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Autore: Shiki Ryougi    14/12/2017    2 recensioni
[Blade Runner]
Non amati, non desiderati, non nati.
Creati, usati, poi dimenticati.
I raggi del sole filtravano debolmente attraverso le spesse nuvole scure, illuminando con
poco calore il viso perfetto di colei che apparentemente doveva avere poco più di vent’anni.
Un fiore sbocciato in mezzo al nulla, una rara meraviglia; questo avrebbero detto di lei,
all’infinito come una macabra cantilena che ti accompagna fin dentro al nulla.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Non-con
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Questo breve racconto è collocabile tra gli eventi del primo e del secondo film, un anno prima del Black Out del 2022. Per comprenderlo appieno è consigliabile averli visti entrambi. Inoltre ho introdotto un concetto non discusso nei film (se ne parla nel romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” di Philip K. Dick da cui sono tratti i film Balde Runner e Blade Runner 2049), cioè la palta (kipple), il caos, l’inesorabile entropia che sta sommergendo ogni cosa.
 
 
 
Come gocce di sangue
 
Pianeta Terra;
06/10/21


La pioggia non la smetteva mai di cadere sulla Terra ricoperta dalla palta e di ciò che restava degli uomini.
Era un luogo perfetto per morire; ciò che era una volta polvere sarebbe tornato a esserlo. E Gaia non era mai stata poco più che un oggetto. Spegnersi sotto la pioggia, sommersa dalla palta che un giorno avrebbe inghiottito ogni cosa, era la fine che quelli come lei meritavano.
Non amati, non desiderati, non nati.
Creati, usati, poi dimenticati.

I raggi del sole filtravano debolmente attraverso le spesse nuvole scure, illuminando con poco calore il viso perfetto di colei che apparentemente doveva avere poco più di vent’anni.
Un fiore sbocciato in mezzo al nulla, una rara meraviglia; questo avrebbero detto di lei, all’infinito come una macabra cantilena che ti accompagna fin dentro al nulla.
Nessuno avrebbe pianto e pregato per Gaia. Servita al suo scopo, ora era un giocattolo rotto pronto a essere assorbito dalla palta, il caos entropico che minacciava ogni cosa, rendendo nulli gli sforzi degli esseri umani.
La ragazza aveva dei vaghi ricordi di un’infanzia vissuta in campagna, con un padre, una madre… una famiglia incorniciata dall’idilliaca bugia che ogni androide portava dentro la testa.
False memorie regalate, innestate, come atto di fredda misericordia a coloro che non avrebbero visto altro che soprusi e schiavitù.
I brandelli di ciò che un tempo era stato un vestito sensuale pendevano verso il terreno, solleticandole la pelle nuda; era pallida e liscia, bagnata dalle fredde gocce di pioggia, che cadevano dal cielo e scivolavano lungo il tessuto lacero, e accarezzata dall’esile calore del sole.
Strappò ciò che rimaneva con rabbia; in quel poco tempo che le restava il corpo le apparteneva, nessuno l’avrebbe più solleticato, accarezzato e violato. In mezzo al nulla, baciata dal debole sole dell’alba e accarezzata dalle fitte gocce di pioggia, Gaia apparteneva soltanto a se stessa; a se stessa e alla morte, che l’aspettava come un caldo abbraccio.
Non aveva mai visto la Terra perché ciò che ricordava della propria infanzia non era mai esistito; quando capì che le rimaneva poco tempo decise di farne la sua tomba. Forse inizialmente aveva sperato di trovare una soluzione, qualcuno che potesse salvarla, ma il tutto era svanito in un lampo. Era il pianeta degli uomini, non degli androidi, che l’avrebbe accompagnata in quei ultimi istanti.
Parte dei lunghi capelli, spesso gioco di coloro che avevano avuto atti sessuali con lei, erano quasi caduti del tutto, ma restava una bellezza quasi arcaica anche così, in mezzo al degrado di ciò che apparteneva al mondo delle cose dimenticate.
Mentre camminava a piedi scalzi tra i rifiuti, ignorando il vago dolore provocato dai vari detriti che le laceravano la pelle, pensava intensamente perché poi non avrebbe potuto più fare nemmeno questo.
Provava a ricordare ogni istante della breve vita che portava sulle spalle; la realtà che aveva vissuto ogni giorno, come diapositive, le scorreva momento per momento davanti agli occhi della mente.
Man mano che ripercorreva velocemente ogni evento la rabbia saliva inesorabile: “Se non sono umana, se non posso conoscere cosa sono i sentimenti, allora perché sento dentro di me qualcosa di così simile alla furia che gli uomini mostravano quando infierivano sul mio corpo come sfogo di cose che non potevo nemmeno capire?”.
Un contundente pezzo di metallo cadde sul suo sguardo; inginocchiandosi infilzò la carne nei detriti. Digrignò i denti, sopportando il dolore in silenzio. Il sangue, rosso e denso come quello degli esseri umani, cominciò a spandersi come se volesse tingere il mondo di quell’ultimo soffocato grido di vita.
Gaia afferrò la lama e cominciò a passarsela sui palmi delle mani sporchi di polvere. In seguito la tinse nel proprio sangue che continuava ad allargarsi lentamente sulla superficie di quella collina del nulla; assaporò prima la sensazione di liscio e freddo sulla pelle e poi il calore e la viscosità di ciò che debolmente le scorreva nel corpo ormai senza forze.
Le gocce di pioggia le colavano sulle labbra morbide e rosee, carnose e desiderabili. Leccandosele si portò il palmo della mano, tinto dal proprio sangue e dalla palta, davanti al viso, assaggiandone il gusto.
“E così è questo il sapore della vita? Avrei voluto avere più tempo, assaggiando ogni cosa, tipo l’amore. Ma ora è tempo di morire”.
E il corpo di Gaia si accasciò divenendo parte di quel caos.
Ma, in un luogo lontano, nascosto, nel segreto davanti agli occhi del sistema solare, dall’amore nacque un miracolo, che come gocce di sangue di ogni androide perduto avrebbe macchiato il globo.
   
 
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