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Autore: Saelde_und_Ehre    13/12/2017    9 recensioni
[Questa storia è uno spin-off di "Das Lied der Vergessenen Helden". È ambientata tra i venti e i dodici anni prima dell'inizio delle vicende narrate nella suddetta storia e riguarda un personaggio non inserito nella trama principale, pertanto può essere letta senza temere spoiler.]
Il conte Friedrich von Peilstein detto Langschwert, è un giovane cavaliere austriaco rinomato in patria per la sua vita avventurosa e ricca d'azione. Alla corte viennese egli è ricordato, insieme a suo fratello Siegfried, per aver giocato un ruolo decisivo durante le guerre tra Sacro Romano Impero e comuni italiani.
Le fanciulle sospirano nell'udir decantare le sue prodezze, i giovani cavalieri cercano di emulare le sue gesta.
Ma dietro tutto questo, si nasconde un uomo come tanti altri…
*ATTENZIONE: la storia, originariamente concepita come una one-shot, è stata divisa in tre parti
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sælde und êre'
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Premessa:
Come specificato nelle note introduttive, questa storia è una spin-off di "Das Lied der Vergessenen Helden".
Non è obbligatorio aver letto la "storia madre" per avventurarsi nella vicenda qui narrata, però essendo questo racconto concepito appunto come una spin-off, non mi soffermerò particolarmente a spiegare cose relative ai personaggi e nozioni storico-culturali e linguistiche che ho già chiarito all'interno dell'arco narrativo principale.
Questa one-shot è dedicata a un personaggio che, per ragioni temporali, nella storia principale non compare se non nei vari flashback degli altri personaggi che verranno presentati nel corso di questa breve narrazione, e la vicenda qui narrata, pur essendo collegata alla principale (di cui chiarisce e approfondisce alcuni punti che vengono solo accennati), può essere considerata autoconclusiva.
Dato che questa storia è incentrata sul personaggio di Friedrich, gli accenni agli eventi storici e alle battaglie, presi dalle cronache del tempo, sono - purtroppo - solo un abbozzo (altrimenti ci verrebbe fuori un romanzo…).
 
Il titolo è in alto tedesco medio (Mittelhochdeutsch), ovvero tedesco medievale (1000-1350).
È tratto dal poema epico-cavalleresco Iwein di Hartmann von Aue e potrebbe essere tradotto così: "cercavo di ottenere ciò che desideravo con lancia e spada".


 
***
 
[…]
 
 
In nome della santissima e indivisa trinità.
Federico, per grazia di Dio Imperatore dei Romani, Augusto, invictissimo [1], nel sesto anno del suo regno e nel terzo del suo impero.
Dieta di Besançon, anno del Signore MCLVII, mese di Ottobre.


 

