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Autore: Sacapuntas    11/12/2017    1 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19 - Lo spettacolo è finito





Sono trentatrè ore che il mio corpo si rifiuta di lasciare l'appartamento, un appartamento che mai prima d'ora mi è sembrato più triste, polveroso, vuoto. I frammenti di specchio sono ancora sul pavimento, e costellano il marmo come un firmamento improvvisato e sanguinante. La parte razionale che è rimasta nella mia mente mi suggerisce di alzarmi dal letto e pulire tutto quel casino, magari smontare lo specchio e dare un'occhiata alla preoccupante ferita da taglio sulla mia mano, nella quale sono ancora rimasti incastrati luccicanti cocci di vetro.
Distolgo lo sguardo dalla lampadina che penzola dal soffitto per abbassarlo sulle mie nocche, diventate di un allarmante colore violaceo. Il sangue è colato dai tagli al dorso della mano, scivolando sul palmo e andando a macchiare anche l'avambraccio, in un preoccupante schema di linee brunastre di sangue secco e raggrumato.

D'improvviso, una pesante stanchezza mi piomba addosso, come un'ondata di malessere che ti travolge con tutta la sua forza. Non ho chiuso occhio da quando Elizabeth ha varcato la soglia di quella porta, e non ho nemmeno voluto provare ad addormentarmi: so già che se mi appisolassi anche solo per pochi minuti, i miei incubi sarebbero infestati dalla ricorrente immagine della Candida che urla il mio nome in preda al terrore più puro.
Ho passato due intere notti a chiedermi cosa potessi fare per farmi perdonare, ma dopo qualche ora ho staccato la spina al cervello e mi sono detto che nulla potrà mai convincere Elizabeth che non sono il mostro che crede io sia. Soprattutto perchè prima dovrei convincere me stesso.

Mi passo una mano sul viso, stanco di dover pensare così tanto, e un vetro conficcato nel palmo della mano va a graffiarmi il volto. Sibilo, più per la sorpresa che per il dolore, ed emetto un gemito di disappunto mentre mi alzo, dirigendomi in bagno.
Osservo il mio riflesso, e vedo nello specchio il mio sguardo diffidente, quasi avessi di fronte uno sconosciuto. Non ho mai avuto l'abitudine di specchiarmi spesso, sicchè ogni volta che scorgo la mia immagine riflessa su una qualsiasi superficie ne rimango quasi confuso.
Sospiro mentre passo uno straccio bagnato dalla tempia sinistra fino agli zigomi, tracciando un'umida traccia di sangue dove il vetro ha tagliato la pelle. Faccio cadere lo straccio macchiato di rosso nel lavandino, e mi impegno a togliere quanti più frammenti di specchio possibile dalla mia mano.

Per un doloroso, infido momento, mi riviene in mente quando Elizabeth si è offerta di rimuovere il proiettile dalla mia spalla a seguito della sfida con le bandiere al vecchio cantiere. Ricordo la sensazione delle sue piccole mani sulla mia schiena, le sue dita ferme e precise mentre cercava di estrarre il dardo dalla profondità della pelle.
Senza rendermene conto, stringo il bordo del lavandino con tanta forza che i tagli sulle nocche si riaprono, sanguinando copiosamente per l'ennesima volta e bruciando dolorosamente a contatto con l'acqua.
Ho passato l'intera notte a maledirmi per quello che ho fatto, a insultarmi in tutti i modi che conosco e a trovare nuovi insulti per punirmi ancora, uno spiacevole ma necessario mantra.

Alzo lo sguardo verso lo specchio nel momento esatto in cui, dall'altra parte dell'appartamento, sento degli incessanti colpi alla porta. Scorgo il riflesso della mia espressione sorpresa nello specchio, poi esco dal bagno, sforzandomi di leggere l'orario sull'orologio appeso alla parete. Riluttante, mi fermo in mezzo alla stanza, proprio nello spazio che separa i piedi del letto dalla parete alla quale è appesa la cornice che fino ad un giorno prima conteneva lo specchio, ora in mille pezzi sul pavimento. Chi è che può bussare alla mia porta all'una del tardo pomeriggio? Chiunque, naturalmente. Per un attimo dimentico che sono il Capofazione, e chiunque potrebbe volere il mio aiuto. Solo che nessuno lo fa mai, troppo intimidito per avvicinarsi a me.

Un'altra serie di colpi alla porta.
Per un malsano e folle istante il mio pensiero va ad Elizabeth, ma l'idea è talmente egoista che la scaccio via immediatamente. Una morsa di dolore mi attanaglia lo stomaco: forse, dopo poco meno di quarantotto ore di agonia, dovrei mettermi l'anima in pace e ponderare l'idea di ignorare l'accaduto. Ma come potrei mai ignorare il ricordo dello sguardo colmo di rabbia che incendiava il viso della Candida, e la sua espressione oltraggiata e ferita marchiata a fuoco nella mia mente? Come potrei mai dimenticare la sua voce rotta dal pianto nel momento in cui mi urlava di starle lontano?

"Andiamo Eric, mettiti un paio di mutante e apri questa dannatissima porta!" grida una voce divertita nel corridoio. Aggrotto la fronte, cercando di ricordare perchè quella voce suona familiare, non nuova alle mie orecchie.
Ancora esitante, apro la porta, e il volto barbuto e sorridente di un giovane uomo mi si para davanti. Daniel, nella mia mente il suo nome compare dopo alcuni secondi di confusione. L'Erudito ha i capelli mossi che gli ricadono sul viso, fermandosi poco sopra le spalle, sistemati in quella che vorrebbe essere una acconciatura ribelle, ma che gli occhi allenati del mio Erudito interiore riconoscono subito come una studiata scompostezza, una messa in scena per calarsi nel ruolo di un selvaggio Intrepido.

"Benvenuto." finalmente riesco a parlare, ma non mi sforzo neanche di non far sembrare il mio tono di voce meccanico e freddo. Il mio fastidio è talmente palese che fra le lunghe sopracciglia di Daniel compare un solco.
"Ragazzo mio, non hai idea di come sia bello vedere un volto amico dopo ore di vagabondaggio per la Residenza." il suo tono è sciolto, rilassato, decisamente lontano da quello studiato e distaccato degli Eruditi. "Sono arrivato un paio d'ore fa. Mi aspettavo che fosse Elizabeth ad accogliermi, ma mi sono accontentato di quel ragazzo, Quattro. Un nome così bizzarro rimane decisamente impresso, sai."

