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Autore: imperfectjosie    16/12/2017    4 recensioni
«Allora! Cosa fanno i ragazzini ricchi per divertirsi?»
| Jerome/Bruce | no-slash
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bruce Wayne, Jerome Valeska
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Gotham
Pairing: È una Jerome/Bruce, però no. Cioè, aiuto non so come spiegarmi. Solo... niente slash. 
Rating: Verde (Ragazzi, ci sono riuscita!)
Note: Jerome è evaso, ma non sta bene (E intendo sul piano fisico!)
Josie's corner:
Mia Immagine
Questa storia me la ero bellamente dimenticata.
L'ho scritta prima di "Non vorrei, però ti ghiaccio il cuore", ed è più vecchia di un giorno, forse.
Non sapevo se pubblicarla o meno, poichè è priva di romanticismo, sentimentalismo, slash pairing & stuff. E so che questi sono requisiti quasi necessari, in ogni fandom (più o meno). Però mi sono divertita un sacco a scriverla! Perciò ho pensato fosse doveroso condividerla con voi.
Come promesso, mi sto impegnando nel divulgare questo personaggio (che amo), spero non sarò l'unica a farlo.
La storia si collega dopo gli eventi della terza stagione, ho inserito la gif solo perché mi piaceva! Tumblr è di aiuto in certi casi.
SPOILER:
L'aspetto di Jerome.
PS:
Al solito, non guadagno niente e scrivo per piacere personale. Passatevi una bella mezz'ora!
- Josie
 

You're never gonna fit in much, kid

 

Bruce non ci aveva pensato abbastanza. Come al solito - e ringraziava mentalmente le ferie arretrate di Alfred, così da non doversi sorbire paternali varie in merito - l'istinto gli aveva suggerito che spalancare il portone d'ingresso alle quattro del mattino - sotto a un diluvio torrenziale - sarebbe stata una brillante idea.
Ma il campanello era prossimo all'esplosione.
Così, accompagnato da un sonoro sbuffo irritato, comprese che forse aprire poteva essere un'idea utile. Quantomeno a levarsi lo scocciatore di turno dai piedi.
Villa Wayne subiva il fascino notturno. Con il camino scoppiettante, qualche libro in cui immergere la faccia, e un pigiama piuttosto caldo, Bruce non poteva chiedere di meglio.
Ma la sua vita non era mai stata prevedibile.
E quando il legno della costosissima porta anti-scasso si spalancò, davanti agli occhi del giovane miliardario si palesò la figura fradicia e ansimante del suo peggior nemico.
L'insulto rivolto al venditore di turno gli morì in gola con un singhiozzo.
Bruce mosse la bocca in una O allucinata, sgranando gli occhi alla vista di una chioma arancione piuttosto familiare.
«Che diavolo-»
«Ciao Brucie. Ti dispiace?»
Non era il tono sarcastico, né quel mezzo ghigno a deformargli le labbra spaventosamente violacee, ma gli occhi.
Bruce ricordava alla perfezione lo sguardo di Jerome Valeska. Folle, deciso, derisorio, a tratti magnetico.
Eppure la sua nemesi teneva le palpebre socchiuse, nascondendo gran parte del verde intenso. Il giovane Wayne inarcò un sopracciglio appena in tempo, prima di muoversi con uno scatto a sorreggerlo, impedendogli così di rovinare a terra.
Si diede dell'idiota pochi istanti dopo.
Il suo corpo aveva agito d'istinto - ovviamente.
Jerome tremava come un bambino, Bruce se ne accorse quando, per bilanciare il peso di entrambi, aveva spostato una mano, stringendola sulle sue spalle.
«Tu dovresti essere ad Arkham» mormorò sconvolto, facendo vagare lo sguardo sulla tuta logora e bagnata del rosso, che lasciò morire una risata in un colpo di tosse abbastanza preoccupante. Sfiorandogli inavvertitamente la pelle, si accorse che scottava.
«Hai la febbre alta. Si può sapere cosa ci fai qui? Credi davvero che non chiamerò Jim?»
La testa di Jerome scattò in su, fino ad incontrare il volto confuso del suo giovane rivale.
Tremava, ma quel sorriso non accennava a scemare.
«Confido nel tuo buon cuoricino, Brucie! Cosa farai?» soffiò ironico, deformando il sorriso una smorfia dolorante.
Aveva ricominciato ad ansimare, chiudendo gli occhi.
Bruce sospirò, poi scrutò lo spazio intorno a loro e - una volta certo di non avere nessuno a spiare, o peggio, fotografare quella assurda scena - si passò il braccio destro del killer intorno al collo, trascinandolo dentro casa.

