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Autore: shiningreeneyes    19/12/2017    2 recensioni
Sequel di It Beats For Two.
Note traduttrice: la storia non è mia, è solo una traduzione.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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CAPITOLO 1

Una perdita

A Kingdom's Tale - Your Hero

 

 

 

 

"Allora, com'è stato ieri sera?" chiese Robin, "tutto bene?"

 

"Si, è stato bello," Harry scrollò le spalle, "ci siamo divertiti."

 

Ci fu silenzio per un breve secondo. "Abbiamo sentito," disse poi Anne.

 

La guardai, e quando vidi il sorriso ironico che giocava sulle sue labbra, le mie guance arrossirono, i miei occhi si spalancarono e affondai il viso nelle mani. "Oddio, mi dispiace," mi lamentai, "sono così, così dispiaciuto." Sentii Harry ridacchiare poco prima che mi mettesse un braccio intorno alle spalle e premesse un bacio nella mia fronte.

 

"Nessun problema," disse, accarezzando la testa di Aidan. Osai togliere le mani dal mio viso, e la guardai. Stava ancora sorridendo. "Solo per essere sicura, però," aggiunse casualmente, "avete usato il preservativo questo volta, vero?"

 

 

Mercoledì, 3 Febbraio 

Sedici anni, sette mesi, due settimane e due giorni dopo

 

 

 

 

No.

 

Quello fu il primo pensiero che mi attraversò la mente quando sentii la mia sveglia suonare. Non aprii gli occhi, non mi preoccupai nemmeno di allungare la mano per spegnerla, invece la lasciai suonare, suonare e suonare.

 

"La spegni o cosa?"

 

Non riuscivo a trovare l'energia per dirgli di darsi una calmata, così invece raggiunsi alla cieca il dispositivo. Mi ci vollero alcuni secondi, ma alla fine riuscii a trovarlo, e premetti il pulsante per silenziarla.

 

"Perché ti disturbi ad impostarla?" chiese Harry, sembrando piuttosto irritato, "tanto non ti alzi comunque."

 

Sospirai, la testa quasi pronta ad esplodere al suono delle parole che avevo già sentito una valanga di volte. Non mi preoccupai di rispondergli, spinsi via le coperte e mi alzai. Trasalii leggermente quando i miei piedi nudi entrarono in contatto con il pavimento di legno freddo, e mi affrettai ad indossare un paio di pantaloni della tuta e un grosso maglione per proteggere il resto del corpo dall'aria fredda della stanza. Harry sembrava essersi riaddormentato e gli lanciai un'occhiataccia infastidita prima di uscire dalla porta ed entrare nel piccolo corridoio.

 

Bussai due volte alla porta bianca, premendo la maniglia verso il basso e aprendola con attenzione, un po' esitante, giusto per evenienza. Chiamatemi paranoico, ma c'erano alcune cose che non volevo vedere, e specialmente non alle 6 del mattino dopo aver dormito a malapena per quattro ore. Niente di spiacevole mi si parò davanti, solo un ragazzo di sedici anni che dormiva profondamente mentre russava e aveva la bocca semiaperta.

 

Sorridendo debolmente, mi avvicinai al letto e gli scossi la spalla. "È ora di alzarsi se non vuoi essere in ritardo," dissi, la voce roca per la stanchezza. La sua unica risposta fu un russare ancora più rumoroso, e roteai gli occhi prima di scuotergli nuovamente la spalla.

 

"No," gemette prima di ribaltarsi sullo stomaco e affondare la faccia nel cuscino.

 

"Si," dissi, "dai, alzati."

 

"Sono malato."

 

"Aidan, per favore, non ho pazienza per le tue stronzate oggi."

 

Gemette, come se fosse in uno stato di forte dolore fisico, ma almeno si mise a sedere, sfregandosi gli occhi blu e stanchi. "Lo sai che ti odio, vero?" disse lui scontroso mentre si trascinava una mano tra i ricci scuri, che aveva decisamente ereditato da Harry.

 

"Come potrei dimenticarlo?" dissi retoricamente, "me lo ricordi ogni mattina."

 

"Questo perché ti odio tutte le mattine." 

 

Scostò le coperte e gettò le gambe oltre il bordo del letto e- "Oh, per l'amore del cielo," brontolai mentre gli voltai le spalle, "non hai vergogna di niente, vero?"

 

"Eh?" rimase in silenzio per un secondo. "Oh. Sono sicuro che ne hai già visto uno prima."

 

"Non della persona che era dentro di me per nove mesi, no," dissi seccamente, "fatti una doccia e poi vai a fare colazione, ok? Tuo padre ti porterà a scuola tra poco."

 

"Mio padre," ridacchiò, "quindi questo cosa fa di te? Mia madre?"

 

Scossi la testa con un sospiro stanco. "Non ti stanchi mai di queste battute?"

 

"No."

 

Non risposi e lasciai la stanza, scesi le scale e arrivai in cucina. Harry era già seduto a tavola con una tazza di caffè davanti e uno sguardo vuoto nei suoi occhi. Non sembrava si fosse accorto che ero lì, e non mi preoccupai di cercare di attirare la sua attenzione. Ci avevo rinunciato da un po' di tempo. Un anno, un mese e nove giorni fa, per l'esattezza. E così andai verso il bancone, mi versai una tazza di caffè e andai a sedermi sul lato opposto del tavolo a lui. Incontrò i miei occhi, ma durò solo una frazione di secondo, e non disse nulla. Andava bene. Ero abituato.

 

Tranne che, non andava bene. Per niente. Non era difficile stabilire quando e perché era iniziato tutto, ma come ci eravamo ridotti a... questo era aldilà della mia comprensione. Era iniziato tutto sette anni prima, con lui che tornava a casa tardi dal lavoro e a volte doveva saltare gli appuntamenti che avevamo preso secoli prima perché aveva del lavoro da fare o delle riunioni a cui presiedere. Poi io avevo iniziato a fare lo stesso (non coscientemente, ma l'avevo fatto comunque), il che ci aveva portato a non vederci quasi mai. Quello portava al crollo di qualsiasi relazione, e la nostra non era un'eccezione. Era andata avanti in quel modo per due anni, ma le cose andavano ancora bene; parlavamo ancora, facevamo le cose insieme, facevamo sesso, ci coccolavamo la sera prima di addormentarci.

 

Quattro anni prima eravamo stati ad una cena. Aidan era con Anne e Robin per la notte e quando tornammo a casa mezzo ubriachi alle tre del mattino, ridendo mentre ci toglievamo i vestiti, il preservativo fu completamente dimenticato. Il risultato fu che rimasi incinto. Quello di per sé non era un problema; tutti erano felici per entrambi, ed Harry era al settimo cielo. Tutto andò a pezzi, tuttavia, quando mi svegliai nel cuore della notte circa al terzo mese con crampi allo stomaco così violenti da avere a malapena il tempo di girarmi per vomitare sul pavimento. All'ospedale la dottoressa Hayes mi aveva detto, con viso dispiaciuto e occhi tristi, che avevo avuto un aborto spontaneo. 

 

Dopo quello tutto peggiorò ancora di più. Sia io che Harry ci mettemmo un bel po' di tempo per superare la perdita del bambino, e se qualcuno pensava che la cosa ci avrebbe solo avvicinati, ciò che accadde fu in realtà l'esatto opposto. Eravamo troppo sconvolti, troppo straziati per riuscire a confortarci l'un l'altro, e ad un certo punto avevamo iniziato a dormire ai lati opposti del letto con le spalle rivolte l'uno verso l'altro.

 

Nonostante quello, eravamo riusciti a fare uno sforzo e festeggiammo San Valentino l'anno successivo. Ancora una volta bevemmo un paio di bicchieri di vino, ancora una volta facemmo sesso senza preservativo, ancora una volta rimasi incinto e ancora una volta abortii. Quella volta però fui lasciato completamente da solo ad affrontare il dolore, e più di una volta capitava che piangevo addormentandomi mentre mi stringevo lo stomaco, sentendo quanto fosse piatto e non rotondo con all'interno un bambino. 

 

Smettemmo completamente di fare sesso.

 

Poi smettemmo di darci il bacio del buongiorno e della buonanotte.

 

Poi smettemmo di parlare in modo civile.

 

E poi smettemmo di fingere per il bene di Aidan.