Quando pronuncia il nome della Candida, il mio cuore salta un battito. Se Elizabeth non è andata ad accogliere Daniel all'entrata, dove può essere ora? Con chi? Com'è possibile che non si sia presentata ad dare il benvenuto Daniel, uno dei suoi amici più stretti? Lo sai benissimo il perchè. Mi lascio sfuggire un gemito quasi sofferente, dovuto alla spiacevole sensazione che provo allo stomaco ogni volta che mi riviene in mente l'immagine di Elizabeth, e Daniel non nasconde la sua sorpresa quando mi passo una mano sugli occhi, cercando di reprimere l'impulso di scoppiare di nuovo in lacrime.
"Eric, è successo qualcosa fra voi due?" chiede preoccupato, ma prima che io possa rispondere -o meglio, non rispondere-, sento l'ex-Erudito trasalire. "Cosa diavolo ti è successo alla mano?" alza lo sguardo su di me, ed i suoi occhi si illuminano ancora di più quando notano lo sfregio sul lato del mio volto, a cui evidentemente prima non aveva fatto attenzione. "È un graffio, quello lì? Sembra piuttosto fresco... Sono un medico, o per lo meno lo ero, potrei anche..."

"Sto bene." sbotto, e l'Erudito sussulta. Sospiro, cercando di racquistare un minimo di controllo. Quando poso di nuovo lo sguardo su Daniel, cerco di modellare il mio tono di voce, tentando di avvicinarmi il più possibile ad un'intonazione amichevole. "Ti va... Di mangiare qualcosa?"
Più che una domanda, questa sembrava proprio una minaccia. Ma Daniel non sembra averlo notato, o se l'ha fatto ha deciso di ignorarlo saggiamente. Sorride ed il suo viso si rilassa.
"Sto morendo di fame." ride il giovane. È così strano vederlo nei vestiti neri e rossi degli Intrepidi, quando fino a pochi giorni prima era tutto avvolto in uno stretto camice da dottore.

Imbocchiamo il tunnel che porta alla grande mensa, e non appena entrati capisco subito che c'è qualcosa che non va. La sala è un ammasso di Intrepidi di tutte le età che schiamazzano eccitati, la maggioranza accalcata in un angolo della mensa, in mezzo alla quale scorgo soltanto una piccola sagoma scura muoversi rapidamente, una folta chioma che fende l'aria, un grugnito di dolore. Elizabeth. Il suo nome rimbomba ovunque, nella mensa, nel mio cervello, nel mio cuore.

Mi sento mancare d'un battito e, prim'ancora che il mio cervello possa elaborare queste informazioni, il mio corpo scatta in avanti in direzione della calca di Intrepidi. Sento Daniel imprecare dietro di me, mentre si affretta a seguirmi, scavalcando panche e tavoli con la curiosa e rispettabile urgenza che ha un fratello maggiore nello scoprire che è successo qualcosa alla sorella più piccola.

Accorciata la distanza fra me e la folla, sposto con una spallata un Intrepido, facendomi spazio tra la gente, allarmato ma allo stesso tempo curioso.
"Cosa diavolo succede qui?" grido, sovrastando il rumore della massa di Intrepidi, che però non accenna ad abbassare il volume della voce.
Ma non importa, perchè una volta riconosciuto il volto di una delle due figure, il mondo intorno a me sembra rallentare e contemporaneamente ammutolirsi di colpo. Elizabeth è in piedi, ansimante, i suoi capelli sono disordinati in un groviglio selvaggio, le gambe che le tremano; dalle sue nocche gronda sangue e sulla pelle pallida del suo viso spicca un livido all'altezza dello zigomo destro. Uno sguardo assassino accende il suo volto. Ai suoi piedi, Jonathan giace in posizione fetale e cerca invano di rialzarsi facendo leva sulle braccia. Ma la ragazza glielo impedisce, tirando un calcio al suo avambraccio e facendo così cadere nuovamente l'Intrepido, che sputa sangue sul pavimento sporco della mensa.

In un folle momento di confusione, mi riviene in mente il duello fra i due durante il primo modulo. Lo sguardo sicuro e pacato sul viso della Candida, quello determinato e oltraggiato su quello di Jonathan. In quel caso, Elizabeth stava lottando per vincere, ma ora mi rendo conto, con una tremenda scossa di panico, che la ragazzina ha lo stesso sguardo paonazzo di quando, nella sua prima Simulazione, ha dovuto uccidere il suo assalitore per poter sopravvivere. Puro odio condensato in due iridi che mai prima d'ora sono sembrate più rosse.
Mi guardo intorno, e non riconosco nessun altro volto familiare. Dove diavolo è Quattro? E soprattutto, dove si è cacciato quel decerebrato di Samuel, che dovrebbe teoricamente essere l'angelo custode di Elizabeth?

Jonathan alza lo sguardo sulla Candida, uno sguardo spaventato che implora pietà. Elizabeth non sembra essere toccata da quella tacita richiesta, e al contrario sta per assestare un altro calcio, questa volta mirando al viso già martoriato di colpi dell'Intrepido.

Ma il piede della ragazza viene sollevato da terra prima che possa colpire il volto dell'avversario, e l'imponente figura di Daniel si materializza dietro di lei. L'Erudito l'ha bloccata per le spalle e l'ha sollevata, allontanandola dal ragazzo e tenendosela al petto come se potesse scappare ancora. Elizabeth, per tutta risposta, non sembra gradire l'intervento dello sconosciuto alle sue spalle. Scalcia per pochi secondi, poi, voltandosi, pare calmarsi. Un feroce, famelico, tagliente sorriso si apre sul suo viso come una ferita sanguinante, l'espressione stralunata e soddisfatta che farebbe impallidire il Maligno in persona.
Quattro giunge sul posto immediatamente, correndo fra i tavoli della mensa ed evitando di travolgere qualche Intrepido per miracolo, seguito a ruota da un Samuel sudato in viso ed Alice, affaticata dalla corsa e anche dallo spavento.

