e che lui si scopra completamente incapace di ritrovarlo. È una paura che ha preso ad attanagliarlo dal pranzo e che lo sta lentamente convincendo ad attaccare un qualche tipo di trasmettitore così da essere sicuro che il ragazzo non sia mai realmente introvabile.

Si scopre, quindi, a guardare il viso di Peter. Questi lo osserva anzitutto con sorpresa e poi stringe la sua espressione in una più sofferente. Forse si sente in colpa per quello che ha fatto. Quando è tornato a casa, lui era in laboratorio; non è andato a salutarlo, ma il ragazzo è sceso al piano di sotto ed ha borbottato – come quando era ancora un bambino disposto a scusarsi – di essere tornato. Tony ha interpretato quel gesto come un maldestro tentativo di farsi perdonare e, naturalmente, si è fatto andare bene simile metodo.

Giocherella con la forchetta nelle sue mani, cercando di stemperare il proprio nervosismo. Non è a suo agio in quella situazione, maledice Steve per averlo messo in mezzo; anche se quello è probabilmente l’ennesima punizione che deve scontare per averlo lasciato solo la sera prima: « Peter, io e tuo padre crediamo che ti sia sentito trascurato in questi mesi e– »

« Vuoi davvero riprendere il discorso di stamattina? » lo intromette il ragazzo, abbandonando completamente la forchetta sul tavolo. La sua espressione si fa improvvisamente più ferita, come se il padre fosse tornato a pugnalarlo. È la stessa che aveva quella mattina: sopracciglia alzate, volto livido e gli occhi stretti – dal suo viso traspare solo dolore e rabbia per ciò che gli sta venendo detto.

« Che discorso? » indaga Steve alzando il sopracciglio sinistro e spostando la testa dal ragazzo a lui e poi di nuovo al ragazzo. Non sembra molto contento del particolare venuto alla larga e che, si, lui aveva tenuto volutamente nascosto.

« Avanti, calmatevi. Non si litiga mai a tavola. » comincia Clint, alzando gli occhi al cielo – come se dovesse richiamare i suoi figli all’ordine. Si è reso conto di come la situazione stia degenerando e, nonostante il solito tono impigrito, vuole cercare di risolvere la faccenda prima che sia troppo tardi. Rimandandola, magari.

« Tony, che hai combinato? » continua a domandare Steve con voce sempre più alta. Lo guarda e ricorda terribilmente quando lo ha incontrato: il tono duro, le parole di perenne rimprovero e la convinzione che l’altro sia lì solo per portare disordine. Tony serra la mascella. Vorrebbe dire qualcosa. Difendersi, magari.

« L’avevo detto che dovevo accompagnarlo io » borbotta, allora, Wanda tenendo gli occhi fissi sul piatto. Tony si è girato a guardarla, più sorpreso dal fatto che abbia aperto bocca che per il contenuto vero e proprio della frase.

Steve aggrotta le sopracciglia in sua direzione, ma subito dopo le rilassa. Lo sguardo si fa quasi disperato, mentre lentamente allenta la presa alla propria forchetta che si scopre con la gambe completamente piegata dalla forza. Tony la guarda e pensa che quella potrebbero essere le sue dita. « Wanda, per favore, non ti intromettere »

Lei, per tutta risposta, alza leggermente le sopracciglia in un'espressione fintamente meravigliata: « Perché? Ne state discutendo a tavola, con quasi l'intera squadra a guardarvi. Se aveste voluto non essere ascoltati, ne avreste parlato altrove. Magari in disparte. »

Non ha tutti i torti, si ritrova a pensare Tony; preferisce tenere simile pensiero per sé perché sa che Steve non lo gradirebbe affatto. È arrabbiato con lui. Di nuovo. Tony sta cominciando a pensare che lo usi come capro espiatorio per tutti i comportamenti sbagliati di Peter: il bambino si ostina a guardare i cartoni animati fino a tardi? Colpa di Tony, che lo ha abituato male; Peter non vuole lavarsi i denti? Colpa di Tony, che lo sta viziando; Peter va ad una mostra e viene morso da un ragno radioattivo che lo rende alla stregua di un potenziato? Colpa di Tony – quando, no, il ragno era degli Osborn quindi colpa degli Osborn; Peter fa il vigilante a sua insaputa? Colpa di Tony che lo ha scoperto, gli ha fatto la tuta ma non ha voluto dire nulla a Steve; e, si, ok, quella volta era davvero colpa sua. Fatto sta che Tony comincia davvero a temere di essere tacciato anche per l’omosessualità di Peter e ciò lo preoccupa perché non saprebbe davvero come rispondere.

« Ora basta polemiche » interviene Bruce, abbassando un poco la forchetta ed il coltello che tiene in mano. Guarda prima Tony, poi Wanda – e qui il suo sguardo si addolcisce, come se dovesse parlare ad una bambina. « Finiamo di mangiare, dai. La cena si sta freddando. »

« Io non posso credere che voi pensiate che sia un modo per attirare la vostra attenzione! » si intromette Peter con voce più alta. Sembra aver covato quelle parole per tutto quel tempo: lo guarda e Tony sa che si sta rivolgendo a loro. Sta ovviamente facendo riferimento alla loro discussione di quella mattina e da come lo guarda sembra che, no, non abbia mandato proprio giù l’essere tacciato per egocentrico. Il suo sguardo è duro, quasi quanto quello di Steve; ma velato di una sofferenza più profonda, come se fosse – ancora – deluso da lui e non riuscisse ad accettarlo.

Tony comincia a sentire la testa ronzare. Quelle urla lo infastidiscono. Vorrebbe solo concludere quella discussione e ritirarsi nel proprio laboratorio, cercando di dimenticare tutto quello che sta accadendo: « Peter– »

« Peter cosa?! » lo interrompe il giovane con voce sempre più alta, come se stessero in una stanza affollata e Peter cercasse di farsi sentire in tutti i modi; quando, in realtà, le sue parole riecheggiano contro il soffitto alto della camera da pranzo. « È questo quello che pensate di me? Ho quasi diciotto anni e mi trattate come se avessi ancora il moccio al naso! »

Questa volta è Steve ad intervenire, con voce vagamente più calma: « Se ti comporti in un certo modo è normale giudicarti in simile maniera »

Non sa perché Steve stia prendendo le sue parti, forse condivide il suo pensiero o magari non gli piace il tono con cui si sta rivolgendo. È difficile a dirsi. Tony, forse, dovrebbe dire qualcosa ma le sue labbra sono sigillate e così anche quelle del presente.

Peter scuote il capo, incredulo: « E come mi sarei comportato? Ti ho detto le cose come stanno e tu non hai capito niente, come al solito! Non ti interessa nemmeno capire! »

Il pugno di Steve fece un rumore assurdo sul tavolo. Sembrava aver spaccato una parete intera, quando in realtà non ha nemmeno scheggiato la superficie di legno o rotto il piatto: « Non parlarmi in questa maniera! »

È una cosa che gli ha sempre dato fastidio. I suoi litigi con Peter – così rari e brevi – si facevano sempre più tesi e intensi quando il ragazzo prendeva ad alzare la voce per cercare di far valere le proprie ragioni sopra quelle del genitore.

In principio, non capiva il perché di simile cambio di atteggiamento. Steve è sempre stato dei due quello più severo, ma mai emotivo. Era quello che stabiliva i compiti ed i doveri di Peter ma non lo ha mai fatto con durezza militare. Quando lo vedeva alzare la voce, invece, aggrottava le sopracciglia e gli comandava di mantenere un certo tono in sua presenza. Una sera glielo ha chiesto. Stavano spalla contro spalla e Steve aveva trattenuto per qualche secondo il proprio fiato. Si era preso qualche istante, facendo peso sul braccio sinistro e girandosi verso di lui – guardandolo negli occhi, come a voler trovare la giusta intimità; gli aveva poi raccontato del padre, di come questi si comportasse nei confronti suoi e di sua madre e di come comandasse il rispetto nei suoi riguardi. Tony era rimasto in silenzio ad osservare, incapace di commentare. Steve gli aveva detto che era stato anche lui come Peter, che aveva osato rispondere al padre e di come l’altro lo avesse colpito in seguito.

Era per questo che non voleva che Peter alzasse la voce? Perché aveva paura di picchiarlo? Steve non avrebbe fatto niente del genere – lo sapeva lui stesso che non lo avrebbe mai fatto. Il punto era altrove. Il punto era che quelle parole che il padre gli aveva rivolto gli erano rimaste dentro, impresse a fuoco nella sua anima. Quella violenza non era mai stata dimenticata ed ora che era lui ad essere genitore riemergeva. Probabilmente lo si doveva al fatto che fosse il suo unico modello di figura genitoriale maschile, quindi l’unica da cui trarre esempio.

Per quanto Steve vi lottasse e cercasse di nascondere simile parte della sua vita, questa finiva sempre con il ricomparire. Alla fine siamo ciò che i nostri genitori ci hanno mostrato.

« Tu non hai di ché lamentarmi del mio operato, ragazzino. Sono passato sopra a molti dei tuoi capricci, ho rispettato le tue decisioni – per quanto le ritenessi discutibili – ed ho sempre ascoltato quello che avevi da dire. Ti sono venuto incontro tutte le volte che ho potuto e ora, tu, vieni a dire a me che non capisco niente? Non accetto simili parole da uno che pretende di essere preso sul serio quando il suo comportamento non lo è! »

Sono parole dure quelle che ha rivolto. Parole che forse pensa, ma che non avrebbe mai rivolto in quel momento e in un simile contesto. Sono parole vecchie, che fanno riferimento ad eventi passati oltre che presenti. Steve parla di quella volta in cui Peter aveva voluto andare a pattinare senza ginocchiere e si era fatto male alla prima caduta, di quella volta in cui saltava sul divano ed è caduto rompendosi un dente da latte, di come gli avesse nascosto l’essere Spiderman e di come non avesse accettato di dismettere la tuta. Frustrazioni che Steve ha tenuto dentro di sé e, con questa faccenda, hanno raggiunto il massimo della sopportazione.

Peter sta davanti a lui, sconfitto: « Io– »

« Tu ora finisci la cena, in silenzio, e dopo cena parleremo da soli di tutta questa faccenda » comanda Steve con tono duro, ma più calmo. Sembra essersi sfogato. Tony lo osserva in silenzio e nota le sue mani tremare un poco, si scopre a passare la mano sopra di esse e ad accarezzarle piano. Steve lo lascia fare. Si risiede in silenzio e porta anche l’altra mano sopra quella di Tony, come a cercare il suo affetto e la sua presenza al suo fianco.

E prima ancora che possa tornare a tagliare la carne, il suono dell’ascensore richiama l’attenzione dei presenti. Tony ha, per un’attimo paura, che si tratti di qualcuno del piano inferiore venuto a lamentarsi del baccano – solo che non esistono altri residenti oltre a loro.

Thor entra dentro la sala con una sacca di pelle di animale ed un sorriso brillante. Ha la faccia pittata di rosso ed un braccio ricoperto di bende. È entusiasta, il viso sudato e Valchiria al suo fianco: « Salute, midgardiani! Siamo di ritorno da Vanheim ... »

« … e, da benevoli divinità quali siamo, vi abbiamo portato dei doni! » completa la frase per lui la donna, mostrando una bottiglie di colore variopinto. Ha un sorriso entusiasta in viso, come se per ottenerle abbia dovuto sconfiggere un’intera bettola a suon di braccio di ferro. Immagine non troppo lontana dalla verità, si ritrova a commentare Tony.

La stanza resta immobile nel silenzio, tanto che Valchiria si ritrova ad abbassare la bottiglia e lo sguardo di Thor si fa leggermente confuso da simile accoglienza.

Peter fa scorrere la sedia indietro e si alza. Ha il volto chino, non posa nemmeno un'occhiata ad entrambi i genitori che è subito diretto verso il corridoio. Bruce prova a chiamarlo, si alza; ma Clint lo afferra per il braccio e gli fa segno di tornare seduto.

Tony continua ad accarezzare la mano di Steve, avvicina le spalle contro le sue e cerca il suo sguardo. Steve tiene gli occhi chiusi ed ha in viso aggrottato in un’espressione sofferente; alza la mano sinistra e se la porta in viso a coprirsi. Tony resta in silenzio, ma gli si accosta maggiormente. Si è pentito di quello che ha detto. Ovvio che si sia pentito. Steve si pente sempre di urlare contro Peter. A volte lo dice ad alta voce, altre volte basta guardarlo negli occhi per capirlo. Tony si scopre ad avvicinare il suo viso con una mano. Si guardano negli occhi, in silenzio.

« È meglio lasciarli soli » comunica Natasha. È la prima ad alzarsi ed avviarsi ai suoi alloggi. Wanda è la seconda, va verso la porta d’ingresso ed afferra la giacca che ha lasciato sull’attaccapanni; si sbriga ad infilarsela ed è subito fuori dalla stanza. Clint prende il proprio piatto, lo riempie di altre due fette e torna anche lui nei suoi alloggi. Bruce si occupa dei due asgardiani, gli si avvicina, sorride e li invita a raccontare del loro ultimo viaggio in giardino; i due lo seguono ma hanno lo sguardo di chi è pronto a fare domande.

Rimangono loro due soli. Tony continua ad accarezzare la guancia di Steve, dolcemente. Sembrano essere nella loro camera di letto dove nessuno di due fa economia nell’affetto da rivolgere all’altro. Steve ha lo sguardo basso ed ha preso a stringere con entrambe le mani quella libera di Tony. Respira lentamente e non ha la forza di alzare lo sguardo. Tony si accosta alla sua fronte e chiude gli occhi a sua volta.

« Avrei urlato anche io in quella maniera se mi fossi trovato in quella situazione » si scopre a dire mentre passa il braccio intorno alle spalle di Steve. La vicinanza dei due si fa sempre più forte ed intima.

« Si, ma tu non lo hai fatto » commenta sottovoce l’altro uomo. La sua voce trema un poco, vittima di un improvviso senso di colpa che potrebbe addirittura intenerirlo. « Mi odierà, Tony »

Tony si scopre a respirare a fondo, nel tentativo che le sue parole trovino il giusto senso e la misurata saggezza. « Non potrebbe mai: sei suo padre »

« Ciò non mi ha impedito di odiare il mio. Forse non impedirà neanche a lui di farlo. » torna a parlare Steve, questa volta la sua voce è più ferma e sicura. Un po’ lo rassicura. Steve non si piegherebbe mai per così poco, Steve è forte – più di lui, Steve tirerà fuori se stesso e lui da quella situazione. Se lo continua a ripetere perché, si, ha bisogno di dirselo.

È come se si trovassero incastrati nelle sabbie mobili. Lentamente stanno affondando ed ogni tentativo di dibattersi ed opporsi peggiora la situazione. Steve non voleva fare del male a Peter, così come Tony non voleva. Semplicemente non possono accettare quello che il ragazzo continua a ripetere. Non possono. Accettarlo vorrebbe dire prendere in considerazione che sia stata colpa loro, che il loro amore abbia reso il ragazzo gay, che è vero quello che i bigotti continuano a ripetere dietro i loro slogan e che – assieme – hanno segnato la vita di un ragazzino la cui unica colpe era quella di voler avere una famiglia. Non possono. Semplicemente non possono.

Tony si scopre a respirare velocemente contro il viso di Steve, tanto che questi si fa improvvisamente forza e lo afferra per entrambe le guance: « Andrà tutto bene, Tony. »

Andrà tutto bene, si. Tony abbozza un sorriso e lo guarda intenerito. Il viso di Steve è teso, piegato dalla stanchezza e da quella discussione. Forse stasera non dormire. Forse non dormirà nemmeno lui.

Tony continua a sorridere, rassegnato: « Andiamo a letto »
 

Martedì 5 settembre
Mattina
New Avengers Facility

 

È andato lui a svegliare Peter questa mattina. Steve è personalmente convinto del fatto che ora suo figlio ce l’abbia a morte con lui. Ha preso a ripeterglielo dalle quattro del mattino. Nessuno dei due stava dormendo: erano entrambi schiena contro schiena e la voce dell’uomo era sembrata più roca e bassa del solito. Tony non ha dormito un granché questa notte; ha continuato a pensare a Peter e – quando non lo ha fatto – la sua testa ha viaggiato tra i ricordi della sua infanzia, soffermandosi sul sorriso di sua madre e sulla figura severa di Howard.

Quindi si è alzato, è andato al bagno, ha detto a F.R.I.D.A.Y. di mettere a fare il caffè e poi si è avviato nel corridoio continuando a stropicciarsi gli occhi. Il piano è solitamente immerso nella penombra, ad illuminare la strada vi sono i neon posti ai lati del pavimento. Tony si è fermato davanti alla porta della camera del ragazzo ed ha bussato quattro colpi, per poi girare subito la maniglia ed affacciarsi nella stanza.

La camera è totalmente immersa nell’ombra. La finestra è aperta, il letto sfatto ed i vestiti ammassati sulla sedia. Tony accende la luce ed improvvisamente la sonnolenza sparisce in favore di un’improvvisa confusione. Peter dov’è? Fa qualche passo dentro la stanza, quasi per appurare che non sia nascosto da qualche parte. Le ante dell’armadio sono aperte, Tony le guarda per qualche istante e poi va a chiudere la finestra.

