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Autore: Hotaru_Tomoe    10/12/2017    6 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la H.I.A.T.U.S. December Johnlock challenge, che ha come tema il Natale, usando il prompt video.
È in parte textfic e songfic. I messaggi di John sono in grassetto, quelli di Sherlock normali.


Sherlock chiude la valigia e si abbottona il cappotto.
“Hai tutto? Passaporto, Biglietto aereo?” domanda John dalla soglia della camera da letto.
“Sì” risponde Sherlock sbrigativamente, ma quando alza lo sguardo, nota quanto John sia turbato. “È una missione tranquilla, devo solo mescolarmi tra la folla dei turisti, osservare, dedurre e fare rapporto a Mycroft. Penso che sarò a casa tra un paio di settimane.”
John annuisce, Sherlock gli ha già spiegato di cosa si tratta, ma potrebbe sempre verificarsi un imprevisto, e non è felice del fatto che Sherlock debba andare da solo. Non è contento in generale che Sherlock a volte debba lavorare per Mycroft, ma purtroppo è inevitabile dopo quanto è successo, fa parte dell’accordo.
Però, davvero, ha il peggior tempismo del mondo.
“Niente colpi di testa” lo ammonisce.
“Farò attenzione.”
“Due settimane?”
“Forse venti giorni, ma non di più: questa gente si crede molto furba, il che li porta a commettere errori, non sarà difficile smascherarli.”
John fa due conti mentalmente, poi si acciglia.
“Allora non sarai a casa per Natale.”
“No, non credo.”
John sospira: quest’anno sperava di poter trascorrere le feste con Sherlock, nella tranquillità del loro appartamento e senza interferenze; quando non abitava più lì, sentiva una forte nostalgia della loro bizzarra quotidianità e voleva recuperare il tempo perduto e, magari, parlare di loro, di…
Ma non è possibile.
Nasconde il disappunto dietro un sorriso tirato e sospira di nuovo, “Be’, fai buon viaggio.”
“Grazie. Ti chiamo quando arrivo in albergo.”
John si sposta dalla porta per farlo passare, ma Sherlock lo attira nel suo abbraccio, dandogli una piccola pacca sulla spalla.
Da quando John è tornato a Baker Street, quei gesti tra loro sono diventati più frequenti, gli abbracci quasi naturali. È anche di questo che voleva parlargli, maledizione.
Sherlock scende qualche gradino, poi si ferma e volta la testa verso di lui.
“John?”
“Mh?”
“Cercherò di essere a casa per Natale.”
“Va bene.”
Nel suo appartamento, la signora Hudson accende la radio e la voce di Michael Bublé arriva fino a lui.
“I don't care about those presents
Underneath the Christmas tree
I just want you for my own”


Sul volo che lo porta a Tallinn, Sherlock sfoglia svogliatamente la cartellina che gli ha dato Mycroft, poi la ripone via.
Non è che quell’indagine sia particolarmente noiosa, ma John non sarà lì con lui durante gli appostamenti, a spiare conversazioni, a partecipare agli eventi mondani. E senza John anche un caso da otto appare come un sei. Non l’ha mai ammesso ad alta voce ma gli è mancato molto in quegli anni lontano da lui, gli è mancato il suo supporto, gli è mancato sentire i suoi passi dietro ai suoi lungo le strade, gli è mancato ragionare a voce alta con lui presente. C’è stato un vuoto, un grande vuoto nella sua vita, non può negarlo, e quella missione è arrivata davvero in un momento opportuno, quando finalmente sembrava avessero tempo per loro.
Cercherà di sbrigarsi il più in fretta possibile e tornare a casa per Natale. Tuttavia non ha voluto prometterlo come certo, perché sono troppe le promesse che in questi anni non è stato in grado di mantenere, troppe le volte in cui l’ha deluso, e non vuole più farlo.

