Dream, wherever you are will welcome you
Dream, may your trials end in full bloom
Dream, though your beginnings might be humble, may the end be prosperous
1.
Quel pomeriggio pioveva nella grande città coreana. Le gocce cadevano fittissime, la tempesta torrenziale picchiettava sul tetto ad un ritmo inarrestabile che ti stava dando alla testa. La finestra era talmente grande da illuminare ampiamente l'intera stanza, piccola al contrasto, che avevi condiviso con te stessa da quando eri arrivata nella città rumorosa che era Seoul. L'appartamento era troppo silenzioso invece e qualche volta ridevi da sola rendendotene conto, come se fosse un'ambivalenza in qualche modo buffa. Probabilmente c'era ben poco da ridere, quel silenzio prorompente che mai ti aveva infastidito in quel momento ti faceva comprendere che eri costretta alla solitudine; vittima dei tuoi sogni, non eri ancora abituata né all'appartamento né alla città che non ti aveva accolto. Gironzolavi ogni giorno per le vie dai nomi bizzarri alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che potesse darti una mano o persino rivolgere un sospiro nella tua direzione, ma tutto ciò che avevi trovato era una madre, probabilmente la Madonna incarnata, alla ricerca di baby-sitter. «Come se poi si nascesse madri» le avevi detto quella volta, dopo essere intervenuta, come per consolarla del naturale momento d'impotenza. Da quel giorno praticavi la lingua in cui eri già abbastanza fluente conversando con la dolce signora ogni qual volta la vedessi, il resto dei tuoi pomeriggi li passavi col marmocchio di nome Juun, non proprio nervoso così come si era rivelato a primo impatto. A differenza tua che avevi fatto di tutto pur di arrivare lì dov'eri, viveva in quella città dalla nascita ed era ovvio che fosse così, ma certe volte ti dava proprio fastidio. Provavi a non osservarlo con invidia e il suo viso così angelico, l'esatta fotocopia di quello della madre, ti convinceva a non farlo. Era lì con te quel pomeriggio, ormai da qualche ora, aspettavate insieme la fine del tuo turno di lavoro. Juun era stranamente paziente e silenzioso per essere un bambino, superando tutte le aspettative. Addirittura durante i primi pomeriggi passati con lui pensasti che te lo saresti fatta piacere, ma ciò ti venne immediatamente negato con l'affiorare dei primi problemi: come tutti gli altri marmocchi, ad un certo punto cominciava ad emanare uno strano odore che ti faceva capire che fosse il momento di cambiare il pannolino. «Non guardarmi in quel modo» gli dicesti quando ti rivolse quello sguardo per l'ennesima volta quel pomeriggio, a maggior ragione nella tua lingua madre così da poter evidenziare il controsenso di parlare con un bambino che ancora non capisce nemmeno il coreano. «Juun» lo chiamasti, mentre le sue piccole manine raggiungevano un mobile in vetro che ti faceva da comodino, purtroppo parecchio esposto alle manate. «Juun, cosa tocchi?» dovesti correre nella sua direzione, prendendolo in braccio quasi immediatamente e aiutandolo a cambiare rotta. C'era anche da dire che fissarlo ti rilassava, poiché era l'unica persona in quella città che potessi osservare dall'alto. Non avevi alcuna autorità, ti trattavano come la straniera che eri e forse avevano anche ragione ad adocchiarti un po' con sospetto, ma, come quel bambino si lasciava sottomettere e non poteva impedirlo, nemmeno tu avevi potuto impedire di sottometterti ai tuoi stessi desideri. Eri giunta lì consapevole dei rischi e ne assaporavi il retrogusto amaro, un po' scontenta, un po' entusiasta, un po' stanca a causa degli anni che avevi alle spalle di studio che ti avevano portato a cambiare il pannolino a un bimbo coreano che in quella città aveva decisamente più importanza di te, e, se importanza non è la parola corretta, allora sicuramente era più amato. Lo avevi visto circondato dai parenti amorevoli ed avevi cominciato ad odiarlo, meschinamente. Quando i pensieri più negativi riempivano la tua mente malata ti costringevi a sorridere, perché su internet