Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: aoinohjme    14/12/2017    3 recensioni
«Sai che si dice che il sole e la luna si amino, segretamente, e che ciascuno muore per far vivere l'altro?» chiese, ricordandoti la cazzata più cliché che avessi mai sentito in tutta la tua vita. Facesti una smorfia disgustata. […]
«Se ci pensi un attimo, ci conosciamo da due giorni e non abbiamo fatto altro che arrenderci all'altro, proprio come il sole e la luna.»
Giurasti che il suo monologo sembrava uscito da un libro di Nicholas Sparks, quel ragazzo era per davvero un personaggio di un libro.
«Sarei felicissimo se questo rapporto continuasse così, sai? È come se avessi ritrovato un'amica persa ormai da tempo.»
https://www.wattpad.com/story/132546648-the-blue-light-that-was-with-me
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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   Dream, may all of creation be with you 'till the end of your life
 
 Dream, wherever you are will welcome you
   
Dream, may your trials end in full bloom
   
Dream, though your beginnings might be humble, may the end be prosperous
 




















                       1.
 

Quel pomeriggio pioveva nella grande città coreana. Le gocce cadevano fittissime, la tempesta torrenziale picchiettava sul tetto ad un ritmo inarrestabile che ti stava dando alla testa. 
Eri seduta comodamente sulla rientranza della finestra della camera in cui avevi preso dimora appena un mese prima, spinta dalla tua grande impulsività. Attraverso il vetro vedevi il panorama ancora nuovo: notavi un dettaglio di esso ogni singolo giorno, tutti i colori ti ricordavano ogni sfumatura della grande ambizione che ti pesava addosso. Sotto i tuoi occhi torreggiava il risultato della tua personalità e nulla al mondo ti avrebbe resa più emotiva di esso. Ogni tanto ti perdevi nelle sagome degli edifici ben più prominenti del tuo mini appartamento, ti chiedevi cosa vedesse la gente da punti talmente alti della città, se la loro vista fosse più piacevole della tua ombrosa.

La finestra era talmente grande da illuminare ampiamente l'intera stanza, piccola al contrasto, che avevi condiviso con te stessa da quando eri arrivata nella città rumorosa che era Seoul. L'appartamento era troppo silenzioso invece e qualche volta ridevi da sola rendendotene conto, come se fosse un'ambivalenza in qualche modo buffa. Probabilmente c'era ben poco da ridere, quel silenzio prorompente che mai ti aveva infastidito in quel momento ti faceva comprendere che eri costretta alla solitudine; vittima dei tuoi sogni, non eri ancora abituata né all'appartamento né alla città che non ti aveva accolto. Gironzolavi ogni giorno per le vie dai nomi bizzarri alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che potesse darti una mano o persino rivolgere un sospiro nella tua direzione, ma tutto ciò che avevi trovato era una madre, probabilmente la Madonna incarnata, alla ricerca di baby-sitter.
Era stato un caso, un attimo in cui vedesti la giovane madre in difficoltà col bambino che non voleva entrare nel passeggino perché piangeva troppo, un attimo in cui il tuo spirito d'iniziativa prese il sopravvento. Avevi calmato il bambino e avevi trovato lavoro, ed era a causa della tua personalità premurosa, della tua disponibilità e intraprendenza nei confronti degli sconosciuti. Ti eri accontentata in quel modo, accogliendo quell'opportunità come se fosse stata oro, ringraziando che non fossi una persona qualunque che come molti altri avrebbe ignorato il panico dipinto negli occhi della signora. 
Pensandoci una volta consapevole della tua situazione, tutto quello che successe da quel momento fu una ovvia conseguenza della tua intraprendenza. Non era il destino, eri tu.
Eri tu, e sarebbe potuto essere chiunque altro con un livello d'altruismo forte quanto il tuo.
Eri grata che fossi stata tu e non chiunque altro. Eri grata di te stessa, anche se non fu immediato. Riuscivi solo a pensare a quella madre che non aveva idea di come gestire un bambino parecchio nervoso come non lo fu mai, riuscivi solo a pensare che, se non l'avessi aiutata, quella madre sarebbe tornata a casa stressata e con un bambino piangente, pensando di essere una madre incapace. 

«Come se poi si nascesse madri» le avevi detto quella volta, dopo essere intervenuta, come per consolarla del naturale momento d'impotenza. 
La avevi fatta innamorare, non te lo disse mai, ma la liberasti da un grande peso e per questo ti diede il lavoro. Te lo propose senza esitare, e tu accettasti senza esitare.