Un uomo corpulento in abito talare si alzò dal suo scranno, interrompendo l'eloquio dell'imperatore con un semplice gesto della mano, e senza attendere licenza percorse con passo baldanzoso la distanza che lo separava dal trono imperiale, incurante delle occhiate che gli scivolavano addosso.
Nella sala, gremita di nobili giunti da ogni angolo dell'Impero, piombò improvvisamente un silenzio denso e vibrante. Si percepiva una tensione crescente, vaga eppure onnipresente, la stessa tensione che calava ogni volta che qualcuno si permetteva di contestare le parole di Federico di Svevia, della casata di Hohenstaufen.
"Cardinale Rolando Bandinelli da Siena [, legato pontificio", annunciò un chierico, con voce untuosa, inchinandosi fino quasi a toccar terra con la croce che aveva appesa al collo. Il prelato, per nulla intimidito dall'espressione truce dell'arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, rimase orgogliosamente in piedi omaggiando l'imperatore e i suoi consiglieri con un rigido e frettoloso inchino del busto, e srotolò una pergamena con un gesto solenne.
L'imperatore svevo si limitò ad annuire, cercando di dissimulare la propria irritazione dietro un'espressione tirata. "Vi ascolto, Eminenza."
"Mio nobilissimo principe", iniziò il cardinale, con voce alta e chiara. "Giungo a recarvi omaggio a nome del nostro santissimo Padre Adriano…"
A metà dei convenevoli, l'imperatore aveva già iniziato a tamburellare con impazienza le dita inanellate sul bracciolo del suo scranno, mentre con l'altra mano si grattava nervosamente la barba rossiccia che gli aveva fruttato, in Italia, l'appellativo di Barbarossa. Poco dietro di lui, chino su uno scrittoio, Rainaldo di Dassel trascriveva incessantemente ogni parola pronunciata dal prelato.
"…un nostro venerabilissimo fratello, l'arcivescovo Esquilio di Lund, è stato assalito e imprigionato da alcuni cavalieri tedeschi mentre era di ritorno da Roma. Desidero appellarmi alla vostra clemenza per impetrare la sua liberazione…"
Federico strinse gli occhi. "Le vostre preghiere non resteranno inascoltate", lo ammansì, in tono asciutto. "Tuttavia, signor cardinale, se il mio avviso non m'inganna, intuisco che siano ben altre le ragioni della vostra ambasceria."
"Ebbene, esso non v'inganna, augustissimo principe. Sono qui anche per ricordarvi il vostro impegno nei confronti della nostra santissima romana Chiesa…"
"Il mio… impegno?", ripeté l'imperatore, tagliente. "Come sarebbe, signor cardinale?"
Senza scomporsi, il prelato gli porse la pergamena, come ad esortarlo a leggerla egli stesso. Federico la scorse rapidamente con gli occhi, e subito sul suo viso si dipinse un'espressione contrariata.
"Mio nobile Rainaldo, credo di non aver letto bene", sbottò, allungando la lettera verso l'arcicancelliere e ingaggiando al contempo un feroce duello di sguardi con Bandinelli. "È mai possibile che il Papa adoperi toni così insolenti nei confronti di colui che per grazia divina ha ricevuto il regno e l'impero?"