avevi letto che sorridere senza motivo ti aiuta a recuperare un po' di entusiasmo - la psicopatica dentro di te non aveva altro modo per recuperare per un attimo l'allegria che tanto ti risultava difficile ottenere, per sentirsi grata per la vita che aveva scelto, preferivi sopprimerla in quel modo ed evitare di perdere quel barlume di buon senso che ti era rimasto. Dr. Jekyll e Mr Hyde? Forse, Seoul ti dava alla testa fino a quel punto. Osservasti l'orologio per l'ennesima volta, aspettando con ansia le sette, prendendo il bimbo tra le tue braccia e sedendoti nuovamente sulla rientranza della finestra, sbuffando ampiamente e ricominciando a scoprire i colori del panorama mentre il bimbo si riscaldava, come al solito, in silenzio. Non gli prestasti attenzione, eri talmente immersa tra i tuoi pensieri che non ti rendesti conto che lentamente si addormentava tra le tue braccia. «Oggi è andato tutto bene?» chiese, prudente come al solito, curiosa degli sviluppi del figlio che a causa del proprio lavoro non poteva verificare da sé. «Come al solito, signora Choi. È un angelo» affermasti, facendola sorridere sollevata. «Ha preso tutto da mio marito evidentemente» ridacchiò, ma tu non riuscisti a farlo con lei perché sapevi che l'angelo era lei, talmente gentile ed educata da essere in grado di aprire il cuore al diavolo. Non rispondesti, ma le sorridesti timidamente. «Scappo via immediatamente perché so che ogni momento che sprechi con me è un momento che potrebbe esserti utile. Stai per uscire?» «Sì, volevo prendere qualcosa per cena e poi fare un giro» rispondesti, alzando le spalle, non avendo immaginato nemmeno tu che avresti risposto in quel modo. Wow, tu che esci di tua iniziativa? «Sai già dove andare?» chiese premurosa, preoccupandosi come aveva sempre fatto dal vostro primo incontro. «Sì e no, posso cercare su googl-» «C'è un posto ottimo ed economico da queste parti, ti basta andare verso il parco, cammini verso la metropolitana e lo trovi quando giri a sinistra. So che non passi spesso da lì, c'è solo quel posto che non è frequentatissimo e per questo non se ne sente parlare, ma so che potrebbe piacerti in quanto mi ricorda tanto te.» Un angelo ti stava dando indicazioni, il che ti convinse a scegliere decisamente quel posto: che fosse il paradiso? «Va bene, immagino che passerò da lì» la rassicurasti, curiosa dalla descrizione che ti aveva fornito e dall'entusiasmo che emanava al solo parlarne. «Mi raccomando, prova a parlare con gli sconosciuti, altrimenti non farai mai amicizia» ti incoraggiò, mentre s'incamminava verso la sua macchina posteggiata davanti la tua piccola dimora. «D'accordo, domani le racconterò dei miei nuovi amici» dicesti, ridendo della sua affermazione, un po' inquietata perché ti ricordò per un attimo tua madre nel profilo che ti rivolse. Ti sistemasti velocemente prima di uscire, notando che cominciava a far freddo e che, dopotutto, non avresti passato tutto quel tempo in giro. Raggiungesti subito il posto, essendo appena dieci minuti a piedi da casa tua; tremante ti apprestasti verso il luogo, sperando che fosse ben riscaldato al suo interno. «Mi scusi?» il tuo sussurro lo fece saltare in aria. Il bicchiere per poco non cadde a terra, e il signore per poco non scivolò sulla scopa dietro di lui. «Sa-salve, oh, salve signorina. Salve» ripeté, almeno per dieci volte, quasi come se fosse incredulo di ricevere clienti a quell'ora. O in generale. «Taehyung, Taehyung, vieni a servire la signorina, io non so nemmeno quello che sto facendo qua» ti domandasti se stesse parlando con qualche amico immaginario, col suo staff immaginario o con se stesso, il che ti rese parecchio spaventata. «Taehyung, dannazione, esci dalla cucina, c'è un cliente» esclamò, facendoti spaventare il triplo. Il suo tono era autoritario, la sua voce roca ti inquietò a tal punto che pensasti di morire nel momento stesso in cui la sentisti. «Mi scusi signorina, ma mio figlio ha qualche problema di comprendonio ultimamente. Io sono il proprietario, quel