Da quel giorno praticavi la lingua in cui eri già abbastanza fluente conversando con la dolce signora ogni qual volta la vedessi, il resto dei tuoi pomeriggi li passavi col marmocchio di nome Juun, non proprio nervoso così come si era rivelato a primo impatto. A differenza tua che avevi fatto di tutto pur di arrivare lì dov'eri, viveva in quella città dalla nascita ed era ovvio che fosse così, ma certe volte ti dava proprio fastidio. Provavi a non osservarlo con invidia e il suo viso così angelico, l'esatta fotocopia di quello della madre, ti convinceva a non farlo.

Era lì con te quel pomeriggio, ormai da qualche ora, aspettavate insieme la fine del tuo turno di lavoro.

Juun era stranamente paziente e silenzioso per essere un bambino, superando tutte le aspettative. Addirittura durante i primi pomeriggi passati con lui pensasti che te lo saresti fatta piacere, ma ciò ti venne immediatamente negato con l'affiorare dei primi problemi: come tutti gli altri marmocchi, ad un certo punto cominciava ad emanare uno strano odore che ti faceva capire che fosse il momento di cambiare il pannolino.

«Non guardarmi in quel modo» gli dicesti quando ti rivolse quello sguardo per l'ennesima volta quel pomeriggio, a maggior ragione nella tua lingua madre così da poter evidenziare il controsenso di parlare con un bambino che ancora non capisce nemmeno il coreano.
I suoi piccoli occhi neri, un po' piagnucolanti dal momento che se l'era fatta addosso, ti sembravano fatti di vetro. Allo stesso modo il suo viso paffuto era quasi di porcellana, pallido come non avevi mai visto. Sbuffasti, pensando a quanto si sarebbe fatto figo il bambino a cui cambiavi il pannolino, ma ridesti di te stessa nello stesso momento in cui il tuo flusso di pensieri arrivò a tal punto. 
Lo rimettesti a terra quando fu pulito e lui ricominciò a gattonare in giro per la tua camera. La conosceva già a memoria, ma la continuava a esplorare ogni singolo giorno sorridendo come uno stupido, un po' ti rivedevi in lui.

«Juun» lo chiamasti, mentre le sue piccole manine raggiungevano un mobile in vetro che ti faceva da comodino, purtroppo parecchio esposto alle manate.

«Juun, cosa tocchi?» dovesti correre nella sua direzione, prendendolo in braccio quasi immediatamente e aiutandolo a cambiare rotta. 
Ricominciò a gattonare verso la porta e uscì fuori dalla stanza, allora ti tranquillizzasti. 
Camminasti con lui, non potendo permetterti di perderlo d'occhio per evitare di fare brutta figura davanti alla madre divina che si ritrovava.

C'era anche da dire che fissarlo ti rilassava, poiché era l'unica persona in quella città che potessi osservare dall'alto. Non avevi alcuna autorità, ti trattavano come la straniera che eri e forse avevano anche ragione ad adocchiarti un po' con sospetto, ma, come quel bambino si lasciava sottomettere e non poteva impedirlo, nemmeno tu avevi potuto impedire di sottometterti ai tuoi stessi desideri. Eri giunta lì consapevole dei rischi e ne assaporavi il retrogusto amaro, un po' scontenta, un po' entusiasta, un po' stanca a causa degli anni che avevi alle spalle di studio che ti avevano portato a cambiare il pannolino a un bimbo coreano che in quella città aveva decisamente più importanza di te, e, se importanza non è la parola corretta, allora sicuramente era più amato. Lo avevi visto circondato dai parenti amorevoli ed avevi cominciato ad odiarlo, meschinamente.
I tuoi genitori erano dodici ore di volo lontani, non li vedevi da anni a causa delle circostanze della tua ambizione, mentre quel bimbo era inconsapevole e amato. Un po' di sconforto ti riempiva la testa quando pensavi a quanto ti mancassero i tuoi, nonostante non te lo saresti mai aspettato dalla te insensibile che tutto ciò che faceva con i propri genitori era litigare.
Da quando ti eri trasferita tutto ciò che ti migliorava la giornata era la chiamata da parte di tua madre durante la sera, quando lei si svegliava ma i tuoi occhi erano già pesanti, o il messaggio di tuo fratello che ti avvisava di roba a caso, dell'uscita di un nuovo album musicale, di un nuovo video, di sottigliezze che vi avevano sempre legati e che in quel momento dovevate condividere a distanza. Ma era tutto okay, avevi un lavoro e una nuova vita davanti, la tua famiglia era il problema minore, eventualmente ne avresti avuta un'altra.