Il Rigido si affretta a crearsi un varco fra la folla, e si precipita a sollevare il corpo inerme di Jonathan dal pavimento, caricandoselo sulla spalla, proprio come quel giorno del primo modulo. Quattro cerca di ottenere dall'Intrepido risposte, invano, mentre il Candido e la Pacifica corrono da Elizabeth, ancora stretta nell'abbraccio di Daniel, impegnata nel tentativo di rompere quella gabbia di carne e muscoli.

"Forza, andatevene!" sbraito furioso tutto d'un tratto, risvegliato improvvisamente da un profondo senso di responsabilità da Capofazione. "Lo spettacolo è finito, tornate ai dormitori!"
Qualche mormorio contrariato o deluso si solleva dalla folla, ma in pochi minuti la mensa viene sgomberata, ed i rimanenti si riducono ad una serie di volti che, per fortuna, mi sono tutti familiari.
Quattro è piegato sul corpo di Jonathan, appoggiato alla parete, a sua volta affiacato da Richard, l'Erudito dagli occhi verdi ed innocenti ora pervasi da un'angoscia palese.
Dall'altra parte, come due squadre opponenti su un ring, Daniel sta ancora stringendo Elizabeth -leggermente più calma- in una morsa ferrea. Il Candido si tiene la spalla, un'espressione dolorosa dipinta in volto, mentre la Pacifica è così pallida che sembra aver smesso di respirare da vari minuti.

Rimango immobile, incapace di credere a quello a cui ho appena assistito. Certo, non è la prima volta che vedo qualcuno combattere all'ultimo sangue, ma non pensavo Elizabeth fosse capace di una tale forza bruta, nè tanto meno riesco a capacitarmi di aver visto quello sguardo omicida nei suoi occhi che una volta erano soliti essere dolci e mansueti.
E sono proprio gli stessi occhi che per un istante incontrano i miei, un instante durante il quale il mondo mi sembra crollare addosso, oppure implodermi nel cuore. Non è lo stesso sguardo di due notti fa, terrorizzato dalla mia presenza e desideroso di scappare. Al contrario, sembra che la sua espressione venga accesa da una nuova furia pazza ed incontrollabile, e internamente ringrazio le possenti braccia di Daniel che ingabbiano quella letale bestia e la tengono lontana da me.
Perchè quella non è più Elizabeth, non adesso almeno, ma una forza della natura capace di ridurre un ragazzo il doppio di lei in grumi di sangue e vestiti fatti quasi a brandelli.

Riacquistata lucidità, decido di accantonare la questione e di dirigermi in aiuto della giovane vittima dell'ira della Candida. L'Intrepido ha la schiena appoggiata al muro e sta tentando di spiegare a Quattro quanto accaduto, ma ogni tanto si interrompe, soffocato dal suo stesso sangue.
"...spinto al muro, e ha cominciato col tirarmi un pugno in faccia." sta dicendo il biondo "Ho cercato di reagire, colpendola in viso a mia volta. Ma che sia maledetto, ho peggiorato le cose. Mi ha colpito allo stomaco, sono caduto per terra e sono riuscito ad alzarmi solo una volta. Elizabeth mi ha strattonato per la maglietta finchè non mi sono ritrovato sul pavimento di nuovo." spiega, con la voce rauca e una chiara manifestazione di dolore attraversa il suo volto martoriato di botte. "Non mi sono più rialzato." conclude a voce molto più bassa, come se se ne vergognasse.

Jonathan incrocia il mio sguardo per un attimo, e i suoi occhi chiari sono attraversati da un sinistro baluginio, come se volesse comunicarmi qualcosa senza usare le parole. E se non può dire ad alta voce ciò che sta pensando, vuol dire solo una cosa: ci sono molti altri particolari che l'Intrepido ha omesso, e dal suo sguardo mi sembrano terribilmente cruciali.
"Non riesce a muovere la gamba." mormora improvvisamente Richard, allarmato da un sibilo di dolore del suo compagno. "Credo che sia rotta, e il braccio è in una posizione inn-"

"Dove diavolo eri quando tutto questo è successo, Quattro?!" gli sibilo contro, spezzando la frase dell'Erudito a metà, che sussulta e serra la mascella intimorito. "Non dovevi essere in mensa con gli iniziati? Dove diavolo sono finite le tue priorità?!"
"Le mie priorità?!" ripete a dir poco indignato il Rigido, rosso in viso per la rabbia. "Io oggi non ero in mensa solo perchè ero in Sala Simulazioni, a fare il tuo lavoro, dal momento che ti sei chiuso in camera per quasi due giorni e non uscivi neanche per svolgere il tuo dovere!" grida, così forte che anche gli altri, Elizabeth compresa, alzano lo sguardo verso di lui. "E mentre io ti sostituivo sono stato chiamato da Samuel e Alice, che mi hanno supplicato di intervenire in una rissa tra questi due perchè non ti trovavano da nessuna parte! E ringrazia che sia giunto io sul posto, perchè non sembrava tu fossi intenzionato a fare qualcosa per dividerli!"

"Al diavolo, Quattro!" sbotto in risposta, e spingo furioso l'Abnegante, facendogli perdere l'equilibrio e quindi sbattere addosso al muro accanto a Jonathan. "Vado a portarlo in infermeria." dico, sollevando l'Intrepido da terra e aiutandolo a non cadere. Mi avvicino a Quattro, che intanto si è alzato in piedi, i nostri visi a così poca distanza che posso sentire il calore della sua rabbia come se fosse il mio. "E tu, Rigido, togliti dalla testa di poter rivolgerti a me usando quel tono. Ricorda che sono il tuo Capofazione, e sono a conoscenza di cose che non vuoi che venghino divulgate nella Residenza, Eaton." sibilo, in modo che mi possa sentire solo il diretto interessato.
Quattro sembra diventato di marmo, bianco come un cencio e improvvisamente silenzioso. Dopo avergli lanciato un'ultima occhiata disgustata, faccio per dirigermi fuori dalla mensa, con Jonathan che quasi non si regge in piedi abbandonato sul fianco, quando sento Elizabeth sibilare un "E lasciami!" indignata.