Lo chiama. Nessuna risposta. Aggrotta le sopracciglia. Torna in corridoio. Si guarda in giro, ma è troppo buio; accende le luci, lo chiama di nuovo. E di nuovo. Gli chiede dove sia. Va in cucina, ma la stanza è completamente immersa nel buio: non c’è nemmeno una tazza nel lavello o le tracce di qualcuno che ha fatto colazione. Torna nel corridoio, cerca nel bagno, è di nuovo nel corridoio.

Nel frattempo, Steve è uscito. Lo sta osservando confuso, lo ha sentito chiamare Peter e non capisce perché vada in giro per la casa a fare il nome del figlio: « Non è in camera sua? »

Tony si gira e guarda il profilo dell’altro uomo. Si guarda in giro. Magari si sta allarmando per nulla, magari il ragazzino è in giro per casa ed è abbastanza lontano per non sentirlo. Scuote poi il capo. No, il ragazzo semplicemente non è presente nella casa.

« Non è qui » si limita a dire, aprendo la porta della stanza di Peter e dando un lieve cenno col capo. Steve si stacca immediatamente dallo stipite della porta della sua camera e subito entra nella stanza.

« Lo hai cercato in cucina? » comincia a chiedere mentre si guarda attorno. Lo vede avvicinarsi al letto e togliere le coperte e poi tornare alla scrivania, alla ricerca di qualcosa di non bene specificato. Toglie i vestiti dalla sedia e poi si muove verso l’armadio, lo apre e ci guarda dentro. Tony entra nella stanza e lo guarda stordito. Steve si sposta velocemente ma i suoi movimenti non sono dettati dal nervosismo o da un’improvvisa smania: sembra star seguendo un qualche tipo di schema. « Ha preso il suo zaino e la tuta non è qui. »

Tony aggrotta le sopracciglia e torna anche a lui alla scrivania. Guarda tra i fogli lasciati disordinati sopra di esso: sono solo compiti in classe. Cerca allora sotto al letto e si scopre presto a grattarsi nervosamente la barba: « Forse ha avuto un’urgenza. Magari qualche vigilante lo ha chiamato e gli ha chiesto di assisterlo durante qualche sua operazione. Due settimane fa l’ho sentito parlare di Daredevil con Clint. Forse è con lui. »

« Daredevil ha il suo numero? » chiede subito Steve. Ha la felpa di Peter in mano ed ha una faccia così scura e tesa da spaventarlo. Ricorda terribilmente uno di quelle gatte che prendono a soffiare appena gli si toccano i micetti. Tony si scopre ad alzare leggermente le spalle. Sarebbe riduttivo definirsi teso per simile reazione dell’altro. Conosce Steve, sa quali sono i suoi punti di pressione – Bucky, Peter, la squadra, Peggy Carter, lui … – e non fa fatica a ricordare quella volta in cui ha rotto il naso ad uno sgherro dell’Hydra che aveva osato fare minacce con protagonista Peter.

« Non lo so, Steve. Sto facendo ipotesi. » parla lentamente Tony, mentre guarda il letto ancora sfatto. Passa il suo sguardo da questi alla finestra. Era aperta quando è entrato. Che sia uscito da lì? Tony si scopre ad aggrottare le sue sopracciglia mentre si avvicina al vetro. Guarda giù. L’altezza non è particolarmente notabile, con i suoi poteri, Peter non avrebbe difficoltà a scendere per il muro e scivolare fuori. Trae un sospiro, chiedendosi il perché suo figlio dovrebbe fare qualcosa di simile. « Provo a chiamarlo »

*

Steve sta facendo avanti e indietro da mezz’ora. Tony non lo osserva: sa che, se lo facesse, si farebbe prendere a sua volta dall’ansia e che, per placare questa, gli urlerebbe di fermarsi. Ciò porterebbe certamente ad una escalation di eventi, tali che si ritroverebbero presto ad urlare uno addosso all’altro. E non è quello di cui hanno bisogno, in quel momento. L’unica cosa che conta – per entrambi – è sapere dove sia andato Peter.

Vede Steve fermare il suo passo e voltarsi verso di lui: « Lo hai chiamato? »

« Tre volte. Ho provato a fare una chiamata anche dal tuo, ma continua a suonare a vuoto » risponde immediatamente, appoggiando il telefono sul tavolo di vetro. Lo guarda e sente il prurito prendergli le mani. Se avesse Peter accanto a sé in quel momento, sicuramente lo prenderebbe per l’orecchio cominciando a strillare che non sono cose da fare – non di prima mattina, non dopo una serata come quella. Anche se, molto probabilmente, Steve lo anticiperebbe e presto si scoprirebbe ad ascoltare la scena annuendo col capo.

Non sarebbe la prima volta. Tony non è molto bravo con i rimproveri. Glielo è stato detto un po’ da tutti: Rhodes, Pepper, Natasha e perfino Wanda. Non ha mai cercato di capire cosa non andasse nei discorsi che fa; forse è troppo intimidatorio o troppo poco, magari si esprime in maniera confusa, o semplicemente non li sa proprio fare. Durante gli anni passati, non ci aveva fatto troppo caso: si era detto che non aveva importanza; non aveva senso far paura alla gente, quando aveva dalla sua una personalità magnetica, un conto in banca pieno di soldi e la giusta sfacciataggine. In parte era vero; ma, quando hai un bambino di sei anni che si ostina a non voler andare a letto all’orario stabilito, simili qualità valgono ben poco. E quindi bisogna fare la voce grossa, sembrare più duri e severi, far valere le proprie ragioni e magari anche non battere ciglio quando l’altro piange e batte i piedi. Tutte cose che Tony non sa fare e che, invece, Steve si.

Steve sembra essere nato per fare il padre. Tony vorrebbe farci umorismo su e dire che è un “marchio di fabbrica” dei suoi tempi; ma, ad onor del vero, un po’ lo invidia. Vorrebbe avere la sua stessa forza d’animo e risultare, agli occhi di Peter, come il genitore più fermo e autoritario – quello che non transige su orari e compiti ma è, allo stesso tempo, quello di cui ti puoi fidare perché abbastanza serio e presente. Tony è sempre stato, tra i due, quello incapace a dirgli di no. Peter andava da lui quando cercava la strada più corta per un permesso: che si trattasse di una festa, di un anticipo di paghetta o di poter uscire la sera stessa.

Probabilmente, il primo grande segreto che lui ed il figlio avevano condiviso era stato Spiderman. Quando Tony aveva scoperto delle capacità del figlio, aveva provato ad alzato la voce – gli aveva dato dell’imbecille ed aveva anche tentato di dissuaderlo dal tornare a fare il supereroe – ma, poi, gli aveva comunque confezionato quella tuta ed era stato addirittura orgoglioso di se stesso e di suo figlio quando lo aveva visto all’opera.

« Forse è successo qualcosa » inizia a parlare Steve, tirandolo via dai suoi pensieri. Ha le braccia incrociate e la sua voce si è fatta improvvisamente più grave. Lo vede stringere un pugno e portarselo contro il mento, meditabondo. Alza poi lo sguardo verso di lui: « Guarda i filmati delle telecamere esterne, magari è davvero uscito dalla finestra »

Tony fa per annuire, ma nota qualcuno alle sue spalle. Si gira immediatamente.

Visione è in piedi e li osserva in silenzio. Non sa perché abbia iniziato ad indossare vestiti: probabilmente dipende da Wanda, la giovane ha una certa ascendenza su di lui; fatto sta che è già vestito, con tanto di golfino e colletto della camicia piegato in giù. Lo vede passare lo sguardo da Steve a lui e poi battere lentamente le ciglia – lo ha sentito raccontare a Wanda che si sta esercitando anche in questo.

« Che succede? » chiede semplicemente. La sua voce ha un retrogusto ancora artificiale, tanto che Steve si ritrova ad aggrottare le sopracciglia. Tony guarda a guardarlo: lo vede farsi improvvisamente più teso, come se la presenza di Visione lo rendesse ancora più nervoso. Guarda Tony e serra la mascella, come se si aspettasse un suo intervento.

« Visione, per favore, lasciaci soli. » decide di mediare, lui. Gira il torso e guarda il nuovo arrivato. Questi lo osserva con viso indecifrabile, come se stesse lentamente elaborando le sue parole. È un comportamento a cui Tony si è abituato: Visione, con lui, si fa come più lento; pare star perennemente processando qualcosa, tanto che spesso l’uomo si è domandato se non vi sia ancora qualcosa di J.A.R.V.I.S. dentro di lui.

Visione, però, annuisce piano ed indietreggia velocemente. Sta effettivamente camminando – segno che, si, Wanda sta rivelandosi un’ottima influenza e che, se continua così, l’androide potrebbe addirittura smettere di passare attraverso le pareti o le finestre.

Tony torna ad osservare Steve. Steve che sta facendosi sempre più teso e nervoso. Lo vede tornare a fare avanti e indietro davanti al tavolino. Il soggiorno è ancora immerso nella penombra. Tralasciando il corridoio acceso ed una lampada, non ci sono altre fonti di luci. Steve si muove nell’ombra e ricorda uno di quegli animali notturni spaventosamente aggressivi verso le prede.

Lo vede fermarsi, come se un’improvvisa idea abbia attraversato la sua testa: « Hai provato col Dottor Banner? Magari lui– »

Tony prende subito a negare il capo con forza, come se l’opzione proposta sia assolutamente impossibile da attuare. Steve si tende, come una corda di violino; ma non smette di osservarlo, come se stesse aspettando un qualche tipo di argomentazione.

« Non se ne parla. Se lo diciamo a Bruce, è capace di farsi prendere dall’ansia! E ci manca solo un Hulk a cui badare! » obbietta con voce roca, continuando a scuotere il capo. Steve non sembra convinto, ma preferisce tacere; assumendo un’espressione più cupa e preoccupata.

Si sentono dei passi provenire dal corridoio. Entrambi si girano e vedono la figura di Wanda apparire sull’uscio del soggiorno. La ragazza è in pigiama, coi capelli tirati all’insù in una coda disordinata. Li osserva, con gli occhi ancora socchiusi ed i segni del trucco sbafato sul viso. Deve essere andata a dormire molto tardi e, nel farlo, si è scordata di struccarsi: va da sé che ha i segni del mascara sotto gli occhi e pezzi del viso con ancora il fondotinta sopra. Tony ha quasi paura di salutarla.

« Ma che ore sono? » chiede lei, con voce secca. Li guarda e nel mentre cammina verso di loro. Forse si aspetta un qualche tipo di emergenza, non a caso la sua espressione si fa leggermente più dura nel notare il silenzio: « Si può sapere che succede? »

« Peter non è nella sua stanza » risponde semplicemente Visione. È tornato in salotto. Tony non sa quando sia arrivato: non ha sentito i suoi passi o la sua presenza alle sue spalle; tanto che pensa si sia materializzato lì più per la presenza di Wanda che per altro. Sarebbe anche da chiedersi come abbia fatto a capire l’oggetto della discussione; ma Tony preferisce fermare qualsiasi ragionamento e supporre che Visione l’abbia semplicemente dedotto ascoltando la loro conversazione.

Wanda alza le spalle, semplicemente, e passa lo sguardo da Visione a Steve: « Sarà uscito »

Steve sospira mentre si porta una mano sulla fronte e prende a massaggiarsi le tempie. Non ha ancora sentito la sua idea, ma non lo ha visto particolarmente convinto quando ha ipotizzato di un’urgenza come Spiderman; forse si sta dando la colpa dell’accaduto: magari crede che sia per colpa del litigio della notte precedente se il ragazzo si è allontanato. Lo vede, infatti, sospirare: « Sono adesso le sei, Wanda. Dove vuoi che sia andato a quest’ora? »

« Non lo so, magari aveva da fare » risponde ancora la ragazza, continuando a manifestare una certa calma – come se non capisse la gravità dell’affare. Non che Tony ne sia stupito più di tanto, Wanda interpreta gli eventi e le persone secondo criteri indecifrabili ed assolutamente personali. Certamente dipende dal suo essere una potenziata capace di entrare e manipolare qualsiasi mente umana; ma, a Tony piace credere vi sia una componente umana. Wanda è cresciuta senza genitori, con la sola compagnia del fratello gemello; probabilmente, la sua adolescenza ha avuto dei ritmi ed una libertà completamente diversa rispetto a quella che ha ora Peter. Del resto, Novi Grado non è New York.

« Tu sai qualcosa, Wanda? » chiede, improvvisamente, Tony. Lei lo osserva e fa una strana espressione con il viso: come se la domanda non le sia pervenuta completa. Infatti, aggrotta le sopracciglia e la sua espressione si fa leggermente confusa.

« Beh, ieri non riuscivo a dormire e sono stata diverse ore sveglia sul divano. Mentre tornavo in stanza, ho visto la sua camera accesa e l’ho sentito parlare al telefono; ma non ho capito né con chi stesse parlando né di cosa » spiega la ragazza, alzando leggermente la mano nel gesticolare. Lo sguardo di Steve si fa più attento, tanto che fa addirittura qualche passo avanti verso di lei. « Probabilmente era un compagno di scuola o quel suo amico, Harry. »

O magari era Wade. Probabilmente sia lui che Steve lo pensarono in contemporanea dato che entrambi si scoccarono un’occhiata veloce. Non aveva idea su qualche binari corressero i pensieri di Steve, ma i suoi avevano già creato una personale versione della storia: Peter era sgattaiolato fuori e si era fatto venire a prendere da quel ipotetico fidanzato – che, al momento, tanto ipotetico più non era.

Ok, ma perché? Insomma, perché Peter avrebbero dovuto andarsene così nel cuore della notte? Tony non riesce a credere che sia bastato semplicemente quel litigio per farlo andare via in quella maniera. Insomma, la loro discussione circa la sua attività di vigilante era stata molto più lunga ed aggressiva di quella precedente; e allora perché andarsene così? Forse Peter si è spaventato. Forse Peter ha creduto che la propria famiglia non lo volesse e se ne è andato.

Il suo corpo si fa improvvisamente rigido. L’idea che il figlio se ne sia andato via di casa senza lasciargli neanche una riga di spiegazione lo stordisce e lo getta in un’improvviso stato confusionale. La notte prima non gli ha dato la buonanotte. È sceso nel proprio letto ed ha ascoltato le parole di Steve sussurrate a bassa voce. L’ultima immagine che ha di Peter è del suo alzarsi da tavola e dileguarsi in camera.

Aveva già in mente di andarsene in quel momento? Eppure ha lasciato lì tutta la sua roba: i suoi vestiti, i suoi quaderni, i suoi progetti di scienze. Tony non può credere che suo figlio se ne sia andato via così.

« Grazie » sente parlare Steve. La sua voce è ferma, improvvisamente segnata da una forte sicurezza e calma. Se prima era vagamente dubbioso e ansioso circa la situazione di Peter, ora anche per lui sembra essersi consolidato un certo scenario. Lo vede, poi, sorridere in direzione di Wanda: « Vai pure a fare colazione, ci pensiamo noi »

Wanda annuisce e, con tranquillità, si avvia verso la cucina. Visione la segue – conferma che, si, ormai si muove per le stanze dove è certo di trovare anche l’altra. Quel suo strano flirt con Visione lo turba. Si domanda spesso cosa uno trovi nell’altra e viceversa. Tanto che spesso si è trovato ad osservarli per una decina di minuti, domandandosi cosa avessero da parlare così fittamente. Non lo saprà mai. Tony li guarda andarsene e poi si alza dalla propria poltrona. Circumnaviga il tavolo e si sposta affianco di Steve.

L’uomo accanto a lui prende un lungo respiro: « Tony, io controllo le telecamere. Tu cerca di risalire alla registrazione della telefonata »

Quel tono di voce non promette niente di buono.

 

Martedì 5 settembre
Pomeriggio

New Avengers Facility

 

C’è stata una volta in cui Peter si è aggrappato disperato alla sua gamba e lo ha pregato, piangendo, di non andare via. Avrà avuto cinque anni e Tony stava recandosi in Wakanda. L’uomo aveva cercato di rassicurarlo, spiegandosi che sarebbe tornato in meno di due giorni, ma il bambino aveva continuato a piangere – sempre più forte, sempre più disperato. Tony non sapeva cosa fare, lo aveva preso in braccio e gli aveva continuato a ripetere che doveva andare ma che sarebbe tornato presto. Era, poi, subentrato Scott Lang. Aveva preso il bambino dalle sue braccia – borbottando che aveva già parlato con Steve e che ci avrebbe pensato lui – e lo aveva portato il cucina, dichiarando che avrebbero fatto merenda insieme. Il bambino non si era lamentato: aveva, invece, chiesto cosa avrebbero mangiato e l’altro aveva preso ad inventare fantasiosi piatti con dentro formiche, facendo scoppiare in una risata divertita Peter.

Tony non sa spiegarsi perché sta pensandoci adesso. È seduto al suo tavolo di lavoro ed ha rimesso mano sul protocollo di sicurezza della propria armatura. Sta preparando dei nuovi codici di sicurezza e, tuttavia, l’immagine di Peter tra le braccia di Scott Lang è tornata improvvisamente viva nella sua testa. Si chiede se è stato quello il momento che ha fatto scattare in lui simile gelosia nei confronti del figlio.

