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Autore: Yellow Canadair    13/12/2017    4 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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★★    Questo capitolo partecipa all’iniziativa “Calendario dell’Avvento 2017!” a cura del geniale Fanwriter.it ★★

 

Lo spirito viandante del 13 dicembre

 

Rob Lucci era seduto alla scrivania del suo ufficio al primo piano della Torre di Catarina, intento a compilare un rapporto dettagliato sull’ultima missione. Lui e Kaku erano tornati il giorno precedente da un’isola invernale, e ora stavano nei loro uffici a sbrigare il lato burocratico: scartoffie, rapporti, firme. Nulla di eccezionale, faceva parte del loro lavoro ed era anche la garanzia che tutto si fosse svolto secondo gli standard del Cipher Pol Aigis 0.

Hattori gli teneva compagnia, in sonnacchioso equilibrio sulla sua spalla. Dall’altra parte della stanza, anche Kaku, con Califa in supporto, era concentrato sui carteggi, ben intenzionato a togliersi quell’impiccio dalle scatole il prima possibile.

All’improvviso, nella cristallina tranquillità della stanza, risuonò un tintinnio. Lucci drizzò le orecchie e rimase in allerta, pur rimanendo con il capo chino sui suoi documenti.

Accigliò lo sguardo: li aveva sentiti di nuovo, non aveva dubbi. E non era solo una sua impressione, visto che anche Kaku aveva sollevato la testa e si guardava attorno.

Era la seconda volta, da quella mattina: sentiva il suono argentino di una piccola campanella, come se qualcuno la stesse scuotendo a pochi palmi da lui; pochi secondi, e poi tutto tornava a tacere.

Il governativo si era affidato ai suoi sensi, quelli umani e quelli felini: tutto negativo. Poi aveva usato l'Ambizione della Percezione, e anche quella aveva confermato solo la presenza dei suoi colleghi e delle altre persone che lavoravano nella torre sparse per le altre stanze e ai piani inferiori.

Si affacciò alla finestra, insospettito. Forse si trattava solo di una delle carrozze che scorrazzavano sui ponti e nel parco dell’isola: si avvicinava il Natale e non sarebbe stato assurdo se un cocchiere avesse deciso di mettere una campanella sulla sua vettura. Anzi, sull’Isola dell’Ovest, che aveva un rigido clima invernale, addobbare anche le slitte e le carrozze era una tradizione. Ma in quel momento non c’era alcuna carrozza, né nei pressi della Torre, né sul ponte più vicino.

L’uomo si sporse a guardare anche sulla facciata dell’edificio, ma non c’era proprio nessuno che tentava l’arrembaggio in quel modo. E, del resto, perché attaccare la Torre di Catarina? Era solo una sede del CP0. Non era così importante da essere oggetto di atti dimostrativi, e non c’era nulla di valore all’interno, a meno che qualcuno non fosse così scemo da cercare di rapire gli agenti, ma era un’ipotesi assurda.

Prima di tornare all’interno, Lucci notò che, proprio dall’Isola Ovest, stava arrivando una perturbazione: vedeva saettare i lampi oltre le montagne, in lontananza, e probabilmente in serata si sarebbe scatenato il Diluvio Universale. L’aria era elettrica, il vento portava pioggia.

E le campanelle continuavano a rimanere un mistero, pensò chiudendo la finestra per la felicità di Hattori, che era rimasto sulla scrivania e aveva arruffato tutte le piume per il freddo.

Rob Lucci si rimise a sedere e decise di accantonare il pensiero, e di godersi la tranquillità del dopopranzo nella Torre di Catarina.

Catarina era un arcipelago composto da cinque isole, disposte come i cinque punti sulla faccia di un dado, e su quella centrale c’era la sede del reparto del CP0 guidato da un anno circa da Rob Lucci; lui era fiero di aver restituito ai suoi colleghi il posto che spettava loro nel CP0 dopo l’incidente di Enies Lobby e, dopo varie peripezie, aveva ottenuto la guida di un reparto che ricalcava pari pari quello che era stato il CP9. Nessuno di più, nessuno di meno.

Unica modifica: Spandam era stato declassato da direttore a zerbino, per dirla con i gentili termini di Jabura.

All’improvviso, nel silenzio salì un minuscolo “cheff-cheff”. Un colpino di tosse.

Hattori cominciò a tossire timidamente e a cercare riparo e calore fra i capelli sciolti di Rob Lucci.