Quando i pensieri più negativi riempivano la tua mente malata ti costringevi a sorridere, perché su internet avevi letto che sorridere senza motivo ti aiuta a recuperare un po' di entusiasmo - la psicopatica dentro di te non aveva altro modo per recuperare per un attimo l'allegria che tanto ti risultava difficile ottenere, per sentirsi grata per la vita che aveva scelto, preferivi sopprimerla in quel modo ed evitare di perdere quel barlume di buon senso che ti era rimasto. Dr. Jekyll e Mr Hyde? Forse, Seoul ti dava alla testa fino a quel punto.

Osservasti l'orologio per l'ennesima volta, aspettando con ansia le sette, prendendo il bimbo tra le tue braccia e sedendoti nuovamente sulla rientranza della finestra, sbuffando ampiamente e ricominciando a scoprire i colori del panorama mentre il bimbo si riscaldava, come al solito, in silenzio. Non gli prestasti attenzione, eri talmente immersa tra i tuoi pensieri che non ti rendesti conto che lentamente si addormentava tra le tue braccia. 
Sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un tale pigro che la madre avrebbe fatto meglio a tenerlo d'occhio finché poteva, in modo che con lui sarebbe cresciuto anche un po' di entusiasmo. In quello stato sembrava talmente fragile, già evidentemente introverso alla sua piccola età, che desiderasti stargli accanto tu stessa per spronarlo a diventare un ometto ambizioso e non un qualunque ragazzaccio pigro e viziato, e che, per questo motivo, non ha bisogno di impegnarsi nella vita. Ti incantasti nei suoi lineamenti per l'ennesima volta, mentre gli auguravi tutto il bene possibile come la romanticona senza speranza che eri. 
Ben presto il campanello del tuo appartamento suonò, con esso l'orologio appeso alla parete segnò le sette di sera.
Ti alzasti col bimbo tra le braccia, apristi la porta e lo avvicinasti alla madre, col solito dolce sorriso sul piccolo viso bianco.

«Oggi è andato tutto bene?» chiese, prudente come al solito, curiosa degli sviluppi del figlio che a causa del proprio lavoro non poteva verificare da sé.

«Come al solito, signora Choi. È un angelo» affermasti, facendola sorridere sollevata.

«Ha preso tutto da mio marito evidentemente» ridacchiò, ma tu non riuscisti a farlo con lei perché sapevi che l'angelo era lei, talmente gentile ed educata da essere in grado di aprire il cuore al diavolo. Non rispondesti, ma le sorridesti timidamente.

«Scappo via immediatamente perché so che ogni momento che sprechi con me è un momento che potrebbe esserti utile. Stai per uscire?»

«Sì, volevo prendere qualcosa per cena e poi fare un giro» rispondesti, alzando le spalle, non avendo immaginato nemmeno tu che avresti risposto in quel modo. Wow, tu che esci di tua iniziativa?

«Sai già dove andare?» chiese premurosa, preoccupandosi come aveva sempre fatto dal vostro primo incontro.

«Sì e no, posso cercare su googl-»

«C'è un posto ottimo ed economico da queste parti, ti basta andare verso il parco, cammini verso la metropolitana e lo trovi quando giri a sinistra. So che non passi spesso da lì, c'è solo quel posto che non è frequentatissimo e per questo non se ne sente parlare, ma so che potrebbe piacerti in quanto mi ricorda tanto te.»

Un angelo ti stava dando indicazioni, il che ti convinse a scegliere decisamente quel posto: che fosse il paradiso?

«Va bene, immagino che passerò da lì» la rassicurasti, curiosa dalla descrizione che ti aveva fornito e dall'entusiasmo che emanava al solo parlarne.

«Mi raccomando, prova a parlare con gli sconosciuti, altrimenti non farai mai amicizia» ti incoraggiò, mentre s'incamminava verso la sua macchina posteggiata davanti la tua piccola dimora.

«D'accordo, domani le racconterò dei miei nuovi amici» dicesti, ridendo della sua affermazione, un po' inquietata perché ti ricordò per un attimo tua madre nel profilo che ti rivolse. 
Ti fece un occhiolino mentre sistemava suo figlio dentro la macchina, poi salì lei e la osservasti allontanarsi. Era possibile che ti stessi innamorando di una signora sposata? Non capivi come potesse esistere qualcuno che ti avesse dato confidenza così in fretta, che in qualche settimana era in grado di riconoscerti per quello che eri veramente, e che pensava a te quando vedeva locali? Incredibile.