***

«Pesi una tonnellata!» proferì con un ringhio dolorante, riuscendo ad arrancare verso il divano, dove lasciò la presa sul corpo dell'altro.
Si stava sforzando davvero, persino a parlare.
Jerome ridacchiò, poi stese le gambe, posando la schiena contro il tessuto aristocratico del mobile.
«Non chiami il tuo amichetto?» lo stuzzicò con un sorriso, osservandolo dal basso.
Bruce serrò la mascella, offrendogli una smorfia indignata.
«Potrei. Anzi, lo farò. Ma prima voglio sapere cosa diamine ci fai in casa mia» esclamò, allargando le braccia con un movimento secco delle spalle.
«Oh beh» cominciò vago «diciamo che non sono proprio in forma dopo l'evasione e avevo bisogno di un posto dove riposarmi» terminò infine, sollevandosi per riuscire a sistemarsi meglio.
La faceva sembrare una cosa del tutto naturale, come se essere steso sul divano del salotto in cui l'anno scorso lo aveva quasi ucciso, fosse normale amministrazione.
«Qui?» balbettò allibito, sgranando gli occhi all'espressione accigliata del rosso.
«Sì, qui.» rimbeccò, fissandolo quasi avesse detto qualcosa di tremendamente fuori luogo.
Bastarono pochi attimi, che i suoi occhi si illuminarono nuovamente.
«Ehi, hai la Play Station? Andiamo Brucie, non sei affatto ospitale!»
«Ospitale un corno, Valeska! Me ne frego se sei prossimo al collasso, voglio delle risposte. Adesso!» ringhiò il moro, serrando i pugni sul piede di guerra e ansimando per la rabbia.
Jerome spinse la lingua contro l'arcata superiore dei denti, aprendosi in un sorriso beffardo.
«Ozzie mi ha gentilmente offerto una via di fuga da Psychoville, ma ironia della sorte, mentre scappavo a gambe levate dalle sue grinfie arrapate, mi sono beccato un'infezione allo stomaco. La tua Villa era nei paraggi, non sei solito lasciar morire persone per strada e ho intravisto il tuo maggiordomo lasciare Gotham ieri pomeriggio... perciò eccomi alla festa!» cantilenò, mutando il tono di voce e ruotando il polso ad ogni singola spiegazione che la frase poteva contenere.
Bruce indurì lo sguardo, serrando i pugni tesi sui fianchi, in attesa.
Più osservava il corpo di Jerome steso comodamente sul proprio divano, più si malediva per essere ancora dannatamente debole.
Un anno prima non era riuscito a ucciderlo e adesso addirittura lo ospitava.
Ma, nei fatti, di tutto il racconto un piccolo particolare lo aveva incuriosito abbastanza, da avvicinarsi a Jerome, che incrinò la testa di lato, sorridendo euforico.
«Ozzie? Oswald?»
«Proprio lui!» sentenziò, indicandolo vittorioso.
«Stai dicendo che Pinguino ha tentato di sedurti?» domandò allucinato, scatenando l'ilarità dell'assassino.
Bruce cominciava ad irritarsi.
Possibile che non conoscesse altri modi di attirare l'attenzione? Lo osservò rovesciare la testa sul bracciolo del divano, gracchiando una risata infinita, almeno secondo i timpani del giovane Wayne.
«La vuoi finire? Rispondimi!» ringhiò, agguantandolo per l'uniforme zuppa, proprio sotto al mento, dove il bordo della maglia era prossimo a strapparsi.
Jerome parve ascoltarlo, ma il sorriso rimaneva lì, in segno di sfida.
«Ehi, sono un bel bocconcino, a quanto pare! Che vuoi che ti dica? Il pennuto ha gusto!»
Stava gongolando. Aveva voglia di spaccargli la faccia, ma si trattenne.
Lo liberò dalla presa con un colpo secco, prendendo a passeggiare nervosamente sul tappeto, con una mano incastrata tra i ciuffi mori.
Il temporale non accennava a diminuire e Bruce si rese conto che, con tutta probabilità, le linee telefoniche dell'intera città erano interrotte.
Isolato in casa propria insieme a uno dei suoi peggiori incubi.