All’uomo non sfuggì la manovra del colombo e, sentendo che Hattori tossiva e riusciva appena a stare appollaiato sulla sua spalla, s’insospettì. Lo prese tra le mani e lo poggiò sulla scrivania alla quale stava seduto, tra i rapporti, le fotocopie e il caffè.

Il piccione si accoccolò immediatamente, come se fosse troppo stanco per mantenersi sulle zampine. Tossì di nuovo, arruffò le piume bianche.

Rob Lucci lo osservava in silenzio. Gli accarezzò con un dito il petto e si fermò sotto la gola dell’uccellino. Dopo qualche istante riprese a vezzeggiargli la pancia, poi gli lasciò una carezza sulle ali e infine si tolse la giacca nera e vi avvolse l’animaletto.

Califa, seduta alla scrivania dirimpetto a quella di Lucci, notò il movimento. Alzò discretamente lo sguardo sul collega attraverso le lenti e domandò: « Influenza? »

« Probabile. » rispose laconico Lucci, senza lasciar trapelare nulla del suo stato d’animo.

« Accidenti. » commentò Kaku alzandosi dalla sua, di scrivania, che si trovava perpendicolarmente a quelle di Califa e Lucci. Andò vicino all’agente con cui aveva fatto squadra fino al giorno prima e guardò verso il colombo, la cui testa faceva capolino tra il tessuto morbido della giacca. « Non farci scherzi » lo ammonì. « Se vuoi portarlo a casa, me la sbrigo io con i documenti. » promise rivolto a Lucci.

Il leader del reparto abitava qualche piano più su, all’ultimo.

La porta si spalancò ed entrò Jabura. « Ehi, sto andando al bar con Kumadori. Se Spandam ci cerca, siamo già andati verso l’imbarco, ok? » poi si rese conto che c’era Lucci che teneva in braccio quello che da lontano pareva un bambino avvolto in una coperta, Kaku sollecito chino sull’involto, e Califa dall’altro lato che avvicinava al fagottino con una siringa. « Ma che cazzo fate!? »

 

~

 

Lucci era pieno di sé, presuntuoso e apatico, però Hattori non si toccava: Jabura invece di andare al bar aveva fatto una corsa al distributore, comprato una bottiglietta di minerale, l’aveva svuotata e l’aveva riempita con acqua calda. Era uno scaldino di fortuna, e Hattori riposava beato sulle ginocchia del suo padrone, abbracciato alla bottiglia e avvolto nella giacca.

Intanto gli agenti erano ormai tutti riuniti nella stanza, ognuno a modo suo preoccupato per la salute del piccione.

« Il veterinario non è allo studio, al momento. » disse Kaku mettendo più la cornetta del lumacofono.  

« Maledetto lavativo. » si lamentò Jabura.

« Yooo-yooooi! » intervenne Kumadori « Le festività natalizie sono un’occasione per riposare il cooooorpo e la menteeee… » poi ci ripensò: « Tuttavia… per un uomo che svolge la sacra missione del medico è assolutamente indegno non rispondere a una richiesta di aiuto… »

Blueno scosse la testa, rassegnato. « È ancora presto per le vacanze » disse calmissimo « Siamo solo al dodici dicembre »

« Faaaaarò Seppuku e laverò il disonore! »

« Fate silenzio! » tuonò Lucci seccato, imponendo la calma ai suoi subordinati.

« Possiamo tenerlo al caldo, nel frattempo. Ecco, mettilo qui » suggerì Califa, efficiente a qualsiasi ora, portando un cesto di vimini con una morbida coperta che faceva da materasso. Prima stava solo passando a Lucci la siringa senz’ago piena d’acqua, per far bere Hattori.

Rob Lucci nascondeva sempre benissimo quello che gli passava per la testa, ma i suoi colleghi sapevano che, mentre stava lontano dagli altri con Hattori avvolto nella sua giacca e stretto al petto, era preoccupato e nervoso.

« Avrà mangiato qualche schifezza di nascosto! Domani starà benissimo. » minimizzava Jabura.

La porta si spalancò ed entrò Spandam. « Mbè? Che sta succedendo qui? Kumadori e Jabura erano attesi mezz’ora fa all’aereo! »

« C’è un problema. Chiama la pilota, e rinvia la partenza. » declinò Jabura.

« Che problema? » si stupì lui. In effetti tutti gli agenti nella stessa stanza erano uno spettacolo riservato alle grandi occasioni, in particolar modo Lucci, Jabura e Kaku che non se ne dicevano addosso di tutti i colori.