Tallinn è una bellissima città, specie in inverno, sembra una cartolina, e mentre il taxi lo porta in albergo, Sherlock scatta alcune foto e le invia a John.
La risposta arriva nel giro di pochi istanti.
“È un bel posto.”
“Ti piacerebbe visitarla?”
“Pensavo non fosse possibile.”
“Non adesso, ovviamente, un’altra volta.”
“Intendi una vacanza?”
“Perché no?”
“Tu non vai mai in vacanza.”
“Le persone cambiano.”
Questa volta la risposta di John tarda ad arrivare e Sherlock si preoccupa di aver detto qualcosa di troppo, qualcosa che John non è interessato a sentire, ma alla fine la bolla del messaggio in scrittura compare sullo schermo del telefono.
“Una vacanza è un’idea brillante. Ho sentito che a Tallinn c’è un casinò.”
“Cerchi nuovi modi per sperperare i tuoi soldi?”
“Potresti farmi da portafortuna e aiutarmi a vincere.”
“I portafortuna non esistono.”
“Sei mai stato il portafortuna di qualcuno?”
“No.”
“E allora non puoi saperlo.”
“Va bene, allora dobbiamo verificare questa tua teoria.”
“Ci conto.”
La radio del taxi diffonde le note di una canzone natalizia.
“I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true”

Nei giorni successivi, Sherlock manda spesso dei messaggi a John: foto di piazze, chiese, musei e monumenti, o gli racconta qualche aneddoto curioso della città o dell’Estonia in generale.
È strano, perché quando Sherlock accetta di lavorare a un caso, poi vi dedica la più totale attenzione, non si distrae e non manda messaggi per descrivere la storia di un palazzo antico o per raccontare come un particolare quadro sia stato acquisito da un museo.
Non che a John dispiaccia quel cambiamento; anzi, in questo modo riesce a sentirlo più vicino anche se è a chilometri di distanza. Non è ciò che sperava, ma è un buon compromesso.
Un pomeriggio, mentre è alla clinica, riceve l’ennesima foto del centro storico di Tallinn: la piazza è innevata, c’è un mercatino e molti turisti che passeggiano.
“Quando hai detto che andavi in una città dell’ex blocco sovietico, mi immaginavo dei tristi condomini di cemento grigio. Invece guardando queste foto sembra di essere a Vienna o a Ginevra.”
“Esistono anche edifici risalenti al periodo sovietico, e la percentuale di russi che vivono in città è molto alta, ma se chiedi a un estone, ti risponderà che il loro Paese ha molte più affinità con l’Europa settentrionale, specie con la Finlandia.”
“Questo mi fa pensare che spesso tendiamo a crearci dei pregiudizi orribili, senza conoscere la realtà.”
“In una certa misura è normale avere pregiudizi, non è totalmente colpa tua, perché assorbi molte influenze esterne. Ad esempio, per ragioni politiche i media occidentali per anni hanno dipinto i Paesi dell’Est Europa in modo orribile, invece hanno una propria bellezza.”
John guarda il suo riflesso sul vetro della finestra. Ha avuto molti pregiudizi su Sherlock: in passato l’ha considerato una macchina privo di sentimenti, interessato solo ai suoi enigmi o a vincere la sfida di cervelli con il criminale di turno, quando il vero Sherlock era ben diverso, e da quando è tornato a Baker Street ha iniziato a realizzarlo.
“Non importa da cosa siamo influenzati, i pregiudizi restano una cosa sbagliata.”
“L’importante è capirlo e guardare la realtà per quella che è.”
La segretaria bussa alla sua porta e gli fa sapere che è arrivato il prossimo paziente.
a“Scusa, devo andare.”
“Anch’io: la persona che sto pedinando si è mossa.”
“Sii prudente.”
“Sempre.”
John sta per scrivere “vorrei essere lì con te”, ma si blocca all’ultimo istante: sarebbe imbarazzante chiudere la conversazione in quel modo, non è il momento giusto. Inoltre potrebbe distrarre Sherlock e John non vuole che gli succeda qualcosa per causa sua, ma davvero, vorrebbe essere con lui in questo momento.
In sala d’aspetto la voce di Michael Bublé continua a far sapere cosa vorrebbe per Natale.
“You know that all I want for Christmas is you
I won’t ask for much this Christmas
I won't even wish for snow”