Mi volto appena, vedendo la ragazza divincolarsi dalla presa di Daniel in un ultimo scatto d'ira. L'ex-Erudito la guarda, poi fa per seguirmi verso l'infermeria, ma la Candida lo blocca per un braccio, gli occhi fissi su di me. Sento Jonathan mormorare qualcosa ma, prima che possa chiedergli di ripetere, Elizabeth si fa sentire alle mie spalle.
"Lasciali andare da soli, Daniel." dice, la voce divertita ma che fa fatica a nascondere una sfumatura di collera. "Hanno molte cose da dirsi."
Per poco non perdo la presa su Jonathan e non lo faccio rovinare sul pavimento. Cerco di ignorare ciò che ha detto la ragazza, anche se nel mio petto si sta contorcendo un'ansia crescente che non accenna a sparire.

Affretto il passo e, quando ci troviamo fuori dalla portata d'udito degli altri, mi volto furibondo verso l'Intrepido che sembra perdere i sensi ad ogni metro.
"Che cosa è successo, in nome di Dio, dimmi cosa diavolo è successo!" esplodo, scaraventando Jonathan nella piccola infermeria di servizio e sistemandolo con poca gentilezza su uno dei lettini mal ridotti.
"Vacci piano, cazzo! Quella psicopatica mi ha quasi rotto una gamba!" si lamenta a gran voce il biondo, appoggiando con fatica la schiena sui cuscini.
"Ti romperò anche l'altra, se non mi dici come sono andate le cose." ringhio a pochi metri dalla barella, minacciando di saltargli addosso per finire ciò che Elizabeth ha cominciato.

Dal carrello dei medicinali abbandonato lungo la parete afferro la prima cosa che mi ispira professionalità, una boccetta di quelli che sembrano antidolorifici, anche se non saprei dire con certezza, dal momento che manca di un'etichetta di qualsiasi tipo. La fisso per qualche istante, come se improvvisamente potesse animarsi e parlarmi, esprimendo il suo totale disaccordo. Non dovresti far ingerire pasticche dall'effetto ignoto ad un adolescente dolorante, mi avverte la vocina nella mia testa. Ma io non sono un medico e non mi importa più di tanto della salute di Jonathan, quindi gli porgo con poca pazienza la boccetta dal vetro arancione e il ragazzo ingerisce una pasticca con un po' di esitanzione.

"Ho già detto tutto." borbotta appena ingoiato il medicinale, quasi non lo possa sentire.
"Non tutto." lo correggo "È successo altro, qualcosa che non potevi dire di fronte agli altri."
Il ragazzo sospira tremando, e si passa una mano sporca di sangue fra i capelli, macchiando i suoi ricci biondi di macchie scure e fresche della lotta da poco conclusa.
"Non ti piacerà..." piangnucola, ed io resisto all'istinto naturale di tirargli un ceffone in pieno viso. Afferro uno sgabello e mi ci abbandono di peso. Non è saggio, da parte sua, disobbedirmi quando sono a tanto così dalla sua unica gamba sana.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, Jonathan annuisce riluttante e comincia a parlare, la voce carica di esitazione, mentre si passa un asciugamano bagnato sul viso.

"Elizabeth mi ha sorpreso nel tuo appartamento." la sua voce tremante è ovattata dal cotone dello straccio. "Quando te ne sei andato io... Ero tremendamente sotto pressione, ero in un bagno di sudore, facevo fatica a respirare... Ho pensato di farmi una doccia veloce, per lavare via l'ansia, ma poi me ne sarei andato immediatamente, giuro! È solo che... Ecco... Ho scelto il momento sbagliato." l'Intrepido sembra avere intenzione di troncare la spiegazione lì, con il viso rosso di vergogna e lo sguardo basso, ma la mia espressione è abbastanza truce da convincerlo a cambiare idea.
"Mentre ero sotto l'acqua ho sentito prima bussare. Chiaramente non ho risposto, mi sono detto <<Se è Eric, avrà sicuramente le chiavi>>."
"Come sei intuitivo." ringhio, sporgendomi in avanti sullo sgabello. Nonostante stia ostentando indifferenza, non posso negare che ad ogni parola dell'interno il mio cuore salta un battito, minacciando di fermarsi da un momento all'altro.

"E allora ho sentito qualcuno smanettare con la serratura. A quel punto ho tirato un sospiro di sollievo, ho arraffato un asciugamano alla svelta e sono uscito dal bagno, convinto che, una volta girato l'angolo, avrei visto te. Be'... Dire che il cuore mi si è arrestato di colpo è dire poco." accenna una risata allo spiacevole ricordo, ma io lo fulmino con lo sguardo, esortandolo a continuare. "Elizabeth era sulla soglia della porta, il coltellino con il quale ha manomesso la serratura in una mano, ed io ero di fronte a lei con solo un misero straccio a coprirmi le parti basse. Mi ha immediatamente chiesto cosa ci facessi là, mezzo nudo, con i miei vestiti sparsi per terra. Io ero senza parole, non riuscivo neanche a pensare, figurati a risponderle. Chissà cosa Cristo ha pensato!" sbotta all'improvviso.
"Che sei la puttana della Residenza, ecco cosa." rispondo io, il cuore paralizzato e la gola secca. "Con validissime ragioni."

"Sta di fatto che, prima che quel coltello mi volasse contro, ho arraffato i miei vestiti e le sono schizzato accanto, dandomela a gambe come se fossi inseguito da un branco di cani con la rabbia. Praticamente mi sono vestito nei tunnel." Jonathan ignora il mio insulto, sul suo viso aleggia un sorriso divertito che non fa altro che mandarmi su di giri. "L'ho sentita gridare alle mie spalle, mi assicurava che mi avrebbe spezzato le gambe, e che era una promessa. Ero terrorizzato, mi sono rifiugato in dormitorio per ore. Non mi sono neanche sottoposto al mio Scenario, quel pomeriggio, per paura di ritrovarla in Sala Simulazioni. Sono rimasto con Richard finchè non è cominciata la festa, solo allora sono uscito per andare a bere, sebbene mi sentissi ancora in pericolo. Ho intravisto Elizabeth alla festa e mi sono mantenuto ad almeno venti metri da lei. Dopo un po' è sparita, pensavo fosse con te. Solo che quella notte la ragazza non è rientrata, Samuel l'ha cercata in ogni angolo della Residenza, ma non l'ha trovata da nessuna parte."