« Si tratta di Hattori. » spiegò Califa. « Suppongo abbia contratto qualche ceppo influenzale durante l’ultima missione affrontata. »

Spandam ragionò un attimo sulla cosa, poi affermò: « Il piccione ha la febbre? »

« …questa è molestia sessuale. »

« Ho solo riassunto quello che mi hai detto! » protestò il galoppino. « Perché siete tutti qui a perdere tempo? È solo un piccione! »

Silenzio.

Mai, mai, mai, mai nessuno aveva osato dire una cosa del genere del colombino, nemmeno Jabura nelle peggiori risse: litigare con Lucci era un passatempo sano, prendersela con un uccellino era una vigliaccata.

Tutti si voltarono costernati a fissare Spandam. Poi guardarono Rob Lucci.

L’agente espirò dal naso, porse l’involto con Hattori a Califa, poi si alzò in piedi molto lentamente.

 

Mentre l’ambulanza portava via ciò che rimaneva di Spandam, gli agenti si interrogavano sul da farsi.

« Portalo a casa e rimani lì anche tu » suggerì Kaku al collega « Me la sbrigo io con le scartoffie, se proprio c’è qualche problema ti lumacofono »

« Il veterinario? » chiese di nuovo Lucci.

« Chapapa, sto riprovando, ma squilla sempre libero » rispose Fukuro, con la cornetta del lumacofono in mano.

All’improvviso si sentì un discreto bussare alla porta.

« Avanti » permise Rob Lucci, senza voltarsi neppure verso l’uscio, intento com’era a saggiare per Hattori il cestino portato da Califa.

Si affacciò alla porta la signorina Lilian, una segretaria della Torre assunta circa un anno prima; si occupava principalmente dell'amministrazione, ma occasionalmente faceva da pilota d'aereo per le missioni in trasferta del reparto. Era una tipa tranquilla e dall'aspetto minuto, e in quel momento aveva l'aria molto preoccupata.

 « Boss, scusi… oh! Ciao a tutti » sorrise agli altri agenti. « Scusi se la disturbo, ma è urgente: alla radio hanno diramato un’allerta per il maltempo, chiuderanno i ponti tra venti minuti perché sono previste delle terribili mareggiate. Quindi volevo chiederle il permesso di andare via prima. Se chiudono anche la filovia, rimango bloccata qui! »

Ognuna delle isole dell’Arcipelago di Catarina aveva un ponte che la collegava a quella centrale; Lilian, però abitava sull’isola dell’Est, l’unica che non aveva un ponte, ma una filovia che portava fin sulla collina che dominava l’isola: se veniva chiusa, lei rimaneva tagliata fuori.

« Merda, se i ponti saltano… » cominciò a dire Jabura

« Non dirlo neanche per scherzo! » lo interruppe Lilian « Li chiudono per sicurezza, mica devono crollare! È per evitare che qualcuno finisca a mare, con il vento che c’è e con le onde alte!» e lei già aveva una fifa pazzesca di prendere la filovia con quel vento, senza che ci si mettesse anche Jabura!

« Se i ponti vengono interrotti, il veterinario non può venire » concluse Kaku.

« Boss, io… » azzardò timidamente la ragazza.

« Va’, muoviti » la liquidò spazientito il capo.

« Grazie » Lilian chinò la testa in segno di gratitudine e sparì inghiottita dal corridoio, e di lei non rimase che il suono dei tacchi sul marmo.

Quando tornò il silenzio, un leggero scampanellio riempì l’aria per pochi secondi.

« Stavolta li avete sentiti tutti! Dovete averli sentiti! » saltò su Jabura.

Tutti i suoi colleghi erano sospettosi e in ascolto, col fiato sospeso.

« È da stamattina che li sento, ma avevo pensato a qualcuno nel parco » osservò Kaku.

Kumadori si lanciò in ginocchio sul pavimento. « CHE IO SIA DAAAANNAAAATOOOO!!! » declamò in preda alla disperazione « Ho dubitato delle parole dell’amico, del fratello! Senza fede sono stato, e non ho prestato orecchio a quel che aveva da dirmi! Ribrezzo! Obbrobrio! »

« Piantala di fare casino! »

Jabura schizzò fuori dalla porta della stanza: nessuno. Guardò fuori dalla finestra: il buio inghiottiva il parco, folate di vento portavano le prime gocce di pioggia, si sentivano i tuoni in lontananza; usò la Percezione, ma sull’isola non c’era più nessuno: c’era solo la presenza minuscola di Lilian che correva verso la filovia, sul vialetto tra gli alberi, e poi più nulla. L’isola centrale era già deserta e l’uomo dovette arrendersi: né i sensi umani, né quelli da lupo, né la Percezione gli comunicavano nulla oltre alla disperazione di Kumadori alle sue spalle.