La lettera, che il prevosto lesse e tradusse ad alta voce al cospetto di tutti i presenti, non si limitava a contestare aspramente e senza mezzi termini l'operato di Federico in terra italica, ma lo richiamava apertamente all'obbedienza, ricordandogli i suoi obblighi di principe cristiano. "…pertanto, egli sostiene di avervi concesso in beneficio la corona imperiale e i feudi a esso annessi…"
A quelle parole, la sala fu invasa da un brusio costernato; la tensione raggiunse il suo apice, come un ronzio insistente e fastidioso.
Beatrice di Borgogna, la giovane moglie dell'imperatore, un'esile fanciulla sui diciassette anni, capelli castani e occhi chiarissimi, afferrò il braccio del marito prima che questi scattasse in piedi in preda all'ira.
"Come osa il Papa insinuare che io, Federico Augusto imperatore dei Romani, sarei un suo vassallo?", tuonò Barbarossa, paonazzo in volto.
"Marito, calmatevi, vi prego", sussurrò l'imperatrice, continuando a tenergli il braccio. Federico la scrollò via con uno strattone, tuttavia non si alzò. I suoi occhi celesti lanciavano sguardi di fuoco al legato pontificio, come se volessero incenerirlo.
Rolando Bandinelli si lisciò con noncuranza la veste talare, restituendo all'imperatore un'occhiata glaciale e provocatoria. "A quo ergo habet, si a domno papa non habet, imperium?" [1]
Tutti avevano compreso il significato di quella domanda retorica, e le voci dei tedeschi irruppero in un boato indignato.
Il conte austriaco Konrad von Peilstein si irrigidì; suo fratello Siegfried si lasciò sfuggire una lieve risata nervosa, poco più che un bisbiglio soffocato. Friedrich rimase impassibile.
Solo il conte palatino di Baviera Otto von Wittelsbach, incaricato di reggere la spada cerimoniale dell'imperatore, ebbe però l'ardire di muoversi. Con uno scatto fulmineo, sguainò la spada e piombò di fronte al prelato, afferrandolo per la veste e puntandogliela alla gola. "Ripetetelo ancora una volta, signor cardinale", ringhiò, il volto congestionato dalla rabbia. "E, giuro su Dio onnipotente, io…"
Le voci si alzarono ancora di più; qualcuno arretrò spaventato, altri lo incitarono. Nonostante la sua statura inferiore alla media e il suo aspetto apparentemente innocuo, il bavarese aveva le sue buone ragioni per essere paragonato a un leone.
"Basta così, hêr Otto", gli ingiunse l'imperatore, fermandogli la mano prima che colpisse il cardinale, ancora ritto e composto nonostante l'espressione turbata, "Vi prego di evitare spargimenti di sangue alla mia corte."
Il conte palatino fece un passo indietro ansando leggermente, la mano che impugnava la spada tremava ancora. "Vi domando perdono, hêr keiser", mormorò, dopo un breve istante di sbigottimento.
"Potete tornare al vostro posto. Date le condizioni in cui versano i vostri animi, dichiaro sciolta questa assemblea", proclamò l'imperatore, in un tono che non ammetteva repliche. "E voi, Eminenza, abbiate l'accortezza di lasciare questa città entro domani all'alba ed evitare ogni contatto col clero e con la nobiltà tedesca."