Ti sistemasti velocemente prima di uscire, notando che cominciava a far freddo e che, dopotutto, non avresti passato tutto quel tempo in giro. 
Forse saresti dovuta andare alla ricerca di altri tipi di locali, pub, farti un gruppo di amici o quantomeno parlare a caso con qualcuno che non fosse la signora Choi, ma eri troppo infreddolita, introversa e annoiata per fare una cosa del genere. Già camminare per le strade verso quel posto, qualunque cosa fosse, fu un'impresa. Sentivi freddo, nonostante avessi percepito quanto fosse gelido il vento non ti eri coperta abbastanza e di conseguenza ogni centimetro della tua pelle divenne ghiaccio. Cercasti di velocizzare il passo.

Raggiungesti subito il posto, essendo appena dieci minuti a piedi da casa tua; tremante ti apprestasti verso il luogo, sperando che fosse ben riscaldato al suo interno.
I tuoi occhi si alzarono verso l'edificio.
In un primo momento reagì solo il tuo viso all'aspetto esteriore del locale, contorcendosi in una smorfia che non eri sicura quale sensazione stesse rappresentando. Successivamente all'iniziale confusione, dopo esserti guardata a destra e sinistra per assicurarti che non vi fossero altri locali nei dintorni, la tua mente realizzò che quel posto era fin troppo stravagante rispetto alle tue aspettative, in quanto avresti immaginato un luogo più chic per una personalità come la tua. La signora Choi doveva avere un'idea di te completamente a caso se pensava che quella cosa fosse il tuo stile.
Era fottutamente verde.
Le pareti, la porta d'ingresso, le sedie all'interno che trasparivano dal vetro delle finestre, persino il cartello sopra l'entrata recitava 'Aoi', verde o blu in giapponese, ma a quel punto capisti subito quale fosse la traduzione corretta: era tutto verde, forse per quello stesso motivo non attirava molti clienti. Era un posto eccentrico, in cui sarebbe entrato solo un infreddolito alla ricerca di riparo, un affamato alla ricerca di qualunque cosa fosse commestibile, o un turista incuriosito da quanto fosse particolare quel verde brillante delle mura esterne - in un certo senso, tutte e tre le descrizioni ti riguardavano perfettamente.
Entrasti, pensando che il verde che colorava quelle pareti fosse sicuramente un male minore rispetto alle tue mani che sembravano ormai congelate, e potesti scommettere che la gente che dall'esterno ti vedeva entrare pensava che fossi totalmente pazza o, al massimo, parecchio originale per preferire quel posto a un normale ristorante. Fu in quel momento tuttavia che capisti che non si trattava di un ristorante, né di una pizzeria, di una panineria, ma di un bar
Seriamente, signora Choi? Io muoio dalla fame e tu mi mandi in un bar? pensasti, osservandoti intorno alla ricerca di persone che fossero pazze quanto te e che avessero scelto lo stesso bar per cenare e, ovviamente, non trovasti nessuno.
Vi era un uomo al bancone intento a pulire i bicchieri che quel giorno non aveva probabilmente usato nessuno, ma non ti vide arrivare e continuò a fare quello che stava facendo, indiscreto. Parlava con se stesso, riconoscesti il suo come un accento talmente marcato che non riuscisti a capire nulla di quello che diceva. Ti dovesti avvicinare timorosa, silenziosamente.

«Mi scusi?» il tuo sussurro lo fece saltare in aria. Il bicchiere per poco non cadde a terra, e il signore per poco non scivolò sulla scopa dietro di lui.

«Sa-salve, oh, salve signorina. Salve» ripeté, almeno per dieci volte, quasi come se fosse incredulo di ricevere clienti a quell'ora. O in generale.

«Taehyung, Taehyung, vieni a servire la signorina, io non so nemmeno quello che sto facendo qua» ti domandasti se stesse parlando con qualche amico immaginario, col suo staff immaginario o con se stesso, il che ti rese parecchio spaventata. 
Dal momento che nessuno rispose, ti spaventasti ancora di più, indietreggiando quasi come per prepararti a scappare.