« Non riesco a moriiiireeeee… » pianse l’agente dai capelli rosa.

« Chiudi il becco e cerca di capire da dove veniva quel rumore! »

Perché era almeno la quinta volta nell’arco della giornata che sentiva un rumore di campanelle, e la prima volta che anche gli altri che erano con lui lo sentivano: un trillo argentino, breve, ma chiaro come se qualcuno gliele avesse suonate davanti al muso.

« Questa storia deve finire » decise Rob Lucci deponendo Hattori nella cesta. « Perquisite tutta la torre e le immediate vicinanze; Blueno, tu spostati senza un ordine preciso con il Door-Door. Voglio l’intruso fuori dall’elenco dei vivi entro due ore. »

E così dicendo, si avviò anche lui verso la porta.

Ma Jabura gli piantò una mano sulla spalla e gli intimò lo stop.

Lucci scoprì i denti, pronto a staccargliela di netto, ma la lingua dell’agente fu più rapida: « Non lasciare solo Hattori »

« Levami le mani di dosso » scandì gelido il leader afferrandogli il polso e trovando il Tekkai d’acciaio del collega.

« C’è un intruso nella Torre, prendi Hattori e andatevene nel vostro appartamento. » ruggì basso Jabura, forte della maggiore esperienza e dell’istinto di branco, che a quel presuntuoso mancava del tutto.

« Non osare… » Lucci cominciò ad andare in forma ibrida.

« Hattori in questo momento è il più debole tra di noi, ha la precedenza. Lo lasci a casa, e rimani nelle vicinanze. »

I due uomini scoprirono i denti, ma Kaku li interruppe: « No no no, fermi. Non possiamo perdere tempo così » poi suggerì a Lucci: « Potresti perquisire l’ultimo piano e il terrazzo »

« Io vado nella palestra interrata » informò Jabura staccandosi schifato dal rivale e infilando la porta, filando nel buio con un velocissimo Soru, sapendo benissimo che Lucci non avrebbe mai assecondato il suo suggerimento, se fosse rimasto nei paraggi. « Kumadori, datti una mossa! »

 

~

 

Gli agenti, dispiegati per tutta la Torre, la perquisirono da cima a fondo senza trovare anima viva. Usarono tutti i poteri e le abilità in loro possesso, ma nella Torre, oltre a loro, non c’era nessuno. E le campanelline non s’erano più fatte sentire.

Un’ora dopo, Jabura e Kumadori, i primi a cominciare il lavoro, bussarono alla porta dell’appartamento di Rob Lucci.

Il padrone di casa, dopo averli fatti entrare, cominciò a fare il giro delle finestre per chiudere le tutte le persiane in vista della pioggia battente, e i due rimasero nel grande e familiare salone; il caminetto di marmo bianco era acceso, e Hattori era al calduccio nella cesta su uno dei due divani gemelli che dominavano la stanza. Non un posto a caso, non la camera da letto, più remota: Lucci l’aveva messo in un luogo difendibile, dove potevano esserci più vie di fuga in caso di allarme improvviso.

Fuori aveva cominciato a infuriare la tempesta: i tendaggi candidi ondeggiavano anche se le finestre erano serrate, e si sentiva ululare il vento e, sicuramente la grande bandiera del Governo, sul tetto, schioccava tra le raffiche minacciando quasi di esser trascinata via.

Le rivalità facevano parte del mestiere, o delle inclinazioni dei più bellicosi, ma dopo tanti anni di missioni e allenamenti portati avanti gomito a gomito, per gli agenti del CP9 era naturale trovarsi sotto lo stesso tetto, senza che nemmeno qualcuno esplicitasse un invito.

Succedeva da sempre, persino quando, a Enies Lobby, Kaku e Califa mangiarono i loro Frutti del Diavolo: era indimenticabile, quando quasi vomitarono sul divano della camera di Rob Lucci, mentre Jabura, entrato perché la porta era stata lasciata tranquillamente aperta, parlava di assurde maledizioni per chi avesse già i poteri di un Frutto.

« Questa storia non mi piace » ruggì basso il Lupo al termine dell’ispezione, ritirandosi sul divano di Lucci e incrociando le gambe. « Va avanti da stamattina »

« Yoyoi… il suono delle campanelle annuncia sovente la presenza di entità provenienti da magici e lontani mondi… fate e spiriti, ‘mbriane e monaci. Tutte le creature che popolano i sogni e gli incubi dei mortali. »

« Quindi roba che porta malissimo… » fece una smorfia il compare.