Deglutisco a vuoto, sentendo quelle parole. Dopo quello che è successo nel mio appartamento, evidentemente Elizabeth non si è ripresentata alla festa, e non era neanche nel dormitorio. E se Samuel, la persona che più tiene a lei a questo mondo -forse anche più di me-, non è riuscito a stanarla, vuol dire solo una cosa: la Candida non è rimasta nella Residenza, la notte della festa, e di sicuro non voleva essere trovata. Un brivido mi paralizza il corpo, ed io cerco di dissimulare un gemito di frustrazione schiarendomi la gola.
"Ora, io quella notte ero ubriaco da fare schifo, ma ricordavo perfettamente cos'era successo con la Candida, e mi sono guardato bene dal presentarmi in mensa il giorno dopo. Però sono venuto a sapere che Elizabeth non era stata vista neanche quel giorno, e allora ho deciso di uscire dal dormitorio, fare le Simulazioni, allenarmi, tornare a dormire. Elizabeth non era neanche in Sala, ed io mi ero finalmente abituato a quella situazione di inspiegabile tranquillità."

"Fino ad oggi, almeno." continua, nel suo tono di voce c'è una nota di pentimento, stroncata immediatamente da una risata appena accennata. "Stavo mangiando al nostro solito tavolo, dove l'atmosfera non era delle migliori: Samuel era a dir poco in ansia -nonostante Alice cercasse di rassicurarlo- considerato che non vedeva Elizabeth da più di un giorno e non ne aveva notizie, Quattro non era neanche presente, Richard ed io cercavamo di intavolare un discorso, ma la tensione era così palpabile che non ci abbiamo neanche provato più di tanto. E poi..." la voce di Jonathan si abbassa, ed il ragazzo scuote la testa, ancora visibilmente scosso. "...È successo tutto in un attimo. Mi pareva che l'intera mensa si fosse zittita quasi di colpo."

"Poi ho visto Alice sbiancare, Samuel alzarsi di colpo imprecando e Richard farfugliare il mio nome in preda al panico. Ripeto, è accaduto tutto in una frazione di istante, quindi ero troppo confuso per capire il perchè delle loro reazioni. Poi ho sentito una mano piccola ma salda che mi afferrava per il colletto e mi tirava all'indietro, scaraventandomi sul pavimento, e allora non ho avuto più dubbi, ed ho cominciato a pregare."

"Le ho chiesto cosa stesse facendo, e lei mi ha semplicemente risposto che stava mantenendo la promessa." l'Intrepido rabbrividisce al ricordo, sibilando per il dolore e tenendosi la gamba. "Quando poi ho alzato gli occhi e ho visto il suo sguardo... Diamine, ho inventato divinità inesistenti solo per poter implorare loro pietà. Sapevo che Elizabeth era abbstanza forte da farmi del male, l'aveva già fatto in precedenza, ma questa volta era diverso. Era semplicemente su tutte le furie, ed il fatto che ero stato io a renderla così non ha fatto altro che alimentare il mio senso di impotenza e terrore. Samuel ha cercato di fermarla, ma lei l'ha spinto con forza animalesca contro il muro, penso che il Candido si sia lussato una spalla."

Ricordo l'espressione dolorante di Samuel mentre si teneva la spalla, fissando Elizabeth con stupore e forse anche disappunto. Scuoto la testa, incapace di credere che la Candida tanto affettuosa che conoscevo è stata capace di una brutalità simile.
"Poi siete arrivati tu, Quattro e quel gran pezzo di Intrepido con la barba. Me lo devi assolutamente presentare, dovrei ringraziarlo per aver fermato Elizabeth." Jonathan ride, i denti sporchi di sangue che appena brillano sotto le luci al neon. "E lo spettacolo è finito, come hai detto tu."

A racconto finito, mi concedo qualche secondo per processare tutte quelle informazioni. Fisso l'Intrepido con occhio critico, come se sospettassi che mi abbia appena detto una colossale fesseria. Ma dal suo sguardo spaventato malamente nascosto dietro un'espressione divertita, capisco che ciò che ha detto è la pura verità, e che se ora Jonathan è su questa barella con una gamba gravemente compromessa è solo colpa mia. Perchè ho permesso che lui entrasse nel mio appartamento, perchè non ho ascoltato Elizabeth quando, quella notte, mi ha chiesto di parlarne e di fare chiarezza, perchè ero troppo ubriaco per ragionare ed evitare che anche l'ultimo nervo della ragazza saltasse e provocasse questo guaio di dimensioni bibliche.

La risata limpida del giovane mi risveglia dai miei pensieri autocommiseratori, e neanche scoccandogli un'occhiataccia riesco a frenare il suo divertimento. Jonathan si tiene la testa fra le mani, come se potesse nascondere il suo sorriso divertito dietro le dita lunghe e affusolate.

"Come diavolo fai ad essere così tranquillo? A ridere scherzare in questo modo su quello che ti è successo?" chiedo contenendo a stento la rabbia, il tono così basso che ricorda più un rauco ringhio cagnesco che una voce umana.
"Perchè è passato. Elizabeth ha mantenuto la sua promessa, ed ora mi lascerà in pace fino alla fine dei suoi giorni. Certo, mi odia a morte e vorrebbe vedermi in fondo allo Strapiombo, ma finchè mi starà lontana io sarò tranquillo. Sei tu, ora, quello che dovrebbe temere la sua furia distruttiva." risponde con tono teatrale, puntandosi un dito davanti alla faccia come a dire <<È così che ti ridurrà>>.

Sto per alzarmi dallo sgabello ed avvicinarmi al tavolo di metallo dei medicinali, con l'intenzione di scaraventarlo contro l'Intrepido, quando la porta dell'infermeria si apre cigolando.
Mi giro di colpo, terrorizzato, aspettandomi di vedere Elizabeth con una pistola per mano puntata verso entrambi, e sono immensamente sollevato quando riconosco il viso barbuto di Daniel, ora tormentato da un'espressione pensosa, che fa capolino nella piccola stanza male illuminata dalle lampade al neon.
Jonathan ride, uno sbuffo d'aria appena udibile, nel vedere l'ex-Erudito che fino a poco prima era stato soggetto di velati complimenti.
"Ed ecco il mio salvatore!" esclama allargando le braccia. Il ragazzo, da che lo conosco, è sempre stato un insopportabile sbruffone. Ma ora c'è qualcosa, in quella confidenza che non gli si addice per niente, che comincia a far nascere in me qualche dubbio.