***

I nobili tedeschi uscirono dalla sala scambiandosi impressioni a caldo su ciò che era appena successo. Il giovane Friedrich von Peilstein si attardò a parlare coi suoi fratelli, poi li lasciò tornare alle loro occupazioni, e tornò alla sua tenda col suo compagno e ministeriale Ludwig von Schaunberg. Friedrich aveva ventitré anni e in Austria godeva già di una certa fama per la sua prodezza con le armi, affinata nel corso di anni e anni di duro addestramento, tornei e campagne militari. Benché avesse solo undici anni più di lui, Ludwig era colui che aveva fatto di Friedrich un uomo e un cavaliere, istruendolo nell'arte militare mentre il ragazzo gli leggeva storie d'avventura - le stesse avventure che poi, anni dopo, avrebbero rivissuto insieme. E quando il giovane conte era cresciuto, il suo mentore e maestro era diventato un suo vassallo, poi un suo seguace, e infine il suo compagno più fedele. Non v'era giorno che non trascorresse insieme a Ludwig, né impresa che non avesse compiuto al suo fianco, da quando al termine dell'addestramento l'allievo aveva preso il maestro sotto la sua protezione, trattandolo non come un sottoposto, bensì come un pari.
Accanto a Ludwig, sei piedi e un palmo d'altezza [2] e fisico erculeo, Friedrich, pur essendo tutt'altro che gracile e minuto, gli arrivava poco sopra la spalla, ma nessuno dei due pareva farci troppo caso.
Erano in tenda a giocare a scacchi, quando la campana del vespro li ridestò dai loro svaghi. Friedrich si alzò in piedi, abbandonando il suo compagno nel bel mezzo della pianificazione di una mossa, si sistemò la camicia e i lacci delle calzebrache. "Prepariamoci", disse, "è ora di cena." Guardò la propria immagine riflessa allo specchio. I suoi capelli castani, che portava tagliati sotto le orecchie, erano ancora scompigliati, e gli occhi, di un azzurro intenso, parevano quasi trasparenti. Aveva il volto affilato, una rada barba biondiccia e i lineamenti delicati ma virili, che davano un'impressione di serenità e spensieratezza.
Quando si fu rapidamente rivestito, appese la scarsella alla cintura, si buttò il mantello sulle spalle e precedette il suo compagno. "Vieni, andiamo alla taverna, ci sono Konrad e il Siegfried che ci aspettano."
Ludwig aggrottò le sopracciglia. "Ci aspettano?"
"Sicuro", disse il conte, con un sorriso. "Sei uno di famiglia, ormai, mio fedele amico… almeno per me."

