Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Evali    16/12/2017    0 recensioni
SPIN OFF "The dragon, son of ice".
Tutto ciò che ci rende ciò che siamo è la convinzione ... e quando tutti ci fanno credere che siamo in un modo e ci trattano da tali ... sta a noi riconoscerci, ritrovare la nostra identità e smentirli. Perché noi non siamo né folli draghi, né diffidenti lupi, né delicate rose ... noi siamo noi, siamo chi decidiamo di essere, cosa scegliamo di costruire e nient'altro importa. Non ascoltare le voci ... guarda solo i miei occhi e torna con me. Torniamo a casa."
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Margaery Tyrell, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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I Fantasmi dei Superni
 
 
Eveline porse la borraccia colma d’acqua a Myranda, prendendo la sua amica per il braccio e trascinandola con sé per evitare che cadesse a terra sfinita dal clima troppo caldo per loro, e dalla lunga camminata senza soste durata due giorni interi.
- Eve, quanto manca? Non credo di poter resistere ancora.
- Invece dovrai, Dada. Fai un ultimo sforzo. Sono sicura che, a breve, troveremo qualcuno che ci condurrà a Vaes Dothrak. Non possiamo fermarci fin quando non saremo almeno temporaneamente al sicuro – la incoraggiò Eveline tirandola con forza.
Le due camminarono per un’altra ora, fin quando non incontrarono un uomo con la pelle scura e abiti succinti, composti da pelli di animali, aggiunti ad una barba e ad una chioma scure e lunghe. Aveva tutto l’aspetto dei dothraki delle descrizioni accurate di Daenerys. A ciò, Eveline attirò la sua attenzione sperando che capisse almeno qualche parola della lingua comune. Ma, ben presto, si accorse che le sue speranze fossero vane.
L’uomo cominciò a parlare loro in dothraki, ma Eveline gli ripeté di condurla da qualcuno che sapesse parlare la lingua comune.
La giovane rosa capì solo poche parole di ciò che disse, grazie alle fugaci lezioni di lingua dothraki che sua zia Daenerys le aveva dato quando era piccola. Ciò che comprese non era affatto incoraggiante. Constatando che la conversazione non avrebbe portato a nessun risultato, cercò di scavare a fondo nella sua memoria per ricordare il significato di qualche parola o costruzione in quella strana lingua.
Provò impacciatamente a dirgli quel poco che rimembrava. L’uomo sembrò cominciare a capire, ma non era abbastanza. A quel punto, venne in suo aiuto Myranda. La ragazza pronunciò quella che sembrò una frase compiuta in dothraki con inusuale sicurezza. A ciò, Eveline si voltò verso di lei sorpresa.
- Ci ho provato. Credo di ricordare il dothraki meglio di te, dato che zia Daenerys mi ha dato qualche lezione in più – disse sorridendo incerta la giovane Lannister.
L’uomo rivolse loro il gesto di seguirlo, e così fecero. Le condusse in quello che sembrava il suo villaggio, una fiorente terra abitata da coloro che apparivano come selvaggi agli occhi di due abitanti del continente occidentale.
Le donne indossavano dei vestiti spogli, fatti di pelle di animali, e camminavano sicure e spavalde come guerrieri, fermandosi a fissarle diffidenti non appena le due passavano loro dinnanzi. Anche gli uomini andavano in giro quasi nudi, risvegliando nelle due giovani una sorta di senso pudico che le spinse ad evitare di guardarli. Tutti sembravano pronti ad uccidere qualcuno da un momento all’altro, con i loro sguardi infuocati e le loro grosse armi rigorosamente tenute a portata di mano, allacciate alle loro cinture strette, quasi come fossero oggetti preziosi.
Colui che le aveva accolte e condotte nel suo villaggio, attraversò un’imponente arcata composta da due cavalli di pietra ai lati. Fu la conferma definitiva che si trovavano finalmente nella famosa Vaes Dothrak.
Quando entrarono dentro una grande e maestosa tenda rossa, le due si ritrovarono dinnanzi ad un uomo ancora più grosso di quello che le aveva guidate, con una chioma lunga fino al fondo schiena. Questo era seduto su una sedia più grande delle altre presenti nel luogo, e, accanto a lui, vi era una donna vestita diversamente dalle altre che avevano visto nel villaggio, sembrava indossare pelli più pregiate e il suo sguardo trasmetteva una sorta di regalità.