Cominciava a rimpiangere la presenza di Alfred. Si sarebbe volentieri sorbito ogni lunga paternale del maggiordomo, piuttosto che quello.
E quando la voce beffarda riempì nuovamente il salone, Bruce fu sicuro, senza alcuna ombra di dubbio - che sarebbe stata una notte da dimenticare.
«Allora! Cosa fanno i ragazzini ricchi per divertirsi?»
Jerome aveva cominciato a guardarsi intorno con sincero interesse, alla ricerca di Dio solo sapeva cosa. Una mano lentigginosa stringeva lo schienale del divano, mentre la testa scattava incuriosita verso l'alto, all'altezza della libreria di famiglia.
«Stavo leggendo, prima che un pazzo influenzato piombasse nel mio salotto!» rimbeccò Bruce ironico, ottenendo così l'attenzione del rosso.
Non stava parlando affatto, si limitava a sorridergli, liberando di tanto in tanto qualche verso euforico, misto ad una ilarità macchiata dalla follia più pericolosa.
Al giovane Wayne, l'idea che Pinguino potesse seriamente prendere in considerazione Jerome Valeska come amante, gli faceva storcere il naso.
E fu proprio sull'onda di quel pensiero, che lo sguardo andò a posarsi istintivamente sul corpo asciutto dell'ospite.
Era alto. Molto. Bruce valutò almeno un metro e 80, forse qualcosina di più. Vantava anche un petto discretamente ampio e sicuramente ricordava la forza di quelle braccia stringerlo con furia omicida. Perciò anche prestante.
Dalla casacca spuntava qualche pelo rossiccio. La pelle spruzzata da qualche lentiggine, sembrava essere ancora più chiara alla povera luce della stanza. Spostandosi sul viso, il moro notò le efelidi attraversare la curva dritta del naso, una bocca sottile, ma sufficientemente carnosa, occhi grandi e verdi. Incredibilmente verdi. Capelli rossi, indomabili, resi più scuri dall'acquazzone che lo aveva investito.
Non c'era nulla, in Jerome, di comune. Ogni particolare gridava all'eccezione.
Forse, l'unica cosa a stonare in quel quadro, era il colorito delle guance. La febbre aveva regalato al rosso una sfumatura quasi purpurea. E Bruce si rese conto di dover fare qualcosa.
Nel bene o nel male.
La voce roca e divertita di Jerome lo riportò nel salotto.
«Mi trovi interessante, Brucie?»
 «Vado a prendere due coperte» sentenziò improvvisamente, facendo inarcare un sopracciglio al giovane killer che sorrise di rimando, stringendo gli occhi e annuendo.
Stava ancora impilando plaid e cuscini da portare in sala, rovistando alla ricerca di qualche vestito asciutto che poteva prestargli, quando un rumore lo costrinse a tornare nel salotto, quasi correndo.
Varcato l'atrio, sgranò gli occhi alla scena che lo investì.
Jerome se ne stava seduto a gambe incrociate sul tappeto, circondato da tomi di vario peso e spessore. Il braccio destro alzato, impegnato - con curioso disappunto - nel tenere un libro tra due dita. Poco distante, l'enorme libreria firmata Wayne giaceva in pezzi, rovesciata sul costoso pavimento.
Doveva averlo sentito arrivare, perché voltò la testa, inarcando entrambe le sopracciglia e offrendogli il profilo con un sorriso.
«Ma sei impazzito?» ruggì Bruce, avvicinandosi a passo di marcia per strappargli il volume dalla mano.
L'assassino sollevò le spalle, ridacchiando.
«Pessima scelta di parole, Brucie. Mi annoiavo!»
«E così hai pensato fosse divertente smontarmi il salotto?» ringhiò, prima di moderare i toni, appena lo vide sfilare dalla tasca dell'uniforme carceraria un coltellino lungo almeno 6 centimetri.
Se lo rigirava nel palmo sghignazzando, scrutandone la lama controluce.
Bruce deglutì, arretrando di un passo.
«Cosa hai intenzione di fare?»