« Leva i piedi dal mio divano » lo ammonì Lucci.

All’improvviso si sentì bussare alla porta, e il padrone di casa andò ad aprire.

Kumadori non aveva l’Ambizione della Percezione, però a quell’ora tarda potevano essere solo i loro colleghi; infatti a bussare era stato Kaku.

« Jabura è qui? » domandò senza salutare.

« Che diavolo vuoi? » mandò una voce dal salotto il diretto interessato.

« Mi è venuta un’idea per la storia dei campanelli. » spiegò il ragazzo, fatto entrare in casa da Lucci « Che ore erano quando li hai sentiti questa mattina e questo pomeriggio? »

« E che ne so? Erano… le undici e mezza, una cosa del genere. » rispose lui arrivando nell’ingresso. « Poi li ho sentiti subito dopo pranzo, verso le due. »

« Allora combacia anche con quello che mi hanno detto Blueno e Fukuro. Li abbiamo sentiti tutti alla stessa ora. »

In quel momento, sull’uscio aperto, comparve anche Califa.

« Non credo sia uno spirito, penso che potrebbe trattarsi, invece, di un malfunzionamento dei lumacofoni: è l’unica spiegazione, visto che sentiamo tutti lo stesso rumore anche in posti differenti: i lumacofoni sono presenti in tutta la torre, quindi… »

« Stai scherzando? Lumacofoni!? Questo è chiaramente qualche spirito che si sta prendendo gioco di noi! Non penso proprio che- »

Un tuono cadde vicinissimo alla Torre, e tutte le luci si spensero all’improvviso.

 

~

 

« Cerca di mantenere la calma, Jabura. Ti ricordo che sei un Governativo, non l’ultima delle comari. » disse serio Rob Lucci.

Casa di Rob Lucci si era popolata. Tutti gli agenti si erano riuniti lì, sui comodi divani del suo salotto e, sul basso tavolino al centro, ardevano due candele, e Califa stava delicatamente accendendo la terza.

« Mentre ispezionavo il nostro archivio e la biblioteca, ho trovato una cosa… » disse compita la donna, aprendo vicino alle candele un grosso libro, con in copertina una foto panoramica di Catarina. « La notte del tredici dicembre, cioè questa, a Catarina può sovente succedere che si sentano rumori di campanelle; si tratta di uno spirito, venerato nell’Isola dell’Ovest, che passa fra le case »

Cadde un tuono, e Califa s’interruppe.

« Mi rifiuto di credere a qualche fenomeno paranormale. » disse Kaku appena cessò il fragore.

« Chapapa, però ci sono parecchie testimonianze in merito! » lesse Fukuro. « E il libro è nuovo, non sono vecchie leggende dimenticate! »

« Fanculo! Vi rendete conto? La torre è infestata! »

« Non dovresti farti suggestionare così tanto. » intervenne Blueno, affacciato allo schienale del divano al di sopra di Jabura. « Sono storie da ragazzini. Nulla di cui preoccuparsi. »

« È colpa dell’atmosfera, ti sta facendo innervosire » gli concesse Kaku.

Il temporale infuriava e batteva alle finestre, il vento fischiava furioso e il fatto che fosse andata via la luce rendeva tutto molto spettrale, con le ombre che tremolavano e si allungavano sui muri, tra i quadri e tra le mensole.

Rob Lucci se ne stava seduto vicino ad Hattori; si alzò in piedi e andò a guardare attraverso le fessure delle pesanti persiane: cercò di scorgere nell’oscurità i profili delle isole, che di solito erano illuminati, ma la corrente elettrica era saltata dappertutto a causa del temporale. Brutto affare. Tornò dal colombino, che lo fissava con gli occhietti semichiusi e aveva un’espressione afflitta, quasi volesse scusarsi di essersi ridotto così. Ma Lucci lo coccolò senza astio, accarezzandogli il capino e rimboccandogli meglio la coperta.

« E che diavolo è questo?? » la voce fastidiosa di Jabura lo costrinse a guardare nella sua direzione, verso l’altro divano su cui si accalcavano gli altri agenti.

« Chapapa, è l’illustrazione dello spirito che viene questa notte! » rispose Fukuro aprendosi la zip.

« Che hai da urlare? Non fa paura. È una donna normalissima. » cercò di calmarlo Blueno.