A ciò, il loro accompagnatore sembrò chiamare qualcuno. – Veherek!! – urlò aggiungendo altre parole in dothraki. Dopo qualche minuto, fu raggiunto da un altro guerriero dothraki un po’ più giovane di lui. – Lui. – lo indicò. – Lingua comune. Parla – disse facendosi capire dalle due che emisero un respiro di sollievo. Sembrò intendere anche il nuovo arrivato, difatti, accennò loro un sorriso, mantenendo comunque quell’aria di minacciosa diffidenza che sembrava contraddistinguere il suo popolo. – Da dove venite? – chiese loro con un forte accento dothraki.
- Proveniamo da Grande Inverno, nel continente occidentale. Chiediamo umilmente udienza al vostro khal – rispose Eveline con sicurezza.
- Io sono Veherek, figlio di grande guerriero Djaharro. Uomo che ha accompagnato voi è Adhem, figlio di grande khal Jaqo. Io sarò vostra lingua quando parlate con grande Khal Miroqo e con sua Khaleesi Lhija – disse il ragazzo facendo poi segno loro di seguirlo per condurle al cospetto del khal e della sua khaleesi.
Una volta giunte a pochi metri dall’uomo e dalla donna, le due fecero un educato inchino. – Grande Khal Miroqo e grande Khaleesi Lhija – cominciò Eveline sperando di aver pronunciato correttamente i nomi che aveva udito, mentre Veherek aveva già iniziato a tradurre accanto ai due sovrani. – Io e la mia amica proveniamo dal continente occidentale. Siamo nipoti e protette di una delle vostre vecchie khaleesi, Daenerys Targaryen, moglie di Khal Drogo, colei che ha guidato il vostro popolo oltre il mare stretto alleandosi con suo nipote Walter Targaryen per combattere la Battaglia Finale a Nord, contro gli Estranei. Siamo al vostro cospetto per chiedere il vostro aiuto e la vostra protezione, poiché nel luogo in cui viviamo ci danno la caccia per rapirci e ucciderci. Daenerys ci ha mandato qui in nome della vostra vecchia alleanza, garantendoci la vostra salvaguardia – disse Eveline non mostrando alcuna esitazione, sperando che sua zia non si avesse commesso un errore nel mandarle in quel luogo.
Quando il giovane dothraki terminò di tradurre al khal, quest’ultimo disse qualcosa ad una delle sue guardie, la quale si allontanò dalla tenda.
- Khal Miroqo ha chiamato qualcuno che può provare tue parole – le spiegò Veherek.
Attesero alcuni minuti, finché non entrò nella tenda un uomo molto più maturo rispetto a tutti i presenti. Questo si avvicinò ad Eveline e la guardò dritta negli occhi per alcuni istanti, per poi concentrarsi sul suo aspetto generale. – Sei nipote di famosa khaleesi con pelle e capelli bianchi? – le chiese il nuovo arrivato.
- Sì.
- Ma tu no capelli bianchi o pelle bianca – osservò lui.
- Beh, sono sua nipote, non sua figlia. Mio padre aveva i capelli neri.
- Chi tuo padre?
- Walter Targaryen.
Udendo quel nome, lo sguardo dell’uomo si accese. – Walter Targaryen? Ho conosciuto lui. Ho combattuto con lui. Io sono grande guerriero Qhono e io combattuto in Battaglia Finale – poi l’uomo si avvicinò ancora più a lei, facendola istintivamente indietreggiare. – Tuoi occhi. Assomigliano ai suoi. Tu davvero sua figlia – confermò Qhono. – Tuo nome?
- Mi chiamo Eveline.
Nell’udire tal nome, l’uomo la guardò torvo. – Evin?
- No, “Eveline” – ripeté lei pronunciandolo più lentamente.
- Tuo nome strano e difficile.
– Mia zia Daenerys aveva un nome molto più lungo e complicato. Come riuscivate a pronunciarlo?
- Non chiamavamo tua zia con suo nome. Lei era “khaleesi”. Vuoi chiamiamo anche te “khaleesi”?
- No, no, andrà bene solo “Eve”! – lo rassicurò lei sconsolata.
- Nome tuo padre molto facile. Tu dovresti chiamare come lui – disse l’uomo provocando nelle due ragazze una trattenuta risata divertita. - Tuo nome invece? – chiese rivolgendo l’attenzione a Myranda questa volta.
- Myranda Lannister.
- Come Jaime. Come Tyrion. Loro nomi facili. Invece anche tuo nome difficile, come lei – disse l’uomo ancora più confuso da quella logica che non comprendeva.