E Daniel deve pensare lo stesso, perchè mi guarda con aria interrogativa, quasi a chiedermi "Dovrebbe stramazzare a terra dal dolore, perchè è così allegro?". Ma la sua domanda esce in una forma diversa mentre si avvicina alla barella del malcapitato.
"Cosa gli hai somministrato?" chiede diffidente, con quel tipico tono freddo che hanno i dottori, guardando Jonathan come se fosse la prima volta che vede un ragazzo pieno di lividi e sangue.
"Uh, una di queste." rispondo prendendo la boccetta arancione dal carello delle medicine che stavo per ribaltare.
Daniel la osserva da vicino, e le sue sopracciglia schizzano in alto non appena riconosce il contenuto della bottiglietta.

"È un nuovo medicinale, è stato inventato da poco, ecco perchè non c'è l'etichetta. È un tranquillante, che ha anche le proprietà lenitive di un antidolorifico..."  spiega lentamente "...Alterato con del Siero della Pace." conclude, lanciando occhiate preoccupate al biondo sulla barella, che sta alzando le braccia in aria, esultando come se avesse appena vinto uno scontro immaginario. "Eravamo scettici a riguardo, ma a quanto pare funziona... Anche se ha effetti collaterali."
"Di che stai parlando?" chiedo a dir poco confuso.
"A Jeanine piace fare esperimenti, ultimamente, e ha assegnato a noi studenti di medicina il compito di creare delle pasticche simili. Ci ha detto che è una prova, un giorno creeremo qualcosa di grande, dice lei." mormora, più rivolto a sè stesso che a me. "Ma ora non preoccuparti, sono ancora un medico, ci penserò io a lui. Tu... Dovresti andare in mensa, gli altri sono ancora di là, mi hanno mandato a cercarti." pronuncia l'ultima frase esitando, ed io capisco al volo che con "gli altri" si riferisce ad Elizabeth.

"Il dottor Sexy finalmente mi visita!" urla Jonathan al settimo cielo, provocando in Daniel una reazione che, se non fosse per le circostanze drastiche, sarebbe quasi divertente.
"L'avevo detto, io, che il Siero della Pace era una pessima idea." lo sento bofonchiare contrariato mentre esco dall'infermeria.
Esitando, mi dirigo verso la mensa, a passo lento e diffidente. Elizabeth non ha fatto altro che evitare me e qualsiasi altro contatto umano per quasi due giorni, per quale motivo ha intenzione di parlarmi proprio adesso, specialmente dopo il brutale scontro con Jonathan? E soprattutto, non capisco di cosa voglia parlare, perchè su quello che è successo c'è ben poco da dire.
Inoltre, anche se mi costa un po' del mio orgoglio ammetterlo, l'attuale Elizabeth, quella che è stata capace di ridurre Jonathan ad un invalido, mi intimorisce non poco.

Prendo un profondo respiro prima di mettere piede in mensa, che mai prima d'ora mi è sembrata più deserta. Prima ancora di accorgermi di alcune figure sedute ad un tavolo, sento la voce alterata di Samuel rimbombare fra le pareti della grande sala, e solo dopo vedo la sua sagoma massiccia in piedi di fronte ad una più piccola. Elizabeth è seduta al solito tavolo, la schiena ricurva e l'espressione dolorante che ha sostituito lo sguardo selvaggio di qualche minuto prima. Sul tavolo c'è una bottiglia dalla forma strana piena di un liquido che sembra tè freddo, ed Elizabeth ne sta torturando il tappo, con aria assente, ignorando la predica del suo amico Candido.
Quattro le è seduto accanto, lo sguardo perplesso fisso sul liquido scuro, ma Elizabeth non presta attenzione neanche al suo istruttore.

Non appena entro nel suo campo visivo, la Candida raddrizza la schiena, ed il suo sguardo si assottiglia, nascondendo qualsiasi traccia dell'espressione sofferente che aveva fino a pochi secondi fa. Se prima stava ascoltando anche in minima parte il discorso di Samuel, ora sembra concentrata solo su di me, che mi avvicino al tavolo sempre più riluttante.
"...hai superato ogni limite! Ma cosa diavolo avevi in mente, Elizabeth?! Non ti fai vedere un giorno intero e poi fai queste scenate? L'hai ridotto a brandelli davanti a tutti, senza neanche un motivo valido!" sta gridando Samuel, e a quell'ultima frase Elizabeth gli scocca un'occhiata talmente tagliente che il Candido ammutolisce all'istante.
"Se l'ho fatto, avevo un motivo. Adesso smettila, non sei Julia, evita di farmi la ramanzina su ogni cosa che faccio." mormora, accompagnando le parole con un gesto seccato della mano.

"Tu chiaramente non ti rendi conto di ciò che hai fatto! Ringrazia che Quattro ed Eric siano nostri amici, altrimenti tu saresti già-"
"Diamine, Samuel, devi proprio amare il suono della tua voce. Non stai zitto neanche un secondo." sbotta la ragazza, troncando finalmente la discussione prima che io giunga al tavolo.
Tutti si voltano quando mi sentono arrivare, ed io rabbrividisco nel vedere l'espressione dura e impassibile della ragazza mentre posa lentamente sguardo su di me. Quattro si irrigidisce, raddrizzando la sua postura e lanciandomi quello che mi sembra essere uno sguardo di sfida. Samuel non reagisce al mio arrivo, ma si mette una mano a reggersi la spalla e volta la testa da un'altra parte, quasi non possa sentirlo sibilare di dolore.

"Quattro, porta Samuel in infermeria: Daniel saprà cosa fare con la sua spalla." dico, gesticolando in direzione del Rigido, che non sembra contento di dover eseguire i miei ordini. Borbotta qualcosa quando fa segno a Samuel di seguirlo, ma io non gli presto attenzione, troppo impegnato a studiare il viso pallido della Candida, sul quale spicca un livido scuro, come un'improbabile viola in un campo di margherite.
Quando i due ragazzi scompaiono fuori dalla mensa, Elizabeth mi fa segno di sedermi di fronte a lei mentre mi versa in un bicchiere una generosa quantità di tè. Lo fa scivolare sul tavolo in mia direzione, con lentenza straziante, senza staccare gli occhi da me. Il suo sguardo si rabbuia.