Konrad e Siegfried von Peilstein erano già seduti a mangiare e si lamentavano della pessima qualità del vino borgognone, rimpiangendo quello delle loro terre. Konrad era alto, segaligno, capelli scuri e naso aquilino; Siegfried era simile a Friedrich, ma aveva il viso più tondo, incorniciato da capelli lunghi fino alle spalle, e le guance coperte da una corta barba castana.
Seguito da Ludwig, Friedrich si mise a sedere a tavola, attendendo che l'oste arrivasse a prendere la sua ordinazione.
"…pare ormai ovvio che in Italia prima o poi scoppierà un conflitto", diceva Siegfried al fratello maggiore. "L'hai visto anche tu com'erano infervorati i milanesi due anni fa, nelle guerre contro Pavia, Lodi e Cremona… di Lodi non è rimasto che un cumulo di macerie, e i suoi abitanti errano sbandati implorando la protezione dei cremonesi…"
Konrad bevve un sorso di vino. "Quello dei milanesi è un grave atto di insubordinazione che il Barbarossa non lascerà impunito. Io mi preoccuperei più del papa, che invece di appoggiare l'unico vero Cesare Augusto si è pronunciato a favore dei sovrani normanni di Sicilia."
"Sai una cosa, Konrad", confessò l'altro, addentando una coscia di pollo, "se fossi stato il Rainaldo avrei preso la missiva del Papa e l'avrei stracciata dinanzi agli occhi del legato, gettando poi i suoi frammenti nel fuoco. Così si sarebbero evitati molti guai, tra cui la reazione di Otto von Wittelsbach."
"Beh, sì." Il più anziano rimuginò per un istante. "Avrebbe dimostrato in maniera più incisiva, di fronte a tutti i presenti, che l'imperatore non soggiace alla sconfinata arroganza di un suo vassallo. Anche io avrei fatto così: probabilmente, il Bandinelli si sarebbe dileguato con la coda tra le gambe, evitando l'ennesimo conflitto tra Cesare e Pietro [3]."
Intervenne Friedrich, che finora aveva ascoltato in silenzio. "Fin dai tempi di Carlo Magno è stato sancito il rapporto di subordinazione dei feudi papali a quelli imperiali."
"Ormai il conflitto è inevitabile", sentenziò Siegfried lapidario, "francamente, io non sarei mai saltato alla gola di un uomo di chiesa in quel modo, ma non vedo perché Otto von Wittelsbach dovrebbe scontarne le colpe."
Una figura scura si materializzò alle spalle di Siegfried e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle, facendolo sobbalzare. "Il legato papale era nel torto. Otto von Wittelsbach, pur avendo reagito in maniera fin troppo avventata ed eloquente, era animato dalle giuste motivazioni", sentenziò una voce profonda alle sue spalle. "Anche io, se un mio ministeriale mi arrecasse un'offesa del genere, sarei lesto a punirlo…"
"Non hai ancora perso i tuoi metodi, eh?!" L'austriaco si voltò spazientito verso il nuovo arrivato, il conte bavarese Richard von Thann. Costui era un uomo alto, longilineo, spalle larghe e capelli color ebano che si inanellavano intorno alla sua nuca e sulla sua fronte.
"Ti ho insegnato a guardarti alle spalle. Non mi sembra che tu stia mettendo in pratica i miei insegnamenti, knappe. [4]"
"Peccato che siano passati otto anni da quando mi hai conferito l'investitura!", bofonchiò l'altro.
Richard von Thann, senza dire altro, si mise a sedere accanto a lui e iniziò a sbocconcellare un pezzo di carne.
"Come stanno la Mathilde e le tue figliolette?", interloquì subito Konrad. La sorella dei tre austriaci era la moglie di Richard e aveva da poco dato alla luce la loro terza figlia.
"Bene, tutte quante." Richard ridacchiò. "Chissà se riuscirò ad avere un maschio prima di rimanere completamente assediato da così tante femmine…"
"Scusate il ritardo." I due fratelli minori di Richard, Adalbero ed Eberhard, accompagnati dallo scudiero di quest'ultimo, un ragazzo bavarese di nome Berthold von Andechs, arrivarono alla spicciolata tenendo in mano alti boccali di legno colmi di birra.
"Benvenuti, amici. Stavamo discutendo della scenata di Otto von Wittelsbach…", disse Friedrich.
"Mi aspettavo una simile reazione da parte sua." Eberhard von Thann, detto l'Orgoglioso, era il secondogenito, più cupo e posato del fratello. Aveva quasi trent'anni, e aveva viaggiato molto attraverso la Germania insieme a Siegfried. "Se c'è qualcosa che abbiamo imparato, presenziando ai Landtage [5] in Baviera e alle spedizioni in Italia, è che non bisogna mai far arrabbiare Otto von Wittelsbach. È da tempo un fedele cane dell'imperatore, e se solo Federico gliene avesse dato licenza, avremmo visto il sangue del legato scorrere in quella sala…"
Adalbero, il minore, che si divideva tra la vocazione di uomo di lettere e il dovere di uomo di spada, rivolse al fratello uno sguardo penetrante. "La verità, comunque la si veda, è che l'Aquila non può avere due teste. L'imperatore dovrebbe essere invero anche il pontefice massimo, sommo capo di tutte le cose celesti e terrene - come era d'uso presso i Romani d'Occidente e come, in un pallido tentativo d'imitazione, fanno anche i basilei dei Romei [6]."
"Hai mai pensato di andare a fare una lettura di diritto romano allo studium di Bononia [7]?", lo prese in giro suo fratello Richard.
"La vita del girovago non mi attrae. Preferisco le mie montagne, i miei boschi, e perché no, anche le donne bavaresi."