“Hai qualche conoscenza dei giochi coi dadi?” scrive Sherlock.
“Dove sei?”
La risposta di John è immediata. Lo è sempre stata in quei giorni, come se il dottore non si allontanasse mai dal telefono, in attesa di un suo messaggio.
“Al casinò.”
“Cerchi nuovi modi per sperperare i tuoi soldi?” scherza John.
“Sono i soldi di Mycroft: non mi importa se li perdo.”
“Sei tremendo. Sei lì per il caso?”
“Sì, sto pedinando un uomo. Mi sono seduto a questo tavolo dove delle persone lanciano dei dadi su un tavolo verde e, per non dare nell’occhio, credo che sarò costretto a partecipare.”
“Credo tu stia giocando a Craps: le regole sono abbastanza complicate, ma dovresti cercare di ottenere un 7 o un 11, oppure lo stesso punteggio del primo lancio.”
“John, la statistica dice che questo è assai improbabile.”
“Per questo si chiama gioco d’azzardo.”
“Io la chiamerei piuttosto truffa legalizzata.”
“Ehi, perché non testiamo la nostra teoria? Potrei farti io da portafortuna.”
“E come?”
“Immagino di soffiare sui tuoi dadi da qui.”
“John, hai bevuto?”
“No idiota, soffiare sui dadi è un gesto scaramantico che fanno molti giocatori, si dice che attiri la fortuna.”
“È una follia.”
“Lo so.”
“Non c’è nulla di razionale in quello che suggerisci.”
“So anche questo.”
“E allora perché vuoi farlo?”
“Ci hai mai provato?”
“No.”
“E allora non puoi sapere che non funzionerà.”
Sherlock si domanda se John stia parlando solo dei dadi, o anche di altro.
Si domanda di cosa effettivamente stiano parlando nei loro messaggi e se, in quella particolare occasione, John si stia riferendo alla sua incapacità ad accettare le cose che non sono razionali (i sentimenti). Lo sta invitando a fare una follia? A provare? A uscire dal suo orticello di sicurezze?
“Va bene, fallo.”
In fondo che cos’ha da perdere?
“Fatto, ho appena immaginato di soffiare sui tuoi dadi.”
Sherlock lancia i dadi e ottiene un sette.
John attende pazientemente la risposta di Sherlock, che tarda ad arrivare. Diversi scenari passano nella sua testa, compreso quello che abbia contestato le regole del gioco e abbia finito per farsi buttare fuori dal casinò.
“Allora?” lo sollecita.
“Ho vinto.”
“Visto? Merito del mio tocco magico.”
Ovviamente John si aspetta di essere contestato all’istante, ma non succede, e non sa come interpretare quel silenzio, quindi tenta con una battuta.
“Sei diventato così ricco da restare senza parole?”
“Non ho vinto così tanto, ma posso farti un regalo, visto che è quasi Natale. Cosa vuoi?”
“Così su due piedi non lo so...” scrive John, anche se in realtà non desidera niente, se non che Sherlock torni a casa per potergli parlare di persona, invece che attraverso quegli sporadici messaggi.
“Pensaci.”
“E tu?”
“Io?”
“Sì, tu cosa vuoi per Natale?”
“Non lo so.”
“Siamo una bella coppia di idioti.”
“Sì, lo siamo.”
“Pensaci anche tu.”
Mentre lascia il casinò, Sherlock pensa che sa benissimo cosa vorrebbe per Natale, ma non sa se può averlo.
Gli altoparlanti continuano a diffondere canzoni natalizie.
“I just want you here tonight
Holding on to me so tight
Girl what can I do
You know that all I want for Christmas is you”