 

Erano passati un anno, un mese e nove giorni dall'ultima volta in cui avevo sentito le sue labbra contro le mie, erano passati un anno, otto mesi e tre giorni dall'ultima volta che avevamo fatto sesso, erano passati due anni e sette giorni dall'ultima volta che avevamo fatto sesso non da ubriachi, ed erano passati due anni, quattro mesi e sette giorni da quando mi aveva guardato per l'ultima volta, da quando mi aveva trascinato una mano tra i capelli chiedendomi come stessi.

 

Probabilmente era meglio, perché la risposta sincera a quella domanda non gli sarebbe piaciuta. Non gli sarebbe piaciuto sentire che mi sentivo vuoto, solo, triste. Non avrebbe voluto sentire che mi sentivo consumato dal dolore, non solo a causa della perdita dei due bambini, ma anche a causa della perdita emotiva di un uomo che consideravo ancora il custode della metà del mio cuore.

 

"San Valentino sta arrivando."

 

Mi voltai a guardarlo, sorpreso che avesse persino detto qualcosa. "Si," dissi, tentando un sorriso.

 

"Faremo qualcosa?" chiese, la sua voce priva di sentimenti, come se stesse avendo questa conversazione solo perché si sentiva obbligato.

 

"Io- forse." Mi sedetti meglio e lo guardai con crescente speranza nei miei occhi. "Tu vuoi fare qualcosa?"

 

"Onestamente?" scrollò le spalle, sembrando a disagio, "non proprio, no."

 

Abbassai lo sguardo. "Allora perché l'hai chiesto?" dissi piano.

 

"Mi sentivo come se dovessi farlo." Sospirò e si grattò la nuca. "Io... ho fatto dei piani con qualcun altro, quindi se non ti dispiace, penso che farò quello."

 

Ci volle un minuto prima che registrassi le sue parole, e quando lo feci, fu come se qualcuno mi avesse colpito con un martello in pieno viso. "T-tu... andrai ad un appuntamento con qualcun altro? A San Valentino?" chiesi debolmente, il labbro tremante. Mi alzai in piedi prima che avesse la possibilità di dire qualcosa, e mi avvicinai al lavandino, appoggiandomi pesantemente con le braccia contro di esso mentre il mio respiro andava e veniva.

 

"Non è un appuntamento, è un gruppo di lavoro," disse.

 

"Quindi preferisci trascorrere il giorno di San Valentino con i tuoi colleghi invece che con me," dissi, annuendo come per esprimere comprensione, "credo che... credo che questo dica abbastanza su dove sia finita la nostra relazione."

 

"Lou, dai," disse, "sai bene quanto me che la nostra relazione è ad un punto morto. Questa uscita non cambierà le cose."

 

Lentamente, molto lentamente, mi voltai e incontrai il suo sguardo con occhi più vitrei del solito. "Ma dovremmo iniziare da qualche parte," dissi spezzato, quasi implorante, i pugni chiusi lungo i miei fianchi, "a meno che tu non voglia."

 

Ci mise qualche secondo per guardarmi, con uno sguardo che chiedeva se stessi parlando in una lingua straniera. Poi si alzò pesantemente e si raddrizzò la maglietta. "Volevi davvero fare qualcosa per San Valentino?" chiese, appoggiando la sua mano sulla superficie del tavolo.

 

"Se volevo passare quello che dovrebbe essere il giorno degli innamorati con l'uomo che amo nel tentativo di salvare una relazione che si dissolverà completamente a meno che non facciamo qualcosa al più presto?" Sorrisi e alzai le spalle. "Sarebbe stato carino, si."

 

Aidan entrò nella stanza proprio in quel momento, impedendo ad Harry di rispondere, ma mi mandò uno sguardo pieno di compassione prima di rivolgersi ad Aidan. "Fai colazione o andiamo?" chiese.

 

"Andiamo," mormorò Aidan, trascinandosi una mano sul viso.

 

"Devi smettere con questa abitudine di non fare colazione," commentati con leggero cipiglio.

 

"E tu devi smettere con questa abitudine di tormentarmi in qualsiasi occasione," scattò. 

 

"Ehi, il linguaggio," disse Harry severamente, colpendolo leggermente nella nuca.

 

"Ho quasi diciassette anni, parlo come voglio." Con quello ed un grugnito impaziente, si girò e scomparve.

 

"Da quando ha questo atteggiamento?" disse Harry dopo una breve pausa.

 

"Da quando è così alto?" fu la mia risposta.

 

Scrollò le spalle prima di bere l'ultimo sorso di caffè e posare la tazza sul tavolo. Andò verso la porta, poi si fermò e mi guardò. "Noi... parleremo di San Valentino stasera, okay?"

 

Feci un gesto con la mano. "Non preoccuparti. Esci con i tuoi colleghi se è ciò che vuoi. Non sono il tuo capo, non ti costringerò a passare del tempo con me se non ti va."

 

Le sue sopracciglia si incurvarono e il suo viso si rabbuiò. "Non intendevo quello," disse, "io.. non pensavo che avresti voluto fare qualcosa, e non volevo stare a casa, così quando mi hanno chiesto se volessi uscire per qualche birra, ho detto si."

 

Scossi stancamente la testa. "L'hai detto tu stesso cinque minuti fa, Harry; non vuoi fare qualcosa con me."

 

"Non è che non voglio, solo non-"

 

"Papà! Vieni si o no?"

 

Abbassai la testa ed emisi un suono di esasperazione. Erano le sette del mattino e quello era l'unico momento in cui stavamo avendo qualcosa che somigliava ad una conversazione vera e propria e ovviamente qualcosa doveva interromperci. Il tempismo non era mai stato il nostro forte.

 

"Parleremo più tardi," disse Harry, offrendomi un mezzo sorriso prima di dirigersi verso l'atrio.

 

"Si," borbottai alla stanza ormai vuota, guardando la tazza che aveva lasciato sul tavolo, "più tardi."

 

 

Giovedì, 4 Febbraio 

 

"No, Harry, non- oh. Grandioso."

 

"Non è così semplice, okay?"

 

"Gli dovevi solo dare un cucchiaio di purè di patate. Quanto può essere difficile?"

 

"Abbastanza dato che non è intenzionato a prendere il cucchiaio da solo."

 

Il rumore di passi raggiunse le mie orecchie e girai la testa in tempo per vedere Harry accasciarsi sul pavimento accanto a me. "Cosa stai guardando?" chiese.

 

"Dei video," risposi, facendo cenno allo schermo dove Harry era impegnato a fare del suo meglio per impedire ad Aidan di fare troppo casino.

 

"Oh." Si appoggiò al divano e allungò le gambe. "Di quando è?"

 

"Il suo secondo compleanno," risposi, sorridendo verso lo schermo.

 

"Oh giusto. Ci eravamo appena trasferiti in quell'appartamento a... Halifax?"

 

Annuii. "Mhm."

 

"Si, posso vedere della carta da parati orrenda lì dietro," disse con una risatina. Ma sembrava forzato e triste, in un certo senso, "non mi sono mai abituato."

 

"Non credo, no."

 

Cadde il silenzio, entrambi che guardavamo la televisione mentre il nastro cambiava scena ancora e ancora e ancora. A Natale, l'anno in cui Aidan aveva compiuto cinque anni quando era seduto sul pavimento felice per aver ricevuto i Lego. Le nostre vacanze estive in Francia l'anno in cui lui compí sette anni. Quando mia madre venne a trovarci per la prima volta al mio ventottesimo compleanno. Owen che dormiva sul nostro divano pieno di disegni sul viso che Aidan e Harry gli avevano fatto mentre io tenevo la fotocamera. Io ed Harry mentre dormivamo profondamente sul divano di Niall a Capodanno di quattro anni prima, proprio il giorno prima del primo aborto. Prima che tutto cadesse a pezzi.

 

"Bei tempi, eh?" disse Harry.

 

Lo guardai, notando il modo in cui i suoi lineamenti si erano tesi leggermente. 

 

"Si," dissi semplicemente.

 

Giocherellò distrattamente con le dita, sbattendo le palpebre nervosamente un paio di volte prima di incontrare il mio sguardo. "Non abbiamo parlato di San Valentino ieri."

 

Misi il video in pausa, fermo con il telecomando puntato verso il dvd per un momento prima di alzarmi e sistemarmi i jeans. "Non c'è molto di cui parlare, no?" dissi, la voce piatta.

 

"Si, c'è," disse mentre si alzava in piedi, "l'hai detto tu stesso, questa relazione si dissolverà completamente se non faremo qualcosa a riguardo il prima possibile."