« Non avete notato? Sul piattino che ha in mano… » Jabura prese il libro e lo piazzò aperto sotto al naso di Blueno. « CI SONO DUE OCCHI! »

Califa sospirò. « Si dice che le furono cavati durante una persecuzione » spiegò « Ma c’è anche scritto che forse non è un fatto vero, però viene sempre rappresentata così. »

« Me ne frego di come viene rappresentata! » si lamentò ancora Jabura « Fa venire i brividi! »

« Finiscila di fare cagnara » lo stilettò Rob Lucci.

« Yoooyoooiiii! Sei tremendamente irrispettoso, Jabura! E inoltre la tua paura fa sì che dimentichi la parte della storia più suggestiva e più cara alle genti che abitano la fredda Isola dell’Ovest… »

« E sarebbe? »

« Chapapa, la parte dei doni » lesse Fukuro. « Si dice che se si lasciano sotto l’albero di Natale latte e biscotti, lo spirito viandante li mangerà, e in cambio lascerà dei regali. »

« Mi sembra una storiella da bambini… » obiettò Kaku.

« Trovo molesta l’idea che qualcuno si introduca qui » disse Califa, stringendosi nel golfino. Portava una minigonna vertiginosa, però aveva messo delle calze pesanti e un bel maglioncino di lana scuro.

Nessuno replicò. I sette agenti rimasero in silenzio ad ascoltare il temporale, e a ringraziare in cuor loro di essere tutti insieme in quella notte così nera. Il vento soffiava così forte che sembrava far oscillare la torre, e le candele tremavano sul tavolino. Il resto della casa era immerso nel buio, le decorazioni natalizie messe dall’uccellino nei giorni precedenti brillavano tenui.

« Comunque sia, come sta Hattori? » s’informò Blueno sporgendosi a guardare nella cesta.

« Ha la febbre. Lasciatelo tranquillo. » tuonò Rob Lucci, sulla difensiva.

I toni di tutti si abbassarono, Jabura smise persino di lamentarsi per lo spirito e Kumadori posò la katana con cui voleva praticarsi il Seppuku.

« Hai provato a dargli i soliti rimedi? » chiese discreto Kaku.

« Naturalmente, ma dovrebbero avere già fatto effetto. »

E invece il piccolo colombino continuava a scottare, e ogni tanto tossiva. Jabura prese la bottiglietta che gli aveva messo qualche ora prima, ormai fredda e accantonata in un angolino della cesta, e la riempì di nuovo con l’acqua calda dal rubinetto della cucina. Hattori l’abbracciò con gioia, Lucci decise di non insultarlo per almeno dieci minuti.

 

~

 

La luce continuava a non tornare; le candele si consumarono e Califa andò a casa sua a prenderne altre. Decisero di accenderne solo una alla volta per risparmiare, visto che probabilmente avrebbero passato tutta la notte senza corrente.

« E dovete proprio passarla qui? » fece Lucci. « Posso sbrigarmela da solo, non c’è bisogno di tutte queste cerimonie »

« Ma piantala » sussurrò Jabura per non svegliare Kumadori e Califa che si erano già addormentati sui divani, arrotolati nei plaid. « Non lo facciamo certo per la tua faccia da culo: lo facciamo per Hattori »

« E perché non ci fidiamo del primo spirito che passa, chapapa » bisbigliò Fukuro « Se rimaniamo insieme siamo meno vulnerabili, e possiamo fare i turni di guardia per sorvegliare Hattori » disse andando verso la cucina.

Lucci lo lasciò fare; anche se protestava, era abituato ad avere i colleghi in giro per casa, e Fukuro e Kumadori avevano imparato a servirsi da soli dalla cucina; Jabura aveva imparato anche (e fin troppo bene) a servirsi dallo stipetto dei liquori.

Quello che Lucci non si aspettava, però, era che Fukuro uscisse dalla cucina con un vassoio, e sopra al vassoio c’erano una grande fettona di pandoro e un bicchiere di latte. Ma invece di sedersi al tavolino e mangiarlo, andò a deporlo ai piedi dell’albero di natale dalle decorazioni bianche e azzurre che c’era nell’ingresso.

« Che diavolo stai facendo? » l’apostrofò Jabura.

Fukuro si aprì la cerniera e rispose con ovvietà: « Lascio latte e pandoro allo spirito! »

« No, ti prego. » Kaku si tolse il cappellino e si scompigliò i capelli « Non succederà niente di niente, lo sai! »

« Non fare il disfattista, scemo » Jabura a certe storie ci credeva eccome « Se serve a toglierci dalla testa quel suono di campane, va benissimo! »

« Abbassate la voce! » ringhiò il padrone di casa « O vi sbatto fuori a pedate. »

 

~

 

Califa si svegliò all’improvviso. Si guardò attorno spaesata: non si era nemmeno resa conto di essersi addormentata. Era seduta sul divano di Rob Lucci, con una felpa maschile sulle spalle e persino gli occhiali sul naso. Addormentarsi durante un turno di guardia? Non era da lei.