«Niente di niente. Farò il bravo, giuro. Parola di scout!» proferì solenne, ridacchiando. Le iridi verdi perse chissà dove.
Bruce parve rilassarsi. Sospirò pesantemente, indicandogli una pila di cotone rosso che, in preda al panico, aveva gettato sulla poltrona.
«Ti ho portato un pigiama asciutto. Cambiati e cerca di non fare troppo casino»
Jerome seguì il dito del padrone di casa, aggrottando la fronte e sollevandosi in piedi con un sonoro verso d'approvazione, diretto ai vestiti.
Gli occhi del moro guizzarono d'impulso su quella schiena ampia, trovandosi ad osservare un profilo sorridente, intento ad analizzare l'abbigliamento saldamente stretto nella mano destra.
«Lo sai, ragazzino» cominciò Valeska, voltandosi totalmente verso Bruce, che sobbalzò «Neppure mia madre si era mai data tanto disturbo»
Sua madre.
Il tono, sempre ironico, tradiva una leggera nota amara che fece abbassare lo sguardo al più giovane.
«L'hai uccisa»             
«Oh sì. E da allora dormo come un angioletto, senza gemiti e schiamazzi ubriachi vari che mi sfondano i timpani!» gongolò, ampliando il sorriso con implicito sarcasmo, guadagnandosi un'occhiataccia colma di disgusto che ignorò bellamente, scrollando le spalle.
«Meraviglioso. Sono le sei del mattino. Vado di là così puoi cambiarti. Dormirai qui e io con te. Voglio tenerti d'occhio» commentò con tono scettico, avvicinandosi per offrigli una bustina bianca, ricamata di rosa.
«E questo cosa sarebbe?»
Il tono difensivo fece sbuffare Wayne.
«Un antipiretico, ti abbasserà la febbre» snocciolò, inarcando un sopracciglio all'espressione confusa del rosso.
Abbandonata la smorfia critica, Jerome agguantò ciò che gli era stato dato con una noncurante scrollata di spalle.
La mente del moro stava già traendo ogni possibile conclusione del caso. Non aveva mai preso un farmaco in vita sua, esclusi quelli con cui Arkham farciva i propri detenuti.
Almeno, secondo l'ombra di smarrimento nelle iridi verdi, nulla che potesse aiutare a stare meglio sul serio.
Era triste.
Nonostante il proprio passato straziante, lui era stato amato. Jerome non ne conosceva neppure il vago sentore di quel sentimento. E vista la psicopatia, sicuramente non sarebbe stato in grado di provarlo. Forse nemmeno immaginava cosa potesse essere.
L'idea che ad un essere umano fosse impedita qualsiasi forma di emozione, suonava come una punizione divina.
L'empatia.
Aveva letto da qualche parte che gli psicopatici sapevano fingerla bene, ma ignoravano ciò che comportava.
Jim, due anni prima, gli aveva raccontato di quel famoso interrogatorio in cui la vera natura del rosso era uscita fuori, gelando le espressioni dei presenti.
Ma pure sforzandosi, non riusciva proprio a figurarsi un Jerome Valeska in preda alle lacrime.             
«Brucie, sei tra noi?»
«Sì. Stavo pensando» rispose di getto, sollevando lo sguardo al tono cantilenante.
Dai movimenti con cui si stava spogliando, il moro comprese che doveva aver incassato qualche colpo all'altezza delle costole.
Bruce inarcò un sopracciglio.
L'immagine poteva anche risultare divertente. Avrebbe riso, ma si concesse solo un mezzo sorrisetto ironico, alla vista dell'assassino che stava palesemente litigando con le maniche senza alcun successo.
«Fanculo! Come cazzo si indossa questa camicia di forza?» ringhiò roco, storcendo la bocca ed evidenziando così ogni piega del sorriso allungato.
«Vuoi una mano?»             
Si morse la lingua dopo aver lasciato libero quel pensiero, ma Jerome bloccò le braccia in aria, ancora intrappolate nella stoffa vermiglia. Gli lanciò un'occhiata sorpresa, a tratti trionfante, inclinando la testa di lato senza nascondere una punta di soddisfatta euforia.