Ha sempre pensato a Peter come a qualcosa di suo – non nella maniera psicopatica di una madre oppressiva, ma più come ad un tesoro che si è ripromesso di curare e proteggere. È difficile spiegare cosa prova un padre verso un figlio: non si parla di semplice orgoglio, ma di un amore complesso che abbraccia comportamenti e scelte di vita che per altre persone non si potrebbero mai fare. Tony ha cominciato a bere di meno quando Peter è entrato in quella casa, ha cercato di fargli sillabare il suo nome ancora prima di quello di Steve ed ha cominciato a provare gelosia per lui. Una gelosia diversa rispetto a quella che prova per Steve.

Quando vede l’uomo insieme ad un’altra donna ( o uomo che sia ), qualcosa prende a bruciare nel suo corpo ed il suo cervello prende ad elaborare ipotesi su cosa si stiano dicendo e ai minimi gesti e sorrisi che l’altro rivolge a sconosciuti. Con Peter, è diverso. Quando vede il figlio in presenza di adulti, è come se il suo cuore si stringesse. Ha quasi paura che realizzi improvvisamente quanto suo padre valga meno rispetto ad altri. Di come altri genitori siano più presenti, più buoni, più portati per questo ruolo e di come – di contro – Tony sia caotico, disordinato, completamente incapace nell’assumere una posizione e con un’immagine pubblica non proprio delle migliori.

Vorrebbe che Peter non avesse altri metri di paragone. Che Scott Lang o Pepper o altre figure adulte che lo hanno cresciuto durante i suoi periodi di assenza improvvisamente scomparissero così da non rendere ancora più umiliante la sua figura di genitore.

È una cosa stupida. Lo sa. Non sa nemmeno perché ci sta pensando proprio adesso – ora che suo figlio si è dileguato e non ha lasciato nemmeno un messaggio per loro. Forse Tony si da la colpa. Forse pensa che sia stato lui a farlo scappare: in fondo, è stato lui a sostenere che ha detto di essere gay per attirare l’attenzione. Magari simile frase ha fatto realizzare a Peter quanto patetico ed egoista fosse suo padre ed ha preferito abbandonarlo così.

Tony, effettivamente, si sente improvvisamente abbandonato. Ripensa al comportamento del figlio e non riesce a pensare a nient’altro se non al fatto che suo figlio se ne sia andato, che è scappato via – con chissà chi o chissà cosa – e chissà se tornerà da loro spontaneamente o se dovranno andare a riprenderlo. Dovrebbero andare a riprenderlo? Certo che sì. Ma Tony ha quasi paura di scoprire all’ultimo di come anche quest’ultimo comportamento si riveli sbagliato. Magari Peter non vuole vederlo più – né lui né Steve. E nel vedersi riportare a casa, scapperebbe di nuovo.

Tony ha paura che la sua famiglia stia andando improvvisamente in frantumi.

E di aver perso Peter per sempre.

Steve entra nel laboratorio a passi svelti. Tony continua a digitare sulla tastiera, tenendo gli occhi sull’ologramma dello schermo davanti a sé. Il suo respiro è regolare. Lo avverte con chiarezza perché si è sistemato dietro le sue spalle e sta guardando, com lui, la fila infinita di codici che si susseguono velocemente minuto dopo minuto.

Dopo aver visionato – assieme a Tony – i filmati della sicurezza e aver preso consapevolezza che, si, Peter è letteralmente uscito dalla finestra e scivolato veloce fuori dal perimetro della Facility, si è chiuso in un ostinato silenzio. Non ha pranzato o rivolto parola ad resto della squadra che con ritmi e tempi diversi si è svegliata nelle ore successivi; se ne è stato in giardino tutto il tempo: lo ha visto camminare, altre volte stare fermo. Preso com’era dai suoi pensieri, ha lasciato che le ore scorressero e che si facessero le tre, poi le quattro ed infine le cinque.

« Il telefono non è in camera. L’ha portato con sé e lo tiene anche acceso dato che continua a squillare a vuoto. » parla lentamente. Ha probabilmente in mano qualcosa, Tony sente questo ipotetico oggetto passare dalla mano sinistra a quella destra – come se fosse una sorta di anti-stress. Si gira verso Steve più per curiosità che per reale desiderio di guardare l’altro negli occhi. Steve tiene stretto il proprio cellulare, un vecchio modello che gli è stato regalato da Natasha. « Ho chiamato la scuola. Ho detto che Peter è malato e che resterà per qualche giorno a casa »

Tony annuisce, continuando ad osservare il telefono passare da una mano all’altra. Ha qualcosa di ipnotico che, però, rallenta il suo ragionamento. Si ritrova, infatti, a sbattere le ciglia e passare lo sguardo da questo al viso teso di Steve. Stanno in silenzio, per qualche istante. Tony guarda il viso dell’altro uomo: i suoi occhi chiarissimi, le sopracciglia aggrottate e le labbra rosate serrate. Steve ha una mascella che Tony ha sempre amato accarezzare anche quando vi è un accenno di barba.

« Vuoi andare a cercarlo? » chiede, improvvisamente. Il suo tono di voce non è contrariato o pregno del nervosismo ormai consueto di quei giorni; tiene il mento alzato ed osserva attento le reazioni dell’altro uomo.

Steve prende un lungo respiro, stringendo il cellulare in una salda presa di entrambe le mani. Stringe i denti e poi, dopo aver guardato l’oggetto, alza lo sguardo su di lui: « Tu intendi rimanere qui? »

« Non ho detto questo » si affretta a rispondere. Le domande incalzanti non gli sono mai piaciute. Lo infastidiscono. Dover rispondere a più domande o vedersi rigirato un proprio quesito, gli fa alzare gli occhi al cielo e perdere qualsiasi interesse verso la conversazione. Passa, infatti, una mano sulla fronte – massaggiandosela. « Solo, ci vuole prudenza per queste cose »

Tony Stark che parla di prudenza fa ridere. Se ne rende conto a frase finita, tanto che torna a massaggiarsi la fronte – vinto da un’improvviso imbarazzo per le sue parole. Sta prendendo in giro se stesso e Steve nel blaterare simili idee: lui non vuole agire con prudenza. Ha passato una vita intera a dare retta al proprio istinto, a scegliere il rischio e a pagare le conseguenze delle proprie azioni. È una cosa che non è mai cambiata: non lo ha fatto l’Afghanistan, non c’è riuscita Pepper o Steve – probabilmente niente e nessuno potrà mai.

Steve scuote il capo, per niente convinto: « È da solo, Tony. Sarà lo stupefacente Spiderman, ma ha ancora diciassette anni e non ha praticamente con sé. Dove pensi andrà a dormire? Con quali soldi mangerà? E se venisse ferito? »

Steve ha detto ad alta voce quello che lui ha pensato per buona parte della mattinata, mentre stava completando l’aggiornamento dell’armatura. Ha paura per Peter: ha paura che non abbia considerato tutti i rischi, che se ne sia andato via in preda alla rabbia e che si sia pentito a metà strada ma che abbia avuto vergogna a ritornare. Tony teme che suo figlio sia esattamente come lui.

« Peter non è un’idiota. Se se n’è andato via così, vuol dire che sa dove può stare e a chi rivolgersi » comincia a parlare, impuntandosi su un’opinione che non riesce a condividere completamente. Certo, ha sempre ritenuto Peter un ragazzo piuttosto riservato che mai avrebbe pensato di uscire nel pieno della notte senza dire niente a nessuno; ma è anche vero che suo figlio è la stessa sagoma che si vede passare appeso ad una ragnatela, che si arrampica sui muri ed è capace di sollevare un auto. Suo figlio non è indifeso, non più almeno. Tony vorrebbe essere forte di simile pensiero: ma, a onor del vero, un’altra consapevolezza guida le sue parole. « Inoltre, sarò franco, non saprei dove andare a cercarlo »

Steve resta a guardarlo. Lo vede poi chinare lo sguardo e posare il cellulare sul mobile, dietro di sé. Quello pieno di pinze e chiavi inglesi che Bruce gli ha pregato di sistemare, ma che lui ha sempre rimandato. Guarda le mani di Steve, grandi e forti, che prendono in mano le sue, ancora sporche di una sostanza oleosa dentro cui stavano immersi gli utensili che gli servivano. È un gesto dolce che gli rivolge l’uomo, pregno di un’improvviso desiderio di intimità a fiducia. Tony non riesce subito a contraccambiare la stretta; ma non si allontana, guardando prima le dita rosate intrecciate con le sue, e poi il viso rigido dell’altro.

« Andiamo a New York, Tony » gli parla sottovoce Steve. La sua voce è ferma, come la stretta alla mano; e, tuttavia, lo stesso cercare simile contatto lo spinge a riflettere di più. Steve ha paura per Peter, esattamente come lui. Si ritrova a stringere più forte la mano dell’altro. « Cerchiamo sui tetti o nelle strade affollate, anticipiamo le sue mosse e rechiamoci su luoghi dove stanno verificandosi problemi. Riportiamolo a casa prima che sia arrivata notte. Se passerà un giorno, la situazione sicuramente– »

« E se non volesse tornare? » lo interrompe Tony, aggrottando le proprie sopracciglia e aprendo leggermente le labbra. Scuote, poi, il capo e allenta la presa alla mano. L’altro lo lascia andare, anche se la sua espressione si fa più cupa e sofferente. « Ci ha pensato a questo, Steve? E se non volesse vederci? »

« Chiariremo » risponde subito l’altro. Steve ha sempre la risposta pronta. Per Tony è un effetto secondario dell’aver fatto il militare; è convinto che oltre a ripetere “sissignore” e “nossignore”, venga loro fornita una serie di risposte generiche ed efficaci a questioni complesse e difficili. Non è la prima volta che si scopra senza parole davanti alla determinazione di Steve. Non si parla di avere un piano o una soluzione precisa ed efficacia; ciò che muove le azioni dell’uomo è il desiderio di raggiungere i propri obiettivi e di risolvere i propri problemi. Tony pensa che, in parte, sia parte di Steve questo modo di fare. La sua fiducia – non solo in se stesso ma anche negli altri – è uno dei tanti motivi che ci cela dietro i suoi sentimenti per lui. Tony è rassicurato dalla sua presenza e quasi divertito dalla sua purezza nelle intenzioni; ma, allo stesso tempo, è come ispirato a fare del suo meglio, ad essere migliore e a dare a sua volta un contributo.

« E come dovremmo chiarire? Non sappiamo nemmeno cosa pensa l’altro di questa situazione! Andiamo da lui e … cosa? Gli urliamo di nuovo in faccia che si comporta così solo per avere la nostra attenzione così che se ne vada e si nasconda meglio? » domanda ancora Tony, questa volta aggiungendo un gesticolare più nervoso. Fa un largo gesto con la propria mano e gira il proprio corpo verso la destra, dando le spalle all’altro uomo. Rimane per qualche istante in silenzio, salvo poi chiudere gli occhi ed appoggiarsi al tavolo di lavoro. « Tu pensi che abbia ragione? Che sia gay? »

Forse era la prima cosa da chiedere quella. Prima ancora di affrontare Peter in macchina, prima ancora di andare da Rhodes. Sarebbe dovuto andare da Steve e fare uscire dalla sua bocca quelle parole. Se lo avessero fatto, probabilmente, non starebbero vivendo questo momento, Peter non sarebbe andato via e la cena di ieri non sarebbe motivo di disagio collettivo. Tony si da dell’idiota e dell’egoista. La soluzione è sempre a portata di mano, ma lui fa sempre la scelta sbagliata.

Steve accosta la propria schiena al tavolo di lavoro, rimanendo dov’è. Li divide mezzo metro, ma nessuno dei due accenna a ridurre le distanze; paiono volersi ritagliare il proprio spazio personale per pensare meglio. L’uomo incrocia le braccia e trae un lungo respiro: « Non lo so. So solo che preferisco litigare con lui ancora piuttosto che non sapere dove sia »

Ha senso. Nel senso: no, non ha senso – se devono chiarire con Peter, un’opinione su quella faccenda devono averla – ma Tony non può fare a meno di dargli ragione. In qualche modo prova anche lui lo stesso. Oltre cal senso di colpa per essere co-responsabile della situazione, dato che è stato lui ad irritare Peter con quella affermazione, prova un’impellente desiderio di vedere suo figlio in casa. Magari, sul divano a guardare svogliato qualche documentario o a studiare chimica o, ancora, a perfezionare le proprie ragnatele. Ha bisogno di sentire Peter accanto a lui, vicino; così che, qualsiasi cosa succeda, possa difenderlo o parlargli.

« Forse se non avessi urlato in quella maniera, sarebbe ancora qui » si ritrova a borbottare Steve, piegando lo sguardo verso il pavimento. Si fa improvvisamente meditabondo, probabilmente perché sta ripensando al loro litigio la sera prima.

« Se ne è andato perché entrambi gli abbiamo dato le spalle » corregge Tony, osservando il protocollo di sicurezza ancora da completare. Il suo tavolo di lavoro è sporco, pieno di cartacce e di utensili abbandonati lì. Forse dovrebbe pulire. Peter glielo ha detto un mese fa; erano entrambi lì ed il ragazzo aveva preso a setacciare la superficie ripetendo che non riusciva a trovare quello che gli interessava, che c’era troppo disordine e che capiva il perché Bruce si lamentasse così tanto. « Non sembra, ma è rancoroso. »

Steve mostra un sorriso, leggermente malinconico: « Ha preso da te »

In un altro momento, avrebbe immediatamente obiettato davanti a simile affermazione; avrebbe alzato il dito e detto che, no, Peter è rancoroso perché ha preso da Steve Rogers, il campione nel tenere il muso e riportare alla luce faccende chiuse da mesi con commenti acidi. Ora, invece, può solo sorridere e pensare a tutte le volte che suo figlio ha riso nel sentirlo borbottare. Il viso sorridente di Peter gli genera emozioni contrastanti, gioia ma anche un’improvvisa malinconia.

Dov’è andato suo figlio? Magari c’è stata davvero un’urgenza. Si è allontanato perché voleva aiutare delle persone e magari si è scordato di avvisare. Ma come ci sarebbe arrivato a New York? La Facility è lontana dai centri abitati. Qualcuno deve essere per forza venuto a prenderlo. Magari un suo amico o qualcuno che è a conoscenza della sua attività di vigilante. Che sia stato davvero Daredevil? Chissà quali altri segreti tiene ancora nascosti Peter.

Tony stringe le proprie mani in due pugni, guarda il protocollo di sicurezza e si scopre a ricordare di come il ragazzo abbia lasciato il proprio computer sulla scrivania. Peter tiene tutto lì dentro – forse dovrebbe darci un’occhiata.

« È il caso di cominciare a darci un’occhiata » si ritrova a dichiarare ad alta voce, ritirando le proprie mani dal tavolo ed avviandosi verso l’uscita dal laboratorio. Steve si alza qualche secondo dopo, visibilmente sorpreso da simile cambiamento di discorso, seguendolo su per le scale.

 

Martedì 5 Settembre
Tarda Notte
Hell’s Kitchen

 

« Come va la ronda? »

« Arriva al punto, Stark. So che non sei qui per chiacchierare. »

Daredevil sta in piedi davanti al cornicione. Non gira né il capo né il busto in sua direzione, gli da tranquillamente le spalle – forse perché intento a monitorare le strade o perché poco interessato alla conversazione che Tony sta tentando di intavolare. Forse, cominciare con una domanda generica non è stata la scelta migliore – così come quella di presentarsi a lui in armatura – ma non vuole dare ragione a Steve ed ammettere che forse l’altro era più portato a dirigere simile incontro. Forse Tony se la sarebbe cavata meglio con Luke Cage o con quel ragazzino dal pugno luminoso; non lo sa, forse non è proprio portato nel fare conversazione.

Fatto sta che Devil non è particolarmente in vene di convenevoli quella serata. Aspetta per qualche secondo che sia l’altro a parlare; ma, ascoltando il silenzio, preferisce iniziare lui con le domande: « Cosa vieni a cercare ad Hell’s Kitchen? »

« Spiderman » dice e mentalmente si fa i complimenti per essere riuscito a non chiamare suo figlio per nome. Alza leggermente le spalle, simulando falso disinteresse. Sa che simile mimica non funzionerà sul Diavolo: ne è come immune. Quel vigilante ha la spaventosa capacità di decifrare le persone attraverso poche e semplici dichiarazione; Tony si convince che meno parla e meno avrà occasioni per tradirsi. « Lo hai visto nella zona in questi ultimi tre giorni? »

Il Diavolo di Hell’s Kitchen non risponde subito. Si gira, però. La luce del lampione – quello proprio sotto di loro – rivela la sua silhouette ed i particolari del costume. Nelle mani tiene due corti bastoni di ferro che, all’apparenza paiono piuttosto leggeri. F.R.I.D.A.Y. esegue uno scanner in silenzio, rivelandone la sua composizione ed il loro interno. No, non sono decisamente leggeri. Tony non vorrebbe davvero essere nei panni dei criminali sorpresi in fragranza di reato del vigilante.