"Cos'è?" chiedo diffidente, fissando il liquido scuro nel bicchiere di vetro.
"Puoi berlo, o oppure no." svia lei "Sappi che abbiamo molto di cui parlare, quindi... A te la scelta."
Afferro il bicchiere, lanciandole uno sguardo interrogativo da sotto le ciglia: c'è qualcosa, nella sua attesa silenziosa, che fa nascere in me parecchi dubbi.
"Tu non lo bevi?" do voce ai miei pensieri, e la sua risposta è una sincera risata che non può celare una sfumatura tetra e indecifrabile.
"No, no, io sto benissimo senza."

Dopo un'ultima occhiata diffidente, mi decido a mandare giù il contenuto del bicchiere, fastidiosamente caldo e dal sapore amaro, e sento Elizabeth tirare un sospiro di sollievo. Mi rendo immediatamente conto che non è tè, forse liquore, o una particolare marca di birra. Un'espressione contrariata mi si forma in viso, suscitando una contenuta ilarità in Elizabeth, che richiude la bottiglia e la mette da parte. Alcool, penso, almeno sono pronto per affrontare la conversazione.

"Può bastare, penso che dovresti imparare a non alzare il gomito più di tanto." la frecciatina mi colpisce dritto al cuore, impedendomi di rispondere. Non che abbia qualcosa da dire, dopotutto. Elizabeth, però, sta sorridendo, ma nel suo sorriso c'è qualcosa di profondamente sbagliato, come se non le appartenesse. "Ora, Eric, parliamo."

Annuisco, senza staccare gli occhi da lei, ma improvvisamente non mi sento più in grado di sostenere questa discussione, perchè la vista mi si annebbia e la testa si allegerisce di colpo, come se in un istante avessi dimenticato tutto ciò che so. I miei sensi vengono attutiti da un'inspiegabile senso di smarrimento, tant'è che persino il silenzio di tomba della mensa mi sembra troppo da sopportare. Guardo il bicchiere vuoto davanti a me, quasi mi aspettassi di sentirlo parlare e darmi una spiegazione a quello che mi sta succedendo. Cosa diavolo c'era in quella bottiglia, e perchè la Candida non è allarmata come lo sono io?
"Elizabeth, cos'hai..."

Tutto sembra diventare nero per un istante impercettibile, ma subito mi riprendo, la testa leggermente meno pesante.

Mi guardo intorno e comincio a sudare, perchè non ricordo nè che posto è questo, nè come ci sono finito, nè il motivo per cui sono qui.
"Cominciamo con le cose facili." una voce profonda e vagamente familiare calma il battito accellerato del mio cuore. "Come ti chiami?"
"Eric." rispondo prima di poter anche solo elaborare la domanda, riportando immediatamente lo sguardo sulla ragazza seduta di fronte a me. "Eric Coulter."
"Bene, Eric, hai una vaga idea di quello che ti sta succedendo?" nella sua voce c'è una nota di preoccupazione.
"No, e ne sono spaventato."

Come, prego? Da quando in quando ammetto ad alta voce di essere terrorizzato da qualcosa? E, soprattutto, da quando parlo senza prima aver pensato alla risposta?
"Non devi essere spaventato, finirà fra pochi minuti." mi tranquillizza la ragazza "Ma dimmi, sai chi sono io?"
"Certo che lo so!" sbotto infastidito, incapace di frenare la lingua. "Sei Elizabeth Ride, eri la mia fidanzata, fino a qualche giorno fa."
La ragazza sembra irrigidirsi, uno spasmo le serra la mascella in un'espressione di spiacevole sorpresa.
"Di questo parleremo a breve, ti va, Eric?"
"Non proprio." mormoro, le mani che stringono il bordo del tavolo. "Preferisco non parlarne mai più."

"E allora parliamo di Jonathan." insiste, e al mio grugnito di disapprovazione la sua voce sembra addolcirsi in maniera quasi impercettibile, conservando però il suo tono di voce autoritario. "Eric, so che sei confuso. Tra pochi minuti starai meglio. Stiamo solo chiaccherando, io e te, meno resisterai, più facile sarà per entrambi."
Non mi sento esattamente a mio agio, in questa nostra chiaccherata, ma la sua voce è così sicura e calma che non posso fare altro che crederle. Anche perchè la mia bocca decide di parlare, ancora una volta, senza il consenso del mio cervello.
"Non voglio parlare di Jonathan." ammetto, ed una scossa di dolore mi attraversa il corpo. Sibilo, forse impreco anche, e dall'espressione di Elizabeth capisco che ho detto qualcosa che non l'è piaciuto.

"Eric Coulter, ora mi devi dire cosa ci faceva Jonathan mezzo nudo nel tuo appartamento." il suo tono di voce è severo e mi dà l'impressione che se le dicessi qualcosa di sgradevole lei si potrebbe arrabbiare ancora di più. In qualche modo riesco a frenare le parole poco prima che escano fuori dalla mia bocca, ma un'altra scossa di dolore mi fa strabuzzare gli occhi, il sudore sulle tempie per lo sforzo.
"Più ti opponi, più dolore proverai." spiega "Ormai il danno è fatto, Eric, ed io voglio sapere come sono andate le cose per filo e per segno. Lo voglio sapere da te, e da nessun altro."

"Ho sedotto Jonathan." sbotto, e subito mi sento sollevato nel percepire il dolore che si allevia. "In palestra. È cominciato tutto da lì: sapevo che era gay, e che aveva un debole per me, stranamente. Ho fatto finta di provarci con lui, e alla fine l'idiota mi ha baciato. Cristo, mi ha baciato! Comunque sia, poi l'ho minacciato, promettendo di spifferare tutto a tutti se non avesse smesso di darti rogne. Avrei potuto semplicemente minacciarlo di rivelare a Max di essere un Divergente, risparmiandomi la disgustosa effusione, ma sapevo perfettamente che, per lui, mantenere la sua omosessualità segreta era ben più importante che tenere sua Divergenza a riparo da orecchie indiscrete. Per me è finita là, ma a quanto pare per Jonathan no. Il giorno dell'assemblea è venuto nel mio appartamento, ha cercato di baciarmi di nuovo, ma io gli ho tirato uno schiaffo. L'avrei buttato fuori dalla camera immediatamente, se non fosse arrivato Max a dirmi che dovevamo andare. Gli ho intimato di uscire dalla finestra non appena mi fossi allontanato, invece l'idiota con gli ormoni in subbuglio ha deciso di farsi una doccia. Poi sei arrivata tu, il resto lo sai."

