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Autore: Paridoso1    10/12/2017    1 recensioni
Pensate originariamente come storia singola, le Cronache raccontano del vaggio attraverso le dieci Ere di Loren e i suoi compagni alla ricerca di dieci leggendari artefatti che sarebbero in grado di cambiare il passato.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Loren, o Un’interessante lezione sull’etologia delle esperidi

 

-Beh? Vuoi rimanere ancora lì ad ammirarlo?-

-Eh? No, no. Arrivo.-

Ana si scosse dal suo torpore. Diede un’ultima occhiata al buco sulla parete del tempio: non poteva credere che Loren avesse potuto creare un’apertura così grande con un solo pugno. Quella non era la prima dimostrazione della sua forza spaventosa, dato che poco prima aveva spostato da solo l’altare montato su rotaie arrugginite che aveva rivelato il passaggio verso quelle catacombe, ma Ana non si aspettava certo che gli sarebbe bastato un colpo.

-Non è un muro della Nona Era- osservò Ana. - All’epoca non usavano mattoni del genere.-

-Lieto di saperlo, anche se non me ne frega un cavolo. Non sono qui per una spedizione archeologica- Loren lo metteva ancora a disagio, non tanto per la sua stazza (ormai Ana si era abituato a quel bestione di oltre due metri e mezzo) quanto per il suo tono minaccioso e le sue maniere assolutamente rozze e violente, una combinazione che avrebbe fatto svenire dall’orrore qualsiasi onesto cittadino di Mir.

-Beh, si dà il caso che io sia qui in veste di archeologo-, fece Ana, -e trovo decisamente irrispettoso per il mio lavoro questo tuo atto di vandalismo.-

-Parla come mangi, nanerottolo!-

Loren sbuffò. Non gli piaceva quel posto: aveva un brutto odore, come quello di una carogna al sole misto all’odore pungente del cloro. Probabilmente, una volta abbandonato era stato colonizzato dalle esperidi. Se possibile, gli sarebbe piaciuto rimanere nel tempio giusto per il tempo di prendere il manufatto e scappare, ed era per questo che aveva aperto quel buco invece di perdere tempo nello spostare le macerie dalla porta: per avere una via di fuga ampia e nel minor tempo possibile.

Come segnalato dalla mappa di Ana, dopo un breve cammino i due arrivarono ad un’ampia cappella scavata nella roccia. In uno slancio d’euforia, l’archeologo trotterellò davanti alla Guida, ansioso di documentare quella straordinaria scoperta. Loren ringraziò i suoi riflessi sovrannaturali mentre afferrava prepotentemente Ana poco prima che questi mettesse il piede in fallo. Ancora un passo, e i due avrebbero fatto la gloriosa fine delle salsicce.

-Frena l’entusiasmo e guarda dove metti i piedi. L’hai vista, quella lì?- La Guida indicò un punto a terra appena davanti a loro. Inizialmente Ana non vedeva niente ai propri piedi, ma osservando meglio gli parve di intravedere un Glitch, lo strano fenomeno che accompagnava la presenza di creature eteree.

-C’è un Glitch, fece Ana. Che cos’è?- Non essendo assuefatto alla visione di esseri extradimensionali, non riusciva a vedere ciò che stava per calpestare. Loren gli porse un leggero visore dalle lenti bluastre. Si diceva che le Guide riuscissero a vedere oltre i Glitch perché si facevano sostituire gli occhi con strumenti dello stesso particolare vetro dei visori, ma Ana non ci avrebbe messo la mano sul fuoco a guardare Loren. Più che sugli occhi, sembrava affidarsi di più all’olfatto, e sebbene la cosa affascinasse non poco il giovane archeologo, contribuiva a dargli un aspetto ancora più bestiale.

Messo il visore, Ana poté contemplare la bellezza di ciò che si trovava ai suoi piedi: una ragazza dai lineamenti perfetti giaceva come addormentata innanzi a loro, rannicchiata e completamente nuda. -Girale attorno,- lo avvertì Loren, -e fai un giro molto largo. È un’esperide.- Ana aveva sentito parlare delle terribili esperidi, ma quella era la prima volta che ne vedeva una da vicino.