- Potete chiamarmi“Mia”! – si affrettò a dire la ragazza.
A ciò, Qhono si rivolse a Khal Miroqo, parlandogli ovviamente in dothraki. Quest’ultimo annuì e parlò per la prima volta alle due ospiti straniere.
- Khal Miroqo dice che Qhono crede voi. Avete la nostra protezione. Ora ancelle vi porteranno in vostre abitazioni – tradusse loro Veherek sorridendo e richiamando due donne.
Eveline e Myranda si guardarono sollevate per aver superato quello che sembrava l’ostacolo più grande del loro lungo viaggio.
Quando le due uscirono dalla tenda accompagnate da Veherek e dalle due ancelle, si accorsero che anche queste ultime avevano cominciato a scrutarle ripetutamente. Notando ciò, il ragazzo prese di nuovo la parola. – Donne dothraki vi guardano molto – disse alle due straniere.
- Già, è normale. Credono che potremmo essere una minaccia alla loro incolumità – gli rispose Eveline.
- No. Loro guardano perché siete molto belle.
- Perché dovrebbero farlo? Anche loro sono belle.
- No. Voi avete pelle chiara. Voi venite da oltre grande mare stretto. Voi avete bellezza più …
Eveline capì che il ragazzo non ricordasse il termine giusto nella lingua comune, così lo aiutò. - … raffinata?
- Sì, raffinata – pronunciò lui con non poca difficoltà, voltandosi, di tanto in tanto, ad osservare la giovane Lannister, intenta a guardarsi intorno curiosa e un po’ intimorita da quel nuovo e bizzarro ambiente.
- Dovremmo vestirci come loro? – chiese rivolgendosi implicitamente ad Eveline. Ma prima che quest’ultima potesse risponderle, una delle ancelle disse qualcosa in dothraki.
- Wanha dice che se volete restare qui, dovete rispettare cultura – tradusse il ragazzo. – Non preoccupare. Abbiamo pelli di capra e di coccodrilli molto belle. Alcune sono lunghe come vostri vestiti – la rassicurò Veherek accennandole un sorriso e capendo cosa realmente preoccupasse Myranda riguardo quel tipo di abbigliamento.
- Grazie – gli rispose lei lievemente imbarazzata. – Queste ragazze non parlano la lingua comune come te? Come potremo farci capire da loro? - aggiunse.
- Wanha e Laarit sanno parlare poco lingua comune. Però capiscono molto. Voi insegnerete loro e a bambini di villaggio a parlare lingua comune – propose il ragazzo.
- Volete imparare la lingua comune? – chiese Eveline rivolgendo uno sguardo fugace alla sua amica. – Myranda è molto brava con i bambini, vero, Dada? Può farlo lei. A patto che voi ci insegnerete a parlare dothraki – propose la giovane Targaryen.
- Buona proposta. E tu? Non insegnerai anche tu a parlare lingua comune?
- Io  avrò altro a cui pensare, Veherek. Mi aspetta un lavoro molto complesso.
A quelle parole, il ragazzo la guardò con sguardo interrogativo.
- Devi sapere che Eve è una grande esperta delle arti mediche – rispose Myranda al suo posto.
- Maga?
- Non maga. Medicine, curare – aggiunse Eveline per fargli capire meglio.
- Maga – continuò imperterrito il ragazzo come se non vi fosse differenza tra le due, in quel luogo.
- Devo trovare a tutti i costi una cura per la grave malattia di mia madre. Morirà se non mi sbrigherò a realizzare una medicina capace di guarirla. Non ho molto tempo. Quando io e Myranda torneremo nella nostra terra, dovrò già possedere il rimedio.
- Dispiace per tua madre – concluse Veherek fermandosi dinnanzi alla tenda dove le due avrebbero alloggiato. – Non disturberà nessuno voi, non preoccupate.
- Grazie, Veherek – rispose Myranda entrando dentro la tenda con le due ancelle. Prima che potesse entrarvi anche Eveline, il ragazzo parlò ancora.
- Se vuoi aiutare tua madre, no troverai risposte se resti qui. – A quelle parole, la giovane rosa si voltò nuovamente verso di lui, in attesa che continuasse. – In nostra cultura guariscono streghe e maghi.
- Nella nostra, invece, non funziona in questo modo. Distinguiamo coloro che fanno prettamente uso della magia, dai Maestri delle arti mediche veri e propri, nonostante io mi consideri di mente molto aperta e non disprezzi le tecniche che implicano componenti misteriche.