 

"Beh, come hai detto tu, la nostra relazione è ad un punto morto, quindi perché preoccuparsi?" Non sapevo perché mi stavo comportando così, tagliente e aggressivo, dato che mi stava dicendo che voleva parlarne, qualcosa che volevo accadesse da mesi. Ma quello era un brutto momento. Non avevo avuto il tempo per prepararmi, era passata la mezzanotte ed ero preoccupato perché Aidan non era ancora tornato a casa, e volevo avere quella conversazione in modo decente, non in quel momento.

 

"Cosa stai cercando di dirmi?" Sbottò, allargando le braccia, "che vuoi arrenderti e lasciarmi?"

 

"Non che abbia molta importanza comunque, no?" dissi bruscamente, "anche quando siamo nella stessa stanza insieme, sembra che siamo a centinaia di chilometri di distanza. Le cose sono orribili da mesi, ma questa è la prima volta che ce ne stiamo effettivamente occupando! Cosa pensi che voglia dire?"

 

"Che abbiamo chiaramente bisogno di lavorare sulle nostre capacità di comunicazione," disse calmo, incrociando le braccia sul petto.

 

"Lavorarci?" risi secco, "più che altro abbiamo bisogno di tirarle fuori da un buco profondo chilometri."

 

"Allora è meglio iniziare a scavare, perché potrebbe volerci un po' per arrivare nel fondo."

 

Lasciai che i miei occhi vagassero attorno alle pareti del soggiorno, guardando le numerose foto che Harry aveva scattato nel corso degli anni, la libreria piena di libri di Aidan, la poltrona consumata che avevamo comprato in un outlet più di dieci anni prima. La vista di tutto quello mi creò un piccolo nodo in gola perché mi ricordava come erano andate le cose, come erano state le nostre vite una volta, e come non lo erano più. Scrollai le spalle ed emisi un sospiro prima di voltare lo sguardo verso Harry.

 

"Vuoi sistemare le cose, Harry?" chiesi stancamente.

 

Si accigliò. "Che domanda è? Certo che voglio sistemarle. Preferire non dover avere la scocciatura di dover trovare un nuovo posto in cui vivere e-"

 

"È per questo che vuoi sistemare le cose? Perché non vuoi avere la 'scocciatura' di ricostruirti la tua vita da qualche altra parte?" Strinsi la mascella in parte con rabbia e in parte ferito, e poi lasciai cadere il telecomando sul pavimento prima di dirigermi verso le scale con un breve, 'grazie mille.'

 

"Lou, andiamo, non mi hai nemmeno permesso di finire di parlare," disse con voce esasperata mentre mi seguiva con passi veloci, "non voglio ricostruire la mia vita da qualche altra parte, no, e soprattutto non senza di te e Aidan, okay? Non voglio perdervi. Aidan per ovvi motivi, e a te perché... anche se adesso le cose fanno schifo da molto tempo, mi importa ancora di te."

 

Arrivammo in cima alle scale e facemmo qualche passo nel corridoio verso la camera da letto. Alla sua ultima frase, però, alzai le sopracciglia e mi fermai bruscamente prima di girarmi per affrontarlo. "Ti... importa ancora di me," ripetei, "io- scusa, sembrerò una ragazzina, ma... mi ami? Sei innamorato di me?"

 

Aprì la bocca, poi la chiuse e sospirò. "Io- posso esserlo di nuovo," disse.

 

Sentii il mio cuore precipitare verso lo stomaco. "Ma non lo sei in questo momento," affermai, evitando il suo sguardo.

 

"Mi sento come se non ti conoscessi più," disse, "non parliamo mai, non facciamo mai niente insieme, siamo solo.... insieme per evitare che tutto questo causi una rottura definitiva."

 

"Quindi se ci lasciamo ora, non ti importa?" chiesi, allargando gli occhi.

 

"Certo che mi importa!" esclamò, "sto solo dicendo che abbiamo bisogno di tempo per noi stessi, tu ed io, abbiamo bisogno di andare da qualche parte insieme e... concentrarci l'uno sull'altro senza avere altre preoccupazioni."

 

Sbattei le palpebre, un po' confuso, e poi mi leccai il labbro inferiore. "Stai... stai dicendo che dovremmo andare ad una di quelle vacanze in cui le coppie vanno quando hanno problemi?"

 

"Beh, siamo decisamente una coppia con dei problemi, quindi si, credo sia quello che sto dicendo."

 

"Oh." Mi mordicchiai un pezzo di pelle sul mio labbro, "questo non risolverà tutto. Lo sai, vero?"

 

"È un inizio," fece spallucce, "e io... non penso che siamo una causa completamente persa dato che stiamo, sai, combattendo. Abbiamo solo smesso di prestare attenzione l'uno all'altro."

 

"Si, ma forse è anche peggio," sospirai e parlai di nuovo prima che potesse farlo lui. "Chiamerò Aidan e poi andrò a letto. Possiamo parlare della vacanza domani."

 

"Va bene. Sono... ho del lavoro da fare, quindi dormirò nella stanza degli ospiti, non voglio svegliarti."

 

Feci un cenno in risposta prima di girarmi e dirigermi dentro la camera da letto. Mi sedetti sul letto, scrollando le spalle in segno di sconfitta, e inspirai profondamente. Presi il cellulare e composi il numero di Aidan.

 

"Si, si, tornerò a casa tra poco," fu il saluto che ricevetti.

 

Strinsi gli occhi e dissi: "Non sei ubriaco, vero?"

 

"Forse un po'."

 

"Hai scuola domani," dissi secco.

 

"E tu lavori. Non dovresti dormire?"

 

"Sai che non riesco a dormire se prima non torni tu."

 

"Lo so. Sei proprio una donna. Il fatto è che non... non sono sicuro di come tornerò a casa."

 

Trattenni un gemito, pizzicandomi il setto nasale. "Significa che devo venire a prenderti?"

 

"Tu o papà o qualcuno. Si."

 

"Oh, per l'amor del cielo," mormorai irritato mentre mi alzavo, "dove sei?"

 

Dopo aver passato tre minuti buoni per dirmi dove si trovava, e dopo aver riattaccato, scesi di sotto verso la stanza che serviva da ufficio ad Harry da quando ci eravamo trasferiti cinque anni prima. Era seduto accanto alla scrivania con le spalle rivolte contro la porta, sembrava esausto. Il petto mi fece male alla vista. 

 

"Devo andare a prendere Aidan," dissi piano, come se parlare con un tono di voce normale disturbasse il silenzio. 

 

Ruotò la sedia e incontrò il mio sguardo con occhi stanchi. "Dov'è?"

 

"A casa di Jim. Ubriaco."

 

"Lo ucciderò uno di questi giorni," brontolò.

 

"Si. Probabilmente dovremmo parlare con lui di... beh, del perché continua ad ubriacarsi durante la settimana."

 

"O del perché continua ad ubriacarsi in generale. Non ha ancora diciassette anni."

 

"Mhm." Sospirai. "Sarò qui tra venti minuti."

 

Ci vollero un po' di più di venti minuti, perché quando bussai alla porta del suo amico fu la madre ad aprirmi con uno sguardo polemico, dicendomi che Aidan era andato via più di un'ora prima. Quell'informazione mi fece andare nel panico finché non entrai in macchina e feci qualche metro di strada e lo vidi seduto a gambe incrociate sul marciapiede, giocando con l'orlo dei suoi jeans.

 

Alzò gli occhi quando scesi dall'auto e si avvicinò a me, un sorriso pigro che gli incorniciava il viso. "Sei venuto," disse.

 

"Non avevo molta scelta, no?" dissi, "vieni, sali in macchina così andiamo a casa."

 

Harry era ancora seduto alla scrivania quando Aidan e io attraversammo la porta d'ingresso, Aidan con un braccio intorno alle mie spalle. Potevo sentire la disapprovazione che irradiava dal suo viso mentre ci seguiva su per le scale e nella stanza di Aidan, e quando mi voltai per affrontarlo dopo aver fatto sdraiare Aidan sul letto, capii di aver ragione.

 

"Ne parleremo domani quando tornerai a casa da scuola," disse, con le braccia incrociate e un cipiglio sul viso.

 

"Avrò i postumi della sbornia," borbottò Aidan in risposta.

 

"Questo è un tuo problema," dissi, "cambiati e vai a dormire."

