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Autore: Relie Diadamat    19/12/2017    2 recensioni
Un piccolo momento di dolcezza, un risveglio colorato dalle luci di un albero di Natale.
Essere alla mercé di una psicopatica non la sconvolgeva, non le gelava il sangue nelle vene e non le faceva tremare le gambe. Il ghiaccio del lago si crepava per altro, per i resti delle parole non dette, per ciò che riusciva a leggere in quello sguardo spento e solitario. Uno sguardo che elemosinava qualcosa che neanche sapeva di chiedere: guardami.
[Harry/Eurus / Un piccolo momento di dolcezza collocato chissà dove dopo la quarta stagione]
[Questa storia partecipa al Calendario dell'Avvento (Ripopoliamo i Fandom!) indetto dal gruppo Facebook "Il Giardino di Efp"]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Eurus Holmes, Harriet Watson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nda: Salve!
Era da tempo che volevo scrivere ancora su loro due, su questa coppia che ormai sta diventando una droga e che per me è accompagnata dalla classica scritta indelebile "meant to be". Sappiate solo che, nella mia testa, Harry Watson ha il volto, l'altezza e la voce della fantastica Caterina Scorsone. 
La storia partecipa al Calendario dell'Avvento indetto dal gruppo facebook "Il Giardino di Efp". Casella 4: Scrivi una femslash. "Il Natale è una tortura."
Spero che la shot sia leggibile, che possa piacere.
Collocate questo piccolo momento dove meglio preferite in un possibile post s4, e quando leggerete una piccola menzione alla droga sappiate che è solo un mio tocco di fantasia e niente di più. Idem per altro che capirete in seguito. xD
E niente. Grazie a chi leggerà, grazie a chi apprezzerà e grazie a chi mi lascerà un parere.
Buona lettura, spero.
 