- Qual è tua età?
- Ho quasi sedici anni.
Il ragazzo rimase perplesso da tale risposta. – Sono sorpreso, Eve. In nostra cultura quelli che guariscono sono più vecchi. – Ciò generò una risata quasi spensierata nella giovane rosa.
- Vorrà dire che sarò la prima guaritrice così giovane a Vaes Dothrak.
- Dovrai mostrare quello che sai fare – commentò lui sorridendo a sua volta. – Ma, come ho detto, se resti qui non troverai quello che cerchi. Devi allontanare poco da Vaes Dothrak. Devi cercare stregoni e maghi. Loro aiuteranno te a trovare cura per tua madre.
- Allora, se è come dici, dimmi il nome di uno di loro e dove si trova.
- No essere avventata. Sono molto pericolosi. Sei ragazza coraggiosa ma no puoi essere imprudente con quello che non conosci. Se vuoi andare, qualcuno deve accompagnare te.
- Hai ragione, Veherek, ma credo di potermela cavare da sola. Sono stata altre volte a contatto con persone di questo tipo. Inoltre, sono un osso duro nonostante l’età. Dimmi dove andare per trovare le risposte che cerco.
Il giovane dothraki ci rifletté un po’ su, indeciso se dirle ciò che stava per rivelarle. – Stregone più famoso è a quattro ore di cavallo da qui. Lui saprà sicuro come aiutare. Riesce a fare tutto. Suo nome è Silenziatore. Ricorda, però, lui non aiuta tutti. Sceglie lui.
- Grazie, Veherek – disse salutandolo prima di entrare definitivamente nella tenda. – Ah, dimenticavo! – lo richiamò facendolo voltare di nuovo verso di lei. – Ho visto come guardi la mia amica. Se non pensassi che sei un bravo ragazzo, non ti aiuterei, dato che lei è come una sorella per me. Ma sono riuscita ad inquadrarti un po’ e so che ha bisogno di svagarsi un po’ da tutto ciò che ci sta accadendo. Credo che tu potresti aiutarla in questo. Myranda è una ragazza infinitamente dolce e sensibile, Veherek, oltre ad essere ancora molto giovane. Vedrai che, con il tempo, si aprirà e diventerete amici, ma non starle troppo addosso – lo rassicurò accennandogli un sorriso per poi entrare nella tenda.
 
Le ancelle videro che le due avevano lievi ferite e tagli in tutto il corpo, oltre ad essere sfinite per il lungo viaggio compiuto. A ciò, provvidero a preparare un bagno caldo e rilassante per loro.
Mentre una delle due massaggiava delicatamente le spalle di Eveline, le parlò. – Tua pelle. Molto bella – disse trattandola come se stesse maneggiando della porcellana.
- Tu sai parlare la lingua comune? – le chiese stupita la giovane rosa. La ragazza dothraki le fece segno di saperla parlare pochissimo. – Il tuo nome è Wanha, vero?
- Sì.
- Wanha, tu sai qualcosa riguardo un certo Silenziatore?
Non appena la giovane Targaryen pronunciò quel nome, le due ancelle si immobilizzarono come scottate, per poi guardarsi a vicenda. Myranda ed Eveline rimasero sorprese da tale reazione.
- No suo nome.
- Non devo più dire il suo nome?
- Tutti sanno.
- Perché siete così spaventate da lui?
- Pericoloso. Cambia, gioca con forma, con vita.
- È come se fosse un mutaforma? – azzardò Myranda.
- Suo nome Aris, tutti lontani da lui – le ripeté la donna categorica.
- Eveline, che significa? Vuoi andare da questa persona? Sai che ti ho sempre appoggiata indipendentemente dai pazzi squilibrati dai quali volevi dirigerti per reperire gli ingredienti per i tuoi intrugli, ma queste ragazze sembrano davvero spaventate … - le disse Myranda con sguardo preoccupato.
- Infatti questa volta non verrai con me. Andrò da sola. Veherek mi ha detto che qui funziona diversamente. Non esistono Maestri o semplici esperti delle arti mediche, ma solo stregoni o maghi che si occupano di ciò. Non potrò trovare una cura per mia madre a meno che io non mi rivolga ad uno di loro. Sai che sarei disposta a tutto pur di guarirla. Qui non ho neanche il mio rifugio con tutte le mie ampolle, le mie piante o i miei cristalli … Avrei praticamente le mani legate se non mi adeguassi alle usanze e ai ritmi di questo luogo. Vedrai che andrà tutto bene – la rassicurò allungando il braccio verso di lei per afferrarle la mano e stringergliela.
