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Autore: matmatt98    11/12/2017    1 recensioni
‘Fin dalla nascita ti educano al rispetto, all’audacia e all’amore. Ti raccontano di essere speciale e ti raccomandano di essere forte, di non arrenderti mai. Ti dicono di non preoccuparti, che dopo una sconfitta ci si rialza sempre, che dopo la tempesta il sole spunta inevitabilmente ad asciugare i fiori.
Poi maturi e scopri che sei cresciuto nell’ipocrisia. Perché la pioggia non cessa praticamente mai – almeno non dentro –, perché tutti in fondo cercano di vivere al meglio delle proprie possibilità e non c’è nulla di speciale nel sopravvivere. Perché le persone che dovrebbero dare un esempio ed esserlo, quelle che hanno il compito di elevare l’amore e donarlo al prossimo senza risparmio, quelle che dovrebbero difenderti dalle brutture dell’universo, sono proprio quelle che il loro prossimo lo calpestano e additano perché umano ed, in quanto tale, incapace di rifiutare i propri sentimenti.
Ti è sempre stato detto d’amare, fino a svuotarti di ogni cosa, ma poi, quando improvvisamente spalanchi la mente e con le braccia ti apri le costole per donare il tuo cuore decidendo di guardare al di là di una futile distinzione di sesso, cultura ed età, all’improvviso qualcosa cambia. ‘
M/M
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Stay

Da quella sera erano passati quattro giorni e Carlo non gli aveva lanciato strane occhiate o altre robe simili.
La loro vita continuava come al solito e la cosa sorprese Francesco abbastanza da spingerlo ad entrare in bagno proprio due secondi e mezzo dopo che ci fu entrato l’altro.
Bloccò la porta con la chiave rubata al personale scolastico e ci si appoggiò sopra.
Il biondo lo fissò attraverso il riflesso dello specchio mentre si lavava le mani. «Ciao» biascicò, scrollando le braccia per lasciare asciugare la pelle.
«Non l’avrei mai detto». 
«Che anche io mi lavo le mani?»
Il più grande scrollò il capo. «Che l’avresti presa così bene. Pensavo fossi uno di quelli che dopo non si scolla più».
Carlo lo fronteggiò, fulminandolo con lo sguardo blu. «Se ti aspetti che ti dica che sei stato la scopata più memorabile della mia vita ti sbagli di grosso, Checco».
Il colpo, Francesco, lo assimilò bene. Mise su la solita maschera imperturbabile e sorrise. «Se la vuoi mettere così va bene».
«No» sillabò Carlo. «Non è che la sto mettendo così, è così e basta. Dal primo momento in cui sei entrato in casa mia ho capito come sarebbe finita e non mi sono mai aspettato niente più di quanto è accaduto perché lo so come sei fatto. E lo so benissimo che io sono io e tu sei tu e che – a parte la nostra omosessualità – non c’è nient’altro che potrebbe accomunarci».
«E lo spettacolo?»
I suoi grandi occhi si chiusero e con un profondo respiro riprese il possesso della sua solita tranquillità. «Manca una settimana, dopodiché tu ti rifarai una vita ed io continuerò la mia».
 