Il silenzio che segue è drammaticamente inquietante. Elizabeth mi guarda ansimare per lo sforzo senza battere ciglio, penserei che non abbia sentito la mia straziante confessione, se non fosse per le sue sopracciglia aggrottate e l'espressione che oscilla fra l'incredulità, delusione e rabbia.
"Ti è piaciuto?" chiede improvvisamente, lasciandomi senza parole.
"Come?"
"Il bacio. Ti è piaciuto, sì o no?" ripete, e questa sembra più una domanda disperata che una curiosità.
"Certo che no! Io non sono gay!" esclamo oltraggiato, e lei quasi tira un sospiro di sollievo.

"Quindi l'hai fatto per me."
"Sì."
"Se potessi tornare indietro, lo rifaresti?"
"No."
"Come mai?"
"Perchè è stato questo, anche se in minima parte, ad allontanarti da me, ed era un peso che a malapena sopportavo. Poi c'è stato quello che ho fatto in balìa dell'alcool, e penso di averti persa per sempre, penso che non ci sia più possibilità di riaverti con me. Mi odio per quello che ho fatto, ma non posso rimediare, e questo mi sta facendo impazzire."

Mi impongo di guardarla negli occhi, quei suoi splendidi occhi del colore del tramonto estivo che ora brillano per le lacrime imminenti.
"Non posso neanche pensare di poter vivere un altro giorno senza averti al mio fianco, non posso ritornare a essere quello che ero prima di conoscerti. Non voglio. Io ti amo, Elizabeth Ride, ed ho bisogno di te."
"Saresti disposto..." prova a chiedere, ma la voce le esce rotta, quasi spezzata dalle lacrime. "Saresti disposto a qualsiasi cosa, pur di riavere la mia fiducia?"
"Qualsiasi cosa." mi affretto a rispondere, prima che possa cambiare idea.

"E allora voglio che mi porti nel tuo Scenario della Paura, mi sembra equo, dal momento che tu conosci il mio a memoria." si sporge verso di me, la voce ridotta ad un sussurro. "Conosco già la tua paura all'obbedienza, ma il resto... Odio ammetterlo, ma molti aspetti di te restano per me un mistero. Voglio vedere di cos'hai paura, Eric."
"No." gemo sconsolato, scuotendo la testa. "Non posso, Elizabeth, non posso, non posso."
"Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa. Riguadagnerai la mia fiducia, ma devi lasciarmi entrare qui dentro." dice, puntandomi l'indice sulla fronte.
"Devi promettermelo." riesco a formulare, aiutato anche dalla consapevolezza che l'effetto di quel liquido sta svanendo gradualmente.

Elizabeth esita, storcendo le labbra come fa quando sta pensando intensamente, ma io non le lascio il tempo di rispondere e le porgo la mano, continuando a guardarla negli occhi come se potessi convincerla a sugellare il nostro patto. La Candida sembra sorpresa di questa mia iniziativa, ma dopo pochi secondi di indecisione ricambia la stretta di mano, ed il contatto diretto con la sua pelle calda sembra spazzare via le ultime note di stordimento rimaste in me.
Chiudo gli occhi e sospiro, cercando di riacquisire il controllo della mia mente e, soprattutto, della mia dannatissima bocca. Quando li riapro, guardo Elizabeth, che ora sembra avere un'espressione meno sicura, più umana.

"Siero della Verità." dico, processando le informazioni di quanto è accaduto pochi secondi fa. Sbuffo contrariato e le sorrido in maniera talmente falsa che una punta di dispetto le compare sul viso pallido e incerto. "Pensavo potesse essere assunto solamente in endovena. Ma soprattutto... Da dove diavolo l'hai recuperato?"
"È una nuova soluzione, si può bere, pensa un po'." mormora lei, ignorando completamente la mia domanda, il suo tipico tono di sfida accende in me una rabbia che so di dover controllare, se voglio evitare di rovinare l'ultima possibilità che ho di recuperare il nostro rapporto.
"Lo sai, vero, che non avevi il diritto di somministrarmelo?" cerco di contenermi, ma ad ogni parola che pronuncio mi sembra di perdere la calma in maniera incontrollabile.

"Non è che io ti abbia forzato." si difende Elizabeth "Ti ho dato due possibilità. <<Puoi berlo, o oppure no.>>, ti ho fatto anche scegliere!"
"Voi Candidi siete sadici ingannatori!" sbotto arrabbiato, ma non troppo "Pensavo fosse alcool! Ero convinto volessi prepararmi al tuo discorsone!"
"Te lo ripeto, penso che tu debba allontanarti dall'alcool per un bel po' di tempo."

Per l'ennesima volta, non riesco a fare altro che rimanere in silenzio di fronte a quel suo riferimento poco velato, limitandomi ad abbassare lo sguardo sulle nostre mani ancora allacciate sopra il tavolo della mensa. Fisso intensamente le sue nocche, ancora livide per i colpi scaricati contro Jonathan, e le mie, scorticate dai tagli intorno ai quali spicca del sangue raggrumato.
Ma prima ancora che i miei pensieri comincino a divagare, Elizabeth ritira la mano dalla mia, facendo scivolare le sue dita sul banco di legno con un unico movimento lento e cauto, quasi potesse spaventarmi.
"Forza, andiamo." dice, alzandosi, senza staccare gli occhi da me. "Prima che uno dei due cambi idea."


 

Angolo dell'autrice:

Ma buongiorno/buonasera a tutti voi!
È da tanto tempo che non scrivo qui, e non
ho esattamente molte cose da dire. Spero
che la storia vi intrighi abbastanza da
spingervi a lasciare una recenzione: sarei
davvero contentissma di poter leggere
opinioni, dubbi, consigli da parte di voi
lettori!
Con tantissimo affetto,
me 
   
 
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