Sherlock si trova ancora nella piazza principale di Tallinn, seduto su una panchina a bere un corroborante tè russo, mescolato ai turisti che visitano i mercatini natalizi; ormai ha individuato quasi tutti i membri di quell’organizzazione criminale, gli manca poco, e si lascia distrarre dalle persone che gli passano davanti: un uomo d’affari finlandese che si è preso un paio di giorni di pausa dal lavoro, un gruppetto di ragazze locali in cerca degli ultimi regali di Natale, due donne francesi che camminano a braccetto, evidentemente una coppia in luna di miele.
Gli manca Baker Street, il suo violino, il loro salotto, John che ride alle sue battute, John che prepare il tè, John...
Abbassa lo sguardo sul cellulare e lo sblocca: è da due giorni che lui e John non si scambiano messaggi. È vero che lui ha lavorato giorno e notte per concludere quella missione il più in fretta possibile e non ha avuto tempo per scrivere, ma hanno lasciato qualcosa in sospeso.
“Non me l’hai più detto” scrive.
“Cosa?” La risposta è immediata come al solito.
“Cosa vuoi per Natale. Se vuoi un souvenir estone devi sbrigarti a chiederlo.”
“Hai concluso la missione?”
“Quasi.”
“Quindi alla fine sarai a casa per Natale.”
“Ti avevo detto che avrei fatto di tutto per tornare in tempo.”
“Grazie.”
John non aggiunge altro, forse perché non vuole nulla, forse perché Sherlock ha letto troppo in profondità nei loro messaggi, finendo per leggerci cose che non ci sono.
“Deduco che non sei interessato a un regalo di Natale.”
“No, ti sbagli.”
“Oh? Sei così indeciso, allora?”
“Nemmeno questo: ho ben chiaro cosa voglio. Il fatto è che tu preferisci i messaggi, mentre questa è una cosa che preferirei chiederti a voce.”
John non si aspettava che Sherlock lo chiamasse, perciò sussulta quando la suoneria trilla nel silenzio di Baker Street.
“Pronto?”
“Questo è il massimo che posso fare in questo momento, anche se non è come parlarsi di persona.”
“No, no, va benissimo.”
Una parte di John, impaziente ed elettrizzata dalla piega che hanno preso i messaggi tra loro, vorrebbe dirgli immediatamente cosa vuole, ma un’altra si accontenterebbe di ascoltare la sua voce tranquillizzante e profonda che gli illustra qualche curiosità di Tallinn. Solo adesso che lo sente di nuovo si rende conto di quanto silenzio ci sia stato nella sua vita in quelle due settimane: ha scambiato due chiacchiere banali con pazienti e colleghi, ma non ha parlato con qualcuno ed è uscito di casa solo per andare al lavoro.
“Riguardo al regalo che vorrei, la sera di Natale Mike darà una festa danzante e io vorrei andarci con te, vorrei che ci andassimo insieme; tu ti sei impegnato così tanto per insegnarmi a ballare e vorrei farlo con te, se tu…”
La voce di John si spegne, sentendo il silenzio crescente all’altro capo della linea, finché Sherlock si schiarisce la gola più volta e alla fine sussurra: “Sei sicuro che il regalo sia per te e non per me?”
È come se un pesante macigno fosse stato appena rimosso dal suo petto. Sorride nella stanza vuota, ma non si sente più solo.
“Ne sono certissimo, Sherlock.”
“Ci vediamo tra un paio di giorni, allora.”
“Non vedo l’ora.”
John chiude la chiamata, si appoggia alla cornice della finestra e accenna la melodia di una canzone a labbra chiuse.
“I can hear those sleigh bells ringing
Santa won't you bring me the one I really love
Won't you please bring my baby to me”