Tuttavia, nello stesso momento in cui le loro dita si sfiorarono, la vista di Myranda si annebbiò e, al posto delle immagini reali di quell’istante, dinnanzi ai suoi occhi comparvero delle visioni che mostravano la giovane rosa legata e in preda ad urli atroci e violenti.
Durò solo alcuni secondi, ma bastarono alla ragazza per farla spaventare ed emettere dei tremiti abbastanza evidenti che smossero l’acqua calda nella quale era immersa, sotto le mani attente dell’altra ancella e al tocco di Eveline.
- Dada? Che ti è successo? – le chiese allarmata la fanciulla.
Myranda, a tale domanda, restò a guardarla in cerca di aria da emettere, riflettendo sulla risposta da darle e decidendo che fosse meglio non dire nulla finché non avrebbe avuto qualche certezza in più riguardo ciò che aveva visto. D’altronde, suo padre glielo diceva sempre che, posta in situazioni di forte agitazione o dopo aver subìto un trauma, la mente gioca brutti scherzi. – Niente, non è stato niente, non preoccuparti. Solo brutti ricordi di sogni fatti le notti scorse.
A ciò, Eveline le strinse ancora la mano per darle il suo sostegno. – Passeranno, Dada. Questi brutti sogni non saranno più così frequenti, vedrai. Presto riceveremo notizie da Grande Inverno e sapremo come stanno i nostri cari.
- Già. Avremo presto loro notizie.
 
 
I figli di Euron Greyjoy percorsero la navata dirigendosi verso la regina Yara.
Si trattava di tre ragazze e di due ragazzini. Ognuno di loro sembrava mostrare reazioni diverse nel ritrovarsi per la prima volta nella nelle Isole di Ferro, sapendo di essere i figli del peggior nemico dei loro cugini di sangue. Colei apparentemente più tranquilla tra i cinque, era la figlia maggiore, una ragazza di ventisei anni, dai lunghi capelli color nocciola, con gli occhi profondi e penetranti di suo padre e un aspetto, seppur non bello per definizione, molto elegante, affascinante e dall’aria quasi intoccabile. Fu proprio lei a parlare anche in nome dei suoi fratelli minori.
- Cugina Yara – disse inchinandosi seguita da tutti gli altri. – È Bridgette Greyjoy che vi parla, figlia maggiore di vostro zio Euron, traditore ed esiliato dalle Isole di Ferro. Permettetemi di presentarvi i miei fratelli e le mie sorelle, mia regina – disse indicando i ragazzi e le ragazze che erano dietro di lei. – Camille Greyjoy, secondogenita; Ireen Greyjoy, terzogenita; Adrian Greyjoy, quartogenito e Wylem Greyjoy, il più piccolo tra noi – disse la ragazza.
- Vi ho accolto senza remore o pregiudizi nonostante le azioni riprovevoli che ha compiuto vostro padre, poiché non sono una regina ingiusta e trovo crudele punire i figli per i peccati dei propri genitori. Tuttavia … - disse Yara alzandosi in piedi e avvicinandosi a loro. - … non pensate di potermi trattare da stupida, poiché non sono neanche questo  - aggiunse rivolgendosi in particolare a Bridgette, la quale resse senza alcuna fatica il suo sguardo diffidente.
- Ed è giusto che sia così, mia regina. Noi e voi non ci conosciamo, non abbiamo nessuna confidenza e alcun legame che possa metterci nella posizione di avanzarvi richieste. Ne siamo ben consapevoli. D’altronde, prima di oggi, voi non eravate neanche a conoscenza della nostra esistenza.
- Dunque? Perché siete qui?
- Nostro padre è morto per un malanno qualche settimana fa, mentre nostra madre è morta durante l’ultimo parto. Siamo rimasti senza una famiglia e, dato che la ragione principale del nostro abissale distacco non esiste più, siamo venuti qui per chiedervi ospitalità nella vostra dimora, quella che sarebbe dovuta essere anche nostra, prima dell’esilio di nostro padre. Non biasimateci, cugina, di certo amavamo nostro padre; lui ci ha sempre trattati con riguardo e come dei figli meritano di essere trattati; tuttavia, riconosciamo i suoi gravi errori e ci troviamo assolutamente d’accordo con la vostra decisione di esiliare lui e la sua famiglia dalle Isole di Ferro. Ma ora, vi chiediamo di mettere da parte i vecchi disguidi di cui noi non facciamo parte, e di accoglierci nella vostra dimora. Magari non sarà possibile provare ad essere una famiglia, ma, almeno, i miei fratelli avranno modo di vivere in un ambiente pacifico e che ricordi loro l’affetto e il calore di una casa – disse solennemente la ragazza.