«Taehyung, dannazione, esci dalla cucina, c'è un cliente» esclamò, facendoti spaventare il triplo. Il suo tono era autoritario, la sua voce roca ti inquietò a tal punto che pensasti di morire nel momento stesso in cui la sentisti.

«Mi scusi signorina, ma mio figlio ha qualche problema di comprendonio ultimamente. Io sono il proprietario, quel cretino doveva fare roba in cucina e mi ha chiesto di guardare l'entrata, in caso dovesse entrar-» cominciò a parlare con una confidenza che non avevi visto ancora in nessun coreano se non nella signora Choi, che ti lasciò spiazzata e ancora più spaventata, indecisa se scappare definitivamente e non pensarci mai più. I suoi occhi erano troppo piccoli, ma ti scrutavano ampiamente, come se ci fosse qualcosa di strano sul tuo viso.
Tuttavia, il figlio di cui parlava effettivamente esisteva. Esisteva eccome, ed uscì dalla cucina interrompendo il monologo del padre quasi istantaneamente. Spostò i capelli castani di lato e osservasti curiosa mentre i suoi occhi si facevano sottilissimi, più di quanto non lo fossero già.

«Non spaventare i clienti» ammonì minaccioso, poi riservò tutta la sua attenzione a te. L'uomo a cui si era appena rivolto il ragazzo sbuffò rumorosamente, uscendo di scena e portando con sé tutta l'ambiguità della situazione.

«Scusami per mio padre, non dovrebbe essere qui in questo momento» chinò il capo così tanto che ti sentisti in colpa di averlo fatto sentire talmente dispiaciuto.

«No, no, oddio, rialza la testa, per favore» balbettasti, non essendo ancora abituata a quanto fossero cordiali gli orientali. Alla tua affermazione, il ragazzo fece esattamente come dicesti.

«Oh, non sei di qua. Ecco perché hai scelto questo posto» ridacchiò mentre ti scrutava curioso e notava i tuoi occhi dal taglio occidentale. Riuscisti a ridere con lui, il che ti sembrò totalmente sbagliato.

«No, me ne hanno parlato e sono venuta qui» rispondesti, sincera, smorzando la sua battuta.

«Chi te ne ha parlato?» chiese, mentre camminava verso il bancone dove finalmente vedesti cibo. I tuoi occhi si illuminarono.

«Puoi dirmelo, conosciamo tutti i nostri clienti» ti rassicurò non appena capì quanto la sua domanda potesse sembrare intimidatoria.
Esitasti, ma decidesti di tentare.

«La signora... Choi?» affermasti, quasi insicura, domandandoti se davvero quella signora fosse un cliente del posto.

«Ma dai! Eun ti ha consigliato questo posto? La conosciamo tutti qui dentro, se siete in confidenza allora sei in automatico in confidenza con noi» ti rivolse un sorriso talmente ampio e riconoscesti l'influenza della signora in esso. Il modo in cui la chiamò col suo nome ti incuriosì.

«Eun?»

«La signora Choi frequenta questo posto da quando l'abbiamo aperto il mese scorso, è un'amica di famiglia ed ha sempre sostenuto l'idea di mio padre di aprirlo. Suo marito pure, conosci suo marito? Quella famiglia è una massa di- oh, okay, scusami, mi stavo distraendo. Sei venuta qui per mangiare, non per parlare di lei. Scusami» si scusò immediatamente quando vide la tua espressione perplessa, il che ti permise di riconoscerlo subito come quel tipo di persona che legge l'umore della gente attraverso le loro espressioni. Purtroppo le tue espressioni non rispecchiavano sempre come ti sentivi, essendo tu una persona piuttosto riservata e di norma indifferente. Ad essere sincera, quella era la tua unica espressione e nessun mago nelle relazioni sociali ti avrebbe letta semplicemente attraverso il viso.
Inizialmente non reagisti alla sua affermazione, riflettendo su come approcciarti. In altri casi, avresti semplicemente ordinato.

«No, no, scusami tu, non volevo sembrarti disinteressata. So quanto può essere coinvolgente parlare della signora Choi» dicesti, in riferimento alle ore al telefono che avevi passato con tua madre, descrivendo la signora in ogni suo dettaglio.
Il ragazzo sembrò studiarti per un singolo momento, poi il suo sorriso si riaccese.

«La conosci da molto?» chiese, rendendosi conto di aver già parlato abbastanza e di aver già superato il limite della discrezione - una domanda simile non avrebbe peggiorato la situazione.