Le esperidi erano la piaga del secolo. Create inizialmente a scopo di ricerca, dovevano trattarsi di un esperimento condotto sull’intelligenza artificiale: che cosa sarebbe successo se degli automi avessero avuto una modalità di riprodursi autonomamente? Tuttavia, l’esperimento non era andato esattamente come previsto, ed oltre che a riprodursi le macchine avevano cominciato ad evolvere in una maniera incontrollata, sfuggendo al controllo degli scienziati dopo alcune generazioni – ovvero, nello spazio di una decina d’anni. Attualmente, la loro evoluzione pareva essersi fermata nella ripugnante forma con cui erano conosciute: le esperidi, da alcuni decenni, avevano assunto l’aspetto di orribili macchine insettoidi simili a falene grosse quanto un uomo, esistenti solo parzialmente nella nostra dimensione e animate soltanto dall’impulso di eliminare qualsiasi creatura vivente. Del loro metodo di riproduzione non si sapeva molto, ma l’unica cosa certa era che trascorrevano lo stadio larvale rinchiuse in bozzoli dalle fattezze umane.

La figura che gli si parava innanzi era dunque il bozzolo di un’esperide, potenzialmente pericoloso quanto un esemplare adulto poiché il passaggio da larva ad adulto era repentino e nessuno sapeva con certezza da cosa fosse attivato. Nel girarci attorno, Ana levò lo sguardo verso il soffitto, e riuscì solo con un grande sforzo di volontà a trattenere un urlo. Fece segno alla sua Guida di guardare verso l’alto, e Loren cominciò a bestemmiare ogni singolo Dio tra sé e sé mentre cercava di togliersi dalla mente l’immagine dello sciame di esperidi addormentate ospitato dal soffitto.

-Se riusciamo ad uscire da qui tutti interi esigo il settanta per cento del ricavato.-

-Ne discutiamo dopo. Che si fa?-

Loren annusò rumorosamente l’aria. -Ad occhio e croce ce ne sono una cinquantina, tutti esemplari giovani e perciò, neanche a dirlo, più pericolosi. Stanno sicuramente dormendo, perché altrimenti saremmo già cibo per mosche.- Tutto questo discorso non metteva certo Ana di buon umore. -Se muoviamo qualcosa, facciamo rumore e le svegliamo. Inutile dire che camminando su questa ghiaia facciamo comunque un bel casino.-

-E quindi?-

-Corriamo.-

Senza dargli il tempo di reagire, Loren afferrò Ana per un braccio e lo condusse in una folle corsa verso il piedistallo cilindrico al centro della cappella, in cima al quale riposava un antico manufatto rinchiuso in un contenitore sferico.

Non appena mossero il primo passo sulla rumorosa ghiaia della cappella un assordante sbattere di ali metalliche riempì l’aria stantia della grotta, ed alcune delle macchine simili a falene cominciarono a staccarsi dal soffitto per perlustrare la zona. Non appena li percepirono, le prime esperidi ad essersi svegliate emisero il loro caratteristico richiamo, un rombo profondo e tonante capace di instillare terrore anche nella più esperta delle Guide. Loren continuò ad avanzare senza curarsene, anzi, più il rumore aumentava, più i suoi passi sembravano divenire veloci. Nel tempo di una decina di secondi, la strana coppia aveva raggiunto il centro della stanza. Allo stesso modo,però, le prime esperidi stavano cominciando a raggiungerli.

-Ci sono trappole?-

-No, niente!-

-Ottimo.-

Loren afferrò la sfera e si preparò a scattare per tornare indietro, ma uno dei mostruosi insetti gli si parò davanti. Dai suoi occhi sfaccettati colava un olio nerastro e lucente che rifletteva l’espressione disgustata della Guida. Quando la creatura aprì le mandibole per avventarsi sulla sua preda, Loren venne investito dall’odore di cloro e carogne che aveva sentito poco prima.