 

Con una scossa della testa e un piccolo sorriso che non potei fare a meno di fare, mi voltai per uscire ed Harry fece lo stesso. Non eravamo andati molto lontani prima che il suono della voce di Aidan ci richiamasse.

 

"Papà?" disse, sembrando all'improvviso insicuro. Sia io che Harry ci girammo, e aggrottai la fronte debolmente quando vidi che stava guardando il pavimento, le spalle curve e le dita che giocherellavano nervosamente tra loro.

 

"Si?" dissi dopo un istante di silenzio.

 

Non alzò lo sguardo e disse: "non voglio che voi... non stiate più insieme," mormorò.

 

Con una veloce occhiata ad Harry, tornai verso il letto e mi accucciai ai suoi piedi. "Non ti preoccupare, okay?" dissi.

 

"Mi devo preoccupare," disse, "la mia intera vita cambierà se non starete più insieme, e tutti e tre saremo infelici. E io non voglio trasferirmi da nessun'altra parte. Mi piace qui."

 

"Non dovrai trasferirti da nessuna parte," dissi, "cerca di non pensarci troppo. Noi... lo stiamo affrontando."

 

"Allora affrontatelo meglio, perché qualunque cosa voi stiate facendo in questo momento, non funziona."

 

Inghiottii e annuii, ma non dissi quello che stavo pensando. Non pronunciai il piccolo 'lo so' che stava sulla punta della mia lingua. Mi alzai in piedi e raddrizzai le spalle. "Dormi," dissi piano, prima di girarmi e superare Harry.

 

Mi seguì subito dopo, chiudendo la porta dietro di sé. Rimanemmo in silenzio, guardandoci per qualche secondo, e giurai di sentire il cuore battere in gola. Anche se sapevo che Aidan era a conoscenza che io ed Harry stavamo avendo dei problemi, era completamente diverso affrontarlo direttamente. Cosa si doveva dire al proprio figlio quando diceva una cosa del genere? Non potevo mentirgli e dirgli che andava tutto bene, ma non potevo nemmeno dirgli che sì, ultimamente le cose andavano piuttosto male.

 

"È stato imbarazzante," disse alla fine Harry, massaggiandosi la nuca.

 

Annuii stancamente. "Si." Calò il silenzio e mi schiarii la voce. "Penso che andrò a letto. Si è fatto piuttosto tardi."

 

"Okay." Fece una pausa, poi aprì la bocca e la richiuse. Si passò la lingua nelle labbra e disse esitante: "È... voglio dire, posso dormire nel letto stasera?"

 

Sbattei le palpebre, un po' perplesso. "Si, certo. Lasciami prende il cuscino prima, dormirò nel divano stanotte."

 

La sua faccia si rabbuiò leggermente. "Stavo pensando che potremmo dormire insieme," disse.

 

"Oh." Guardai a terra, riflettendo un momento prima di mandargli uno sguardo di scuse, "non... non penso. Ho bisogno di dormire e non-"

 

"Si, certo," mi interruppe, agitando una mano in aria, "va bene, stavo solo pensando che... no, non importa. Okay, torno nella camera degli ospiti, tu rimani nel letto."

 

"No, va bene, posso dormire sul divano," dissi in fretta.

 

"No, no, non fa bene alla tua schiena," disse, agitando nuovamente la mano, "non preoccuparti."

 

Aprii la bocca per protestare, ma non mi diede la possibilità di farlo. Con un piccolo sorriso un po' triste, si voltò e scese le scale, con le spalle curve e il collo rigido. Non mi spostai da lì per un minuto o due, guardando il punto in cui Harry era scomparso. Era Harry, no? Solo lui aveva la capacità di farmi star male anche quando tecnicamente non avevo fatto niente. Poteva aspettarsi una risposta diversa dopo avermi chiesto, nel bel mezzo della notte e inaspettatamente, se volevo dormire con lui dopo aver dormito separati per Dio sa quanto tempo? 

 

Mentre tornavo in camera da letto con passi lenti e pesanti, pensai che no, non poteva. 

 

E se lo avesse fatto, non sarebbe stato affatto giusto per me.

 

 

Sabato, 6 Febbraio

 

"Vado ad una festa."

 

Alzai lo sguardo dal piatto, incontrando quello di Aidan. "Una festa," ripetei, "significa che torneresti ubriaco alle quattro di mattina e vomiterai per tutta la casa?"

 

"Posso provare a non vomitare," disse con un sorriso incerto.

 

Sbattei le palpebre stancamente verso Harry, alzando un sopracciglio come per dirgli 'che ne dici?'

 

"Solo per capire," disse, posando il coltello e la forchetta prima di mettere i gomiti sul tavolo, "sei consapevole che mancano due anni prima che tu possa bere legalmente, vero?"

 

"Senti chi parla," disse acido, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia con aria di sfida, "l'unica ragione per cui sono qui è perché voi due vi siete ubriacati e avete scopato ad una festa prima ancora che vi conosceste, e prima che-" fece un cenno verso di me, "- lo facessi con altri."

 

La mia mascella si spalancò e pronunciai un paio di sillabe incoerenti, guardando Aidan con occhi larghi, prima di riuscire a tirare fuori un balbettato, "Come diavolo fai a saperlo?"

 

"Me l'ha detto Zayn," disse, sempre con la stessa espressione di sfida.

 

"Ucciderò quel bastardo," mormorò Harry sottovoce. Respirò profondamente, calmandosi, prima di parlare di nuovo. "Indipendentemente da ciò che è successo o non successo, tu-"

 

"È successo," lo interruppe Aidan.

 

La mascella di Harry si serrò per un momento. "Bene, allora dovresti imparare dai nostri errori."

 

"Oh, quindi mi stai dicendo che sono un errore," scattò, "grazie mille, papà."

 

"Non intendevo quello," sospirò Harry, infilandosi le dita tra i capelli, "sto solo dicendo che sei troppo giovane per bere, e soprattutto così tanto. Prima che tu possa rendertene conto, sarai nei guai."

 

Roteò gli occhi in un modo che avevo visto fare agli adolescenti in TV. "Quindi posso andare o no?"

 

Harry mi guardò come se cercasse una risposta, e sospirai. "Se prometti di non bere troppo," dissi posando gli occhi su di lui.

 

"Definisci troppo," disse lentamente.

 

"Quando non sei più in grado di tenere una conversazione senza sentire il bisogno di vomitare anche il cuore, allora hai bevuto troppo," disse Harry.

 

Aidan roteò gli occhi. "Ok, bene."

 

"Bene," dissi, "quindi quando vai e a che ora pensi di tornare?"

 

"Non lo so," scrollò le spalle mentre ricominciava a mangiare.

 

Sbattei le palpebre. "Puoi almeno dirci un orario approssimativo?"

 

"Non lo so," ripetè impaziente mentre prendeva una forchettata di patate, "Jim mi verrà a prendere alle 21 più o meno. Sarò a casa verso le 3, forse. O le 4."

 

Sospirai. Le 3 o le 4. Ciò significava un'altra notte in bianco per me. Ero un po' materno; non riuscivo a dormire bene finché Aidan non tornava a casa. Mi prendevano sempre in giro per quello, Niall in particolare ogni volta che veniva a farci visita, ma comunque, in una famiglia uno dei genitori doveva preoccuparsi, no?

 

"Tornerai a casa da solo?" chiese Harry.

 

"Non lo so. Può essere."

 

"Ho bisogno di una risposta sicura, Aidan," disse con un sospiro.

 

"Okay! Si, tornerò a casa da solo. Dio, siete fastidiosi. Non vedo l'ora di andarmene."

 

Harry alzò un sopracciglio in parte divertito e in parte esasperato, e in cambio sorrisi debolmente. Le prime volte che ci aveva detto cose del genere, mi aveva davvero ferito, pensando al fatto che avevo sbagliato qualcosa nel crescerlo e che in realtà mi odiasse. Non ci impiegai molto a rendermi conto che probabilmente mi sarei dovuto abituare alle affermazioni su quanto fossi terribile e irritante, e ora mi veniva naturale sorridere o alzare gli occhi al cielo. 

 

Non appena finimmo di mangiare, Aidan si alzò dalla sedia e corse via dalla cucina, non sembrando aver sentito Harry dire infastidito: "Ehi! Non è illegale lavarsi il piatto, lo sai!"

 

"Lo prendo io," dissi mentre raccoglievo tutti i piatti e le posate e le portavo nel lavandino.