«No, lavoro per lei da tre settimane» rispondesti, spingendoti verso il bancone mentre ti sedevi su uno degli sgabelli verdi lì davanti.

«Da tre settimane-» ci pensò un attimo, soddisfatto di vederti coinvolta nella conversazione.

«Ma certo, aspetta!» esclamò, mentre i suoi occhi si illuminavano. Ti chiedesti come potessero degli occhi banalmente castani brillare così tanto.

«Sei l'italiana di cui parlava, scusami se ho dimenticato il tuo nome ma era talmente particolare che-»

«Y/n*» pronunciasti, quasi impulsivamente.
L'effetto che ti faceva parlare con qualcuno che non fosse quella signora ti spinse a presentarti quasi senza pensarci. La tua mente riuscì solo a elaborare il tuo nome in un disperato tentativo di fare amicizia.

«Oh, già» rimase sorpreso, ma un sorriso accogliente gli occupò il viso.

«Sono Taehyung, chiamami pure per nome, sono il figlio dell'uomo che hai visto prima. Lavoro qua dalle sei alle otto, in genere non c'è nessuno quindi mio padre dà i turni a me, ma il resto del tempo ci sono delle persone veramente capaci di fare questo lavoro, non pensarmi come un raccomandato o qualcosa di simile, nemmeno vengo pagato» spiegò molto onestamente, preoccupandosi di essere giudicato dai tuoi occhi esaminatori. Stava parlando così tanto che ti chiedesti come facesse a non sentirsi in imbarazzo.
Ti chiese la mano, gliela stringesti senza esitare. 
Fu in quel momento che ricordasti quanto fosse fredda la tua.

«Oh, sei ghiacciata, stai bene?» chiese istantaneamente.

«Sì, sono venuta qua senza vestirmi adeguatamente, non è nulla» rispondesti cortesemente, allontanando la mano.

«Aspetta, ti prendo una felpa e torni a casa tranquilla. Intanto mi dici cosa prendi da mangiare? Non voglio disturbarti ancora» disse velocemente, mostrando tutta la sua personalità esuberante mentre faceva avanti e indietro per lo spazio dietro al bancone.
Trovò una felpa blu e te la porse senza nemmeno esitare, poi si avvicinò al bancone dove stava tutto il cibo e aspettò il tuo ordine, paziente, mentre indossavi la felpa.
Ordinasti timidamente, coprendoti con cura e guardandolo darsi da fare.
I tuoi occhi percorsero tutto il suo corpo mentre si piegava per recuperare il cibo, dal momento che eri sicura che non potesse vederti. Era alto, aveva una corporatura come quelle che avresti potuto vedere in televisione, spalle larghe e corpo magro. Anche il suo viso era da televisione, liscio, luminoso, e più di tutto la sua espressione era gentile. Nulla in quello che vedevi ti infastidiva. I capelli gli cadevano gentilmente sul viso, rendendolo ancora più attraente di quanto già non fosse, e un po' arrossisti alla scoperta. Non ti eri mai negata il piacere di osservare qualcosa che fosse bella a tal punto, non ti saresti mai vergognata di pensare maliziosamente di qualcuno estremamente attraente che vedevi per strada, ma in quel caso ti sentisti un po' messa in soggezione. Nascondesti subito il tuo imbarazzo quando ti porse il panino e cominciasti a mangiare tranquilla.

«Mi dispiace che tu sia sola a quest'ora, ma dal momento che abbiamo aperto da poco non molta gente ci conosce. In genere chi passa evita questo posto perché è...» non sembrò trovare le parole, allora tu parlasti per lui una volta ingoiato il primo morso del panino.

«Verde?» chiedesti, ironica.
Alzò lo sguardo verso di te e sorrise con gli occhi.

«Verde, strano, tutti i nostri clienti sono strani quanto questo posto» ammise, divertito.

«Ma ci piace così» aggiunse. 
Capivi quello che intendeva, eri in grado di cogliere l'aspetto positivo in tutto quello che ti circondava, nonostante fossi il solo cliente, in compagnia di un ragazzo completamente sconosciuto che ti aveva parlato più di quanto avesse fatto chiunque altro da quando eri arrivata in Corea: quel posto era accogliente, così come lo era lui.
Era caldo, così come la felpa che ti copriva le spalle, così come il sorriso grande di Taehyung; il fatto che fosse verde passava in secondo piano, perché era eccentrico tanto quanto confortevole.

«Ma come mai 'Aoi'?» non riuscisti a trattenere la domanda.