Controllò Hattori, ma dormiva nel suo cestino; respirava con il becco aperto e la bottiglietta, ormai fredda, era tornata nel suo angolino dell’infamia. La donna controllò di avere le mani ben calde e accarezzò il colombino sotto la gola: era vivo e vegeto. Non aveva idea di come stabilire se avesse o no la febbre, ma l’essenziale era che fosse vivo. Benissimo.

Si strinse nella felpa e la infilò del tutto, anche se le stava grandissima e dovette rimboccarne le maniche; di chi era? forse Blueno. O forse Jabura. Spostò leggermente Kaku, che si era addormentato vicino a lei, guardinga si aggiustò i capelli dietro un orecchio, e si alzò dal divano per sgranchirsi le gambe.

Era l’unica sveglia; i suoi colleghi dormivano e alcuni russavano alla grossa, come Kumadori che si era impossessato del matrimoniale di Lucci: si sentiva il suo russare fin dentro al salone. Jabura si era sdraiato sul tappeto; come facesse a dormire così a suo agio per terra, Califa non l’aveva mai capito.

Blueno e Fukuro avevano esplorato le infinite possibilità di un divano-letto: qualcuno doveva aver capito il meccanismo per allargare il divano e, nella notte, si era trasformato in un letto accogliente: molto meglio che dormire per terra.

Kaku si era steso sul divano vicino a lei, e dalla parte opposta, più vicino alla cesta di Hattori, c’era Rob Lucci. Dormiva acciambellato e con la testa sotto al plaid, esattamente come Hattori di norma metteva la testa sotto l’ala. O forse, pensò la donna, l’aveva fatto per ripararsi dalla luce: era l’alba e dalla finestra filtravano i primi pallidi raggi.

Il temporale era finito.

Califa guardò l’orologio: si era addormentata per non più di dieci minuti, e decise di andare in cucina per concedersi il primo caffè della giornata. Passando accanto all’ingresso, vide il vassoio deposto da Fukuro la sera prima: del pandoro non erano rimaste che bricioline dorate, il bicchiere del latte era vuoto.

Chissà chi di loro aveva fatto piazza pulita: Jabura? Kumadori? Ma poi Califa notò qualcosa.

Qualcosa che la sera prima non c’era: un sacchetto.

Si inginocchiò sotto l’albero, tra le lucine spente e le palline bianche.

Un sacchetto di stoffa verde scura, chiuso in cima da un fiocchetto giallo, grande quanto due pugni. E sul fiocco c’era un bigliettino: “Hattori”.  L’agente lo prese tra le dita e lo tastò con delicatezza: era morbido, dentro c’era dell’erba essiccata.

Lo spirito dell’inverno ci ha lasciato un dono?, pensò Califa. Ma poi si diede della sciocca: erano storie da bambini, come diceva Kaku, buone per le comari (e per Jabura).

Prese il sacchetto e lo portò in cucina.

 

~

 

« Il veterinario? »

« Chapapa, ancora niente »

« Che vuoi fare? Gli dai quella roba? »

Il sacchetto verde era sul tavolo, come un imputato davanti a sette spietati giudici.

« Sei sicura che prima del tuo turno di guardia non ci fosse? » chiese ancora Blueno, rivolto a Califa.

« Non ci ho fatto caso. Ho guardato sotto l’albero solo al mattino, quando sono andata in cucina. »

« Chapapa! di sicuro, quando ho messo il latte e il pandoro, non c’era nulla! »

« Quindi escludendo che sia stato qualcuno di voi… perché voglio escludere che qualcuno avesse un rimedio per Hattori, ma sia stato così stronzo da tenerlo nascosto fino al mattino… »

« Ehi, ma per chi ci hai presi? » si lamentò Jabura.

« Qualcuno si è introdotto in quest’appartamento e ha lasciato queste erbe. » disse Kaku, aprendo il sacchetto e annusandone il contenuto. « Sono piante officinali, anche se non saprei riconoscere di preciso quali »

« YOOOOOYOOOOIIIII!!!! » Kumadori aveva abiurato dal sacro lettone di Lucci ed era tornato nel mondo dei vivi « Lo spirito ha ascoltato il disperato grido d’aiuto di una famiglia lontana dalla civiltà! Legami! Sangue! Speranze e conforti! »

« Sembra una tisana. Da mettere in infusione e bere. » valutò Blueno.