 

"Pensi che dovremmo parlare con lui?" chiese Harry dalla cucina dove ancora era seduto, guardando pensieroso verso la porta dove Aidan era scomparso mezzo minuto prima.

 

"Probabilmente sta solo attraversando una fase," dissi, "vediamo se passa prima di parlarci."

 

"Se ne sei certo."

 

"Lo sono."

 

"Va bene."

 

Dopo quello ci fu silenzio, come al solito. Aidan sembrava essere l'unico argomento di cui parlavamo normalmente, ed era strano. O almeno all'inizio. Mi ero abituato, però. I giorni passavano e i silenzi diventavano sempre più lunghi e pesanti, ricordandomi quanto mi sentissi vuoto. Ogni notte trascorsa da solo sul letto fatto per due costringeva la mia mente a pensare a quanto infinito fosse quel vuoto e a chiedermi se sarebbe stato così per il resto della mia vita.

 

Mi fermai mentre stavo risciacquando una delle forchette e gettai uno sguardo sottile verso Harry. Era ancora seduto lì, mentre guardava ancora la porta con sguardo assente a cui ormai mi ero abituato dolorosamente. 

 

Sembrò aver sentito i miei occhi su di lui, però, perché dopo un po' girò la testa per guardarmi. "Qualcosa non va?" chiese.

 

Un sentimento di malinconia mi si insinuò dentro, in quel momento capii che stavamo toccando il fondo, pensava che qualcosa non andasse solo perché lo stavo semplicemente guardando. "No, niente," dissi, scuotendo la testa, "solo... no, niente."

 

Niente.

 

 

Domenica, 7 Febbraio 

 

Quando entrai nella stanza di Aidan la mattina dopo (o pomeriggio), non mi ci volle molto per pentirmene. Il giorno prima aveva detto che avrebbe provato a non vomitare, ma a giudicare dall'odore piuttosto rivoltante che mi riempì le narici nel momento in cui misi piede nella stanza, non aveva provato abbastanza. Temendo cosa avrebbero potuto vedere i miei occhi, accesi l'interruttore della luce.

 

Non era male come temevo, ma non buono come speravo. 

 

"Pulirai tutto da solo," dissi deciso mentre guardavo le tre pozze di vomito sul lato del suo letto, di fronte alla scrivania e al lato. 

 

"Vai via," fu la sua risposta rauca e irritata da sotto il cuscino. 

 

"Sono quasi le 14. È tempo di alzarsi e splendere."

 

"Non ci sarà nessuno che splenderà," brontolò mentre si sedeva e si strofinava le tempie. Sbatté le palpebre un paio di volte, i suoi occhi vitrei, pieni di visibili venature. Poi diede un'occhiata in giro per la stanza e un sorpreso 'oh' uscì dalla sua bocca. 

 

"Si, oh." Incrociai le braccia al petto. "Pensavo che ti avessimo detto di non bere troppo."

 

"Non ho bevuto troppo," disse, la sua voce sommessa, "erano solo poche birre, alcuni shottini, un paio di cocktail, un-"

 

"È troppo," lo interruppi seccamente, "esattamente quanti sono per te 'un paio'?"

 

Scrollò le spalle imbarazzato. "Non lo so, tipo... sei? Sette?"

 

"Hai bevuto sette birre, poi sette shottini e un paio di cocktail, e tu pensi che non sia troppo?" chiesi incredulo, alzando le braccia, "se avessi bevuto io così tanto sarei svenuto."

 

"Beh, ovvio, sei leggero," disse, l'imbarazzo e la vergogna scomparsi e sostituiti dalla sfida.

 

"No, semplicemente non voglio distruggere il mio fegato," risposi, non particolarmente disposto ad ammettere che avesse ragione.

 

"Come vuoi."

 

"Non è 'come vuoi' , Aidan!" esclamai, "ieri sera ti abbiamo detto che non volevamo che bevessi tr-"

 

"Cos'è- oh, Santo Cielo!" Harry era entrato nella stanza senza che me ne accorgessi, ma a giudicare dall'improvviso cambiamento di tono delle sua voce, aveva visto il casino sul pavimento. "Giuro su Dio, Aidan, se non la smetti con questa merda, ti manderemo in collegio in-" sbatté le palpebre, "dove ci sono dei collegi?"

 

"Svizzera," risposi automaticamente.

 

Si voltò verso Aidan e puntò un dito minaccioso. "Se non la smetti con questa merda, ti manderemo in collegio in Svizzera!"

 

"No, non lo faremo," dissi immediatamente quando il viso di Aidan si impallidì, "ma ora ti alzerai e pulirai questo casino da solo. Chiaro?"

 

"Ma io-"

 

"No," lo interruppe Harry, "non mi dispiaceva pulirti la cacca dal culo quando eri un bambino, perché beh, eri appunto un bambino e non potevi fare molto per controllare il tuo corpo, ma ora puoi, quindi io non pulirò e nemmeno qualcun altro lo farà. Lo farai tu."

 

Aidan fece una smorfia di disgusto. "Perché devi sempre ricordarmi cosa facevo da piccolo quando sei incazzato?" chiese. "Fa schifo."

 

"Perché quando eri un bambino eri meno una seccatura, e mi manca." E con quel commento, si voltò e lasciò la stanza con passi veloci.

 

La camera rimase silenziosa per alcuni secondi. Aidan stava muovendo la bocca su e giù, apparentemente non sapendo cosa dire, prima che le sue spalle crollarono prima che disse: "È un idiota e lo odio."

 

"Non lo odi," dissi, "sei solo-"

 

"No, lo odio," affermò duramente, "e odio anche te. Levati dalle palle."

 

Era ovvio che fosse di mal umore, e quindi era inutile persino farlo ragionare. Perciò mi accontentai di mandargli un'occhiataccia di disappunto, che feci in modo di fargli vedere, prima di uscire e chiudere la porta. Lasciai la luce accesa, però. 

 

Trovai Harry accasciato sul divano quando scesi al piano inferiore, e mi sedetti accanto a lui.

 

"Non avrei dovuto dirlo, vero?" chiese senza guardarmi.

 

"Penso che tu abbia fatto bene," dissi, "deve capire che non può continuare a comportarsi così. Prima o poi finirà male, e prima lo capisce, meglio è."

 

"Magari è solo una fase," sospirò, "la maggior parte dei ragazzini passano delle fasi in cui sono delle teste di cazzo, no?"

 

"Mm. Si," strinsi le labbra in una sorta di sorriso, "secondo tua madre anche tu l'hai fatto quando avevi circa la stessa età di Aidan. Forse ha preso da te."

 

Voltò la testa ed alzò un sopracciglio, sorridendo. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che avevo ricevuto un vero sorriso da parte sua che non era direttamente collegato ad Aidan, e mi fece male talmente fu bello. Il sorriso era genuino, ma c'erano anche tracce di divertimento e malizia, e il tutto si fece strada anche ai suoi occhi, facendoli illuminare. Non era molto, era quasi nulla rispetto a quello che era stato dieci anni prima, ma rispetto a quello che era stato negli ultimi dieci mesi, era tutto.

 

"Non ero così testa di cazzo come lo è lui," Harry sbuffò.

 

"Si? Non è quello che mi ha detto tua madre," dissi con un sorriso largo.

 

"Cosa ti ha detto allora?"

 

"Che eri il peggior piccolo bastardo."

 

Rise - una risata vera - e il mio sorriso crebbe al suono; il bellissimo, bellissimo suono che non avevo ancora realizzato mi mancasse così tanto fino al quel momento. Ma Dio quanto mi era mancato. Senza pensare, allungai una mano per raggiungere la sua, che era posata sul suo ginocchio. Non appena la mia pelle entrò in contatto con la sua sua, però, il suo intero corpo saltò lontano da me.

 

Il momento era decisamente finito.

 

Con le guance che bruciavano d'imbarazzo e il cuore che batteva più veloce del solito, mi alzai in piedi e fuggii senza guardarlo. Come solito quando capitava qualcosa di spiacevole, andai in cucina. Non ero proprio sicuro di quello che stavo facendo, mi diressi verso il lavandino e accesi l'acqua, osservandola mentre scendeva e spariva nello scarico. Non avevo idea di quanto tempo rimasi in quel modo con le spalle basse e la testa che ciondolava, guardando l'acqua, prima che sentissi Harry arrivare dietro di me.