***

Contea di Peilstein, Ostarrichi [*]

Friedrich, da poco tornato in patria insieme ai suoi fratelli, era di nuovo in procinto di partire.
"Dove vai?", gli domandò suo padre, attirato dal tinnire metallico del suo usbergo di maglia. La figura, simile a un albero nodoso e ingrigito, del conte Konrad von Tengling si stagliò contro l'ingresso della sala d'armi.
"A Vienna, padre", rispose il giovane, allacciandosi la cintura della spada. "Il duca Enrico ha indetto un torneo."
Il vecchio annuì. "Temo che dovrai ritardare la tua partenza di qualche ora", annunciò. "Sei atteso nella mia stanza: c'è un ospite che desidera conferire con te. E vedi di non farti attendere come sempre, la mia pazienza non è infinita."

"È fuori discussione!" Appena l'ospite se ne fu andato, Friedrich batté con violenza un pugno sul tavolo. "Un'alleanza di convenienza? Non se ne parla neanche!"
"Modera i toni, figliolo", lo redarguì il padre. "Otto von Machland è stato molto conciliante."
"Al diavolo!", inveì ancora una volta il giovane, alzandosi in piedi e iniziando a girare con passo nervoso intorno al tavolo. "Possa il signore Iddio fulminarmi se mai dovessi sottostare a simili condizioni! Non se ne parla! Accettare la mano di quella… scialba ragazzina… quanti anni avrà, quindici?"
Il conte Konrad non si lasciò impressionare. "Non farai mica come tuo fratello?"
Friedrich si fermò al centro della stanza. "Non biasimo il Siegfried per aver rifiutato Bertha von Plain."
"Peccato, però, che l'avesse fatto perché era invaghito di quella civetta della Irmgard von Rauheneck, che ha dovuto umiliarlo pubblicamente di fronte alla corte viennese per fargli capire che non era il partito giusto per lui! Alla fine però, pure lui ha messo la testa a posto: meglio tardi che mai."
"Non eravate dello stesso parere quando è tornato a casa con la Hildegard", ribatté il figlio, sfrontato.
"Ebbene, figliolo, poi ho capito che era solo grazie a lei se mio figlio era ancora vivo. Quella donna è un tesoro raro. Ma che cosa dovevo fare, di fronte a un matrimonio clandestino, consumato a mia insaputa? Lei era già incinta quando me l'hanno annunciato!"
"Bene, padre, con me non avrete neanche quel problema. Non ho intenzione di sposarmi, né legalmente né clandestinamente, né tantomeno correrò il rischio di mettere al mondo figli illegittimi."
Senza attendere una risposta da parte del padre, Friedrich von Peilstein gli voltò le spalle e uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Era l'ultimo di quattro fratelli, figlio di Konrad von Tengling e di Adela von Ballenstedt, originaria della Sassonia e morta l'anno precedente.
Mathilde, la secondogenita e unica figlia, aveva sposato un bavarese delle Alpi, lo stesso che aveva fatto di Siegfried un cavaliere, ed era madre di tre graziose bambine dai capelli scuri. Col marito, Richard von Thann, aveva un rapporto di tenero affetto e profonda dedizione, che egli ricambiava.
Mentre Konrad, il maggiore, aveva sacrificato i propri veri sentimenti in nome del dovere, Siegfried aveva sofferto ed era stato ferito e abbandonato, per poi ribellarsi comunque al volere del padre e darsi a vita avventurosa. Friedrich ricordava ancora l'espressione sconvolta del povero anziano conte quando suo fratello era tornato dalla Franconia insieme alla moglie Hildegard, che presto gli avrebbe dato un figlio. Si era arrabbiato, ma si era subito anche commosso, dispensando la sua benedizione al nascituro e accogliendo la giovane come una figlia. Siegfried non era esattamente una persona imprevedibile: era un tipo ligio ai propri ideali e ai propri principi, che riteneva più importanti di ogni altra convenzione, ma non esitava a seguire la propria coscienza, a costo di trasgredire gli ordini. Konrad, invece, anteponeva il volere altrui al proprio, e raramente si permetteva rimostranze o lamentele. Era sempre sottostato al volere del vecchio padre, ed era egli stesso un uomo molto severo, che a prima vista poteva sembrare caustico e inflessibile, ma che Friedrich sapeva essere un attento osservatore, capace di comprendere a fondo l'animo di chi lo circondava.
Nonostante le differenze, fisiche e caratteriali, o forse proprio in virtù di esse, Konrad e Siegfried erano indispensabili l'uno per l'altro: Konrad era una roccia, un porto sicuro in cui rifugiarsi; Siegfried era l'amico fedele, pronto a dare la vita per difenderlo a spada tratta.
Friedrich sapeva di poter contare su entrambi in qualsiasi momento, ma non era mai riuscito a raggiungere, con nessuno dei due, il grado d'intesa quasi esclusiva che pareva legarli così indissolubilmente.

***

Il conte Friedrich von Peilstein fu accolto come nuovo campione dopo aver sconfitto, in un lungo e combattuto duello, il conte del Nordgau Rapoto von Ortenburg. Nelle sue orecchie rimbombavano ancora il boato della folla, i gridolini delle fanciulle, le acclamazioni dei cavalieri. Quelle attenzioni lo lusingavano, ma le cose che egli desiderava maggiormente dopo una battaglia, erano gli istanti di meritata pace da godersi in compagnia del suo Ludwig. Combattere lo faceva sentire vivo, e la vittoria lo inebriava come un calice di buon vino o come le gioie dell'amore passionale; era qualcosa che non faceva per gloria o per fama, ma solo e unicamente per se stesso, come fin dalla più remota fanciullezza gli era stato insegnato da suo padre: la loro famiglia, un'antica dinastia guerriera originaria del Norico romano [8], andava fiera dei valorosi guerrieri che si erano avvicendati nel corso delle generazioni.
Vis, Honor, Fides - Forza, Onore, Fedeltà - era il loro motto, e il loro simbolo, un drago rosso dalle ali spiegate su scudo argento, emblema di vigilanza, protezione, purezza spirituale e valore militare, ricordava loro ogni giorno il motivo per cui, all'età di dieci anni, avevano ricevuto la prima spada.