« Non lo vedo da qualche settimana » risponde dopo qualche minuto. Lo vede piegare la testa leggermente in avanti, quasi come se stesse percependo qualche tipo di segnale. Tony si scopre ad aggrottare le sopracciglia, chiedendosi se non sia in contatto con qualcuno e che questo gli fornisca le risposta da dare. Lo vede, però, girare il capo verso la sinistra: si sente un cassonetto della spazzatura cadere ed il miagolare spaventato di un gatto. « Perché lo cerchi? »

Sa fare le domande giuste, questo lo deve ammettere. Tony si scopre a trattenere il respiro mentre alza un poco le spalle, si tratta di un gesto minimo che però la sua armatura si scopre a riprodurla. Non può sperare che Devil non lo abbia notato. Prende a maledire Steve. Ci doveva parlare lui con questo qui. Doveva insistere e dire “parlo io con lui, Tony. Tu occupati degli altri che sono decisamente alla tua portata”; ma, no, Steve gli doveva dare fiducia. Stupido Steve.

« Gli devo parlare » si mantiene vago. Cerca di darsi un tono di professionalità, sperando che questo basti per tacciare ogni dubbio circa il suo rapporto con Spiderman. In fondo, se spaccia la sua ricerca come un qualcosa proveniente dallo S.H.I.E.L.D. è possibile che Devil si dia pace e non faccia altre domande di questo genere.

Daredevil serra di poco la mascella. Deve essergli tornato qualcosa in mente, tanto che stringe un poco di più i propri bastoni – anche questi rossi come il resto del suo costume: « È per Deadpool? »

Il nome non gli è nuovo. Ovviamente. È praticamente impossibile non conoscere Deadpool, soprattutto se si frequenta quell’ambiente da piuttosto tempo. Il Mercenario Chiacchierone non ha esattamente una buona fama – non presso gli Avengers e, a questo punto, nemmeno tra i vigilanti. Probabilmente dipende, appunto, dal suo essere uno dei peggiori criminali registrato: disposto a fare qualunque cosa per soldi, Deadpool pare impossibile da uccidere. Tony questo lo sa anche piuttosto bene.

Una missione a Zurigo. Cap non era con lui; in compenso, poteva godere della loquace compagnia di Natasha – si, si noti il sarcasmo – e della presenza di Visione. Avevano in mente di sgominare l’ennesima base dell’Hydra ma, tra i tanti agenti, era stato Deadpool ad ottenere la loro attenzione. Oltre a padroneggiare qualsiasi tipo di arma da fuoco, aveva rivelato la capacità di rigenerarsi ad una velocità superiore a quella di Visione stesso. Era impossibile da uccidere: non importava la quantità di colpi messi a segno da Natasha o da lui, questi comunque si rialzava più divertito e logorroico che mai.

Alla fine, la scelta proposta da Visione si era rivelata la migliore: eliminando il dirigente dell’Hydra – vale a dire il suo finanziatore, che lui chiamava divertito “patreon” – l’uomo aveva deciso di allontanarsi, lamentandosi che nemmeno questa volta sarebbe arrivato a fine mese. Fatto sta che, appunto, non erano riusciti ad eliminarlo – anzi, i danni che questi aveva inferto alla sua armatura erano stati capaci di allarmarlo.

L’idea che suo figlio possa conoscere simile individuo gli fa perdere diversi battiti cardiaci e, conseguentemente, diversi anni di vita. Si ritrova a schiarirsi la voce per cercare di ritrovare il giusto tono di voce: « Che c'entra Deadpool? »

Daredevil scuote lentamente la testa. Si muove lentamente, ricorda terribilmente un felino – uno di quelli grossi a cui si può parlare nel giusto orario del giorno, magari dopo che hanno mangiato. Tony studia la linea del suo viso, l’aspetto cupo della sua maschera e le piccola corna piazzate appena sopra la fronte. « Se ne senti parlare adesso, non c’è motivo che ti spieghi. Sicuramente non devi chiacchierare con lui di questo »

Purtroppo il Diavolo ha ragione. Tony si scopre raggirato dalle sue stesse parole, dandosi quasi subito dello stupido. Non sa come l’altro faccia a disporre così bene delle parole, saprebbe rigirare qualsiasi frase a suo piacimento. Questo gli fa quasi più paura dei bastoni che continua a stringere nelle mani. Tony si scopre ad osservarli e poi a stringere, a sua volta, i pugni. Può sentirsi intimorito da un tizio vestito di rosso che opera solo in un quartiere di New York? A quanto pare si. Forse è colpa dell’orario, della luce del lampione che lo infastidisce e di quella atmosfera tesa e minacciosa che circonda il nome di quel vigilante.

Tony si scopre a pensare a Peter. In particolare, a quella volta in cui è tornato a casa con un livido gigantesco sulla parte sinistra della fronte. Tony aveva appena saputo da poco della storia di Spiderman e stava ultimando la tuta per il figlio; quando lo aveva visto, aveva sentito la saliva venire meno nella gola e così qualsiasi altro pensiero razionale. Bruce aveva afferrato il viso del ragazzo ed aveva cominciato a domandare cosa fosse successo, nonostante Barton continuasse a ripetere che finalmente aveva preso a pugni quell’arrogante Thompson; Peter aveva riso nervosamente e aveva detto di essere semplicemente scivolato durante l’ora di educazione fisica. Tony lo aveva seguito in cucina; lì, Peter aveva già preso il ghiaccio e se lo stava tenendo sulla bruciatura. Gli aveva chiesto cosa fosse successo ed il ragazzo, dopo essersi assicurato che Bruce non li volesse raggiungere, aveva spiegato circa il suo scontro con la mano; invece che essere spaventato o deluso, il ragazzo si era mostrato entusiasta. « Devil mi ha aiutato. Avresti dovuto vederlo, papà! Era qualcosa di fantastico! » aveva spiegato con un sorriso in viso mentre teneva premuto il braccio.

Prende un lungo respiro, mettendo da parte l’immagine quell’immagine ancora chiara nella sua testa. Si concentra sul presente, in particolare sui nuovi dettagli che l’uomo davanti a sé gli ha fornito: « Cosa ha a che fare Spiderman con Deadpool? »

Daredevil si prende qualche istante: batte i due estremi del bastone contro la sua coscia, come se stesse riordinando le proprie idee. Forse è indeciso se parlargliene o meno. Magari non si fida abbastanza o pensa che lo S.H.I.E.L.D. e gli Avengers abbiano poco da spartire con lui ed il resto dei vigilanti.

« Sono stato io a presentarli. Già si erano incontrati, ma era la prima volta che erano alleati. Io e Spiderman stavamo facendo un'indagine su un cartello della droga messicana che aveva preso ad operare qui ed in altre zone di Manhattan. Deadpool ha voluto darci una mano, anche se non ha mai chiarito per chi stesse lavorando. » racconta con voce ferma, fermando i movimenti del bastone. Parla lentamente, forse perché da il tempo al suo cervello di ricollegare gli eventi. « Abbiamo concluso il tutto meno di un mese fa. Il processo inizia domani. Li ho visti insieme in queste ultime settimane, però. »

Quindi hanno continuato a vedersi anche dopo la conclusione di quella operazione. Tony mette da parte simile intuizione per concentrarsi sulle altre informazioni ricevute. Effettivamente, nel suo computer, Peter aveva una serie di documenti e file collegati alla mafia messicana, alla droga che esportavano e alla loro morale ed organizzazione intera. La versione di Devil, quindi, corrisponde. Può, quindi, tornare a domandarsi il perché suo figlio abbia continuato a vedersi con un pluriomicida dalle capacità sconosciute e dalla sanità mentale seriamente compromessa.

Non riesce, infatti, a spiegarsi perché Peter possa fare una cosa del genere. Insomma, dovrebbe sapere che sia lui che Steve sono disponibili a venirgli in aiuto in situazioni di difficoltà – paradossalmente il secondo citato non vedrebbe l’ora di intervenire per prendere a ripetere che ha ragione e che il lavoro di vigilante è troppo per lui. Cerca di concentrarsi di nuovo sulla conversazione: « Perché Spiderman dovrebbe farsi aiutare da Deadpool? »

« Lavorare da solo non è sempre facile, a volte è meglio stringere alleanze con altri individui. Sono intese temporanee: solitamente si ha un obiettivo comune e ci si da una mano. Spiderman sceglie bene i suoi alleati, l’aver contato su Deadpool non fa eccezione – per quanto lo trovi, io stesso, un soggetto poco raccomandabile sa essere di grande aiuto » spiega ancora l’uomo, questa volta rallentando la propria narrazione nel parlare del mercenario – come se dovesse, in qualche modo, misurare bene le parole. Tony si fa, quindi, più attento. Devil, questo lo nota. « Se temi che il senso di giustizia di Spiderman possa essere compromesso, ti scoprirai deluso. Non mi pare tipo da lasciarsi influenzare. »

« Questo lascialo decidere a me » si ritrova a borbottare Tony mentre ordina a F.R.I.D.A.Y. di scaricare quante più informazioni e registrazioni su Deadpool. Non gli piace quello che sta venendo a galla. Non sa se essere arrabbiato con Peter anche per quello. Perché non gli ha detto nulla di tutto questo? Lui e Steve non sapevano nulla: non della droga messicana, non di Daredevil, non di Deadpool – specialmente di Deadpool. Se lo avessero saputo, probabilmente avrebbero fatto qualcosa in merito. Forse è per questo che non ha detto nulla, si scopre a pensare Tony. Si da immediatamente dell’imbecille, realizzando che loro figlio li conosce abbastanza bene da agire di conseguenza.

« Stark, non so perché tu lo stia cercando; ma non mi pare siano affari che ti riguardano » riprende a parlare Daredevil. Il suo tono si è fatto improvvisamente più duro, probabilmente perché infastidito dalle parole precedenti.

« Lo stesso vale per te, Devil » ordina e si sente subito un bambino. Vuole essere una minaccia quella? Perché mai dovrebbe minacciare un vigilante? Non lo sa. In questa momento la sua mente vaga su altri binari: è tornata a domandarsi su quanto poco conosca suo figlio, di come questi abbia ancora dei segreti da svelare e di come l’essere gay sia solo la punta dell’iceberg. Se ne scopre improvvisamente irritato, tanto da sfogarsi sul vigilante: « Resta nella tua cucina e non intrometterti »

Devil, ovviamente, non la prende bene: « Io e Spiderman siamo alleati. Mi ha aiutato diverse volte ed io ho fatto lo stesso. Se devi intralciare il suo lavoro come vigilante è bene che tu sappia che stai intralciando anche il mio. »

Ecco, quella è una minaccia. Ben fatta, anche: subdola e complessa, che accenna a possibili ripercussioni ma mette in luce un legame molto forte tra due persone. Tony dovrebbe essere orgoglioso di questo. Suo figlio è riuscito a creare un buon rapporto con quello che, per molti mesi, è stato oggetto di sincera ammirazione. Gli viene quasi da sorridere. Se Peter fosse a casa, una volta tornato gli farebbe i complimenti; poi accenderebbe la luce più vicina, la punterebbe contro di lui e comincerebbe a riempirlo di domande sul suo rapporto con Deadpool. Peter, però, non è in casa.

« Io non intralcio il suo lavoro » si limita a commentare, simulando un tono di falso disinteresse.

Si sente di nuovo il rumore di un cassonetto che cade. Questa volta, però, non c’è nessun gatto che miagola o soffia verso qualcuno. Daredevil ha il volto rivolto verso l’origine del suono. Ha sentito qualcosa. Non ha idea di cosa, però. Dovrebbe chiedere a F.R.I.D.A.Y. cosa stia succedendo, Devil è più veloce di lui. Salta, infatti, sull’altro palazzo con velocità.

« Bene, allora non abbiamo niente da dirci » commenta con voce glaciale, lasciandosi scivolare sui fili dei panni da stendere. È agile e leggero. Tony è solito associare simili caratteristiche a suo figlio: quando lo vede arrampicarsi sui vetri e saltare da un palazzo all’altro, si scopre a ritenerlo parecchio aggraziato nei modi: sembra in tutto e per tutto un ragno, il modo in cui fa susseguire un passo all’altro, le sue braccia che si stendono e si piegano.

Daredevil è già sparito dalla sua vista. Tony, forse, si è distratto e lo ha lasciato andare via. Forse avrebbe dovuto trattenerlo e fargli qualche altre domanda; anche se, a ben guardare, non sapeva cosa altro chiedergli. Forse dovrebbe avvisare Steve ed aggiornarlo delle nuove informazioni. Chissà se ha finito con gli altri vigilanti … nel dubbio, si alza in aria e vola verso la Facility.

 

Mercoledì 6 Settembre
Prime Ore del Giorno
New Avengers Facility

 

« Ho parlato con Daredevil, ma non ci ho cavato un granché. Pare che Peter abbia contatti con Deadpool, ma non so quanto questo possa essere utile per trovar– Bruce! »

Non c'è niente di peggio che dare per scontato l’identità della persona alle proprie spalle. Tony ha dato per certo la presenza di Steve, convinto che questi fosse tornato da Manhattan – magari con qualche notizia in più; ma, nella realtà, ad essere entrato nel laboratorio altri non era che la persona che mai dovrebbe essere soggetta a stress o preoccupazioni.

Bruce Banner lo guarda con occhi spalancati. Fa lunghi passi e passa sopra a fili e a cavi, avvicinandosi al suo tavolo di lavoro. Tiene le mani una sull'altra e ricorda terribilmente uno dei quei vecchi che si vedono passeggiare mollemente per le strade del centro. Tony serra la mascella e si maledice già per l’interrogatorio che ha praticamente servito su un piatto d’argento. Guarda il viso sconvolto dell’altro, i suoi occhiali da poco riparati e la sua maglia blu – probabilmente risalente agli anni del college.

« Che cos'è successo a Peter? » chiede questi dopo pochi istanti. Il suo tono di voce è chiaramente allarmato ma, nonostante tutto, lo mantiene basso e continua a parlargli lentamente. Forse non vuole sentire da altri – una precauzione inutile dato che sono gli unici presenti e, di certo, F.R.I.D.A.Y. non farà la spia.

Tony vorrebbe sotterrarsi nello scantinato dell’edificio. Guarda l’uomo, poi il pavimento e di nuovo l’altro che sta osservandolo sempre più preoccupato. Dovrebbe dire qualcosa, non è vero? Rispondergli e spiegargli il perché di simile frase. Tony, però, vorrebbe fare tutto fuorché quello: « Non è successo niente a Peter »

Bruce non è convinto. Aggrotta le sopracciglia ed apre la bocca per protestare; poi, qualcosa gli torna in mente e serra la mascella. Lo osserva sofferente – come se volesse parlargli di qualcosa, ma cause di forza maggiore glielo impedissero. Tony pensa che gli verranno presto i capelli bianchi. Bruce ha un modo tutto suo per manifestare la sua disapprovazione: prima di parlare, apre e chiude la bocca un paio di volte – come se stesse rielaborando la frase che sta per dire all’ultimo – poi, chiude gli occhi e trae dei lunghi respiri.

« Stamattina mi ha chiamato la scuola e mi ha detto che non si presenta a scuola da due giorni. Ho dato loro il numero di Steve e lui, poi, mi ha detto che era tutto sistemato » Ah, ecco dove Steve ha trovato il numero della scuola. Tony alza un sopracciglio, simulando un’espressione interessata; quando, in realtà, la sua mente sta passando in rassegna una serie di frasi generiche con le quale mitigare la preoccupazione dell’uomo davanti a lui. Forse dovrebbe intervenire e dire che, infatti, tutto è stato sistemato; ma, di fatto, esita abbastanza da far sospirare stancamente Bruce. Questi, infatti, si passa la mano sul viso. « Pensavo che voi sapeste della sua assenza »

« Perché quella cavolo di scuola chiama tutti tranne che me? Sono io il padre, non voi! » si lamenta Tony agitando le braccia in aria e poi incrociandole in petto. Bruce lo osserva con occhi spalancati, salvo poi chinare il capo e trattenere una risata divertita. Tony si schiarisce la voce e torna a sistemare i bulloni in un unico cofanetto. « Comunque, non è niente. »

« Tony » lo chiama Bruce ed usa un tono di voce al quale sente di non potersi sottrarre. Bruce sarebbe un buon padre: è una persona pacata, attenta ai problemi altrui e sa farsi ascoltare quando lo ritiene necessario. Sicuramente sarebbe migliore di lui come genitore: prenderebbe ogni situazione con serietà, ma sarebbe paziente ed ascolterebbe le ragioni dell’altro, arrivando ad un compromesso ed una situazione felice per tutti. È questo candore ed altruismo che rende praticamente impossibile qualsiasi critica. Se fosse stato un altro a fare così tante domande su Peter, si sarebbe già stizzito e cementato dietro il sarcasmo; con Bruce ciò non è possibile. « Cosa è successo? Davvero, dico. Peter sicuramente sta bene – forse ha semplicemente del lavoro da fare come Spiderman – ma a me sembra che non si stia parlando della sua attività di vigilante. Che è successo? Ieri sera sembravate impazziti e anche ieri mattina vi ho visti strani. Che vi prende? »

« Peter è gay. »

Fa strano dirlo. Forse non dovrebbe nemmeno farlo. Magari la cosa migliore da fare è continuare a negare: se continua a dire che Peter non è gay magari questi smetterà davvero di esserlo. Oppure no. Magari peggiora solo la situazione. Può ancora peggiorare la situazione? Tony ha paura di sì. Ha paura che Peter non torni più, che Steve gli dia la colpa – anzi, che Steve si dia la colpa. Ha paura dell’enorme elefante nella stanza che sta cercando di tenere nascosto a se stesso e agli altri.