 

"Scusa," disse, "non volevo-"

 

"Va tutto bene," lo interruppi con una risatina, "avrei dovuto aspettarmelo."

 

"No, non avresti dovuto," insisté, "ho solo-"

 

Mi girai, lo guardai con occhi freddi come se fossero stati scolpiti da una pietra. "Hai appena fottuttamente trasalito perché ti ho toccato la mano," dissi in tono piatto, "è passato tanto tempo da quando ho toccato una parte di te che solo il fatto che ci abbia provato ti ha fatto sussultare. Cosa pensi voglia dire?"

 

"Niente che non sappiamo già," disse con un piccolo sospiro, "la non nostra relazione non è esattamente-"

 

"Una relazione," terminai. Mi accasciai contro il bancone mentre sentivo la sensazione di vuoto dentro di me. Sbattendo stancamente le palpebre, chiesi: "Chi stiamo prendendo in giro, Harry? Non abbiamo una relazione. È più come se fossimo due coinquilini che vivono l'uno con l'altro per motivi economici."

 

"C'è di più tra noi, Lou," disse con un debole sorriso.

 

"Forse, ma non sembra in questo momento." Feci una pausa per un momento. "Ti sei allontanato perché  ho cercato di tenerti la mano. Penso che questo dica abbastanza."

 

"Si, ma-" si interruppe e lo sentii deglutire. "Non è troppo tardi per sistemare le cose. Voglio ancora stare insieme a te e mi hai detto che mi ami."

 

"Si," dissi, trascinandomi una mano sul viso, "ma ho dimenticato come si fa."

 

"Come... come puoi dimenticare come amare qualcuno?" chiese esitante, come se non fosse sicuro di voler sentire la risposta.

 

Mi mordicchiai leggermente il labbro, considerando la risposta prima di aprire la bocca. "Penso che succeda quando smetti di prestare attenzione all'altra persona e inizi a vederla come qualcuno che è solo lì piuttosto che come qualcuno che ami e di cui hai bisogno."

 

"O quando si inizia a dare per scontato quella persona," aggiunse tranquillamente quando smisi di parlare.

 

"Si," dissi mentre annuivo lentamente. "È così da così tanto tempo ormai, non... non so nemmeno cosa dire o fare per migliorare le cose, o per farti capire che non voglio altro se non tornare indietro a come eravamo."

 

"Bene, lo voglio anche io, è un inizio," disse.

 

"Si. È un inizio, ma cosa facciamo da qui?" Mi fermai. "Dovremmo, sai, andare a vedere qualcuno?"

 

"Cosa, tipo uno strizzacervelli?" La sua faccia si increspò di dispiacere. "Non penso che sarà d'aiuto, ad essere onesti. Non è che stiamo litigando o non siamo d'accordo su alcune cose, e questi sono i problemi che hanno le coppie che vanno in terapia. Il nostro problema è che non abbiamo prestato abbastanza attenzione l'un l'altro e che non ci siamo presi del tempo semplicemente per noi senza lavoro o Aidan o qualsiasi altra cosa. Tutto ciò che abbiamo fatto insieme negli ultimi due anni è stato a causa di Aidan, delle nostre famiglie, dei nostri amici, del lavoro o di qualche altra responsabilità. Niente di tutto ciò è successo a causa nostra, perché noi, come coppia, lo volevamo."

 

Impiegai alcuni momenti per digerire ciò che aveva detto. "Oh. Questo è intelligente, immagino," dissi allora.

 

Mi offrì un debole sorriso. "Grazie."

 

Su di noi cadde il silenzio, ma ci stavamo guardando l'un l'altro piuttosto che guardare il pavimento o i muri.

 

Non notai il cambiamento, ma una delle corde che stringevano il mio cuore da così tanto tempo si era allentata. Mi fece tirare un sospiro rilassato, ed era così bello. Lo era.

 

Alla fine il silenzio fu interrotto da Harry. "Ti ricordi che to ho detto che dovremmo prendere in considerazione l'idea di andare via per un po'?" chiese.

 

Annuii. "Andare in vacanza, hai detto."

 

"Si," si schiarì la voce, "ti va... di andare?"

 

"Si, io- si, assolutamente," dissi subito, annuendo. "Ma quando? E dove? E come? Abbiamo un lavoro. E abbiamo Aidan, e sicuramente non lo lascerò da solo. Un giorno o un anno che sia, non mi interessa, non starà a casa da solo dato come si è comportato ultimamente."

 

"Può stare con mamma e Robin, sai che saranno al settimo cielo."

 

"Ha la scuola," argomentai, "non possiamo-"

 

"È solo a mezz'ora di macchina, può prendere l'autobus o il treno o qualcuno può accompagnarlo, andrà tutto bene."

 

Annuii, anche se ancora un po' titubante. "Penso che sia giusto lasciarlo così quando è... beh, non molto educato?"

 

"Sono abbastanza sicuro che alla mamma non dispiacerà, ma glielo chiederò."

 

"Bene, okay."

 

"Si."

 

"Quindi hai un posto in mente? O un periodo?"

 

"No... direi di no," disse lentamente, "ma se andiamo in vacanza, per una volta voterei un posto caldo e silenzioso."

 

Sollevai un sopracciglio. "Sono d'accordo per il caldo, ma il silenzio?"

 

"Non necessariamente silenzioso," disse con impazienza, "ma non dobbiamo nemmeno andare, sai, in qualche grande città. Dobbiamo trovare il tempo per rilassarci, parlare e stare insieme senza avere persone e rumore intorno a noi tutto il tempo."

 

"Okay," accettai, "suppongo che inizierò a cercare alcuni posti. Il periodo?"

 

"Quando vuoi. Presto. Ho bisogno di una pausa."

 

"Magari... possiamo provare a cercare qualcosa e partire per San Valentino," suggerii esitante, "so che è un po' presto, ma penso che sarebbe, sai, carino."

 

Sorrise ed annuì. "Si, sembra perfetto."

 

 

*

 

 

Era straziante vedere il sorriso radioso che illuminava il viso di Aidan quando, più tardi, gli raccontammo cosa stava succedendo.

 

"Andremo in vacanza? Perché?" chiese, senza guardare né me né Harry da dove era inchinato sul pavimento, impegnato a pulire il suo stesso vomito.  

 

"No, non... non 'noi' inteso come noi tre," dissi tossendo leggermente, "'noi' intenso io e tuo padre. Partiremo per un po'."

 

Alzò gli occhi e li lasciò guizzare tra me ed Harry per un paio di secondi. "Partirete? Da soli?"

 

Ero certo al cento per cento che stava per esplodere, sospirai e chiusi gli occhi per un secondo prima di rispondere. "Non ha niente a che fare con te," dissi attentamente, "non hai fatto niente, è solo che- beh, sai che le cose non sono andate bene tra noi ultimamente, e dobbiamo prenderci qualche momento da soli per cercare di sistemare le cose-"

 

"Oh mio Dio, sei serio?" Mi interruppe. Non era arrabbiato come mi aspettavo. I suoi occhi brillavano mentre mi guardava, e si stava mordendo il labbro come se stesse cercando di non sorridere.

 

"Andrete in vacanza per sistemare le cose? Davvero?"

 

Lanciai una rapida occhiata ad Harry. "Si, davvero," dissi poi, sorridendo ad Aidan.

 

Rimase in terra per altri due secondi, con la mano posizionata in mezzo alla pozza (per fortuna piccola) di vomito, prima di alzarsi in piedi con quello che sembrava un grido di eccitazione. La sorpresa aumentò ancora di più quando gettò le braccia intorno a me e ad Harry, abbracciandoci così stretti da far quasi male, e sussurrò, "Grazie, cazzo."

 

Ebbi a malapena il tempo di sorridere prima che lui si tirasse indietro, un po' imbarazzato.

 

"Voglio dire, è...bello," disse casualmente prima di voltarsi e abbassarsi per continuare a lavare il pavimento. Non passò molto tempo prima che si rigirasse.

 

"E riguardo a me?" chiese, "starò qui da solo?"

 

"Si, col cavolo," Harry sbuffò. Ignorò lo sguardo di rimprovero che gli mandai e continuò.

 

"Chiamerò la nonna e le chiederò se puoi stare con lei e Robin."