Poi, avvicinandosi a braccia tese, con il pigiama arrotolato intorno alla pelle diafana degli arti superiori, offrì al padroncino di casa un mezzo sorriso stranamente mansueto.
Bruce lo definì il più inquietante del suo repertorio.
Si apprestò tuttavia ad aiutarlo, sfilandogli la maglietta e costringendolo a mettersi seduto per l'evidente differenza d'altezza.
Non che lo volesse davvero, ma gli occhi calarono rapidi verso il petto ampio del detenuto, trovando lungo la strada un paio di lividi piuttosto gravi e qualche ferita, probabilmente prossima ad una infezione.
«Chi ti ha fatto questo?» domandò accigliato, riuscendo con evidente fatica a liberare la testa rossa dall'orlo del pigiama. Jerome vi sbucò con un sorriso, sistemandosi il ciuffo della cresta.     
«Cosa c'è? Adesso ci prendiamo a cuscinate e parliamo dei nostri problemi amorosi?» rimbeccò sarcastico, storcendo le labbra rovinate in una smorfia canzonatoria.
Bruce si infiammò, liberò velocemente la presa sulla stoffa con un movimento secco, allontanandosi dal corpo di Jerome, ancora tremante per la risata che lo aveva colpito.
«Sei davvero insopportabile! Puoi farcela a rispondermi senza dover per forza fare lo stronzo?» lo aggredì, allargando le braccia per enfatizzare il concetto.
Dopo quelli che sembrarono minuti, Jerome si sollevò ridacchiante, saltellando nel tentativo di infilarsi i pantaloni del pigiama.
«Che vuoi che ti dica, Brucie? Mi stimoli»
«Ma vai all'Inferno!»             
«Probabilmente finirà così, però è ancora troppo presto!» rimbeccò scandalizzato, sgranando gli occhi e ciondolando il corpo nella direzione del moro, che sollevò il mento, con tutta l'intenzione di sfidarlo.
«Quelli che hai visto sono dei regali. Gentilmente offerti dai dipendenti di Arkham. Non devo stargli molto simpatico» cominciò con voce roca, storcendo il naso e abbozzando un leggero sorriso, per poi illuminarsi a giorno, appena il verde degli occhi si posò euforico verso una piccola console nera, posta sotto al gigantesco televisore.
Seguito dallo sguardo vigile del giovane Wayne, Jerome avanzò a passo di marcia in quella direzione, inginocchiandosi.
«Hey» esclamò, voltando la testa.             
Sul viso la stessa espressione gioiosa di un bambino impegnato nel scartare regali a Natale.
Suonava come una richiesta, quasi supplichevole e il moro inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.
«Scordatelo. Sono le sette di mattina»
«Oh, andiamo! Hai paura di perdere?» lo stuzzicò allusivo, schiudendo le labbra in un sorriso da cui si potevano facilmente intravedere una manciata di denti bianchi.
Bruce roteò esasperato gli occhi al soffitto.
«Ho sonno, pertanto niente stupidi giochetti di alcun genere! Andremo a dormire» proferì sicuro, piegando il busto in avanti con tutta l'intenzione di fargli entrare quel piccolo concetto da qualche parte lì, sotto ai ciuffi arancioni.
Si sarebbe indubbiamente perso nel caos più assoluto, ma poco importava. Sua la casa, sue le regole.
«Ma quanto sei noioso!» borbottò con tono lamentoso, posando entrambe le mani sulle ginocchia, pronto a tirarsi su.
Se ne sarebbe pentito, sicuramente. Eppure la vocina che gridava prepotente nella sua testa, lo costrinse per l'ennesima volta a dar retta al proprio stupido istinto. E così Bruce aprì bocca.
«Una sola partita» acconsentì sibilando, per poi muoversi verso la sua direzione, a trafficare nei cassetti in legno massiccio dell'enorme mobile.             
Il rosso non parve prestare attenzione al tono ammonitore e ghignò complice. Quella smorfia compiaciuta, ebbe cura di irritarlo ulteriormente.