Tony trattiene il respiro, come a voler fermare i pensieri che hanno preso a girare vertiginosamente nella sua testa. Aspetta una qualche reazione da Bruce, ma questa tarda ad arrivare. Il dottore, davanti a lui, abbassa lo sguardo – come a fare mente locale – e poi alza debolmente entrambe le sopracciglia. Deve essere arrivato ad una soluzione. Lo vede, poi, alzare il naso: infastidito dall’odore di benzina di cui ancora è pregno il laboratorio. L’uomo si prende qualche secondo di silenzio.

« Questo spiega perché, da un paio di giorno, non si può più parlare a Rogers» decreta, quasi sottovoce. Sembra star parlando con se stesso e non con l’uomo che ha davanti. Si tocca le proprie dita e prende dei lunghi respiri. Sta pensando a qualcosa di serio, qualcosa che lo preoccupa. Tony lo conosce abbastanza bene per decifrare le sue complesse espressioni facciali e, tuttavia, preferisce rimanere in silenzio per sentire cosa l’altro ha da obiettare. « Volete sentire uno psicologo? »

Questa domanda lo coglie alla sprovvista.

« Per Peter? » si informa, aggrottando leggermente le sopracciglia. L'idea di chiedere aiuto ad una terza persona non lo intriga per niente. Non gli è mai piaciuto affidare suo figlio ad altri – che questi fosse Scott Lang, Pepper o perfino Bruce – figuriamoci derogare ad altri un problema come quello.

« Per voi due. Non la state prendendo bene. » chiarisce Bruce, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie. Forse la luce è troppo forte, forse è semplicemente stanco. Che ore sono? Forse dovrebbe convincerlo ad andare a letto invece che stare in laboratorio a dire che c’è bisogno di uno psichiatra.

Tony lascia che le dita della mano sinistra afferrino l’angolo del tavolo, fa perno su queste e si accosta al mobile. Trae un sospiro: « È una cosa che dovrei prendere bene? »

L’omosessualità di un figlio non si prende mai bene. La società sarà cambiata, il governo avrà permesso unioni tra coppie dello stesso sesso, ufficialmente si condanna qualsiasi tipo di discriminazione; ma resta il fatto che, se tuo figlio è gay, due o tre domande su come lo hai cresciuto te le fai lo stesso – e se non te le fai sei un di quei hippie inquietanti che spera di curare la gente a suon di cristalli. Tony non sa il perché. Probabilmente siamo ancora lontani dal riconoscere l’omosessualità e gli altri orientamenti sessuali. La nostra società è ancora lontana da una reale accettazione: fingiamo che ci vada bene ma, quando ciò capita accanto a noi, subito speriamo che sia una fase o un modo per attirare l’attenzione. Forse Tony non dovrebbe mostrarsi così restio, magari dovrebbe accettare Peter per quello che è. In fondo, anche lui, sperava di essere accettato dalla sua famiglia per il suo orientamento sessuale.

Se Peter non fosse suo figlio, forse, la prenderebbe meglio. Sarebbe felice per lui, gli darebbe il proprio supporto e aggiungerebbe che la sua casa sarebbe sempre aperta per lui – forse quest’ultima cosa la direbbe Steve e lui annuirebbe, aggiungendoci una battuta pungente.

Il punto è che Peter è suo figlio. Più semplicemente, il figlio di una coppia gay. È stato cresciuto da due uomini che hanno sempre detto di amarsi, che si beccavano come una vecchia coppia sposata – parole di Natasha – e non hanno mai negato i loro sentimenti davanti al bambino. E se lo avessero influenzato? E se l’aver vissuto con due uomini, che di tanto in tanto si scambiavano timidi baci, gli avesse fatto credere che lui dovesse fare la stessa scelta? Magari pensa di dover amare obbligatoriamente un uomo. Magari la sua concezione di coppia è totalmente al maschile e non concepisce la presenza di una donna.

Prima che avessero Peter – circa tre, quattro anni prima – Tony si era ritrovato a parlare con una persona di questo argomento. Era una cena di beneficenza, una di quelle in cui si presentava assieme a Pepper, dove si annoiava e pensava a Steve che recuperava seghe di film in compagnia di un Bucky assonnato. Era stato avvicinato da una donna di poco più grande di lui, avevano parlato, lei si era dimostrata piuttosto interessata ad acquistare azioni della sua compagnia. Si stava parlando di tutto, in forma piuttosto frivola e generica; quando, una coppia di uomini – un attore piuttosto noto ed un regista – era passata davanti a loro, mano nella mano. La donna aveva emesso un sospiro leggero: « Oh, i adoro i gay! Li supporto con tutta me stessa! Solo, i bambini. I bambini non li dovrebbero toccare ». Tony l’aveva, allora, guardata. Aveva gli occhi sbarrati e la faccia di chi non sta capendo il perché di quel discorso. La donna si era affrettata a spiegare: ma certo, i gay meritavano di sposarsi, erano esattamente come loro, ma i bambini – e qui fece una pausa, una pausa decisamente scenica – i bambini avevano bisogno di una mamma e di un papà, altrimenti crescono confusi, credono che vada bene amare uno dello stesso sesso quando non è così. Tony l’aveva guardata ed aveva osato chiedere cosa pensasse questa dell’omosessualità; questa aveva risposto laconicamente che i gay esistevano e che non ci si poteva fare nulla in merito, solo – appunto – non bisognava celebrarli come si faceva in quei giorni, tutte queste persone che manifestavano i loro gusti sessuali lo facevano per attirare la loro attenzioni, per celebrarsi e dire che erano migliori. E questo si ripercuoteva anche sui bambini che credevano che ciò fosse una cosa da imitare. Era rimasto in silenzio per qualcosa come una decina di minuti. Il suo cervello si rifiutava di assimilare quelle informazioni, ripetendo che, no, di quella merda proprio non aveva bisogno. Poi aveva girato i tacchi e si era affrettato a raggiungere l’uscita. Pepper lo aveva chiamato, più volte anche; gli aveva chiesto dove stesse andando e se fosse successo qualcosa, ma la testa di Tony era altrove. Tony era già a casa, tra le braccia di Steve intento a sputare commenti isterici su quella donna – condendo il tutto con qualche parola di troppo, forse maleducata, forse esagerata.

Ora si ritrova a chiedersi se la donna non avesse ragione, se lui e Steve non avessero commesso un errore grande quanto una casa nel decidere di volere Peter e che lo avessero segnato inconsapevolmente.

« Tony, so cosa sta passando la testa a te e a Cap. » La voce di Bruce lo richiama alla realtà. Tony alza lo sguardo verso di lui e lo nota intento a risistemarsi gli occhiali sul proprio viso. Lo vede sbattere le ciglia e mettere a fuoco il soggetto davanti a lui. Tony sostiene il suo sguardo, vagamente confuso e in parte curiosa di capire cosa l’uomo intenda con quella frase. « Ed è scientificamente provato che non esiste correlazione tra l'orientamento sessuale dei genitori e quello dei propri figli »

Tony scuote velocemente il capo, quasi deluso da simile affermazione – come se si aspettasse qualcosa di meglio dal suo amico: « Tu la fai facile, Banner. Se fosse successo a te– »

« Io non posso avere figli, Tony. Anche se potessi, credo avrei troppa paura di trasmettere la mutazione per ponderare seriamente un concepimento. » risponde immediatamente Bruce, appoggiando gli occhiali sul tavolo di lavoro. Tony si sente una merda anche solo per aver portato sul tavolo simile obiezione. Si passa, infatti, la mano tra i capelli ed osserva il profilo dell’uomo davanti a sé. Bruce resta in silenzio per qualche istante. Non lo fa per farlo sentire in colpa per quanto detto; ma più per una personale necessità di scegliere le parole con cura. « Tony, tu e Steve siete stati fortunati: siamo praticamente una famiglia qui dentro, voi due vi amate, Peter vi vuole un bene dell'anima, le cose vanno abbastanza bene. So che potrebbe andare meglio e che potremmo avere anche meno problemi; ma avere un figlio gay non è un problema. So le cose che la gente continua a dire in giro – Dio, mia zia faceva parte dei “Save Our Children”! – ma so anche cosa corrisponde la verità. »

Fa una pausa. Prende fiato. Tony sa che deve dire ancora qualcos’altro: lo vede bagnarsi le labbra, aprirle e chiuderle nel tentativo di ordinare le proprie idee.

« Non avete reso Peter gay. Non esiste un condizionamento di questo tipo. I bambini non diventano gay per imitare i loro genitori. O lo sono o non lo sono. Voi non avete mai avuto e non avrete mai un potere simile su Peter » dichiara con voce sicura. Il suo tono è fermo, statuario – sembra che stia parlando dei principi base della chimica o della composizione dei raggi gamma. Sembra star parlando di qualcosa di difficilissimo eppure assolutamente vero, su cui nessuno potrebbe mai permettersi di obiettare. « Peter vi ama così tanto, Tony. Vi adora, voi siete tutto per lui. Non mandate a puttane tutto questo per una paura infondata »

Tony lo osserva ed è, forse, per colpa dell’espressione seria che gli rivolge che non può fare a meno che scoppiare in una sonora risata. Si porta entrambe le mani in viso, ma non si trattiene da ridere di cuore.

Bruce sbatte le ciglia confuso: « Che c'è? »

« Mi sto comportando davvero male se il Dottor Bruce Banner arriva a dire parolacce nello sgridarmi » spiega tra una risata e l’altra, grattandosi la barba. Le guance dell’altro si fanno leggermente rosse, vinte dall’imbarazzo; lo vede, però, sorridere e rivolgergli un’occhiata rassegnata. Tony continua a ridere per qualche secondo, per poi sistemare la sua mano sulla spalla dell’altro: « Grazie, però »

L’abbraccio non se lo aspetta. Trattiene un poco il respiro mentre sente le mani di Bruce circondargli il petto e stringerlo con forza a sé. Tony si sente improvvisamente un tronco mentre l’amico manifesta con entusiasmo la sua vicinanza.

« Cerca di parlare con Rogers, ora » gli dice, sciogliendo la stretta. Gli da dei piccoli ed affettuosi colpi alla spalla, quasi a volergli infondere nuova forza e vigore. Tony riprende a sorridergli. « Vedrai che Peter tornerà presto a casa »

Tony, per la prima volta, ci crede davvero.
 

Mercoledì 6 Settembre
Tarda Mattina
Uffici Amministrativi Stark Company

 

« Allora, Tony? Di nuovo problemi con i ragni? »

L'espressione “avere problemi con i ragni” è il termine coniato da Pepper per tutto ciò che riguarda l'attività di Peter come Spiderman. Quando Tony glielo ha confessato – ed è stato circa due settimane dopo che la faccenda era venuta fuori– la donna ha mostrato un sorriso così brillante che, per qualche secondo, ha creduto sapesse tutto fin dal principio.

Virginia Potts è orgogliosa di Peter. Quando ha modo di parlare di Spiderman, solitamente non per sua iniziativa, si lascia andare a lunghi complimenti sull’attività del vigilante: parla di una speranza per la nostra città, della presenza di qualcuno che davvero tiene alla gente comune e che meriterebbe più stima e riconoscimenti. Tony, quando la sente parlare così, sorride; per certi versi, è fiero di se stesso, per aver cresciuto Peter in quella maniera e di come tutto il tempo passato assieme a lui abbia avuto simili risultati.

Tambureggia la propria penna sul tavolo, guardando la pila di carte che la donna ha depositato sulla superficie. Non può credere che ci sia tutto quel materiale da firmare, pensava di aver chiesto con l’altro ieri. Si trova ad alzare lo sguardo verso la donna che sta in piedi davanti a lui: « Non questa volta »

La Signorina Potts annuisce con forza ed incrocia le braccia al petto. Quel giorno indossa un abito blu notte ed ha i capelli legati in alto: sembra ancora più alta e la scollatura rende ancora più esili le sue braccia.

« Bene, perché devi vedere questo » le sente dire mentre afferra il telecomando sulla scrivania e si affretta ad accendere la televisione appesa al muro. Questa si accende su un canale interamente dedicato agli andamenti di borsa, ma presto si affretta a cambiarlo andando su uno dove è in corso il telegiornale.

Il presentatore è un uomo sulla cinquantina. Ha i capelli grigi e la cravatta di un azzurro molto intenso. Non sorride, tiene in mano dei fogli. Tony si scopre a trattenere il fiato. È successo qualcosa.

… Ed ora, gli ultimi aggiornamenti sul crollo della palazzina a Brooklyn! Come già detto, non ci sono stati morti o feriti gravi. Spiderman si è palesato durante le operazioni di soccorso ed ha portato fuori dieci persone che erano rimaste bloccate agli ultimi piani a causa della caduta delle scale. Dalla regia mi dicono che è pronto il servizio-

Peter sta bene. Peter è vivo. Peter indossa la tuta di Spiderman, arriva sul posto e si affretta ad entrare nell’edificio e ne esce con tre uomini con sé; li poggia a terra e ritorna dentro, sempre con una velocità serrata, sempre senza esitare. Suo figlio sta bene. Suo figlio non è cambiato. Va a salvare la gente, non ci pensa due volte. Agisce per il bene degli altri e quando vede una camera, si gira a salutare nervoso – come quando era bambino e, durante la festa di Nathaniel Barton, salutò la telecamera mentre mangiava la torta a mani nude.

« Quel marmocchio … » si ritrovò a masticare tra i denti mentre tambureggiava le dita sul tavolo. È felice, quasi commosso. Vorrebbe sorridere, ma il suo amor proprio glielo impedisce; si morde le labbra forte, tanto da farsi del male.

La donna si gira. Ha un sorriso entusiasta in volto. Voleva che vedesse il servizio, voleva che ammirasse suo figlio intento a salvare gente. Forse perché voleva qualcuno con cui parlarne, qualcuno che non avrebbe giudicato strano o eccessivo quel suo mostrarsi affascinata da un vigilante vestito di una tutina aderente. Magari, un tempo, era solita fare lo stesso per lui: guardava la televisione parlare di Ironman e sorrideva raggiante, dicendosi che finalmente il mondo lo vedeva come esattamente come faceva lei – un po’ caotico e disordinato, ma una brava persona che voleva solo aiutare il prossimo.

« Quindi i ragni c'entrano » Pepper potrebbe fare l'avvocato. Riuscirebbe a fargli confessare perfino crimini che non ha commesso. La vede mettersi una mano sul fianco destro e mostrare un’espressione allibita, come se non si capacitasse di quella situazione: « Tony, io non so cosa fare con te. Devi lasciar vivere quel ragazzo. Ormai ha preso una decisione e tu non puoi – »

« Non c'entra niente » si ritrova a balbettare l’uomo mentre si alza dalla propria sedia. Deve avvertire Steve. Deve dire a Steve che Peter sta bene, che è a New York come lui aveva detto e che il suo piano era forse il migliore di quelli mai preparati assieme. « Mio figlio è– è– »

Sta piangendo. Se ne rende conto troppo tardi. Pepper lo ha già notato ed ha abbandonato la presa al proprio fianco per fare un passo verso di lui. È preoccupata. Quelle improvvise lacrime la confondono, così come confondo Tony. Si passa una mano sul viso e se le asciuga in fretta. Cerca di calmarsi. Si dice che è lo stress. Si, è sicuramente lo stress. Quando è stata l’ultima volta che ha pianto? Anni fa. Forse ancora prima di incontrare Steve; o forse no, Steve già lo conosceva. Era solo, però. Piange sempre da solo. Non vuole che gli altri lo vedono, ai tempi disattivava perfino J.A.R.V.I.S. pur di non sentirsi osservato. Ora, però, sta piangendo davanti a Pepper.

E questa non sa visibilmente cosa fare.

Tony apre la bocca e balbetta qualcosa totalmente priva di senso. Gli manca il respiro, non sa se per colpa della vergogna o del pianto in sé: « Ho bisogno di un po' d'aria »

Pepper si avvicina lentamente a lui e lo stringe a lui. È un abbraccio caldo. Diverso da quello di Bruce. Quello dell’uomo era inaspettato e non era riuscito a contraccambiarlo: era diventato un lampione rosso per l’imbarazzo e, anche se l’altro non se ne era lamentato, un po’ si era pentito di essersi comportato in quella maniera. Quello di Pepper, pur essendo inaspettato a sua volta, gli trasmette un’improvviso senso di protezione. È rigido tra le sue braccia e, nonostante tutto, ricambia la stretta e le si stringe.

Pepper prende ad accarezzare la sua schiena con una mano, mentre con l’altra gli tocca i capelli. Gli comincia a dire che va tutto bene, che Peter che sta bene e che tutto si è sistemato. Tony respira velocemente contro la sua spalla: si sente tornato improvvisamente nel periodo successivo al suo rapimento in Afghanistan. Fa fatica a respirare. Non riesce nemmeno a pensare. Le mani di Pepper sono calme e sono l’unica salvezza a quella crisi.

« Ero così preoccupato » si scopre a dire contro la sua spalla. I singhiozzi sono cessati, ma il cuore gli batte martellante nel petto; non accenna a calmarsi, tanto che la donna si ritrova a stringerlo con maggiore forza e cura.