 

La sua faccia si rabbuiò e mi guardò. "Con la nonna?" Emise un lamento dal fondo della gola, "ma è così estenuante! Parla tutto il tempo e mi fa mangiare così tanto, ed è più imbarazzante di voi quando parla della mia infanzia. Inoltre mi racconta tutte quelle strane storie di quando eri incinto di me, e sono davvero felice che mi hai dato la vita e tutte quelle cose, ma davvero non voglio sapere di tutto il processo perché mi spaventa, cazzo."

 

Dovetti sforzarmi per non scoppiare a ridere, perché sembrava assolutamente disperato. "Devi essere felice che non eri lì per sperimentarlo," fu tutto ciò che dissi.

 

Rivolse gli occhi ad Harry, guardandolo supplichevole. "Papà, per favore, non posso restare da qualche altra parte?"

 

Harry roteò gli occhi. "Non sappiamo per quanto tempo staremo via, quindi ora decideremo e poi vedremo cosa fare, okay?"

 

Aidan sembrava ancora un po' triste, ma comunque annuì.

 

Lunedì, 8 Febbraio

 

Gemendo nel mio palmo, scossi la testa, quasi pronto ad arrendermi. "Ci sono letteralmente zero posti che sembrino allettanti," dissi mentre scorrevo in basso sul sito.

 

"Questo perché sei piuttosto deciso sull'hotel," disse Harry esasperato.

 

"Bene, che altro suggerisci? Una tenda?"

 

"No, suggerisco di affittare una casa."

 

Alzai le sopracciglia. "Hai idea di quanto sia costoso?"

 

"Non in Spagna o in Italia," mi corresse lui, spingendo via la mano e prendendo il controllo del computer. Il mio computer, attenzione. Rimase lì, facendo clic, scorrendo e digitando per almeno venti minuti. Alla fine sbuffò impaziente e mi alzai per andare in cucina e prendere due tazze di caffè, prima di tornare nella stanza e sedermi.

 

"Trovato qualcosa?"

 

"Mhm," mormorò, "ecco, una villa a Puerto Vallarta in Messico, trecento sterline per una settimana. Il tempo è bello, venticinque gradi e soleggiato, ha una piscina ed è a cinque minuti a piedi dalla spiaggia, ma è una zona appartata quindi non saremo disturbati dal traffico o da altre persone." Mi rivolse un'occhiata veloce e nervosa e aggiunse, "e ci sono due camere da letto."

 

"Penso che sia la cosa migliore," dissi, offrendo un debole, ma rassicurante sorriso.

 

Sembrò sollevato per la mancanza di proteste, e proseguì. "I biglietti aerei sono un po' costosi, però, mille sterline solo andata in due."

 

La mia bocca si spalancò. "Mille sterline per i biglietti aerei solo andata? Sei disposto a spendere così tanto per qualcosa di così... banale?"

 

"Abbiamo risparmiato parecchio visto che non abbiamo mai smesso di versare depositi mensili sul nostro conto di risparmio anche se abbiamo smesso di usarlo due anni fa," scrollò le spalle, "e preferirei spenderne di più e sistemare le cose piuttosto che spenderne meno e ottenere qualcosa che è solo a metà di ciò che vogliamo. Ci sono anche dei bei posti in Spagna, ma il tempo è imprevedibile in questo periodo dell'anno, e anche se siamo fortunati, non ci sarà più caldo di diciotto gradi."

 

Non chiesi quando aveva avuto il tempo di cercare tutte quelle informazioni. Invece annuii. "Va bene. Se davvero... pensi che sia okay. Sei sicuro che possiamo permettercelo? Preferirei non trovarci poi improvvisamente con problemi di soldi quando torniamo a casa."

 

"Ne sono sicuro," disse con fermezza, "e non appena saremmo lì, tutto sarà molto più economico rispetto a qui."

 

"Si. Si, okay." Guardai la foto che occupava attualmente metà del computer. Mostrava una bella villa bianca con una piscina di medie dimensioni all'esterno, un po' di palme che la circondavano, quasi come una foresta in realtà, e... beh, sembrava carino. Poi mi venne in mente un'altra cosa. "Come sono, sai, i diritti degli omosessuali laggiù? C'è una possibilità che saremo crocifissi se qualcuno scoprisse che non siamo solo amici?"

 

"No, è piuttosto calmo," disse, "e comunque andremo in un posto turistico abbastanza comune, dubito che qualcuno abbia qualche problema."

 

Passarono alcuni secondi, e forse si accorse che mi stavo ancora mordicchiando le labbra preoccupato, perché aggiunse, "Se sei davvero preoccupato, possiamo fingere di essere solo amici ogni volta che usciamo di casa."

 

Annuii riconoscente. "Grazie."

 

"Tranquillo," disse con un sorrisetto, "quindi dovremmo prenotare il volo, la villa e tutto?"

 

"Si. È possibile trovare qualcosa di disponibile con così poco preavviso? Non è tutto pieno e la villa è già stata affittata?"

 

"Questo è il problema," disse, stringendo le labbra, "è disponibile solo dal 2o, quindi per San Valentino saremo a casa."

 

Ero abbastanza sicuro che quello significava che avrei passato da solo San Valentino, mentre Harry usciva con i suoi colleghi, abbassai le spalle con leggera sconfitta. "Va bene," dissi comunque, "prenota dal 20."

 

"Sei sicuro che ti vada bene?" disse velocemente. Il sorriso che feci era solo per rassicurarlo. Per me era solo una smorfia.

 

 

Domenica, 14 Febbraio

 

Come si scoprì, non ero felice di essere a casa il giorno di San Valentino.

 

Erano quasi le 21, ed ero lì, seduto da solo sul divano con un album di foto sulle ginocchia e la radio che suonava una canzone romantica dopo l'altra. Non stavo facendo esattamente molto per liberarmi della sensazione di vuoto e solitudine che consumava tutto il mio corpo, ma non riuscivo a pensare a nient'altro da fare. E così mi sedetti lì, guardando lo stesso album più e più volte.

 

Quello era l'unico album che conteneva solo foto di me ed Harry. Nessun altro familiare, nessun amico, nemmeno Aidan. Solo io ed Harry attraverso gli anni; guardandoci l'un l'altro, abbracciandoci, baciandoci, seduti l'uno sopra l'altro, ballando, dormendo sul pavimento, facendo la lotta con l'acqua nell'oceano, sdraiati sul prato di casa di Anne e Robin. La foto più recente era stata scattata almeno tre anni prima. Non ricordavo la data esatta, ma mostrava me ed Harry seduti fianco a fianco con gli occhi chiusi, le nostre teste appoggiate l'una contro l'altra, in un giardino soleggiato che riconobbi come quello quando vivevamo a Wrexham per un breve periodo. Ci trasferimmo a Wrexham a novembre poco più di tre anni prima, ed era ovvio che quella foto fosse stata scattata in estate.

 

Oltre tre anni. Erano passati tre anni da quando qualcuno aveva visto me ed Harry insieme, e il momento sembrava abbastanza  felice da meritare di essere catturato con una macchina fotografica. Inghiottii pesantemente al pensiero, chiedendomi perché continuavo a ripetere le stesse cose a me stesso ancora e ancora. Quello che Harry ed io avevamo avuto era finito da un pezzo, lo sapevo molto bene e da molto tempo, quindi perché faceva così male ogni volta che mi veniva in mente? Sapevo molto bene che c'era la possibilità che saremmo stati in grado di aggiustarlo, che saremmo potuti tornare a quello che eravamo, ma in quel momento, mi sentivo piuttosto patetico.

 

Quello che volevo non era una lunga procedura per ritrovarci. Non lo volevo. Ciò che volevo era che lui rientrasse dalla porta da cui era uscito un paio di ore prima, mi prendesse dal divano, mi portasse a letto, mi baciasse, mi amasse e poi si addormentasse vicino a me. Risi quasi al solo pensiero, perché le probabilità che qualcosa di simile accadesse nel futuro prossimo erano estremamente minime, quasi inesistenti. Anche se tutto stava andando per il verso giusto e stavamo tornando ad essere noi, non avevo idea se lui mi volesse davvero. Mi guardai, lanciando uno sguardo ai vecchi pantaloni della tuta e alla felpa XXL, pensando al corpo non più di un diciottenne, e conclusi che non sarei stato sorpreso se non mi avesse più voluto. Per quanto ne sapevo, era possibile che fosse andato a letto con qualcun altro per tutto quel tempo.

 

La parte peggiore era che non riuscivo nemmeno a dargli la colpa se davvero era successo.

 

Io non l'avevo fatto, però. Non l'avevo mai considerato. Volevo Harry, nessun altro.