cretino doveva fare roba in cucina e mi ha chiesto di guardare l'entrata, in caso dovesse entrar-» cominciò a parlare con una confidenza che non avevi visto ancora in nessun coreano se non nella signora Choi, che ti lasciò spiazzata e ancora più spaventata, indecisa se scappare definitivamente e non pensarci mai più. I suoi occhi erano troppo piccoli, ma ti scrutavano ampiamente, come se ci fosse qualcosa di strano sul tuo viso. «Non spaventare i clienti» ammonì minaccioso, poi riservò tutta la sua attenzione a te. L'uomo a cui si era appena rivolto il ragazzo sbuffò rumorosamente, uscendo di scena e portando con sé tutta l'ambiguità della situazione. «Scusami per mio padre, non dovrebbe essere qui in questo momento» chinò il capo così tanto che ti sentisti in colpa di averlo fatto sentire talmente dispiaciuto. «No, no, oddio, rialza la testa, per favore» balbettasti, non essendo ancora abituata a quanto fossero cordiali gli orientali. Alla tua affermazione, il ragazzo fece esattamente come dicesti. «Oh, non sei di qua. Ecco perché hai scelto questo posto» ridacchiò mentre ti scrutava curioso e notava i tuoi occhi dal taglio occidentale. Riuscisti a ridere con lui, il che ti sembrò totalmente sbagliato. «No, me ne hanno parlato e sono venuta qui» rispondesti, sincera, smorzando la sua battuta. «Chi te ne ha parlato?» chiese, mentre camminava verso il bancone dove finalmente vedesti cibo. I tuoi occhi si illuminarono. «Puoi dirmelo, conosciamo tutti i nostri clienti» ti rassicurò non appena capì quanto la sua domanda potesse sembrare intimidatoria. «La signora... Choi?» affermasti, quasi insicura, domandandoti se davvero quella signora fosse un cliente del posto. «Ma dai! Eun ti ha consigliato questo posto? La conosciamo tutti qui dentro, se siete in confidenza allora sei in automatico in confidenza con noi» ti rivolse un sorriso talmente ampio e riconoscesti l'influenza della signora in esso. Il modo in cui la chiamò col suo nome ti incuriosì. «Eun?» «La signora Choi frequenta questo posto da quando l'abbiamo aperto il mese scorso, è un'amica di famiglia ed ha sempre sostenuto l'idea di mio padre di aprirlo. Suo marito pure, conosci suo marito? Quella famiglia è una massa di- oh, okay, scusami, mi stavo distraendo. Sei venuta qui per mangiare, non per parlare di lei. Scusami» si scusò immediatamente quando vide la tua espressione perplessa, il che ti permise di riconoscerlo subito come quel tipo di persona che legge l'umore della gente attraverso le loro espressioni. Purtroppo le tue espressioni non rispecchiavano sempre come ti sentivi, essendo tu una persona piuttosto riservata e di norma indifferente. Ad essere sincera, quella era la tua unica espressione e nessun mago nelle relazioni sociali ti avrebbe letta semplicemente attraverso il viso. «No, no, scusami tu, non volevo sembrarti disinteressata. So quanto può essere coinvolgente parlare della signora Choi» dicesti, in riferimento alle ore al telefono che avevi passato con tua madre, descrivendo la signora in ogni suo dettaglio. «La conosci da molto?» chiese, rendendosi conto di aver già parlato abbastanza e di aver già superato il limite della discrezione - una domanda simile non avrebbe peggiorato la situazione. «No, lavoro per lei da tre settimane» rispondesti, spingendoti verso il bancone mentre ti sedevi su uno degli sgabelli verdi lì davanti. «Da tre settimane-» ci pensò un attimo, soddisfatto di vederti coinvolta nella conversazione. «Ma certo, aspetta!» esclamò, mentre i suoi occhi si illuminavano. Ti chiedesti come potessero degli occhi banalmente castani brillare così tanto. «Sei l'italiana di cui parlava, scusami se ho dimenticato il tuo nome ma era talmente particolare che-» «Y/n*» pronunciasti, quasi impulsivamente. «Oh, già» rimase sorpreso, ma un sorriso accogliente gli occupò il viso. «Sono Taehyung, chiamami pure per nome, sono il figlio dell'uomo che hai visto prima. Lavoro qua dalle sei alle otto, in genere non c'è nessuno quindi mio padre dà i turni a me, ma il resto del tempo ci