Friedrich e Ludwig tiravano di scherma nello spazio antistante la tenda del conte. Accaldati, ansanti e sudati per il lungo duello, nessuno dei due accennava a voler demordere; il cozzare delle spade vibrava nell'aria fredda. Ludwig superava il suo giovane compagno di un paio di palmi, ed era di gran lunga più robusto e massiccio, ma il conte, per naturale inclinazione affinata con l'esercizio, riusciva a tenergli testa con la sua destrezza.
A un certo punto, Friedrich riuscì a immobilizzare il braccio dell'altro, gli strappò la spada di mano e gli passò un braccio intorno al torace possente. "Sei mio, adesso", sussurrò, attirandolo a sé.
Ludwig rise. Si liberò dalla presa del conte e andò a buttarsi a sedere stancamente sullo scanno posto all'entrata del padiglione. Si slacciò l'elmo e lasciò ricadere all'indietro il camaglio e la cuffia imbottita, rivelando una matassa sudaticcia di capelli biondo cenere. "Solo adesso?"
"Effettivamente, no", ammise il giovane, con un sorriso. Gettò la spada e andò a sedersi cavalcioni su di lui, con la cotta di maglia e tutta la panoplia, avvicinando il suo volto a quello del compagno. "Tu sei sempre mio."
"Adesso ti riconosco."
Friedrich scostò una ciocca di capelli dalla fronte dell'amante e gli posò un bacio lieve sulla bocca. "Andiamo dentro."
L'altro non si fece pregare: lo sollevò da terra, lo spinse all'interno del padiglione e gli sfilò la cotta di maglia dalla testa. Friedrich si ritrovò in pochi istanti disteso sul giaciglio, senza nulla indosso, con Ludwig che lo sovrastava, apparentemente assorto nella contemplazione del suo corpo solido e muscoloso.
Si morse le labbra, fremendo impaziente. "Spogliati."
L'altro, fingendo di non ascoltarlo, lo immobilizzò e si piegò su di lui coprendo il suo volto di baci ardenti. Col respiro ormai ansante per l'eccitazione, smaniando per un contatto più intimo, Friedrich si svincolò dalla presa dell'amante e lo spinse all'indietro, strappandogli letteralmente le vesti di dosso. Rotolarono tra le coperte avvinti dalla passione, poi Ludwig riuscì di nuovo ad avere la meglio sul giovane amante e lo inchiodò al duro materasso della branda, sussurrando: "Tu avrai vinto il torneo e il duello, Langschwert [9], ma stavolta ho vinto io."
Qualunque cosa Friedrich avesse voluto dire, si infranse con un gemito roco contro le labbra dell'altro.