-Guarda e impara, nanerottolo!-

L’uomo mormorò una parola incomprensibile ed il suo braccio destro prese letteralmente fuoco. Con lo stesso braccio, portò un pugno diretto verso la bocca dell’insetto, penetrandola con una buona metà del braccio. Quando ritirò la mano l’esperide cadde inattiva ai suoi piedi, mentre le altre, allarmate, cominciarono a sciamare tutto attorno ai due.

È risaputo come le esperidi fossero maestre della caccia in gruppo. Una Guida prudente si sarebbe sicuramente avvicinata al piedistallo occultandosi mediante un campo di invisibilità e cercando di non fare rumore, o almeno di ridurre il rumore emesso al minimo. La suddetta Guida, tuttavia, sarebbe anche andata incontro ad una fine orribile, servendo prima come cibo per esperidi adulte e poi come bozzolo per ospitare nuove larve – poiché così funzionava in realtà la riproduzione di quelle orrende macchine. Per fortuna, propria e di Ana, Loren non era un tipo prudente. D’altra parte, non era neanche la prima volta che aveva a che fare con delle esperidi, quindi ne conosceva il funzionamento e sapeva che un campo di invisibilità sarebbe stato inutile. Inoltre, Loren sapeva qualcosa che probabilmente pochi altri condividevano, essendo le esperidi decisamente poco inclini a farsi studiare: come qualsiasi altro insetto, anche quelli giganti, meccanici ed antropofagi bruciavano dannatamente bene. Dopo aver pronunciato un’altra serie di strane parole – una specie di litania, quasi una preghiera – Loren inspirò profondamente. Quando espirò, un ampio getto di fuoco fuoriuscì dalle sue labbra, investendo una parte consistente dello sciame.

Approfittando della confusione creatasi, Loren afferrò di nuovo Ana per un braccio e lo trascinò via nella breccia che si era creata nel muro di falene. Quando furono nel corridoio, lo posò a terra e gli intimò di correre via con la sfera, dopodiché si preparò ad intercettare le esperidi all’entrata del corridoio.

Il complesso di grotte artificiali divenne improvvisamente più caldo mentre Ana correva verso la libertà. Aveva perso il visore, ma non ce n’era più bisogno: Loren si sarebbe preso cura di quei mostri. Ora sapeva che non mentiva quando diceva che l’archeologo aveva scelto la Guida migliore in circolazione, così come non mentivano le voci sulla sua forza sovrumana e le sue strane capacità. Sentendosi un po’ più al sicuro ogni volta che sentiva divampare fiamme odorose di zolfo e grasso bruciato, decise di rallentare il passo. Dopotutto, ormai era vicino alla scala che portava all’altare su rotaie: mancava poco per raggiungere finalmente la luce del sole. Mentre saliva le scale, tuttavia, Ana cominciò a sentire uno strano odore, il tanfo penetrante del cloro utilizzato per disinfettare i macchinari industriali che aveva visto una volta a Mir unito al fetore di una carcassa in decomposizione.

 

 

Loren era soddisfatto. Era riuscito a sputare fuoco per ben dieci volte di seguito, senza neanche pensare di dover bere un goccetto: voleva dire che era decisamente migliorato. Inoltre, aveva finalmente trovato il trofeo che desiderava sin da quando aveva iniziato a cacciare le esperidi: la testa particolarmente ben conservata di una di queste, una volta in città, sarebbe stata trasportata completamente nella terza dimensione, svuotata ed adattata per diventare un copricapo, o addirittura un elmo.

Guardandosi intorno per accertarsi che non ci fosse più nessuna esperide che potesse coglierlo alle spalle, Loren si accorse con orrore che il bozzolo che avevano trovato poco prima era adesso aperto in due ed afflosciato a terra come un sacco vuoto. Un terribile presentimento lo pervase: Ana era in pericolo. La Guida corse disperatamente verso l’uscita della grotta, e nei pressi delle scale nascoste sotto l’altare ebbe l’onore di ammirare un’esperide durante la riproduzione: una volta divorato dall’interno il corpo di un essere umano, le falene meccaniche trasformano le sostanze assimilate in un “uovo” che impiantano nello stomaco dello sfortunato, dove questo crescerà fino a diventare un esemplare adulto. Carico di rabbia e frustrazione, abbandonò la testa di insetto e caricò la creatura che stava facendo i propri comodi col corpo del suo stipendiante: un pugno carico di fuoco distrusse l’insetto, mentre un soffio infuocato distrusse entrambi i cadaveri, giusto per sicurezza.