« Sta bene » gli ripete con voce morbida mentre gli accarezza la schiena. Il suo abbraccio è diverso da quello di Steve: più piccolo e freddo e, tuttavia, pregno dello stesso affetto che gli ha mostrato in questi anni. La sente sorridere un poco: « Stasera Peter sarà a casa, come tutte le sere, e tu sarai fiero di lui, come lo sei sempre. »

Tony annuisce. Non riesce neanche più a parlare. Pepper non scioglie la presa. Sa che ha ancora bisogno di qualche attimo e glielo concede. Sa che non lo racconterà a nessuno, perché la Signorina Potts è fatta così: è inflessibile e determinata, ma alle persone a cui tiene riserva la sua dolcezza ed il suo calore. Non lo lascerà da solo in quel momento. Certo, poi insisterà a voler sapere cosa sia successo; ma non adesso. Adesso le va bene abbracciare quello che è stato a lungo il suo più grande amore e ripetergli che suo figlio sta bene.

Peter sta bene, Peter sta bene, Peter sta bene … Tony chiude gli occhi e respira.

 

Mercoledì 6 Settembre
Primo Pomeriggio
Avengers Facility

 

Lo bacia.

Steve trattiene il respiro, ma non cerca di fermare le sue mani sul corpo. Tony lo guarda e scorge imbarazzo sul viso, gli viene improvvisamente da sorridere. Anche dopo anni, il comportamento dell'altro uomo riesce ad intenerirlo. Steve si guarda intorno nervoso, come qualcuno potesse spiarli. La camera da letto è immersa nel buio, però. Oltre che alle serrande abbassate, perfino le tende sono state chiuse. Ha detto a F.R.I.D.A.Y. di non disturbarli per nessuna ragione. Bacia di nuovo le labbra di Steve e sposta le sue mani sul proprio corpo. L'altro respira contro il collo, avvolgendo le braccia intorno a lui.

La pelle di Steve è sempre stata calda. Tony la accarezza e sente le proprie mani tremare. È un calore particolare, non lo paragonerebbe a quello del sole o di una stufa; è qualcosa che si trasmette pelle contro pelle ed è capace di far rizzare tutti i peli del suo corpo. Si scopre a sbottonare i primi bottoni della polo, mentre Steve tiene le mani sui suoi fianchi.

Indietreggia e l'uomo gli viene dietro, tenendo il capo contro il suo collo. Steve si lascia guidare; lo guarda e poi prende a baciargli la pelle, dolcemente. A Tony fa solletico quel punto: si scopre a ridacchiare con voce roca mentre l’altro allontana il viso per guardarlo. Si osservano in silenzio, tenendo lo sguardo fisso sull’altro.

È poi Steve quello a ricominciare a toccarlo. Gli slaccia a sua volta i bottoni, gli tira dietro le maniche della camicia e la rimuove senza troppa forza o con fare rude. Steve non ha bisogno di comportarsi in quella maniera. Certo, a volte a Tony piace vederlo pazzo di desiderio; ma, è piacevole vedersi spogliato in quella maniera. Si sente desiderato. Lo bacia ancora, e di nuovo. Si separano solo quando Steve rimuove la propria polo per poi stendersi sopra di lui.

Si sdraiano sul letto. Tony si sente improvvisamente soffocare. Glielo dice. Steve spalanca gli occhi e si sistema meglio. Tony respira a pieni polmoni, forse con troppa teatralità dato che l’altro ride un poco. Si scopre anche lui a ridere. Si baciano di nuovo. Questa volta Tony si scopre a toccare il suo petto, ad accarezzarlo dolcemente. Steve lo lascia fare: gli accarezza il viso e gli bacia la fronte. Le sue labbra sono calde, così calde da lasciare quasi un segno sul suo corpo.

Tony accarezza i suoi fianchi e risale, percorrendo la schiena. La pelle di Steve è morbida. All’inizio gli sembrava strana una cosa simile: aveva visto il suo petto scolpito ed era convinto che tutto il suo corpo ricordasse il marmo; invece, oltre che essere caldissimo, Steve era morbido ed accogliente.

Gli tocca il cavallo dei pantaloni. Lo sente duro. Steve si ferma dal baciarlo e torna ad osservarlo. Ha le labbra leggermente dischiuse, subito si piega su di lui e lo stringe a sé con maggiore forza. Tony prende ad accarezzare l’erezione da fuori i pantaloni. I suoi movimenti sono, forse, troppo bruschi e frettolosi; tanto che Steve si ritrae improvvisamente, col fiato corto.

« Se devi farlo, fallo bene » lo rimprovera con voce roca. Non vuole metterlo in imbarazzo o sembrare eccitante, Steve ha un modo tutto suo per flirtare – un modo che Tony trova adorabile e a cui da spesso spago. Fatto sta che si scopre a slacciare la patta ed abbassargli i pantaloni, Steve fa lo stesso con lui.

La prima volta che sono stati nudi uno davanti all’altro, Tony ha rovinato tutto facendo una battuta. Non che Steve se la fosse presa, semplicemente era scoppiato a ridere ed alla fine avevano passato il tempo nel letto a parlare. Tony aveva preso a raccontare delle sue esperienze – convinto che prima o poi sarebbe stato il turno di Steve quello di parlare – e l’altro uomo si era ritrovato a commentare, a ridere o addirittura rimproverare Tony per particolari piuttosto piccanti. La sua vita sessuale era sempre stata soggetta alla sua voglia ed al suo desiderio: si era scoperto a rallentare e a godersi il momento solo con Pepper. Alla donna piaceva accarezzare il suo viso, toccare il suo corpo; ma il tutto era fatto in religioso silenzio. Con Steve, invece, gli capitava di scoppiare a ridere, di soffrire il solletico e perfino lasciarsi toccare in spazi che mai avevano visto qualcuno.

Steve era lento nel fare l’amore. Si prendeva il suo tempo: lo accarezzava, gli parlava, a volte lo guidava, altre era lui a dare il ritmo. I loro corpi non erano oggetti ad un’unica passione. Forse, nei primi tempi; poi, Tony si era scoperto a rallentare, a passare la mano sul viso sudato di Steve e chiedergli di guardarlo negli occhi. Sentiva il bisogno che l’altro ci fosse per lui, che gli dicesse di amarlo e che lo avrebbero rifatto ancora se lui lo avesse voluto.

Massaggia la sua erezione e continua a baciare le sue guance, poi il mento e le labbra. Steve trae lunghi sospiri: ha gli occhi chiusi e le guance rosse. Hanno cambiato la posizione. Ora è lui quello ad essere sopra. Osserva il viso di Steve, la sua mascella, le ciglia bionde e poi i ciuffi di capelli sul suo viso. Li tira indietro, dolcemente. Steve apre piano i suoi occhi, lo guarda e poi li richiude. Le sue labbra sono secche, ma calde. Torna a baciarlo e Steve passa la mano sulla sua guancia, accarezzandola.

Fare l'amore con Steve è qualcosa di sempre diverso. A volte è lento, silenzioso; altre volte i loro gemiti riecheggiano contro le pareti e sembrano quasi imprimersi su di esse. Tony, forse, strilla alle volte; Steve, invece, di tanto è rigido e gli fa quasi temere che non voglia più. Per sincronizzare le spinte impiegano sempre qualche minuto. Sono passati anni dalla prima volta che lo hanno fatto e, nonostante questo, a Tony sembra sempre di trovarsi un uomo nuovo – tutto da scoprire. Le mani di Steve sui suoi occhi sono un tocco familiare, ma sanno farlo rabbrividire di desiderio.

Steve lo osserva, ha ancora le dita sporche dell’olio che ha usato per prepararlo ma gli stringe le mani. Una volta è capitato che non utilizzassero il lubrificante. È stato qualcosa come cinque anni fa, di ritorno dalla missione. Tony aveva voluto fare l’arrogante e la mattina successiva era rimasto al letto, rifiutandosi anche di consumare i pasti seduto. Steve gli aveva dato del bambino ma gli era rimasto vicino. Non ne avevano più fatto a meno. Si siede sull'erezione ed emette un lungo gemito. Inarca la schiena ed alza il mento, osservando l'uomo sotto di sé.

Gli occhi di Steve sono di un azzurro brillante, si piega sulle sue labbra e le bacia con forza. L’uomo ricambia il bacio, stringe la sua presa alle mani; cerca di trasmettergli un’improvvisa energia, non sa se per spingerlo a cominciare a muoversi sull’erezione o per semplice entusiasmo. Tony si allontana e continua a guardarlo.

Quando ha scoperto di essersi innamorato di Steve? Non c’è stato un momento preciso. Captain America era stato un’icona della sua infanzia, lo aveva ammirato ed invidiato per tutta l’attenzione che riceveva dal padre nonostante fosse definitivamente perduto nei ghiacci. Quando si erano incontrati per l’iniziativa Avengers, Tony si era detto deluso; lo immaginava più alto, più prestante – lo aveva trovato perfino irritante quando lo aveva accusato di essere nulla senza la sua armatura. Era lì che si era innamorato di lui? No, l’amore non nasce in un semplice battibecco; così come non appare magicamente quando è il viso di quell’uomo il primo che si vede dopo essersi sacrificato per New York.

L’amore è diverso. L’amore è passare del tempo assieme, è continuare a bisticciare, è avere opinioni diverse, continuare a parlare, e parlare, e parlare. Fino a che non gli offri una cena, provi a presentarti come una persona dignitosa, una che merita di essere definita un supereroe e finite col passare il dopocena ancora a discutere mentre tornate alla Torre. L’amore è scoprirsi a guardare l’altro mentre questi legge o segue il telegiornale, è aprire di tanto in tanto il suo taccuino dei disegni, consigliargli un film da vedere e finire col guardarlo assieme a lui mentre se ne spiega la filosofia e la fine che hanno fatto gli attori. L’amore è mangiare assieme, parlare del tempo, di politica, di se stessi, del futuro. È andare ad una mostra e, nonostante la si trovi noiosissima, dire che è interessante e poi ammettere che, no, proprio non fa per te. È restare svegli la notte, dire che si vuole lavorare ed invece pensare a lui. Guardare i suoi capelli, le sue guance, i suoi occhi chiari e desiderare di voler sapere di più. È informarsi su Wikipedia, è passare in una libreria, guardare la sua biografia, prenderla in mano e poi riporla imbarazzato nello scaffale. L’amore è conoscersi, stare vicino, continuare a litigare, parlare ancora, andare ad altre mostre, parlare di Howard, parlare ancora di sé, parlare del Sergente Barnes, parlare di Peggy Carter.

Amare qualcuno è qualcosa che si scopre lentamente. Non è solo passione o desiderio, così come mera ammirazione ed interesse intellettuale. Quando ci si innamora lo si fa lentamente, un po’ come addormentarsi. Si chiudono lentamente le ciglia, si respira più lentamente e poi ci si scopre a baciare l’altro.

Tony non sa se per Steve sia stato lo stesso. Non sa neanche se provi le stesse sensazioni che prova lui quando fanno sesso. Quando si sente preso per i fianchi ed accompagnato nei movimenti, sente il proprio corpo farsi improvvisamente rovente. Chiude gli occhi e si concentra sul piacere che prova in quel momento.

È come se una fiamma lo stesse consumando. Sente il proprio petto andare a fuoco e le mani di Steve due tizzoni ardenti che lo consumano. Il mondo attorno a sé scompare nel nulla. Improvvisamente esistono solo loro due.

*

« Continuo a pensare a tutte le volte che ti ho baciato davanti a Peter »

Steve ha dormito per circa venti minuti, contro la sua spalla sinistra. Tony ne ha sentito il respiro caldo ed ha accarezzato le dita della mano sinistra. Il corpo di Steve è sempre stato caldo – gli è capitato spesso di paragonarlo ad una stufa e di riderne divertito. Ora è sveglio e sta seduto sul letto con le coperte portate fino alla pancia. Gli da le spalle ed osserva con insistenza il muro davanti a sé: una parete grigiastra sulla quale Tony ha rifiutato di appendere un qualsiasi tipo di quadro od orologio.

Osserva la schiena dell’uomo che ha leggermente graffiato durante il secondo round. Steve se ne è lamentato. Se avranno modo di farsi la doccia assieme, vi passerà l’acqua fredda sopra per far sparire il rossore. Nel sentirlo parlare alza un poco il capo ed annuisce: « Anche io »

Scende il silenzio. Steve si passa la mano sul proprio viso e tira indietro i capelli. Ha qualcosa per la mente, qualcosa che lo disturba e non riesce a farlo riposare. Tony non cerca di cavarglielo: sa che Steve ha bisogno dei suoi tempi, come per fare l’amore.

Lo vede chiudere gli occhi e sospirare sconfitto, la voglia di comunicare deve aver avuto la meglio su di lui; tanto che, di nuovo, si prende il viso tra le mani: « Quando era piccolo – doveva avere nove anni, forse – ha voluto che gli raccontassi come ci siamo incontrati. Io, forse, non avrei dovuto farlo. »

Tony si scopre a sospirare – non perché sia già stanco della conversazione, ma perché non può credere di starla davvero tenendo. È un discorso che non vorrebbe mai affrontare. Gli da fastidio anche solo ragionare su quanto mostra o manca di mostrare della sua bisessualità, figuriamoci parlarne! Forse dovrebbe dirlo a Steve. Dirgli qualcosa come “questo discorso mi mette a disagio” – è così che fanno le coppie, no?

« Non credo si diventi gay solo perché si sentono storielle a tema. Tra l'altro, il nostro primo incontro non rientra esattamente nella categoria “dolci racconti di amore omosessuale” » si ritrova a commentare, facendo aderire la propria schiena contro il cuscino che ha alzato per stare più comodo.

Steve sembra non cogliere la provocazione, ma sospira: « Dovevamo essere più contenuti »

« Noi siamo sempre stati contenuti, Steve. Non mi pare che gli abbiamo regalato vibratori per Natale o serpenti di piume per compleanno; o, ancora, di averlo ficcato sul primo carro in testa al GayPride! » si lamenta, gesticolando con le proprie mani. Steve si gira verso di lui, con espressione leggermente sofferente. Tony lascia cadere le mani sul letto e sospira: « Non ci siamo manco mai andati al Pride … »

Torna di nuovo il silenzio tra i due. Il respiro di Steve è leggermente più pesante. Lo sente prendersi il volto tra le mani e lasciarsi andare a dei lunghi sospiri. Passa una mano sulla sua schiena, accarezzandola senza passare sopra i graffi. Steve lentamente si rilassa. Lo vede chiudere gli occhi e tornare sdraiato sul letto. Tony gli si accosta docilmente, avvicinandosi alla sua spalla. Restano, ancora, in silenzio.

« Forse le effusioni ... » comincia con tono vago, guardando il soffitto. Chissà cosa ha preso a ronzare nella sua testa. Ha paura che il soldato del ‘43 stia lentamente emergendo.

Tony si scopre a stringere la mano nella sua: « Forse quelle »

« E le tue battutine fuori luogo » si ritrova a rincarare la dose Steve. La sua voce si è fatta più distante, persa in chissà quale foresta fatta di ricordi. Tony mostra un sorriso vagamente malinconico nel ricordare l’espressione scioccata dell'altro quando, per la prima volta, aveva fatto un'allusione sessuale davanti al bambino. Peter non aveva capito, naturalmente: stava disegnando e a sentir parlare di zucchine aveva arricciato il naso infastidito – era quel periodo in cui iniziava a fare storie nel vedersi propinare le verdure – eppure non aveva detto nulla.

Ritorna il silenzio. Questa volta Tony si sente preso dalla malinconia. Si scopra a pensare a quelle mattina di domenica, quando stavano entrambi in cucina ed il bambino raccontava i propri sogni. Era stato prima di Ultron, prima che arrivassero alla Facility. L’Avengers Tower era stato il luogo dove Peter aveva mosso i primi passi, dove aveva colorato coi pennarelli le pareti ed era solito giocare a nascondino con J.A.R.V.I.S.

Steve stringe con un poco di forza in più la sua mano: « Io continuo a rivedere ogni nostro momento assieme in cerca di un segno, di un avviso. Mi dico che se lo trovo … forse era congenito, forse noi non ci potevamo fare nulla »

Gli tornano in mente le parole di Bruce. Chissà cosa sta facendo in quel momento: non c’era quando era tornato, così come gli altri. Forse è con Natasha, stanno camminando per qualche strada di New York e l’uomo arrossisce appena indugia nell’osservarlo. Deve ringraziarlo quando lo rivede. Le sue parole lo hanno aiutato.

« Non è una malattia, Steve. Non esistono sintomi. » parla piano, cercando di simulare il tono dello scienziato esperto in radiazioni gamma. Steve si ritira: torna seduto sul proprio letto e tira indietro la propria mano. Incrocia le gambe e si prende il viso tra le mani.

Tony non se ne lamenta. Sta pensando a Peter, a quando era ancora ancora un ragazzino. Lo ricorda minuto, già con gli occhiali addosso e gracile. Aveva difficoltà a farsi degli amici, forse perché troppo timido o amante di attività fuori dal comune, e che per questo passava gran parte del suo tempo a casa. Da ragazzino, oltre che passare interminabili ore davanti alla televisione, aveva manifestato un’insana passione per la scienza e la meccanica; insisteva perché Tony lo portasse al laboratorio con sé e gli permettesse di essere suo assistente. Steve non era particolarmente entusiasta all’idea; ma, man mano che l’intelligenza di Peter si era rivelata, aveva sempre più accettato benevolmente la presenza del ragazzino nel laboratorio o le conversazioni a tema scientifico.