A quelle parole, Yara guardò Theon e si consultò con lui in privato.
Dopo qualche minuto in cui scambiarono le loro opinioni al riguardo, e nei quali Oberyn, da un angolo remoto del salone, ebbe modo di studiare i nuovi arrivati, Yara ritornò dinnanzi ai cinque. – Come ho detto, non posso condannarvi per i peccati commessi dal vostro crudele padre, assassino del nostro. Inoltre, io e mio fratello leggiamo sincerità nei vostri occhi. Potrete restare qui fin quando vorrete – affermò la donna accennando un contenuto sorriso ai suoi nuovi ospiti. A ciò i ragazzi sorrisero, tutti tranne Bridgette, la quale si limitò ad annuire cordialmente in segno di gratitudine.
- Perdonate l’indiscrezione della mia domanda, cugina Bridgette – aggiunse la regina. – Voi avete già una famiglia? Siete sposata o avete figli?
- No, cugina. Non ho figli e mio marito mi ha rifiutata come moglie a causa dell’impossibilità di dargli eredi – rispose con una freddezza invidiabile.
- Voi e la secondogenita sembrate già donne adulte, cugina. Dunque, suppongo che, anche al tempo della Battaglia Finale e del tradimento di vostro padre, voi foste già state concepite. La domanda mi sorge spontanea: siete sue figlie legittime? E, come mai, a quel tempo, non abbiamo saputo nulla della vostra esistenza?
- Durante la Battaglia Finale e l’esilio di nostro padre io avevo undici anni, mentre Camille quattro. Vi confermo che siamo state concepite da un rapporto illegittimo tra nostro padre e una lady appartenente alla casata Codd. Per questo non avete saputo nulla della nostra esistenza. Tuttavia, una volta cresciute, Euron ha deciso di renderci sue figlie legittime, attribuendoci il rinomato cognome dei Greyjoy, dandoci la possibilità di sposarci con prestigiosi lord e di divenire delle lady la cui mano fosse ambita. Ireen, Adrian e Wylem, invece, sono figli legittimi concepiti dopo la Battaglia Finale, tra il matrimonio di nostro padre e di lady Annabelle Farwynd.
- Capisco. Non intendevo essere inopportuna, lady Bridgette.
- Non lo siete affatto, regina Yara – rispose la ragazza con tranquillità.
- Prima di farvi preparare delle stanze in cui riposarvi dal lungo viaggio affrontato, è bene che voi conosciate qualcuno, cari cugini – aggiunse Theon, prendendo per la prima volta la parola.
 
La piccola Müren si era intrufolata nella stanza di sua madre, come era solita fare, poiché lì si trovava la culla del suo fratellino, il quale giaceva addormentato nel lettino, mentre la balia restava sull’attenti nelle vicinanze. La bambina si sporse sul bordo, poco più basso di lei, per osservarlo meglio. Sorrise nel notare che il neonato aveva aperto gli occhioni semiaddormentati, come ogni volta che lei lo andava a trovare e lo guardava mentre dormiva.
- Ciao, Blake. Sono venuta anche oggi per stare con te. Vuoi che ti aiuti a riaddormentarti? – chiese la bambina allungando la manina verso il suo fratellino con eccessiva cautela. Il pargolo mosse lievemente i piccoli arti mentre riconosceva quell’odore e quella presenza familiare. Müren avvicinò le dita al volto del bambino, ma senza sfiorarlo, terrorizzata dall’idea, anche se desiderosa di farlo e di dargli tutto l’amore che sentiva di volergli trasmettere. Rimase a debita distanza, fin quando il piccolo non le afferrò un dito, tenendolo stretto tra i suoi tenaci e minuscoli ditini. A quell’improvviso contatto, la bambina, presa dal panico, cercò di calmarsi e di prendere un lungo respiro per riuscire a mantenere la sua posizione e non staccarsi da lui.