Sherlock completa la relazione per Mycroft, la invia e spegne il computer, ma quando solleva lo sguardo verso la finestra, si acciglia: sta nevicando pesantemente e, a giudicare dalla coltre bianca che ricopre tetti e strade, ha iniziato diverse ore fa.
La valigia è già pronta, la prende e lascia velocemente la stanza, effettua il check out e chiede di avere un taxi per l’aeroporto.
“Ci vorrà del tempo” avverte il concierge.
Sherlock alza uno sguardo carico di astio verso il cielo grigio, quasi a volergli ordinare di smettere di nevicare, ma il tempo si fa beffe di lui e i fiocchi bianchi cadono più abbondanti di prima.
All’aeroporto la situazione è anche peggiore: tutti i voli hanno pesanti ritardi a causa delle operazioni di sbrinamento devono subire gli aerei.
Prende il cellulare per avvisare John del ritardo, ma lo trova spento, nonostante l’abbia ricaricato quella mattina.
Si è rotto, quello stupido aggeggio si è rotto nel momento più importante; corre a un telefono pubblico e lo chiama, ma squilla a vuoto e non si attiva nemmeno la segreteria.
Il cellulare di John squilla in un appartamento vuoto: la sorella della signora Hudson ha accusato un capogiro e lui, nella fretta di soccorrerla e accompagnarla al pronto soccorso, ha dimenticato il cellulare a casa.
Per fortuna non è nulla di grave, la donna viene dimessa dopo un paio d'ore e John decide di andare direttamente alla festa di Mike. Una volta lì si accorge di non avere il cellulare con sé e chiede all’amico di prestargli il suo. Chiama Sherlock per sapere dov’è, ma non riceve risposta: forse è in aeroporto e non lo sente?

Il volo di Sherlock atterra con più di quattro ore di ritardo, è mezzanotte passata e il parcheggio dei taxi è affolatissimo: resterà in coda ore.
Lascia il bagaglio in un armadietto e decide di raggiungere la città a piedi. È una follia, non farà mai in tempo, ma ha detto a John che sarebbe andato alla festa con lui e non può deluderlo proprio ora, quella serata è la più importante della loro vita, deve arrivarci a ogni costo.
Cammina a passo svelto lungo la statale, incurante delle macchine che gli suonano e dei rischi che sta correndo, finché un grosso pullman da turismo gli si affianca e apre le porte: porta una comitiva di turisti, e due signore hanno chiesto all’autista di fermarsi, quando l’hanno visto.
“Giovanotto, così giovane e già stanco di vivere? - lo apostrofa l’autista - Dovresti aspettare un taxi.”
“Non posso, devo raggiungere Londra il prima possibile.”
“Dove stai andando?” chiede una delle due signore.
Sherlock dice l’indirizzo e la donna si illumina in viso.
“È vicino al nostro albergo. Su, sali, sali.”
“Non è regolare” protesta l’autista.
“È la notte di Natale, non possiamo lasciarlo qui.”
“Non sono d'accordo.”
Si leva un colorito coro di proteste e l’autista è costretto a cedere.
“Non so come ringraziarvi.”
“Non c’è bisogno: è chiaro che è una cosa importante per te.”
Arrivato a destinazione, Sherlock ringrazia e balza giù dal pullman, correndo a perdifiato fino alla sala dove si svolge la festa, ma le luci sono già spente e non c’è più nessuno.
È arrivato troppo tardi, ha nuovamente perso la sua occasione. Quando si tratta di John e di loro due, è sempre un passo indietro, sempre in ritardo, e alla fine ciò che vuole si rivela un miraggio irraggiungibile.
Si piega sulle ginocchia, esausto per la corsa e sibila un rabbioso “maledizione”.
“Sherlock, sei tu?”
John esce dall’ombra del portone, gli si fa incontro sorridendo e lo abbraccia.
“John? Perché sei ancora qua?”
“Perché ti conosco: ho letto sul cellulare di Mike del ritardo del tuo volo, ma sapevo che non ti saresti arreso.”
“Ma la festa è finita, ho fallito e ti ho deluso di nuovo” mormora Sherlock chinando la testa.
“Cosa stai dicendo? Non è vero, sei qui e non è troppo tardi - John lo guarda serissimo con i suoi occhi blu - E non sono deluso, sono al settimo cielo.”
Poco lontano un gruppetto di ragazzi alticci ferma la macchina, scende, ride e beve champagne, mentre il volume altissimo dell’autoradio fa risuonare in tutta la via le note di ‘All I want from Christmas is you’.
Sherlock stringe la mano di John nella sua e finalmente risponde al suo sorriso.
“Sbaglio o mi avevi promesso un ballo?”
“Non sbagli” risponde John, appoggiando la mano sulla sua spalla.
“No I just want to see my baby
Standing right outside my door
I just want him for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
You know that all I want for Christmas
Is you
Is you”

   
 
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