Those Christmas Lights
 


Le ricordava ancora, ben impresse nella mente, anche se era passato tanto tempo.
Rosso. Arancio. Arancio. Rosso.
Harriet strusciò la guancia contro il cuscino come un cucciolo bisognoso d’affetto, alzando lo sguardo verso la punta sintetica dell’albero. La più alta.
Erano esattamente come le ricordava…
Verde. Blu. Blu. Verde.
Le luci si rincorrevano, accendendosi e spegnendosi in una danza di quattro colori. Da piccola capitava che passasse ore intere a fissarle, immobile, senza un apparente motivo. Le osservava incantata, gioia spenta che si rifletteva sui suoi abiti e sulla faccia, nei suoi occhi.
Rosso. Arancio. Arancio. Rosso. Verde. Blu. Blu. Verde.
Le luci si adagiavano sul suo viso anche ora, distesa sul divano del soggiorno, mentre Londra veniva ricoperta dal manto bianco della neve. Era come se l’inverno avesse deciso di coccolare la città, rimboccandole le coperte bianche fino al collo. Coperte gelide e maestose.  Sorrise dolcemente a quel pensiero, come una bambina che ama fantasticare con la mente in una stanza silenziosa.
Contrariamente a suo fratello John, la neve le era sempre piaciuta. Era… magica.
La neve non la giudicava, non la puniva e non la guardava con disprezzo. Si limitava a cadere dal cielo e morire sull’asfalto. Un po’ come lei.
 «Mi piacciono queste luci».
Il fiato caldo di Eurus le solleticò il collo provocandole un brivido lungo la schiena, come se qualcuno l’avesse appena sfiorata con un cubetto di ghiaccio. Sentì il braccio snello circondarle la vita con la stessa forza di un gancio di sicurezza, il petto della coinquilina aderire alla sua schiena. Harry si sentiva stranamente in pace in quell’abbraccio nato dopo un pigro riposo, appagata e tranquilla come non lo era stata più da tempo.
Si stava così bene lì, accoccolata contro Eurus, mentre fuori dalla finestra il vento fischiava come in un film dell’orrore. Quando era piccola aveva paura di quelle urla gelide, così sgattaiolava nella stanza di John e si infilava nel letto del fratello.  “La vuoi sentire una storia?”, gli chiedeva, solo per mascherare il terrore infantile che si era impossessato del suo corpo.
John non faceva domande. Storceva la bocca contrariato, ma l’accontentava sempre. Peccato che alla fine fosse lui a rimanere con gli occhi sbarrati nel buio della stanza, le parole della sorella ancora martellanti nella sua testa. Harry finiva col sentirsi in colpa, ma non abbastanza.
John si era sdebitato con gli anni.
È pericolosa, Harry.
L’aveva definita così, John: pericolosa.
Harry si costrinse a voltarsi, riluttante, finendo ad un passo dal volto di Eurus. Le punte dei loro nasi erano così vicine… Cercò i suoi occhi chiari, guardandoli come se fossero la prima cosa che avesse visto al mondo. È pericolosa.
Non ricordava come si fosse assopita su quel divano, non si era accorta della vicinanza di Eurus finché non si era svegliata. La stanza era illuminata dalle luci dell’albero che Harry stessa aveva trascinato in soggiorno settimane addietro, riflessi rossi, arancioni, verdi e blu che coloravano il buio a intermittenza in un gioco ipnotico.
Il volto pallido di Eurus era baciato prima dal rosso, poi dall’arancione… I capelli castani le ricadevano sulle guance in piccole ciocche, ebano contro avorio. Sembrava una dea collerica vinta dall’impassibilità, immortalata in una posa eterna, intenta a studiarla. Avrebbe potuto ucciderla nel sonno, se avesse voluto.
Avrebbe potuto portare le sue dita affusolate e ghiacciate intorno al suo collo e stringere, digrignando i denti, finendo il lavoro con un sorriso storto sulle labbra smorte. E invece era restata sdraiata dietro di lei, ad annusarle i capelli, a guardarla dormire.
Si concentrò su quegli occhi bagnati dal rosso delle luci e un flash le balenò alla mente. Ricordò di averli visti in fiamme, quegli occhi. Ruggivano, gridavano e ringhiavano come un animale selvaggio contro di lei. Harry teneva il falcone della tinta tra le mani.
“Il rosso no!”, le aveva sibilato a denti stretti, con una voce che non aveva riconosciuto.
Eurus non voleva vederle il rosso addosso, non voleva scorgerne il riflesso nella sua chioma scura. Lei ha ucciso, Harry, le aveva ricordato severo John.
Anche tu, avrebbe voluto ricordargli. Anche io, avrebbe voluto aggiungere, ma poi sarebbe stata costretta a parlargli, a dargli spiegazioni, così si era tenuta quelle parole per sé intrappolandole a forza nella trachea. Le aveva mandate giù come un bicchiere di vodka, sentendole bruciare nello stomaco.
«Piacciono anche a me.» La sua voce morì nel silenzio, posandosi sul volto di Eurus. Stesa al suo fianco, distanti poco meno che un centimetro, Harry era alta quanto lei – o almeno, si illudeva di esserlo. Poteva guardarla negli occhi senza sollevare il capo, sfiorarle le gambe col piede…  Mi sono sempre piaciute.
«Mio padre usava quelle gialle.» Eurus aggrottò le sopracciglia, come se stesse giudicando quella scena nella sua mente, e Harry si chiese quando fosse stata l’ultima volta che avesse visto un albero di Natale. Da quanto tempo non riceveva una carezza? Aveva mai baciato le labbra di qualcuno? Le era piaciuto?
«A Victor piacevano».
Quel nome fu simile a un taglio netto sul cuore, a torace aperto e senza anestesia. Le sembrò di camminare sull’acqua ghiacciata di un lago e vedere la superficie creparsi sotto i suoi piedi. Non aveva paura di lei, non temeva che potesse farle del male.
Harry aveva sfidato la morte per così tanti anni, imbottendosi di alcol e stordendosi con la droga – a volte umiliata, a volte rassegnata -, che oltrepassare la linea non la terrorizzava più. Era come John, da quel punto di vista. Aveva bisogno del suo campo di battaglia per sentirsi viva, utile a qualcosa.
Essere alla mercé di una psicopatica non la sconvolgeva, non le gelava il sangue nelle vene e non le faceva tremare le gambe. Il ghiaccio del lago si crepava per altro, per i resti delle parole non dette, per ciò che riusciva a leggere in quello sguardo spento e solitario. Uno sguardo che elemosinava qualcosa che neanche sapeva di chiedere: guardami.
Harry la guardò. La guardò e vide una ragazza dalla pelle chiara baciata dal rosso, una cascata di onde castane che le arrivavano all'altezza del seno; una ragazza che le aveva cinto la vita dopo anni di agonia, una ragazza che le donava il calore che aveva desiderato per troppo tempo e che la studiava nel sonno.
«Sai che ti dico?» Harry strisciò lentamente sul suo petto, inalando il profumo della sua maglia e della sua pelle. «Il Natale è una tortura».
Aspettò di essere stretta in un abbraccio e quando Eurus assecondò il suo desiderio, chiuse un’altra volta gli occhi. Sorrise, beandosi del caldo confortante che la Holmes le stava offrendo, ritrovandosi a pensare che non per tutti un luogo sicuro significasse vivere in una casa con un infallibile sistema di allarme.
Per lei, le braccia di Eurus erano più che sufficienti.
 
 
   
 
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