« La domanda è: ti fidi? »

« No, ovvio. » rispose Rob Lucci.

cheff-cheff, si sentì dal cestino.

« La berrò prima io » disse risoluto l’uomo.

 

~

 

Hattori era nel suo cestino, sul divano di casa. La bottiglietta era di nuovo calda, la coperta era soffice. E lui se ne stava comodamente seduto, con il capino dritto e gli occhietti vispi che controllavano i movimenti nella stanza.

Si sentiva molto meglio.

Nel camino bianco, le fiamme erano basse ma le braci ardevano e spandevano un dolce tepore; Kaku era venuto a gettarci dentro delle bucce di mandarino, e ora c’era un odore buonissimo nell’aria. Passando, il ragazzo gli aveva grattato il capino e poi gli aveva dato un biscotto, che Hattori aveva sgranocchiato nascondendosi sotto la copertina.

Vedeva Jabura bere direttamente dalla bottiglia del vino aperto la sera prima, e che giocava a carte tra le briciole della colazione con Fukuro, Kumadori e Blueno; ogni tanto gli lanciava un’occhiata per controllare che fosse tutto a posto.

Califa si era addormentata di nuovo. Si era acciambellata sul divano e aveva chiuso le comunicazioni; Kumadori le aveva messo addosso uno dei plaid, e lei riposava beatamente.

Rob Lucci, in piedi, guardò per qualche minuto le giocate degli amici, e notò soddisfatto che le carte di Jabura non erano per niente buone; poi tagliò una fetta di pandoro e si sedette a mangiarla lì sul divano, vicino al cestino.

Poteva sembrare accigliato come al solito, pensò Hattori. Ma chiunque avesse conosciuto un po’ meglio Rob Lucci, avrebbe capito che da qualche parte, molto in fondo, stava sorridendo.

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Dopo averli strapazzati come uova nelle ultime due storie, ritornano gli agenti del CP0! Grazie per aver letto questa piccola OS. Grazie a Eneri Mess e alle sue meravigliose iniziative che mi tengono incollata alla tastiera. Un grazie speciale a chi recensirà ♥ 

Importante: la storia si inserisce in una serie di storie sul CP9/CP0 che ho scritto! In particolare la storia dell'Arcipelago Catarina e di Lilian, la segretaria, sono raccontate in "La Lunga Caccia alla Mano de Dios", qui su EFP. Questa raccolta tuttavia è indipendente, e può essere letta come storia a sé stante. Sappiate che... il CP0 è sull'Arcipelago di Catarina e ha una segretaria di nome Lilian, che occasionalmente fa anche da choffeur pilota d'aereo per il gruppo!

Se qualcuno legge dalla Lombardia o da altre zone dell'Italia del nord, forse ha capito chi è lo "spirito viandante" della storia: è ispirato a Santa Lucia, che nella tradizione porta i doni ai bambini il 13 dicembre; la tradizione vuole che sia martire, e le furono strappati gli occhi (poi miracolsamente ricresciuti): per questo è la patrona della vista, ed è riconoscibile nelle chiese perché viene sempre raffigurata con... i suoi occhi nel piattino che ha in mano! Se qualcuno legge invece da Campania e dintorni, forse ha sentito familiari le parole di Kumadori che parla di "'mbriane e monaci": si tratta di due spiriti della casa della cultura partenopea; la prima è una donna, ed è uno spirito positivo, l'altro è un monaco ("munaciello", in dialetto) ed è uno spirito dispettoso.

Spero che questa storia vi sia piaciuta! È molto diversa dai miei soliti canoni, però ci tenevo a scrivere qualcosa di fluff in occasione dell'inverno! In particolare sono stata molto contenta di esplorare il lato "dolce" di Rob Lucci, quello legato ad Hattori e che si preoccupa se al suo piccolo colombino succede qualcosa di male :) ce lo vedo, altero e superbo come sempre, ma in cuor suo molto teso per il suo piumoso amico. Spero vi sia piaciuto!

Stessa cosa Jabura, spero di non averlo reso troppo... dolce! Adoro il suo lato protettivo, quello che esce fuori nelle Miniavventure del CP9, però allo stesso tempo ehi, è un efferato assassino, non voglio che l'IC ne risenta!

Grazie per aver letto! Appuntamento a presto,

​Yellow Canadair

Per favore, o tu che leggi: va', vota per inserire Stussy e Hattori nell'elenco personaggi presente in alto a destra nella home di One Piece! Aiutami ad allargare la famiglia del CP! ♥ grazie ♥

 

  
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