***

Le partite divennero tre e i minuti si trasformarono presto in un'ora abbondante.
L'orologio a pendolo, posto di fronte al portone d'ingresso, tuonò nel silenzio della Villa, ricordando al giovane Wayne che era mattina. Più precisamente le 8 spaccate.
Come se non fosse abbastanza, Jerome aveva vinto ogni rissa a Tekken. Ignorando lo scoppio di risa vittorioso dell'assassino che - trionfante - gli stava indicando il monitor con l'indice - Bruce sbuffò, abbandonando il joypad sul tappeto.
Erano finiti entrambi lì, a gambe incrociate, come due improbabili migliori amici.
Se Jim Gordon fosse piombato in casa sua, avrebbe perso come minimo dieci anni di vita, sgranando talmente tanto gli occhi, da dargli la forma di due patti piani.
Rimuginandoci su, Bruce dovette ammettere a sé stesso che - abbandonata la furia omicida, almeno in quelle ore - Jerome poteva anche risultare una piacevole compagnia.
Era divertente, completamente privo di tatto, ironico e accattivante. Lo aveva persino trascinato in una delle sue risate, quando - osservando la scena dei loro personaggi impegnati nel combattimento - gli ricordò euforico il loro incontro al circo, imprigionati fra le mura di una caotica casa degli specchi.          
Non che ci fosse molto da ridere, eppure l'assassino sembrava esserci riuscito ugualmente, a dispetto di Alfred e della sua presunta morte.
Bruce rammentava la paura che aveva provato in quell'occasione.
«Riusciremo a dormire per almeno un paio d'ore? Ti ricordo che sei un evaso» mormorò stanco, rovesciando la fronte al soffitto e strizzando le palpebre assonnate.
«Meh, chi se ne frega!» fu la colorita risposta dell'ospite, impegnato - con la lingua bloccata tra gli incisivi - a prendersi la sua rivincita contro Yoshimitsu, ormai manovrato dalla console.             
Bruce inarcò un sopracciglio, scrutando attentamente il profilo concentrato e sghignazzante del rosso.
Sembrava un ragazzo normale, certo, se si volevano ignorare le cicatrici intorno al volto e quel sorriso deformato da una piega fin troppo surreale.
Si stupì nel constatare quanto gli donasse quell'aspetto. Esprimeva, in maniera macabra, la sua insana personalità.
Seduto a gambe incrociate sul tappeto indiano, con il controller stretto tra le mani pallide e spruzzate da alcune efelidi poco vistose, a Bruce sembrò un incubo che valeva la pena affrontare.
Non si era mai tirato indietro in passato. Non con lui.
Ma solo in quel preciso istante ne comprese il motivo. Jerome non lo aveva mai annoiato e possedeva la capacità innata di attirare le persone, precisamente dove voleva che stessero.
O al suo fianco, o dal lato opposto. Era uno showman, dinamico e colmo di quel magnetismo spontaneo che il giovane Wayne, durante i primi anni della sua adolescenza, avrebbe pagato per possedere.
«Jerome?»             
«Ragazzino chiudi il becco, sto... oh, maledizione!» gracchiò, indicandogli la TV e inarcando entrambe le sopracciglia ramate con aria accusatoria.
Steso sul pavimento virtuale di un dojo giapponese, il suo personaggio gridava alla sconfitta.
«Hai visto cosa hai combinato?» lo informò con sdegno, facendo sbuffare il giovane Wayne.
«Oh, per favore!» rimbeccò seccato, drizzandosi in piedi con una smorfia indolenzita.
Jerome seguì ogni movimento sghignazzando, per poi stiracchiarsi rumorosamente.
Si era accorto, osservando il corpo del rosso, che quel pigiama gli stava oscenamente stretto. Scopriva i polpacci e a malapena riusciva a nascondere parte delle braccia.
Era buffo.             
Bruce si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
«Vuoi saltarmi addosso pure tu, Brucie?»
Al suono della voce roca, il moro si morse una guancia.
«I miei vestiti ti stanno corti»
«Questo perché sei un nano da giardino!» insinuò, gracchiando un tono canzonatorio che uscì quasi come un sibilo e scoprendo parte del profilo sorridente.
Bruce gli lanciò un'occhiata risentita, voltandosi dalla parte opposta per agguantare un cuscino e schiaffarglielo sullo stomaco. Jerome incassò il colpo con un gemito euforico, stringendone la stoffa.
«Piantala di fare l'idiota e dormi. Sono ore che ti sopporto, comincio ad averne abbastanza!» ringhiò, mentre le guance si coloravano leggermente, assumendo una tonalità di porpora acceso.
Era arrossito come un bambino. Dannato Valeska!
Sghignazzando, felice di aver centrato uno dei punti deboli di Bruce, Jerome scrollò le spalle con noncuranza, scaraventando il cuscino per terra e sdraiandosi, soffiando un verso compiaciuto.             
Voltandosi, il moro lo osservò agganciare le braccia dietro alla testa, spostando il corpo in una posa scomposta. Come diamine credeva di poter riuscire ad addormentarsi in quel modo?