***

Non c’era voluto molto. Esattamente venti minuti dopo aver abbandonato le quinte ed essersi esibito accanto a Carlo nella canzone più assurda dell’universo e aver fatto un figurone, Lorenzo e Vito avevano preso a bombardarlo di domande.
E lui, che ancora si sentiva l’adrenalina scorrere nelle braccia, aveva usato la scusa dei crediti e che era stato tutto deciso all’ultimo minuto.
Lorenzo l’aveva preso per il culo per i primi dieci minuti, ma non appena aveva scoperto che a decidere il tutto era stata la Rossi aveva smesso e aveva preso a cercarla per il teatro.
«Voglio farle i complimenti per lo spettacolo» aveva detto, prima di scomparire tra la folla.
La madre di Francesco, Maria, si era commossa, aveva filmato il tutto con la mano tremante e gli aveva piantato due baci ai lati delle guance scavate facendogli una marea di complimenti.
Aveva chiesto anche di poter vedere Carlo, ma il ragazzo biondo subito dopo l’esibizione era evaporato e nessuno l’aveva più visto.
«Vieni fuori a fumare una sigaretta?» gli chiese Vito, prendendolo per un gomito e salutando con un cenno del capo la signora, ancora emozionata e commossa.
Il moro accettò perché di quel caldo assurdo non ne poteva più. La gente lo stava schiacciando.  
Si fermarono a qualche metro dall’entrata della palestra – dove si era tenuto lo spettacolo – e accesero le sigarette con un unico accendino, passandoselo di mano.
Sembrava sereno. «Quindi sei gay?» domandò, dandogli una spallata giocosa.
«Certo che no».
Il ragazzo dai capelli bruni sbuffò il fumo verso il cielo. «Anche se lo fossi non me ne fregherebbe. L’unico che si fa dei problemi è Lorenzo. Gli altri lo seguono perché non hanno un cervello, sono dei senza palle».
«Perché me lo stai dicendo? Ho detto che non lo sono».
«Lo so, era solo per dire».
Francesco buttò via la sigaretta e se ne accese un’altra.
La prima volta che si era sentito fuori posto fu quando negli spogliatoi della palestra, a undici anni, spiò un suo compagno sotto la doccia e gli venne un’erezione. La seconda quando baciò Federico e suo padre vedendoli cominciò a gridare e a prendere a calci le cose, per poi finire di sfogarsi direttamente su di lui. Sua madre l’aveva denunciato e avevano divorziato soltanto due mesi dopo.
La terza quando Lorenzo aveva spaccato il labbro a Carlo soltanto perché indossava una camicia rosa e lui se ne era stato zitto a guardare. E così via.
L’inadeguatezza l’ aveva incontrata in differenti momenti della sua esistenza e lo aveva travolto così prepotentemente da spingerlo ad inventarsi un’altra identità.
«Ci sono andato a letto» sussurrò, buttando fuori il fumo. Dirlo faceva molto meno male di quanto avesse sospettato.
Vito sorrise. «L’ho sempre pensato che c’hai la faccia da culo».
«Ma vaffanculo».
Il ragazzo rise, gli strizzò l’occhio verde e poi spense la sua sigaretta contro l’asfalto. «Comunque è seduto là» mormorò, indicando un punto imprecisato del parcheggio.
Gli ci volle un secondo a capire chi fosse quell’ombra scura seduta su un cofano. «Non ci vado là».
«Perché?»
«Lorenzo».
Vito gli tirò un pugno sul braccio, beccandogli proprio il nervo. Francesco si lamentò con un sibilo, ma non rispose. «Quello è un coglione, Frà. Ce l’ha tanto su coi gay e poi una volta l’ho beccato in bagno con Joèl. Ha detto che erano ubriachi marci, ma hey, quello era un cazzo di pompino!»
Scoppiò a ridere perché davvero, era incredibile. Si voltò per andare da Carlo e magari raccontargli la storiella di Lorenzo il frocio, ma il ragazzo era già scomparso. «Mi presti la moto? Te la porto domani».
«Basta che non me la sfasci».
Le chiavi gli tintinnarono in mano quando le strinse nel pugno.


Spense il motore di fronte al cancelletto del biondo e accarezzò la testa di Marley attraverso le grate. Il cagnolone smise subito di abbaiare.  
«Francesco?» chiese sorpresa la voce del veneto. Se ne stava sulla porta con le braccia incrociate e i jeans sbottonati.
L’altro alzò una mano. «Ti dispiace aprirmi?»
Per qualche minuto lo raggiunse solo il rumore del muso di Marley che si infilava tra le sbarre del cancello, poi riuscì ad udire distintamente un sospiro secco e lo schioccare umidiccio di un paio di labbra.
«Sì».
«Sì ti dispiace aprirmi o sì mi aprirai?» farfugliò, come un perfetto scemo.
Carlo piegò l’angolino della bocca. «Perché dovrei aprirti?»
«Perché ho capito una cosa e devo dirtela».
«Proprio ora?»
«Proprio ora».
«Francè, torna a casa. E’ tardi».
«Lasciami dire questa cosa, poi me ne andrò se lo vorrai».
Carlo si strinse nelle spalle e prese a camminare. Si fermò dietro al cancello e Marley gli saltò su una coscia. Scodinzolava come una pazza. «Dimmi».
«Così su due piedi?»
«Sì».
«Sei un bugiardo».
Il biondo allargò gli occhi. «Bene, ora puoi tornare a casa. Grazie della visita e-»
«Ascoltami per favore, sul serio» lo interruppe. «Sei un bugiardo perché io sono stato la scopata migliore della tua vita e tu la mia. E quindi qualcosa in comune ce l’abbiamo, io e te».
La bocca del biondo si distese completamente. «Sei serio?»
«Ovvio».
Il cancello si aprì. «Andiamo in casa, vieni» la voce gli si spezzò quando Francesco lo abbracciò forte, spingendoselo più addosso che poté. «Stanotte resti».
«Resto».



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Spazio Autore

Non so come, ma questa storia l’ho partorita davvero difficoltosamente, un’agonia.
Cosa posso dire.. sono deluso da cosa ne è uscito? No, o almeno non troppo. Ho cercato di espandermi e provare una scrittura un po’ più leggera che potesse semplicemente far passare dieci minuti senza far pesare il mondo costantemente.
Purtroppo però sono andato contro me stesso un pochino, ho questa specie di passione per le cose un po’ più celate, più nascoste e più dark che avrei voluto e dovuto rispettare, ma si sa, il desiderio di cambiamento è perenne.
Ma mi pento di aver scritto questa storia? Ho rimorsi?
Assolutamente no, grazie ad essa ho capito meglio delle cose su di me che probabilmente ignoravo.

Ringrazio tutti voi per aver letto, sostenuto o criticato Sing. 
Mi siete mancati❤️
  
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