« Si, ma ci sono dei segnali! » protesta Steve, interrompendo i suoi ricordi. Lo vede passarsi le mani tra i capelli e trarre dei sospiri – improvvisamente è in balia del dubbio; si gira verso di lui e scuote il capo con vigore. Sembra aver perso completamente l'orientamento. Ricordava incredibilmente uno di quei genitori che parlano al telegiornale della dissolutezza dei costumi dei giovani d’oggi. « Avanti, Tony! Se tu ripensi alla tua vita, qualche segnale – magari nella tua infanzia – ci deve essere stato! »

Tony ci pensa su – questa volta seriamente. Ricorda la sua infanzia, la casa dove ha vissuto, le mani di calde di sua madre e perfino la sua stanza. Nella sua testa si visualizza il viso di Howard, la sua espressione perennemente seria, la puzza di bruciato dentro cui versava il laboratorio dell’uomo. Gli viene in mente il viso di Edwin Jarvis, le torte di Ana, il modo in cui entrambi lo lodavano quando riusciva a sistemare la lavastoviglie, si lamentavano dei suoi disastri col piccolo chimico e come fossero loro a metterlo a dormire. Si ricorda Peggy Carter, il suo sorriso, il suo sorriso pulito. Tornano anche i ricordi della sua prima macchina, la prima ragazza che gli era piaciuta, il primo ragazzo con il quale lo aveva fatto; si ricorda l’erba tagliata del suo giardino, i poster che teneva appesi in camera, gli abiti che sporcava, la prima volta che si era masturbato, la prima volta che aveva bevuto fino ad ubriacarsi, perfino Obadiah Stane.

Nella sua mente si è conservato tutto, quasi in maniera intatta. Si scopre a sorridere un poco, quasi commosso da quella sequenza pressoché infinita che si era aperta davanti ai suoi occhi. Scuote, poi, la testa: « No, mi dispiace. Non ho mai fatto un pompino ad un mio amico all'asilo. Non ho mai frequentato un asilo, a dire il vero »

Steve dischiude la bocca e aggrotta le sopracciglia. Forse non ha davvero capito cosa gli ha detto. Si gira ed ha in viso un’espressione quasi offesa. Forse vorrebbe dirgli qualcosa, lamentarsi della sua indole e del suo fare sarcasmo quando non ce n’è bisogno. Serra, però, la mascella e si lascia andare ad un sospiro.

« Che cosa devo fare con te? » brontola con voce rassegnata. Gli sorride un poco.

« Amarmi » gli sussurra, passando la mano sul suo viso. Steve accosta la guancia sinistra contro di lui e chiude debolmente gli occhi. Tony posa le sue labbra sopra le sue. « Solo questo devi fare »


 

Mercoledì 6 Settembre
Tarda Notte
Central Park

 

Lo ha trovato intento a dare calci ad una pigna.

Peter ha seguito il suo atterraggio immobile: non ha provato a scappare o a mettere insieme una scusa. Questo lo rassicura, per certi versi: è consapevole di aver sbagliato ed attende in silenzio il rimprovero. Tony esce dall’armatura e si avvicina al ragazzo. Questi ha lasciato il suo zaino sulla panchina accanto e continua a dare calci alle pigne che riempiono il viale sterrato del parco.

Central Park, di notte, non è particolarmente accogliente. Il vento passa veloce tra gli alberi alti e sembra quasi sussurrare qualcosa, gli animali prendono ad emettere versi quando meno li si aspetta e le panchine sono piuttosto scomode. Tony questo lo sa anche se non ha avuto modo di sperimentarlo in prima persona – il posto più assurdo dove ha dormito è senza dubbio il tetto della sua casa a Malibù, dove si è risvegliato dopo l’ennesima sbornia. Si chiede se anche Peter abbia dormito sui tetti in questi giorni o abbia preferito il parco come rifugio.

« Dov'è il tuo telefono? » chiede, mentre si siede sulla panchina. Ha detto a F.R.I.D.A.Y. di mandare un messaggio a Steve con dentro le coordinate precise del luogo dove si trovano. Non sa quanto ci metterà ad arrivare. Un po’ spera in un ritardo: deve parlare con suo figlio e vuole farlo da solo.

Peter si avvicina, ma ha il viso chinato – si sta sforzando di non ricambiare lo sguardo. « Nella borsa »

Tony lo osserva. Lo guarda calciare la terra, fallendo nel colpire la pigna. Forse lo ha fatto per sfogare la propria rabbia o nervosismo. Forse non sa cosa dire ed ha peggiorato di peggiorare le cose con una parola in più. Per una volta, Tony si sente avvantaggiato in una discussione. Non sa come usare questo a suo favore, però; guarda la sagoma del figlio ed emette un lungo sospiro – stanco.

« Ti ho chiamato, Peter. Ti abbiamo chiamato tutti in questi giorni » si scopre a lamentarsi mentre si tira dietro i capelli. Guarda l’armatura rimasta immobile al proprio posto e poi suo figlio che continua a muoversi, incapace di trovare serenità.

« Lo so » parla questi, dando l'ennesimo calcio alla pigna. La colpisce con troppa forza e la guarda scivolare in basso, lungo il sentiero. Emette un sospiro e prende un lungo respiro. Si agita, passa una mano tra i suoi capelli e va avanti ed indietro. Se voleva usarla come anti-stress alla situazione, ora non può più. Alza gli occhi, per qualche istante, e lo osserva. « Scusami »

Dovrebbe dire qualcosa. Sgridarlo, magari. Per una volta dovrebbe essere lui quello con la mano ferma. Solitamente è una posizione che ricopre Steve all'interno della coppia: è lui il genitore che dice di no, quello che stabilisce i coprifuoco e le punizioni, cosa Peter non può mangiare dopo un certo orario e si lamenta di come va vestito in giro. Tony è più il genitore incapace. Quello che non ha il polso fermo, che non capisce quando il ragazzo gli sta mentendo o che gli passa pezzi di pizza nonostante sia in punizione. Adesso è la sua occasione: può fare finalmente una grande figura come genitore e riempirsi il petto d’orgoglio, compiacendosi delle sue parole dure e del tono intimidatorio.

Può farlo, è vero. Può e forse dovrebbe. Ed, invece, resta in silenzio per qualche minuto. Peter si è fermato davanti a lui e aspetta paziente un qualche tipo di responso. Probabilmente gli andrebbe bene anche una stirata d’orecchi: lo accetterebbe in silenzio, sa di aver sbagliato. Se lo sa, allora, che senso ha arrabbiarsi?

Tony vorrebbe che ci fosse Steve. Si pente di averlo anticipato, di avergli comunicato solo quando era già in volo di aver riconosciuto la sagoma di Peter nelle registrazioni delle telecamere di sorveglianza di Central Park. Forse dovrebbe esserci l’altro al suo posto. Lui dovrebbe essere quello ancora a letto, nudo, rilassato. In fondo, è e resterà sempre un pessimo padre. Quello che sta succedendo adesso ne è la conferma definitiva. Fa segno a Peter di sedersi affianco a lui, sulla panchina: batte la mano sulla superficie ferrosa e si ritrae lentamente sul lato sinistro.

« Sai? Quando io e mio padre litigavamo, facevo esattamente come te. Sbattevo la porta, uscivo dalla finestra e correvo via. Alle volte andavo da amici, altre mi nascondevo in garage o nelle macchine. Altre ancora, passavo la notte all'aperto. Proprio come te, già. Ero così arrabbiato con lui! Se ripenso a tutte le cose che gli dicevo tra me e me … » emette un grugnito roco, quasi animalesco, mentre stringe il pugno nell'altra mano. Se avesse tra le mani il se stesso di quel tempo lo riempirebbe di botte. Si è pentito di tutto ciò che ha pensato e detto a suo padre; certo, se lo avesse ancora con sé, continuerebbe a litigarci, ma è un sacrificio che sarebbe disposto a fare. « Io non ho mai detto a mio padre dei miei interessi. Mi vedevo già con alcune donne e ragazzi, ma non sono mai riuscito a comunicarglielo. Da una parte, volevo che sapesse; dall’altra ero certo che mai avrebbe capito ed approvato »

Non ha mai parlato a Peter di queste cose. Il discorso della riproduzione, degli orientamenti sessuali e del sesso sono cose che il ragazzo ha imparato a scuola ed ha, forse, discusso di tanto in tanto con Bruce – di certo, soggetto migliore rispetto un veterano della Seconda Guerra Mondiale ed un playboy. Della sua bisessualità ne ha discusso solo con Pepper, una volta, quando ancora non stavano assieme. Erano bloccati all’aeroporto di Nuova Delhi a causa di una pioggia torrenziale che aveva fatto rimandare qualsiasi tipo di volo ed il discorso era semplicemente venuto fuori: osservavano la pioggia davanti a loro, oltre il vetro, ascoltavano le notizie trasmesse nell’auto-parlante e, nel mentre, parlavano sotto voce di qualcosa che Tony aveva tenuto per sé per quasi vent’anni.

Peter si siede accanto a lui, poggiando entrambe le mani sulle ginocchia; è in silenzio, ma sta ascoltandolo molto attentamente. Tony si stringe le mani in una presa nervosa: « Non ho mai detto niente a mio padre perché, per anni, ero convinto che lui non mi sopportasse. Lui era un grande inventore, un genio – roba che, con i tempi che correvano, e, con le cose che ha inventato, è anche fin troppo sottovalutato! – ma era un uomo schivo, introverso, un po' incapace con le parole. Quando lo sorprendevo a fissarmi, pensavo sempre “ecco! Ora mi dirà cosa ho fatto di sbagliato! Mi dirà che non sono capace!” … ed è vero, lo faceva. C'erano, però, volte in cui stava zitto e mi guardava soltanto. »

È strano che ne stia parlando adesso con Peter, forse è la cosa peggiore che possa mai fare. Non gli hai mai raccontato approfonditamente né delle sue conquiste sentimentali né della figura di Howard. Certo, il ragazzo sa usare internet e sicuramente si sarà informato e, tuttavia, desta comunque il suo imbarazzo. Si prende qualche secondo per pensare. Peter allunga il proprio sguardo lungo i palazzi, li osserva in silenzio ed aspetta.

Tony stringe più forte la propria presa alle mani: « Io non ho capito questo suo comportamento fino a che non sei arrivato tu. »

« Perché? » chiede il ragazzo, senza però smettere di osservare i grattacieli illuminati del centro. Non lo guarda negli occhi perché sa, che se così facesse, Tony andrebbe ancora di più nel panico. Gli è già difficile parlare di queste cose, figuriamoci se avesse l’occhio attento di Peter su di sé. Cercherebbe di cambiare discorso, magari rifilando qualche frase generica e fintamente minacciosa; entrambi, però, sembrano voler arrivare alla fine.

« Perché mi sono scoperto a guardare te come mio padre guardava me. » esala dopo un po’. Improvvisamente si trova nei suoi ricordi: vede Howard e sua madre intenti a prende un tè in terrazza, lui che sta riparando il tagliaerba di Jarvis e suo padre che si ostina a fissarlo in silenzio. Howard sta cominciando ad avere i capelli bianchi, ha le piene di calli e Tony ha paura che quel tagliaerba sarà la causa dell’ennesimo rimprovero - perché Tony non si impegna abbastanza, Tony può fare di meglio, Tony deve smetterla di essere così superficiale. Il tagliaerba, però, lo ripara. Sente Jarvis passare la mano sulla sua testa e ringraziarlo e lo sguardo di suo padre ancora su di sé. Cosa vuole? Ha riparato il tagliaerba. Ha vinto. Questa volta è stato migliore di lui. Howard, però, lo osserva ancora; salvo poi essere richiamato da Ana che lo avverte che ha ricevuto una telefonata dal Signor Stane. « L'ho capito con il tempo che, nella realtà, lo sguardo che mio padre mi dedicava era pieno di amore. »

Il vento prende a soffiare più forte tra gli alberi. Sembra davvero star provando a dire qualcosa. Le foglie tremano al suo passaggio, sbattono da destra e sinistra e qualcuna si sta stacca e cade a terra. L’autunno si sta lentamente avvicinando, ma tutte le foglie cadute sono ancora verdi – semplicemente erano troppo delicate per reggere alla forza del vento. Tony osserva i palazzi, assieme a suo figlio. Si sofferma sui grattacieli pieni di uffici e sulle case che ancora riportano qualche luce accesa.

Prende un lungo respiro: « Peter, per me e tuo padre, tu sei il bambino che abbiamo cullato la notte, quello che saltava sul letto la domenica mattina, quello che cantava davanti allo specchio. Sei la persona più preziosa del mondo. »

Anche quello è un discorso strano. Solitamente è Steve quello con gli aneddoti imbarazzanti su Peter. Solitamente li racconta quando vede il figlio fare il gradasso durante le cene con gli altri Avengers. L’ultima volta erano a casa di Barton: avevano allestito un tavolo nel retro del giardino e Peter stava vantandosi con Wanda dei suoi voti, Steve era intervenuto e la faccia del figlio era diventata così rossa da far ridacchiare perfino Bucky. Era una serata di luglio, una di quelle calde e piacevoli da passare in compagnia. A ripensarci adesso, sembra davvero lontana.

« Papà » Peter lo richiama a sé, con voce bassa e tremante. Lo vede mordersi il labbro inferiore con nervosismo mentre si stringe nella propria felpa. « Perché mi stai dicendo queste cose? »

« Perché, Peter, la verità è che tuo padre ed io in questo momento abbiamo paura. » Prende un lungo respiro, continuando a guardare le proprie mani. Le vede tremare e subito le stringe in un’unica presa. Si ripete che deve essere forte e che non deve lasciarsi intimorire dal nervosismo del momento. « Abbiamo paura che ciò che provi per questo ragazzo sia stato condizionato da noi, da come ci amiamo, come mostriamo il nostro amore. E se ti avessimo condizionato in qualche modo? E se la nostra vita ti avesse portato a prediligere un uomo ad una donna e, solo per emulare noi, lo stessi frequentando? »

È difficile aprirsi in quella maniera. Parlare così chiaramente, scoperchiare i propri pensieri ed esporli senza mezzi termini. Tony raramente lo ha fatto. Di lui si è sempre detto che fosse un tipo estroverso e divertente, ma ciò non ha mai corrisposto alla realtà. Le sue paure ed i suoi pensieri più profondi sono sempre rimasti sepolti in lui.

Peter scuote il capo, lentamente: « Non è così »

« Non puoi dirlo » si ritrova a contraddirlo Tony. Forse non avrebbe dovuto interromperlo, il ragazzo aveva certamente qualcosa da dire; non a caso, nel sentire la voce del padre, alza gli occhi al cielo e sospira irritato.

« Si, invece! Tu hai paura che io sia gay per quello che c'è tra te e papà, ma non è così! Io non cerco di copiarvi né di essere simile a voi per essere notato! » continua a negare l’altro, questa volta con voce più alta e nervosa. Lo guarda ed abbassa le mani che aveva preso a gesticolare. Prende un lungo respiro, probabilmente scegliendo la calma: « Quello che provo per Wade è … difficile da spiegare »

Peter chiude gli occhi e si prende la testa tra le mani. Lascia andare un sospiro frustrato, come se non sapesse come uscire da quella situazione. Forse, vorrebbe che il padre non insistesse così tanto su quell’argomento; forse, vorrebbe solo tornarsene a casa e chiedere scusa per averli fatti preoccuparti; ma, del resto, quello è il momento migliore per parlare di simile argomento. Tony gli ha aperto il suo cuore, gli ha spiegato le sue paure e si sta dimostrando ben intenzionato ad ascoltare; una simile occasione potrebbe non ricapitare mai più: potrebbero tornare a casa, è vero, ma presto la discussione sarebbe tornata a scuotere le loro coscienze. Peter questo lo sa. Non è uno stupido. È suo figlio, dopotutto.

Tony cerca il suo sguardo che viene facilmente ricambiato: « Tu provaci »

Torna il silenzio. Il ragazzo prende un lungo sospiro ed abbassa le proprie mani, lasciando i gomiti sulle ginocchia. Osserva la natura che lo circonda, il cielo scuro sopra di sé ed infine la figura del padre accanto.

« Quando sono con lui, la maggior parte del tempo lo vorrei prendere a pugni. Si caccia in situazioni impossibili, mette deliberatamente a rischio la sua vita, è cocciuto, litighiamo su ogni cosa; ma quando mi bacia » Peter trattiene il fiato e prende ad attorcigliarsi le dita della mano. Arrossisce lievemente e china il capo in avanti, quasi a voler nascondersi dallo sguardo interessato del genitore: « Quando mi bacia – a fine giornata, magari, quando fuori piove e noi abbiamo ancora i vestiti bagnati addosso – io mi sento felice. Sento che vale la pena. »

Fa una pausa. Forse pensa di aver detto troppo. Tony vede le sue guance andare a fuoco e le mani passarvi sopra, nel tentativo di dissimularne la presenza; tentativo che si rivela presto fallimentare, tanto che Peter sospira ancora e quasi va acchiappando le parole.

Alza leggermente le sopracciglia. Qualcosa da dire gli è venuto in mente: « Litighiamo spesso e la pensiamo diversamente su un sacco di cose. Poi, lui fa l'idiota in continuazione e non sa mai stare zitto »

« Neanche tu » si ritrova ad articolare Tony accavallando le gambe una sull’altra.

Peter non lo guarda ma mostra un sorriso: « E non riesce a mangiare sano »

« Neanche tu » ripete, ancora una volta, il genitore.