Riflettendoci, dal circo alle celle di Arkham, la comodità non doveva essere un'abitudine per lui.
«Non vai sul divano?» lo interrogò, sinceramente incuriosito.
«Ti tengo d'occhio meglio se rimango qui»
«Uh, un pigiama party a tutti gli effetti, che bellezza!» gongolò con finta euforia, sgranando gli occhi all'espressione contrariata di Bruce, che ringhiò in risposta, acchiappando il suo cuscino stizzito, per poi stendersi accanto alla figura sghignazzante del rosso.
«Ti senti meglio?»
Non lo aveva più visto tossire, perciò la domanda gli uscì spontanea.
Jerome girò la testa nella sua direzione, abbozzando un marcato sorriso irriverente.
«Oh sì, grazie tante. Quella polverina ha fatto miracoli, Brucie!» soffiò raggiante.
E il moro, in tutta onestà, non seppe dire quanto quella notizia fosse buona. Avrebbe potuto ucciderlo nel sonno, o peggio.
Improvvisamente, l'impulso di conoscere meglio la propria nemesi, lo stuzzicò. Curiosità morbosa, così l'avrebbe definita Alfred.
«Posso farti una domanda?»
«Spara!» si fermò poi, arricciando il naso «Beh... metaforicamente parlando, si intende. Non ci tengo a schiattare un'altra volta!»
Bruce ignorò quel fastidioso ridacchiare, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo per non iniziare una scazzottata. Una di quelle vere.
Aveva imparato che stuzzicare la vena sadica di Jerome, non era mai conveniente.
«Cosa ricordi del circo?»
Poteva percepire i muscoli del suo corpo irrigidirsi anche a distanza. Voltandosi, notò come la sfumatura del verde si fosse annebbiata. Ma il sorriso restava.
«Non molto. Le botte, i clown... e le botte» minimizzò, con una scrollata di spalle apparentemente distaccata.
Bruce non ci credeva.
Forse la malattia era già presente in lui fin dalla nascita, ma qualcosa doveva averla liberata. E l'infanzia sembrava essere la via più plausibile.
Ancora gli sfuggiva un piccolo particolare.
«Hai ucciso tua madre solo per questo?»             
«Solo?» rimbeccò Jerome, sgranando gli occhi come se un enorme elefante rosa fosse appena entrato nel salotto.
Il moro arricciò il naso in una smorfia contrariata, tornando a guardare verso l'alto.           
«Anche Dwight. Eppure lui ti adorava»
«Ma per piacere! Quello era un imbecille alla ricerca di gloria. Gloria che sperava di prendersi con la mia faccia. Se permetti, è colpa sua tutto questo» gracchiò indignato, roteando un indice all'altezza del proprio viso.
«Perciò farlo saltare in aria come un petardo, mi pareva il minimo indispensabile!» terminò infine, abbassando la voce e ridacchiando con una perversione tale, da regalare a Bruce svariati brividi lungo la spina dorsale.
Forse quello poteva essere l'omicidio più sensato del suo curriculum.
Il moro sospirò.
«Ora che ci penso, non morivi dalla voglia di farti un sonnellino?» lo stuzzicò mellifluo, richiamandone l'attenzione.
Con uno scatto nervoso del collo, Bruce tornò a guardarlo. Quel sorriso aperto - misto all'espressione beffarda - non preannunciava assolutamente nulla di buono, almeno secondo le sue passate esperienze.
Come quando aveva caricato il cannone.
«Cosa ti fa credere che riuscirò a dormire?» rimbeccò ironico, inarcando un sopracciglio scuro all'insù.
Jerome ridacchiò vivace.
«Oh non saprei» mormorò vago, spostando tutto il corpo su un lato e reggendosi la testa con il palmo della mano, gli occhi stretti in due pericolose fessure.
«Forse perché ho corretto la tua Fanta con un sonnifero sgraffignato dalla dispensa di Ozzie!»
Bruce fece appena in tempo a sbiancare, che Il sorriso del rosso si allargò pienamente.
«Figlio di-»
Nel momento in cui la voce rabbiosa del padrone di casa si spense, Jerome roteò seccato le iridi verso l'alto, posandosi una mano aperta sul petto mortificato, con fare teatrale.
«Me lo ripetete ogni volta! Credete che non lo sappia?» sbuffò offeso, strisciando verso il corpo addormentato del minore.
Lo sovrastò, piantando i palmi contro al tappeto per non rovinargli addosso e ridacchiando divertito.
Le iridi verdi saettavano compulsive lungo tutta la figura imprigionata.
«Oh, Brucie. Sei un vero spasso! Ovviamente mi piacerebbe tanto, ma non ti ucciderò, almeno non ora. Dobbiamo divertirci ancora parecchio insieme!» gongolò, abbassandosi fino a posare un bacio sulla fronte rilassata di Bruce, che doveva aver percepito il contatto, perché si mosse nel sonno, facendo inarcare un sopracciglio incuriosito al rosso.
«J-Jerome, no-»
Il tono supplichevole si perse nell'aria.
Rapidamente, l'espressione del killer mutò da confusa, a euforica nel giro di qualche secondo. Sgranò gli occhi, liberando uno dei suoi sorrisi migliori.