Quando Friedrich si risvegliò, Ludwig era ancora addormentato al suo fianco, e il suo russare familiare era l'unico rumore che turbava la quiete della placida notte invernale. Gli sistemò la coperta, si rivestì e uscì dalla tenda in punta di piedi, stringendosi nel mantello. Il cielo era un'immensa coltre scura tempestata di diamanti e polvere d'argento; la luna piena, da distanze siderali, vegliava su di loro col suo sguardo imperturbabile. Rabbrividendo di freddo, il giovane smosse leggermente i resti del focolare, cercando di attizzare le braci morenti, e si sdraiò sul prato lasciando vagare lo sguardo attraverso il cielo sconfinato. Non c'era niente di più bello di quella vita: la sete d'avventura, il brivido del combattimento, il corpo caldo di un amante a cui appoggiarsi dopo la battaglia e nell'intimità della notte. Amava Ludwig e la sua energia irruenta, unita alla sua capacità di diventare un tenero amante senza inutili smancerie. Benché fossero costretti a nascondersi al mondo e a lasciar passare anche mesi interi insieme senza potersi sfiorare come avrebbero desiderato, Friedrich non riusciva a immaginare per sé una sorte differente da quella, e cercava di assaporare fino in fondo tutti i segreti attimi di passione che poteva condividere con lui. Non aveva mai avuto una donna, né mai ne aveva desiderata una: era Ludwig il suo primo e unico amante, colui che, appena diciottenne, l'aveva iniziato a quelle gioie proibite insegnandogli a non vergognarsi mai dei propri sentimenti [10], e questo rapporto di esclusività provocava in lui un tremito di gelosia ogni volta che pensava ai passati trascorsi del suo compagno.
La risata di Ludwig lo distolse dalle sue meditazioni. "Che cosa ci fai fuori con questo freddo, Langschwert?"
"Stavo riflettendo", rispose il giovane.
L'altro si mise a sedere accanto a lui, a gambe incrociate, e gli passò un braccio intorno alle spalle. "Ti va di dirmi quali pensieri hanno turbato il tuo sonno?"
Friedrich sospirò, rannicchiandosi contro il suo petto. "Mi stavo chiedendo una cosa…"
"Dimmi."
"Mio padre mi rimprovera di perdere troppo tempo a rincorrere i miei sogni giovanili. Mio fratello Konrad si è sposato a ventun anni e alla mia età aveva già un figlio, e Siegfried, che adesso ne ha ventisei, ha appena piantato le sue radici…" Improvvisamente, Friedrich aveva perso tutta la sua usuale, baldanzosa sicurezza, e si sentiva quasi smarrito e indifeso tra le braccia del suo amante. "Come fai, tu, col peso di trentaquattro inverni sulle tue spalle, a non temere la vecchiaia?"
L'altro sorrise, stringendolo più forte. "Io non avrò timore della vecchiaia, finché tu sarai con me. Ne sono convinto da quel giorno in cui mi dicesti che mi amavi."

***

Fine prima parte.

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[1] Da chi dunque il principe tiene l'impero? Da chi, se non dal papa?
Questa frase, realmente pronunciata dal cardinale in questione, è passata alla storia.

[2] corrisponde a circa 193 cm

[3] Il Papa e l'Imperatore, nella cultura medievale. La storia ha luogo ai tempi della cosiddetta "lotta alle investiture".

[4] scudiero. Da ragazzino, Siegfried era scudiero di Richard.

[5] dieta territoriale, assemblea tra nobili di una data circoscrizione territoriale. Si contrappone all'Hoftag (la dieta imperiale, come quella di Besançon), che coinvolge la corte imperiale e i principi dell'impero.

[6] gli imperatori bizantini

[7] nome latino di Bologna

[*] nome medievale dell'Austria (da cui Österreich). All'epoca con "Austria" si intendeva soltanto l'odierna regione della Bassa Austria con annessa Vienna, che ne era la capitale e sede del castello dei duchi (adesso scomparso).

[8] nome con cui i Romani chiamavano l'Austria, regione celtica in seguito romanizzata e poi germanizzata dai Bavari. La dinastia di Friedrich è realmente esistita ed era una delle più importanti d'Austria all'epoca di questo racconto, ma le informazioni a riguardo sono fortemente romanzate.

[9] Lungaspada, soprannome di Friedrich. Deriva dal fatto che, mentre la maggior parte dei cavalieri all'epoca usava una spada a una mano (detta anche spada da cavaliere), Friedrich usava una spada volgarmente definita, nelle classificazioni moderne, "a una mano e mezza".

[10] Ai tempi di questa storia il trattamento della "sodomia" era piuttosto blando rispetto a quello che poi le sarà riservato nei secoli successivi. Chiarisco meglio questa cosa nella storia principale. Per comprendere meglio la "leggerezza" dei due protagonisti basti precisare questo: nel dodicesimo secolo i rapporti omosessuali non erano condannati come "peccati mortali", bensì come vizi equiparabili all'adulterio, alla lussuria o alla fornicazione eterosessuale. In genere, le conseguenze per chi veniva colto in flagrante erano la penitenza, il digiuno o in generale il disonore.

  
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