- Non ti lascerò, Blake. Non ti lascerò fin quando non ti riaddormenterai – gli promise con voce lievemente tremante mentre il neonato continuava a stringere. - Vuoi che ti canti una canzone come faccio sempre, vero? Vediamo … oggi ne ho una nuova – sussurrò schiarendosi piano la voce e chiudendo gli occhi per ricordare le parole. – Il bianco viaggiava in un deserto sconfinato, perso e solo, in cerca degli altri colori – intonò. – Sembrava aver perso la sua strada
Sembrava destinato a quel nulla
Sembrava una domanda irrisolta
Sembrava una nuvola
Poi trovò un altro colore
Gli disse di dirgli quale fosse la strada che doveva seguire
L’altro colore gli disse che avrebbe dovuto rimanere fermo
Fermo per far capire agli altri colori di non essere bianco
Di non essere nulla – terminò la bambina riaprendo gli occhi e accorgendosi che, proprio come accadeva sempre, il suo fratellino si fosse riaddormentato beatamente grazie al suo canto.
- Avete una voce molto bella, principessa – commentò improvvisamente una voce dietro di lei. La piccola scattò e si voltò immediatamente, scossa da quel tono sconosciuto. Ser Davos era rimasto sul ciglio della porta ad ascoltare l’intera canzone e a sciogliersi nell’osservare il sorriso finale della bambina mentre guardava con amore il suo fratellino ancora in fasce dormire beatamente. – Perdonatemi: non era mia intenzione spaventarvi. Sono qui solo perché mi è stato chiesto di venire a chiamarvi: sono giunti dei nuovi ospiti e voi, essendo la primogenita della regina, dovete presentarvi loro - rispose con prudenza l’uomo.
A ciò, Müren, dopo aver appurato l’innocuità di quell’individuo, si diresse verso la porta, sorpassandolo, con l’intento di raggiungere il salone in cui si trovava precedentemente. Ma, prima di farlo, si voltò un’ultima volta verso la culla dove dormiva il neonato. – Sogni d’oro, Blake – gli disse teneramente, per poi raggiungere la sua meta.
 
Non appena la piccola Müren fece il suo ingresso nel salone, gli sguardi dei nuovi arrivati si puntarono su di lei.
- Lei è la principessa Müren Harlaw – la presentò nuovamente Theon.
A ciò, tutti e cinque i figli di Euron si inchinarono rispettosamente a lei, compresa Bridgette, la quale rimase maggiormente concentrata sulla bambina. – È un grande onore conoscervi, Müren. Spero che riusciremo presto a diventare amiche – le disse la ragazza accennandole un premuroso sorriso mentre era ancora inchinata.
- Avete gli occhi del mare in tempesta – disse timidamente la bambina, guardandoli rapita.
A quella risposta, la giovane donna rimase piacevolmente colpita. – E i vostri sono come quelli di una giovane aquila intenta a solcare i cieli, mia principessa – le rispose osservandoli attentamente.
 
 
L’uomo entrò nella Sala dei Mille Troni a passo svelto e chinando il capo per mostrare riverenza.
- Sei arrivato, Rhaz Qarneex – pronunciò uno dei Superni che lo stavano attendendo.
- Sì, Askarx Illeerm. Sono qui per ascoltarvi e adempiere alle vostre indicazioni.
Askarx Illeerm era un uomo dai tratti eleganti, calvo, basso, magro e dagli occhi scuri estremamente grandi e rotondi, ma con un atteggiamento tanto autoritario, da far diventare minuscolo chiunque gli si trovasse vicino. Il suo aspetto contrastava con quello degli altri due Superni che non si dividevano mai da lui, come se fossero tutti e tre una cosa soltanto. Mhunaer Fahros era il più alto e imponente dei tre; egli aveva lo sguardo che “sapeva di marcio”, gli occhi piccoli quasi come fossero solo due fessure e i capelli lunghi e unti. Infine, vi era il più silenzioso, chiamato spesso l’”osservatore”, Niraij Vooxaq, dai tratti apparentemente più giovani dei tre, nonostante colui realmente più giovane fosse Askarx; egli possedeva occhi e capelli chiari accentuati dalla pelle quasi grigiastra.
- Ti è stato comunicato il nostro intento di depredare l’intera banca di Braavos per fare in modo che il nuovo re del continente occidentale si appoggi economicamente a noi, invece che a quei burattini del Dio dei Mille Volti - disse Askarx con il suo abituale tono deciso e pretenzioso.