***

Appena la luce del mattino gli sfiorò le palpebre, Bruce scattò seduto con un gemito sorpreso, vagamente terrorizzato.
Era ancora vivo e - soprattutto - la stanza sembrava non portare più nemmeno il ricordo di Jerome. O del suo odore.
Lasciando vagare le iridi preoccupate verso ogni angolo del salotto, il moro notò due pezzi di stoffa rossi accuratamente piegati, posti sopra al cuscino costoso del divano.
Aggrottò la fronte, levandosi in piedi.
Accanto al suo pigiama, un foglio stropicciato faceva bella mostra di sé, rivelando una calligrafia disordinata, ma leggibile.           Allungò d'istinto la mano, acchiappando il biglietto e portandoselo davanti agli occhi. Bastarono pochi secondi e l'espressione sul suo viso cambiò radicalmente. Da perplessa, a quasi divertita.

«Buongiorno Brucie! Dormito bene? Beh, sei ancora vivo, quindi.... ah, quasi dimenticavo, mi servivano dei contanti. Ho ficcato le mie pallide manine nella tasca dei tuoi pantaloni da damerino, spero non ti dispiaccia. E faccio davvero schifo in cucina, perciò niente colazione pronta... ehi suppongo di doverti ringraziare per stanotte. Abbiamo sul serio avuto un momento io e te, uh?! Imbarazzante!
Come ho già detto, sei vivo... però questa fortuna non durerà a lungo. Ti auguro di godertela. Almeno fino al nostro prossimo incontro!
Stammi bene, ma non troppo... non vorrei ti ci abituassi!
- J»

Bruce sospirò, sollevando lo sguardo verso il rumore della serratura che scattava.
«Sono a casa, signorino Bruce!»
La voce del maggiordomo riempì ogni stanza, costringendolo ad appallottolare quel messaggio e a nasconderlo dietro la schiena, stringendo poi il pugno con forza.
«Ciao Alfred. Come sono andate le ferie?»

 

FIN

  

  
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