«È una parola giapponese che significa sia blu che verde, è già una parola eccentrica da sé. Un giapponese non saprebbe come interpretare il nome del locale fino a quando non vede con i propri occhi l'arredamento verde, ed è in un certo senso bizzarro. Per noi è solo verde, ma c'è gente che lo legge come blu, è una sorta di enigma. Il locale nasce da quest'idea.»

Rimanesti perplessa dopo la sua spiegazione.

«La signora Choi mi ha consigliato questo posto dicendo che le ricorda me» ammettesti, abbassando lo sguardo, un po' riflettendo per conto tuo, un po' volendo rendere partecipe il ragazzo che ti aveva coinvolta tutto quel tempo.

«Al tuo posto mi sarei sentito offeso» borbottò, ridendo, per poi correggersi immediatamente preoccupato di aver insinuato qualcosa che non avrebbe voluto.

«Devi essere una persona particolare, verde o blu, come il locale. Interpretabile.»

«Penso sia così che mi vede» rispondesti, alzando le spalle, tornando a prestare l'attenzione al tuo panino.

«Se lei ha detto così significa che è davvero così. Non dice mai nulla che non abbia significati alternativi, parla sempre di proposito» commentò, aggrottando le sopracciglia come a rifletterci un attimo.

«Ha fatto lei stessa in modo che cominciassi a lavorare qua, parlando a caso come sembra che faccia la maggior parte del tempo. Ha aiutato me e la mia ragazza a metterci insieme, apparentemente senza volerlo, ma per questo le sono grato di giorno in giorno» e, ovviamente, il bel ragazzo di turno ha già la ragazza. 
Sospirasti senza rendertene conto, smorzando un po' la tua reazione per evitare che la notasse troppo.

«Capisco cosa intendi, è stata la prima persona a darmi una mano dal momento in cui sono arrivata in Corea, se non fosse per lei sarei in mezzo alla strada» commentasti, a tua volta rendendoti conto di quanto realmente manipolatrice fosse la persona che ti aveva portata fino a quel bar.

«Già.»

T fissò veramente tanto mentre pensava a quello che voleva dirti, e tu sperasti di non avere qualcosa in viso. Forse lo fece senza rendersene conto, ma ti studiò quasi come a notare ogni tuo dettaglio.

«Se vuoi torna qualche volta e ci racconti di te, devo scoprire se sei verde o blu in fin dei conti» affermò divertito il ragazzo, e i suoi occhi brillarono. Giurasti che brillarono davvero, come brillano negli anime quando il protagonista è emozionato per qualcosa. Vedesti delle scintille dare ancora più colore al marrone di quegli occhi carismatici, lo giurasti a te stessa.

«Ti presento gli altri che lavorano qua, mi dispiace che tu sia venuta solo ora» continuò, probabilmente cercando di catturare nella cerchia un altro cliente. 
Capisti che doveva essere il suo modo naturale di farsi dei clienti, ma, un po' rattristata, notando quanto quel posto fosse troppo riservato per poter includere qualcuno come te, abbassasti lo sguardo.

«Mi piacerebbe» rispondesti, e lui capì subito che qualcosa non andava. 
Ti apprestasti a chiarire.

«Purtroppo non fa per me, il fatto che un posto come questo esista mi riempie il cuore, ma io non posso farne parte» dicesti semplicemente, lasciando le ulteriori motivazioni nella tua testa. Il ragazzo sembrò demoralizzarsi un po'.

«Oh, va bene, tranquilla, non volevo importi nulla» rispose, quasi come a giustificare le proprie proposte accattivanti.

«Scusa, qualche volta mi lascio prendere» continuò.

«No, per favore, continua così. Vai alla grande» gli sorridesti, aggiungendo che ti aveva semplicemente conosciuto in un momento sbagliato.
La conversazione non andò avanti, anche perché avevi completamente mandato all'aria l'atmosfera. Mangiasti in silenzio, e quando facesti per pagare rifiutò i tuoi soldi.

«Offro io, tu fai in modo di tornare a casa tranquilla. E, per favore, la prossima volta che vieni fallo senza preoccuparti di nulla, siamo aperti in qualunque momento, non ti chiedo di venire qui ogni giorno» ripropose, alleggerendo un po' le opzioni di cui ti aveva parlato poco prima.
Si era aggiustato al tuo modo di pensare, e fu in quel modo che notasti quanto fossi una persona fredda e quanto fossi capace di smorzare il buon umore della gente.