« Si, ma non hai visto quello che mangia lui ogni giorno! » ride Peter, passando la mano sulla bocca per nascondere il sorriso. Guarda i rossi che ha sulle guance, pensa che l'ultima volta che li ha visti è stato quando Wanda lo ha baciato sulla guancia – ed aveva dieci anni, all'epoca. « L'altra sera, gli ho parlato della piramide alimentare – quella del disegno che Bruce ha fissato dietro la porta della cucina – e lui continuava a ripetere: “ce li ho già i quattro gruppi principali: alcool, chimichanga, pancetta e ancora chimichanga”! Gli ho letteralmente spalmato metà della farina sulla faccia! »

Tony mostra un sorriso intenerito e poi alza leggermente le sopracciglia, fingendo un’espressione incredula che poco gli si addice: « Mio figlio che cucina roba sana a misteriose figure dalle dubbie abitudini. Bah, ora posso dire di averle sentite tutte. »

Peter scoppia a ridere e si porta la mano davanti alla bocca. Ha ancora il viso rosso per l’imbarazzo, ma sembra più sereno. Tony lo guarda sorridere e gli sembra quasi che il figlio gli stia raccontando qualcosa successa a scuola o come Spiderman: solitamente, quando viene da lui, ha ancora il riso sulla bocca ed interrompe spesso la narrazione per trattenersi dallo scoppiare a ridere di nuovo,

« Almeno ha l'età per bere? » domanda con voce improvvisamente più dura. Peter annuisce immediatamente. Una reazione troppo veloce per chi vorrebbe mentire. Tony trae un sospiro di sollievo. Un problema in meno. « E quanti anni ha? »

E qui Peter esita. Lo vede allontanare lo sguardo, come se stesse cercando di trovare le giuste parole – non troppo vere, ma neanche troppo vaghe. Il risultato non è dei migliori: « Ne ha un po’ »

Tony sbatte le proprie ciglia, guardando prima i palazzi e poi il viso leggermente più serio di Peter. Decide di passare sopra quel particolare: « Ma non è più vecchio di me, vero? »

« Nessuno è più vecchio di te, papà » sorride l’altro, facendo aderire il proprio corpo allo schienale della panchina.

Si guardano per qualche istante. Le loro espressioni si fanno leggermente più serie, Peter china il capo verso il basso ma avvicina la propria testa contro la spalla dell’uomo. Cerca un contatto. Forse ha freddo. È pur sempre settembre e lui ha addosso solo una felpa. Tony si scopre ad abbracciarlo ancor prima di riuscire a formulare qualche altra domanda. Forse dovrebbe dirgli qualcosa, magari che adesso tornano a casa; ma, nel momento in cui sente Peter ricambiare la stretta, qualsiasi tipo di parola gli muore in gola.

Peter, tra le sue braccia, è di nuovo un bambino. Lo rivede nel letto matrimoniale, sopra le lenzuola, mentre salta come una lepre e ride quando Steve lo afferra e lo porta al suo petto. Che anno era? Che giorno era? Era una scena così chiara nella sua testa, così dettagliata che potrebbe essere accaduta ieri; ed è invece così lontana e incasellata nel sistema più ampio della sua memoria. Rivorrebbe vivere simili momenti, anche solo una volta. Vorrebbe essere svegliato dai bassi mormorii di Steve che continua a ripetere al bambino di tornare a letto e dormire ancora, le piccole mani di Peter che gli accarezzano la barba mattutina e poi quelli strano gioco di lotta che si trovava ad intraprendere dopo che suo figlio aveva insistito.

Peter accosta l'orecchio contro il suo petto con una certa familiarità: « Scusami per come mi sono comportato in questi giorni. Ho pensato solo a me. »

È vero, vorrebbe dirgli, Non hai neanche provato a metterti nei panni miei o di Steve. Ed, invece, resta zitto. La sua mano passa tra i capelli del ragazzo. Li trova puliti. Ciò vuol dire che durante quei giorni ha avuto modo di farsi la doccia e quindi non ha dormito in mezzo alla strada. Il suo corpo si fa improvvisamente più leggero, libero da un’angoscia che lo ha preso in questi giorni.

« È tutto ok » borbotta mentre lo stringe con più forza a sé. Forse non sta neanche parlando con il ragazzo, ma con se stesso; si è finalmente detto che è tutto sistemato e che può riprendere a respirare senza sentire quel pesante peso nel petto.

Passa di nuovo la mano tra i suoi capelli e trae un lungo respiro. Suo figlio sta bene, suo figlio tornerà a casa. Tutta la paura che ha provato la mattina quando non lo ha trovato nel suo letto si estingue nel nulla, un po’ come fa una bolla di sapone quando scoppia. Ciò che prova in quel momento è solo un’insano senso di serenità, dato forse da quell’abbraccio che lentamente va sciogliendosi.

Peter china il capo, in segno di scuse: « Mi dispiace se ho fatto arrabbiare così tanto papà »

« Cap è solo molto preoccupato. E quando è preoccupato, viene fuori il soldato del ‘43 che è in lui. » si limita a dire. Non vuole parlare a nome di Steve. Sente che è una cosa che deve fare l’uomo: sedersi, come ha fatto lui, e parlare al ragazzo davanti a lui. Si ritrova a sorridere: « Quando torniamo a casa, scusati con lui »

Peter annuisce ma, prima che possa aggiungere qualcosa, avverte qualcosa. Il senso di ragno, forse. Si scopre a girare il capo, abbandonando completamente il discorso.

Steve Rogers li raggiunge correndo. Ha la giacca aperta e, appena si ferma, si trova ad appoggiarsi alle proprie ginocchia. Non ha fiato. Ha quasi paura che si sia fatto a piedi il notevole tratto stradale dalla Facility a Central Park. Lo vede piegarsi su se stesso e respirare affannosamente, cercando forse di dire qualcosa tra gli ansiti. Peter si alza e lo raggiunge, forse più preoccupato per la sua salute che per un reale desiderio di scusarsi per quanto successo.

Tony si sforza di prenderla sul ridere. Si alza e muove un poco la mano in segno di saluto: « Ehilà! Anche tu da queste parti? È proprio piccolo il mondo! »

L’uomo non gli risponde. Ritorna dritto con la schiena e, appena vede Peter vicino, gli si accosta senza fiato. Steve lo stringe forte a sé ed è solo quando passa la mano contro la sua schiena che pare ricominciare a respirare. Lo vede chiudere gli occhi ed abbassare le spalle. La fatica e la stanchezza degli ultimi tre giorni crollano improvvisamente sul collo di Captain America, ma lui si scopre quasi a cullare il ragazzo che tiene ancora stretto al suo petto.

Peter prova a parlargli, cerca di scusarsi; ma l’adulto gli sussurra debolmente che va tutto bene e che ora tornano a casa. La sua voce è stanca, provata. Lo vede passare la mano tra i capelli del figlio e tornare ad abbracciarlo più forte. Deve essere arrivato alle sue stesse conclusioni. È solo allora che lo guarda. Non sembra arrabbiato o offeso per la sua decisione di non avvisarlo subito, continua a stringere a sé il ragazzo come se ne dipendesse della sua stessa vita. Tony gli si accosta piano, sorridendo: li vuole osservare più da vicino, godersi l’immagine della sua famiglia riunita; ma, prima che possa rovinare il momento con una battuta fuori posto, Steve gli afferra la mano e lo tira a sua volta verso di sé.

Tony si scopre abbracciato da entrambi. Peter gli tiene il fianco e Steve le spalle. L’uomo respira ancora faticosamente e Peter ha le orecchie rosse. Li osserva guardarsi e poi stringersi più forte. Si scopre a fare altrettanto.

 

Giovedì 7 settembre
Prima Serata
Avengers Facility


 

La porta scatta e l’intera stanza si fa improvvisamente tesa. Sente Sam riscaldarsi le mani mentre lancia un’occhiata prima a Steve e poi a Bucky; quest’ultimo smette di girare i canali e si affretta a spegnere la televisione. Rhodes, accanto a lui, gli poggia una mano sulla spalla e vuole quasi trasmettergli il proprio entusiasmo; proposito che fallisce immediatamente dato che Tony è più simile ad un palo della luce in questo momento. I più tranquilli sono forse Visione – che sta seduto vicino alla sua scacchiera e continua a giocare, nonostante Wanda abbia girato il capo verso la porta – e Natasha che sta in piedi vicino alla finestra, assieme a Clint, e sorride un poco. Bruce è seduto al tavolo e passa lo sguardo da lui a Cap; salvo poi girarsi verso Thor e Valchiria che stanno parlando sottovoce.

« Finalmente in scena, ragazzo! Come nelle migliori fanfiction! »

Sente parlare una voce a lui familiare ma che non riesce a ricollegare. Forse Peter ha conosciuto questo Wade allo S.H.I.E.L.D. o magari è uno dei vigilanti mascherati di New York. Si sentono dei paesi provenire dall’ingresso verso il corridoio. Non la voce di un liceale. Questo conferma quello che Peter aveva detto: vale a dire che, si, di anni ne ha un po’. Questo particolare, che la sera prima aveva dato come poco importante, improvvisamente prende a pesare; facendosi più grave quando Steve si gira verso di lui con la faccia di chi già non sta approvando.

« Cerca di fingerti una persona seria stasera » Stavolta è Peter a parlare. Si sentono il rumore di giacche tolte. Peter le sta probabilmente sistemando sommariamente sull’appendiabiti. La sua voce è allegra, forse un po’ nervosa.

« Io sono serio. Mi sono messo anche il papillon. » riprende a parlare l’altro. Tony prende un lungo sospiro: no, un soggetto del genere non entusiasta nemmeno lui. Forse è uno di quegli eccentrici che non è mai riuscito a trovare divertenti.

« Non sei Dottor Who » commenta Peter. E quasi può vederlo sorridere. Trae un respiro, si sistema la cravatta. Ci siamo, si dice. Ha detto a Pepper che l’avrebbe tenuta aggiornata: la donna si era detta impegnata per quella serata, una riunione; ma nonostante questo, aveva minacciato Tony di non fare sciocchezze e di raccontarle tutto nei minimi dettagli. Gli viene quasi da ridere.

Sente l’altro uomo, ancora nel corridoio, parlare: « Beh, se vuoi rimuoverlo, ti consiglio di non fermarti a quello »

Steve si rigira verso di lui, questa volta vagamente accigliato. No, decisamente: quel tipo sta decisamente partendo malissimo, almeno con Steve. Tony ingoia la propria saliva. Ha come la sensazione che quella sarà una lunga serata, condita dall’anatra arrosto che Clint ha cucinato, gli alcoolici colorati portati da Valchiria e Steve che comincerà a passare sotto un’attenta analisi ipotetici titoli di studio ed abitudini del fidanzato del figlio.

« Wade, guarda che i miei non hanno il mio stesso senso dell'umorismo» lo richiama Peter con un tono vagamente più duro. Se vuole essere un tentativo di rimprovero, è fallimentare in partenza; non c’è ombra di intimidazione nella sua voce – anche in questo ha preso da lui.

« Forse io non stavo scherzando » sente parlare ancora l’uomo. Forse vorrebbe bisbigliare, ma la sua voce è talmente roca che risulta così fastidiosamente chiara nelle sue orecchie. « Vogliamo far salire il raiting di questa fanfiction? Sfioriamo appena l'arancione fino ad ora! »

« Basta dire sciocchezze » lo rimprovera bonariamente Peter, cercando di trattenere le proprie risate. Sembra genuinamente divertito dal modo di parlare dell’altro. Ne segue quello che sembra essere un pizzicotto alle guance. L’altro uomo sghignazza e pare quasi compiaciuto dall’improvviso desiderio di contegno di Peter.

Suo figlio entra in soggiorno con un sorriso nervoso in viso. Gli si vedono le fossette nelle guance, tanto che passa la mano sinistra sul viso e cerca di presentarsi più serio e composto possibile. Vede Bruce sorridere, intenerito. Peter lo guarda e poi annuisce, mentre fa un passo indietro e tira per la maglia l’altro uomo verso di sé: « Lui è Wade e si ferma a cena da noi questa sera »

« Oh, i Vendicatori! Non li vedevo così da vicino da quella volta, a Zurigo, dove hanno tentato di staccarmi la testa. E mi sa che ci siete pure riusciti, furbacchioni! »

Wade – quel Wade! – Wilson sta in piedi sull’uscio del soggiorno. Indossa una maglietta ed i pantaloni della tuta ed ha la testa che ricorda discretamente un uovo soggetto a radiazioni. I suoi occhi scuri sono rivolti verso Peter, il quale continua a sorridergli ottimista.

Nel cervello di Tony qualcosa si rompe.
Ah, no.
È il bicchiere che Steve teneva in mano. Guarda l’uomo alzarsi con addosso un’espressione che fa preannunciare lo scoppio della Terza Guerra Mondiale. Sam Wilson lo segue immediatamente, mentre Bucky resta immobile nel suo posto con gli occhi sgranati. Natasha tiene la mano sulla spalla di Bruce. Non è una presa affettuosa o delicata; no, gli sta letteralmente ordinando di rimanere seduto dove sta. Ha già un coltello in mano e, dalla rapidità con cui si muove, non sembra intenzionata ad ascoltare le parole che Bruce sta tentando di mettere in fila. Valchiria e Thor sono forse gli unici a non comprendere, tanto che passano lo sguardo dall’ospite sorridente – segnato da profonde ed orribili cicatrici in viso – al resto della squadra che sta assumendo lentamente le fattezze dell’Urlo di Munch.

« Non è forse Deadpool quello? » domanda – infine – Visione dalla sua sedia, in fondo alla stanza, con un pezzo degli scacchi tra le mani. Wanda si alza in piedi, quasi per volersene accertare.

Vede Peter sbattere le ciglia, leggermente confuso da simile reazione. Lo vede farsi vicino al mercenario che continua a sorridere mentre passa la mano attorno al suo fianco.

Suo figlio.

Il suo bambino.

Lo ha stretto a sé ieri sera. Ha sentito il suo respiro contro il reattore Arc. Si è accertato che fosse a letto la notte prima. Ora è davanti a sé ed ha il braccio di un super-criminale attorno al collo.

« F.R.I.D.A.Y. » chiama con voce stridula, alzando il dito indice – come a voler chiedere un qualche tipo di attenzione dall’intelligente artificiale. « Mark IX. Ora. »

 


 


 


 

~Il Mughetto dice~

Questa one-shot è nata dal prompt lasciatomi da Giulia Laufeyson il 14 Luglio. L’idea era la seguente: “La Stony con Peter che porta Wade a casa per la prima volta”. Al tempo, pensavo di restare a Roma per un paio di settimane e di scrivere una brevissima one-shot che superava appena le 1.000 parole; tuttavia, l’indomani sono stata scaricata al mare dove mi sono presa ben due volte l’otite. Lì, sul letto e con il pensiero fisso di quanti esami avevo ancora da dare, ho cominciato ad abbozzare questo lavoro sulle note del telefono. Si trattava di qualche dialogo, l’entrata o l’uscita di qualche personaggio e la trama generale. Già dalla bozza iniziale sembrava un lavoro piuttosto grosso; ma io me la ridevo, convinta che – una volta a Roma – avrei segato metà dei paragrafi per fare un lavoro coinciso, leggero e divertente.

Il risultato, ovviamente, è stato il seguente.

Sarò sincera. Non mi aspettavo di investire così tanto su un lavoro del genere. C’è molto di me in questo lavoro: come vivo la mia sessualità, come è stata vissuta la mia sessualità dalla mia famiglia – Dio, alcune frasi hanno effettivamente uno spunto autobiografico. Perciò, si, se qualcuno se lo stesse chiedendo: si, mia madre non l’ha presa esattamente bene quando sono andata a dirle che mi piacciono le donne.

Fatto sta che non mi sono pentita di aver fatto coming-out – nessuno si dovrebbe mai pentire di fare una cosa del genere – e che, sotto sotto, questa shot è dedicata anche a lei. Che i genitori amino i loro figli è una cosa risaputa, ma spesso ci dimentichiamo di quanto i figli amino i propri genitori. Il percorso di Tony in questa shot è quello che avrei voluto facesse mia madre. È un messaggio di amore e di speranza. Voglio credere che un giorno mia madre accetterà la mia omosessualità esattamente come Tony, che si renderà conto che gli omosessuali devono avere il diritto di crescere bambini e che mi potrò finalmente presentarle la mia ragazza come Cristo comanda.

So che nessuno legge le lettere dell’autore; ma volevo dirlo lo stesso. Viviamo in una società superficiale e che finge di accettare la diversità, ghettizzandola o feticizzandola; dobbiamo essere di supporto uno verso l’altro ed aiutarci. Siamo una comunità variegata che ancora deve impararsi ad amarsi; il mio contribuito a questa causa è un lavoro particolare – forse troppo personale, forse troppo lungo – che celebra l’amore. La Stony può piacere e non piacere. Sono la prima a dire che, nope, non è l’unica ship valida; ma mi è piaciuto scrivere di loro due.

Quindi, grazie. Grazie a Giulia per avermi dato a questo prompt, grazie alla Mia Giulia per essermi stata accanto durante la scrittura e a tutti voi che avete letto tutto – comprese le note d’autore.

Se avete tempo e voglia, lasciate pure una recensione!

  
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