sono delle persone veramente capaci di fare questo lavoro, non pensarmi come un raccomandato o qualcosa di simile, nemmeno vengo pagato» spiegò molto onestamente, preoccupandosi di essere giudicato dai tuoi occhi esaminatori. Stava parlando così tanto che ti chiedesti come facesse a non sentirsi in imbarazzo. «Oh, sei ghiacciata, stai bene?» chiese istantaneamente. «Sì, sono venuta qua senza vestirmi adeguatamente, non è nulla» rispondesti cortesemente, allontanando la mano. «Aspetta, ti prendo una felpa e torni a casa tranquilla. Intanto mi dici cosa prendi da mangiare? Non voglio disturbarti ancora» disse velocemente, mostrando tutta la sua personalità esuberante mentre faceva avanti e indietro per lo spazio dietro al bancone. «Mi dispiace che tu sia sola a quest'ora, ma dal momento che abbiamo aperto da poco non molta gente ci conosce. In genere chi passa evita questo posto perché è...» non sembrò trovare le parole, allora tu parlasti per lui una volta ingoiato il primo morso del panino. «Verde?» chiedesti, ironica. «Verde, strano, tutti i nostri clienti sono strani quanto questo posto» ammise, divertito. «Ma ci piace così» aggiunse. «Ma come mai 'Aoi'?» non riuscisti a trattenere la domanda. «È una parola giapponese che significa sia blu che verde, è già una parola eccentrica da sé. Un giapponese non saprebbe come interpretare il nome del locale fino a quando non vede con i propri occhi l'arredamento verde, ed è in un certo senso bizzarro. Per noi è solo verde, ma c'è gente che lo legge come blu, è una sorta di enigma. Il locale nasce da quest'idea.» Rimanesti perplessa dopo la sua spiegazione. «La signora Choi mi ha consigliato questo posto dicendo che le ricorda me» ammettesti, abbassando lo sguardo, un po' riflettendo per conto tuo, un po' volendo rendere partecipe il ragazzo che ti aveva coinvolta tutto quel tempo. «Al tuo posto mi sarei sentito offeso» borbottò, ridendo, per poi correggersi immediatamente preoccupato di aver insinuato qualcosa che non avrebbe voluto. «Devi essere una persona particolare, verde o blu, come il locale. Interpretabile.» «Penso sia così che mi vede» rispondesti, alzando le spalle, tornando a prestare l'attenzione al tuo panino. «Se lei ha detto così significa che è davvero così. Non dice mai nulla che non abbia significati alternativi, parla sempre di proposito» commentò, aggrottando le sopracciglia come a rifletterci un attimo. «Ha fatto lei stessa in modo che cominciassi a lavorare qua, parlando a caso come sembra che faccia la maggior parte del tempo. Ha aiutato me e la mia ragazza a metterci insieme, apparentemente senza volerlo, ma per questo le sono grato di giorno in giorno» e, ovviamente, il bel ragazzo di turno ha già la ragazza. «Capisco cosa intendi, è stata la prima persona a darmi una mano dal momento in cui sono arrivata in Corea, se non fosse per lei sarei in mezzo alla strada» commentasti, a tua volta rendendoti conto di quanto realmente manipolatrice fosse la persona che ti aveva portata fino a quel bar. «Già.» T fissò veramente tanto mentre pensava a quello che voleva dirti, e tu sperasti di non avere qualcosa in viso. Forse lo fece senza rendersene conto, ma ti studiò quasi come a notare ogni tuo dettaglio. «Se vuoi torna qualche volta e ci racconti di te, devo scoprire se sei verde o blu in fin dei conti» affermò divertito il ragazzo, e i suoi occhi brillarono. Giurasti che brillarono davvero, come brillano negli anime quando il protagonista è emozionato per qualcosa. Vedesti delle scintille dare ancora più colore al marrone di quegli occhi carismatici, lo giurasti a te stessa. «Ti presento gli altri che lavorano qua, mi dispiace che tu sia venuta solo ora» continuò, probabilmente cercando di catturare nella cerchia un altro cliente. «Mi piacerebbe» rispondesti, e lui capì subito che qualcosa non andava. «Purtroppo non fa per me, il fatto che un posto come questo esista mi riempie il cuore, ma io non posso farne parte» dicesti semplicemente, lasciando le ulteriori motivazioni nella tua testa. Il