Accettasti la sua offerta, sorridesti timidamente e facesti per andare.

«La felpa-» balbettasti, prima di aprire la porta.

«Riportamela quando passi di nuovo» ti interruppe, sorridendoti ampiamente.

Lo fissasti, attenta ad ogni tratto del suo viso, rendendoti conto di quanto quella persona fosse onesta con se stessa e di conseguenza con gli altri. Non riuscisti a non sorridergli in risposta.

«Grazie mille» chinasti leggermente la testa in segno di gratitudine, poi apristi la porta del bar e ti immergesti nel vento che si era fatto ancora più gelido dopo quella mezz'oretta che avevi passato nel locale.

Senza effettivamente realizzare dove stessi andando, camminasti verso casa a passo spedito, troppo pensierosa per andare da qualche altra parte. Non avevi idea di cosa turbasse la tua mente, avevi soltanto la vaga sensazione che fosse successo qualcosa d'importante e che la te di quel dodici ottobre freddo non poteva comprendere. Era come se ti stessi già proiettando in un futuro in cui quella giornata avrebbe avuto un senso nella tua vita e non sarebbe stata solo un dodici ottobre freddo, un qualunque incontro con un barista parecchio amichevole, una casualità piacevole nella tua vita generalmente banale. Forse eri troppo annoiata, l'immagine di un futuro in cui quella giornata avrebbe preso significato ti rasserenò.
Arrivasti a casa, poggiasti la felpa sulla rientranza della finestra e la osservasti, un po' sconsolata perché stavi solo fantasticando. Avevi persino rifiutato la gentilezza del ragazzo, non avevi nessun diritto di usarlo per attenuare la tua noia. Eri comunque convinta di esserti sottratta dalla situazione per una buona ragione, cioè che la tua ambizione non si limitava a quel bar piccolo, sconosciuto, che ti aveva lasciato l'impressione di un luogo chiuso in se stesso. Sola com'eri, non avresti potuto farne parte. Dovevi andare alla ricerca di qualcosa di più grande, qualcosa che fosse all'altezza delle tue aspettative, e lo avresti fatto anche se in cambio avresti dovuto rinunciare ad una piccola futura felicità.

Ti addormentasti dimenticando di chiudere la serranda della grande finestra, che vegliò su di te tutta la notte, traboccante di opportunità nei mille edifici che componevano il panorama. La felpa blu di Taehyung stava lì davanti immobile; dietro la finestra il mondo si muoveva rapido, e tu come la felpa eri immobile di fronte alle tue mille possibilità. Quel bar in fin dei conti era troppo verde per te, tu che eri sempre stata un po' blu piuttosto. 

Semplicemente non era ancora il momento di parlare di colori.









Y/n: nonché your name, il tuo nome, come avete ben notato è tutto alla seconda persona perché i protagonisti siete voi.







 

 

 



 

こんにちは

se avete letto fino a qua mi dispiace perché significa che siete minimamente interessati alla storia o siete val (tvb), il che rende felice me e dovrebbe rendere tristi voi perché state leggendo una mia storia. Ho scritto tutta la storia, ho tutti i capitoli ed evidentemente proverò a pubblicarli pian piano, ma sinceramente non so quando dimenticherò di farlo e dimenticherò di avere un account efp etc e altra roba che è già successa. Ma adoro personalmente questa fanfic, forse mi impegnerò un po' e vi giuro che una volta alla settimana avrete un capitolo. 
Vi racconto un attimo perché ho scritto questa roba per farvi capire un paio di cose:
non scrivo fanfiction da anni e potrei essere terribilmente fuori allenamento, anche se ho scritto per me tutto questo tempo non scrivo da _anni_ di persone che si vogliono bene e si amano e si dicono cose dolci perché non mi sento molto a mio agio quando lo faccio, è sempre molto cringe e ble. Un giorno stavo scrivendo di me e di come mi vedo nel futuro ed è nata la protagonista - quindi, sì, se un giorno mi scrivete che pensate che la protagonista abbia una personalità orribile mi sentirò personalmente offesa. Poi è spuntato Taehyung a caso e ho detto ok questa cosa sta diventando una fanfiction. Poi ho scritto 16 capitoli, e ieri ho deciso di pubblicare su efp.
Oh e se vi piace scrivetemelo, se vi fa schifo scrivetemelo, se ho sbagliato un congiuntivo (probabile) scrivetemelo, non fatemi sentire ignorata.

:) ciao

   
 
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