Frugando tra le ceneri Loren trovò la grossa urna blu. Sembrava fatta dello stesso materiale del visore extradimensionale, ma era decisamente più leggera di quanto si aspettasse. La Guida cominciò a sospettare che fosse vuota. Che ironia, si disse, cercare qualcosa per una vita intera, morire a pochi centimetri dall’arrivo… e tutto quel che avevi trovato non era che una palla vuota. Decise che l’avrebbe aperta, anche se probabilmente avrebbe fatto un torto alla memoria del povero nanerottolo. Era il suo sogno, dopotutto.

Loren notò che riconosceva l’urna: era molto simile ad un modello di contenitore molto in voga due o trecento anni prima, e si apriva semplicemente svitandone via alcune sezioni in un certo ordine. Una volta aperta, si accorse che c’era effettivamente qualcosa: un piccolo braccialetto, niente più, all’apparenza, di una stringa di Elastam larga un pollice. all’uomo venne da ridere: si sarebbe aspettato decisamente di più dal cosiddetto “Monile del Tempo”: in genere, i demiurghi usavano riempire i loro oggetti pseudomagici di pietre preziose, sebbene queste non avessero alcuna utilità se non quella meramente estetica.

Loren ricordò improvvisamente le parole di Ana: “Il Monile del Tempo è un oggetto unico. Pare che esistano undici manufatti con un potere simile, tutti nascosti ai mortali fin dalla Prima Era. Se usati, questi oggetti permettono di cambiare un avvenimento nel passato”. Se era così, forse poteva usarlo per salvarlo. Non era un’idea malvagia, e viaggiare nel tempo era praticamente l’unica cosa che gli era rimasta da fare dopo ottocento anni di noiosa esistenza. Carico di ottimismo, Loren raccolse il bracciale.

 

 

Le caotiche strade di Grandana erano già sveglie malgrado fossero solo le cinque del mattino: c’era chi tornava dal lavoro, i negozianti aprivano le loro botteghe ed i giovani ritornavano dai locali abitati dalle sorelle Lussuria e Perdizione. Le guardie armate di lance pattugliavano senza sosta ogni vicolo, pronte a reagire al minimo segno di pericolo. Le prime vetture cominciavano a sfrecciare silenziose sulle carreggiate diamagnetiche. Loren si guardava attorno senza capire dove fosse o cosa stesse accadendo. Non era nel deserto? E soprattutto, non erano le cinque del pomeriggio?

Una guardia si accorse dello strano uomo vestito solo da un paio di pantaloni strappati e dall’aria confusa, e pensò che fosse un ubriacone bisognoso di essere riportato a casa, quindi si avvicinò per chiedergli se si sentisse bene.

-Sto bene, sto bene- lo tranquillizzò Loren, piuttosto incuriosito dal taglio della sua uniforme -più che altro, vorrei sapere dove sono. E anche, per quanto sia strano, quando sono.-

-Ma sei sicuro di stare bene?-

-Sicurissimo. Anzi, non penso di essere mai stato così sobrio in vita mia- il che era tutto dire, essendo il sangue de Loren composto al settanta per cento di alcool etilico.

-Mah… comunque, se proprio ci tieni siamo a Grandana, in Piazza dell’Università, ed è il quattordici marzo del tremiladuecentoottantasei dell’Era Nona. Ora, ti dispiacerebbe seguirmi in centrale?-

Loren acconsentì silenziosamente. Non poteva crederci. Aveva davvero viaggiato indietro nel tempo, addirittura fino all’era precedente. E non era tutto lì: era arrivato esattamente nell’anno precedente il grande cataclisma che avrebbe sancito la fine della Nona Era.

   
 
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