ragazzo sembrò demoralizzarsi un po'. «Oh, va bene, tranquilla, non volevo importi nulla» rispose, quasi come a giustificare le proprie proposte accattivanti. «Scusa, qualche volta mi lascio prendere» continuò. «No, per favore, continua così. Vai alla grande» gli sorridesti, aggiungendo che ti aveva semplicemente conosciuto in un momento sbagliato. «Offro io, tu fai in modo di tornare a casa tranquilla. E, per favore, la prossima volta che vieni fallo senza preoccuparti di nulla, siamo aperti in qualunque momento, non ti chiedo di venire qui ogni giorno» ripropose, alleggerendo un po' le opzioni di cui ti aveva parlato poco prima. Accettasti la sua offerta, sorridesti timidamente e facesti per andare. «La felpa-» balbettasti, prima di aprire la porta. «Riportamela quando passi di nuovo» ti interruppe, sorridendoti ampiamente. Lo fissasti, attenta ad ogni tratto del suo viso, rendendoti conto di quanto quella persona fosse onesta con se stessa e di conseguenza con gli altri. Non riuscisti a non sorridergli in risposta. «Grazie mille» chinasti leggermente la testa in segno di gratitudine, poi apristi la porta del bar e ti immergesti nel vento che si era fatto ancora più gelido dopo quella mezz'oretta che avevi passato nel locale. Senza effettivamente realizzare dove stessi andando, camminasti verso casa a passo spedito, troppo pensierosa per andare da qualche altra parte. Non avevi idea di cosa turbasse la tua mente, avevi soltanto la vaga sensazione che fosse successo qualcosa d'importante e che la te di quel dodici ottobre freddo non poteva comprendere. Era come se ti stessi già proiettando in un futuro in cui quella giornata avrebbe avuto un senso nella tua vita e non sarebbe stata solo un dodici ottobre freddo, un qualunque incontro con un barista parecchio amichevole, una casualità piacevole nella tua vita generalmente banale. Forse eri troppo annoiata, l'immagine di un futuro in cui quella giornata avrebbe preso significato ti rasserenò. Ti addormentasti dimenticando di chiudere la serranda della grande finestra, che vegliò su di te tutta la notte, traboccante di opportunità nei mille edifici che componevano il panorama. La felpa blu di Taehyung stava lì davanti immobile; dietro la finestra il mondo si muoveva rapido, e tu come la felpa eri immobile di fronte alle tue mille possibilità. Quel bar in fin dei conti era troppo verde per te, tu che eri sempre stata un po' blu piuttosto. Semplicemente non era ancora il momento di parlare di colori.
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こんにちは、
se avete letto fino a qua mi dispiace perché significa che siete minimamente interessati alla storia o siete val (tvb), il che rende felice me e dovrebbe rendere tristi voi perché state leggendo una mia storia. Ho scritto tutta la storia, ho tutti i capitoli ed evidentemente proverò a pubblicarli pian piano, ma sinceramente non so quando dimenticherò di farlo e dimenticherò di avere un account efp etc e altra roba che è già successa. Ma adoro personalmente questa fanfic, forse mi impegnerò un po' e vi giuro che una volta alla settimana avrete un capitolo.
Vi racconto un attimo perché ho scritto questa roba per farvi capire un paio di cose:
non scrivo fanfiction da anni e potrei essere terribilmente fuori allenamento, anche se ho scritto per me tutto questo tempo non scrivo da _anni_ di persone che si vogliono bene e si amano e si dicono cose dolci perché non mi sento molto a mio agio quando lo faccio, è sempre molto cringe e ble. Un giorno stavo scrivendo di me e di come mi vedo nel futuro ed è nata la protagonista - quindi, sì, se un giorno mi scrivete che pensate che la protagonista abbia una personalità orribile mi sentirò personalmente offesa. Poi è spuntato Taehyung a caso e ho detto ok questa cosa sta diventando una fanfiction. Poi ho scritto 16 capitoli, e ieri ho deciso di pubblicare su efp.
Oh e se vi piace scrivetemelo, se vi fa schifo scrivetemelo, se ho sbagliato un congiuntivo (probabile) scrivetemelo, non fatemi sentire ignorata.
:) ciao