- Ne sono stato informato e ne ho discusso con i miei compagni. L’opinione di noi Tredici di cui sono portavoce, è di riflettere sulle vostre azioni. Insomma, la nostra città è fiorente ed estremamente ricca, i nostri affari commerciali procedono a gonfie vele, dunque, ci chiediamo che bisogno ci sia di allearci con quei barbari del continente occidentale e … -
- Non ricordiamo di aver richiesto l’opinione di voi Tredici. Voi lo ricordate? – chiese improvvisamente Mhunaer interrompendolo e rivolgendosi agli altri due, i quali gli fecero segno di no.
- Vi rimembriamo, dato che troppo spesso tendete a dimenticarlo, che voi Tredici siete sotto il nostro comando, così come il resto della città di Qarth, Rhaz Qarneex – aggiunse solennemente Niraij.
- Inoltre, in aggiunta a ciò che hanno precisato i miei fedeli compagni, ci terrei a contestare il tuo linguaggio sciatto e sconsiderato: noi non vogliamo certo stipulare un’alleanza con quelle bestie che abitano l’altro continente … noi vogliamo sottometterli a noi, farli dipendere da noi, per poi decidere di tagliare i fondi quando più ci aggrada, in modo da poter controllare e decidere tutte le loro azioni velatamente.
- Perdonatemi, ma fatico a comprendere il motivo del vostro improvviso interesse nei confronti dei regnanti occidentali.
- È ovvio che fatichi a comprendere, Rhaz Qarneex: fai parte dei Tredici. “Godresti” di maggior discredito solo se fossi uno stregone della Casa degli Eterni – rispose con naturale disprezzo Mhunaer.
- Ad ogni modo, il motivo è abbastanza ovvio, Rhaz Qarneex: Hoxana Aemchaar è una cittadina di Qart, nata e cresciuta nella nostra città. Era una perla grezza del nostro popolo, la più preziosa che avevamo. Poi ci ha voltato le spalle senza alcun riguardo, sedotta dal grossolano e precario fascino occidentale, poiché scelta personalmente da quel vecchio dalle manie mostruose per prendere il suo posto. Quella creatura è sempre stata una ribelle, fin da ragazzina. Quei parassiti non possono godere della nostra Hoxana, di un tesoro privato della città di Qarth, senza darci nulla in cambio. Il nostro obiettivo è anche quello di dissuaderla dalla sua scelta, di riprendercela e di vendicarci di lei e di loro – rispose Askarx.
- Ora capisco le vostre ragioni, Superni. Tuttavia, permettetevi di chiedervi come intendete depredare l’intera banca di Braavos. Vorrei ricordarvi che è quasi impossibile anche solo penetrarvi. Se avete pensato di servirvi degli Uomini del Dispiacere per riuscire in ciò, sono più che convinto che neanche loro sarebbero capaci di un’impresa tanto ardua.
- Parli di quelle bambole di legno? Come puoi anche solo pensare che l’idea di servirci di loro abbia sfiorato la nostra mente, Rhaz Qarneex? – chiese Mhunaer più offeso del solito.
- Noi avevamo pensato di ottenere la fedeltà di un nuovo ordine che è nato molto recentemente e che sta acquistando sempre più fama nel continente occidentale – continuò Askarx.
- Hanno cominciato rubando tutti i reperti più segreti e proibiti dell’intera Cittadella, qualche settimana fa. Poi hanno continuato con vari assassinii e altri furti apparentemente impossibili per qualsiasi ladro o assassino che abbia una fama rispettabile. Coloro che sono riusciti a vederli, affermano che hanno i volti coperti con veli grigi e che si muovono così veloci, da rendersi quasi invisibili agli occhi. Dicono che sono come fantasmi che appaiono e scompaiono come un fugace sogno che lascia ricordi sfocati quanto indimenticabili nella mente. Da ciò deriva il nome che hanno attribuito loro, “Fantasmi della Notte”, oltre al fatto che sembra agiscano solo di notte – spiegò Mhunaer. – Vogliamo loro.
- Perdonatemi nuovamente, Superni, ma questi Fantasmi della Notte sono quasi sconosciuti; non sappiamo nemmeno se esistano davvero. Come credete sia possibile individuarli e renderli nostri alleati in un’impresa del genere??
- Fatelo, Rhaz Qarneex. Avete il permesso di servirvi di stregoni e di qualsiasi altro trucco con cui siete soliti divertirvi voi Tredici. Sappiamo bene che riuscite in tutti i vostri insulsi obiettivi grazie alle vostre particolari conoscenze. Questo dovrebbe essere un gioco da ragazzi per voi – aggiunse infine Niraij.
- Sarà fatto, Superni. La città di Qarth è sempre a vostra completa disposizione. 
   
 
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