 

Con un sospiro mi alzi in piedi e andai verso la radio, spegnendola proprio mentre le ultime note di You Needed Me di Anne Murray suonavano. Non mi preoccupai di rimettere l'album fotografico al proprio posto nello scaffale prima di spegnere l'unica lampada che avevo acceso e salii le scale per andare in camera. Evidentemente non c'era più motivo per rimanere in piedi, quindi anche se erano le 21.30, mi misi il pigiama. Stavo per mettermi sotto le coperte quando mi bloccai.

 

Girandomi, mi diressi verso il comò e aprii il secondo cassetto. Trovai immediatamente quello che stavo cercando e lo presi, soppesandolo per alcuni secondi nella mia mano. Non era niente di particolarmente interessante, non proprio. Solo una cartolina di San Valentino che avevo comprato due mesi prima, quando ero andato al centro commerciale e per sbaglio mi ero imbattuto casualmente in essa. Non credevo davvero di avere la possibilità di usarla, non quell'anno almeno, ma era bella, e non volevo che si esaurisse prima di San Valentino. E così la comprai, per ogni evenienza.

 

Solo in caso.

 

Non aveva alcuna plastica avvolta attorno, era semplicemente nella mia mano, facile da aprire e chiudere. Non c'era niente di speciale sopra, solo una normale superficie bianca con un po' di rose rosa nella parte inferiore che andavano dal bordo all'angolo destro. Al centro un "Ti Amo" era scritto in rosa con una calligrafia ordinata e in corsivo. Era piegata, e al suo interno c'erano altre rose ma niente di scritto. La superficie era lasciata aperta per poter scrivere una nota personale. Era triste, davvero, perché come avevo detto ad Harry qualche giorno prima, non sapevo più come dirgli che lo amavo. 

 

Ma la cartolina era vuota, e questo mi suggeriva che dovevo scrivere qualcosa.

 

E lo feci.

 

Seduto sul letto con le gambe incrociate, presi una penna dal cassetto del comodino. Riflettei per un momento su cosa scrivere. Cosa sarebbe stato appropriato? Poi pensai che scrivere qualcosa di corto e onesto sarebbe stata una scelta migliore.

 

Spero ti sia divertito. Mi sei mancato. Ti amo.

 

-Louis

 

 

Sembrava andar bene, anche se scritto nella mia calligrafia disordinata. Breve e pulito. E onesto.

 

Mi alzai di nuovo e scesi le scale, ancora con indosso solo i pantaloni del pigiama. Aprii la porta della camera degli ospiti, che ultimamente era la camera di Harry, e feci un passo verso l'interno. Non mi preoccupai di accendere nessuna lampada, lasciai che la poca luce proveniente dalla strada mi aiutasse ad arrivare al letto. Mi misi in cima ai cuscini e alle coperte, e inspirai profondamente, inalando il profumo di Harry.

 

Potreste pensare che mi sarebbe stato d'aiuto, facendomi sentire meglio, ma non fu così. Rimasi lì con gli occhi chiusi, inspirando ed inspirando a ritmo lento, la cartolina stretta al petto e tutto ciò mi fece venire le lacrime agli occhi.

 

Mi sentivo solo e indesiderato, una sensazione che non provavo dall'inizio della nostra relazione, quando non sapeva che mi piacesse. Non era un sentimento che ero felice di riaccogliere, perché anche se ci era voluto un anno per me ed Harry per metterci insieme, alla fine ero abituato ad essere amato ed apprezzato. Non in quel momento, però. Harry non era lì e nessun altro, ed era strano tornare a diciassette anni prima, tornare ad essere ignorato, invisibile e completamente, assolutamente, terribilmente, dolorosamente solo

 

Ma non volevo piangere. Non avevo ancora pianto per quello. Avevo pianto per i due bambini persi, ma non avevo pianto a causa della mia relazione in rovina con l'uomo di cui ero profondamente innamorato che sapevo non provava lo stesso per me come faceva una volta. Forse era quello il problema. Forse il problema era che non mi ero permesso di sdraiarmi e sentire e lasciarmi andare, ma avevo scelto di tenere tutto dentro fino a quando non si era trasformato in una grossa massa di agonia che si era depositata nel mio petto e aveva tenuto le mie emozioni a bada.

 

Non avevo pianto prima, e non volevo iniziare in quel momento, ma lo feci. Avevo trentatré anni e stavo piangendo perché mi sentivo solo.  Non c'era nessuno per vedermi o sentirmi, però; Harry era fuori con i suoi colleghi, probabilmente divertendosi un sacco, e Aidan era fuori a quello che lui insisteva non essere un appuntamento con una ragazza che avevo sentito nominare qualche volta. Erano entrambi a divertirsi, ed ero felice per loro, volevo che si divertissero, ma mi sentivo triste.

 

Era difficile non esserlo.

 

Con le lacrime che scorrevano ancora a fiotti caldi lungo le mie guance, gli occhi che cominciavano a farmi male, mi addormentai mezzo nudo nel letto di Harry con una cartolina di San Valentino tenuta stretta al petto, come se cercassi conforto in essa.

 

Fui svegliato dal suono di qualcuno che camminava nella stanza. La luce non era stata accesa, però, e decisi di tenere gli occhi chiusi. La mia faccia era ancora umida per le lacrime che avevo versato.

 

Dopo alcuni secondi la piccola lampada sulla scrivania accanto al letto venne accesa e sentii un piccolo suono di sorpresa lasciare le labbra di Harry.

 

"Lou?" disse lui interrogativamente, la sua voce bassa e morbida. Non aprii gli occhi, fingendo di essere ancora addormentato mentre lo sentii avvicinarsi al letto. "Sei sveglio?" Continuai a non rispondere, e sospirò. Si accovacciò accanto al letto, e prima di poter fare qualcosa, sentii la cartolina venire aperta e non c'era modo che potessi evitarlo.

 

Passarono altri secondi prima che lo sentissi sospirare profondamente e tremante.

 

"Oh, Lou," mormorò, "hai detto che ti andava bene."

 

Un dito spazzò via l'ultima lacrima che era rimasta sulla mia guancia, e il contatto fu così improvviso, così inaspettato ed estraneo, che non potei trattenermi dal prendere istintivamente il suo polso per tenere la mano lì. Continuai a non aprire gli occhi, ma doveva sapere che ero sveglio.

 

 

"Per favore, apri gli occhi," disse, confermando la mia teoria, "so che non stai dormendo."

 

Inghiottii, mordendomi il labbro per impedirgli di tremare troppo violentemente, prima di sollevare le palpebre e sbatterle.

 

"Che cosa ci fai qui?" chiese, con occhi preoccupati.

 

"Io..." tossii per schiarirmi la voce, "ho solo- scritto sulla cartolina e la stavo... la stavo lasciando qui, ma mi sono addormentato."

 

"Da quanto tempo sei qui?" chiesi piano.

 

"Non lo so. Che ore sono?"

 

"23.10."

 

"Oh." Ingoiai prima di alzarmi lentamente, lasciando il suo polso. "Non molto tempo allora. Solo un'ora più o meno."

 

Mentre mi alzavo, incrociai le braccia sul mio stomaco per nascondermi il meglio che potevo, e lui si raddrizzò. 

 

"Ma hai pianto," disse, "va tutto bene?"

 

"Si, certo," dissi, sorridendo il meglio che potevo, "sto bene. Scusa se ho occupato il tuo letto, probabilmente sei stanco. Io... vado-"

 

"Perché hai pianto, Lou?" mi interruppe con cautela.

 

Mi morsi il labbro, fissando il mio sguardo sul pavimento per un secondo. "È... è solo stata una notte strana," dissi, cercando di far apparire la mia voce leggera, "mi sono solo sentito un po'- no, niente. È tutto okay. Vado a letto ora. Mi dispiace per la cartolina. Credo di aver avuto un attacco di... qualcosa di melodrammatico. Scusa." Con quello volai praticamente fuori dalla stanza, su per le spalle e di nuovo nella mia camera da letto.

 

La mia camera da letto.

 

Non mia e di Harry.

 

 

Note traduttrice:

Ed eccomi tornataaaaa. Scusate davvero, ma come avrete notato il capitolo non è corto come quelli della prima parte, anzi.

Inizio con il dirvi che questo è il mio regalino di Natale per voi, spero sia di vostro gradimento.

Allora, la storia avrà in tutto sei capitoli più un breve epilogo, quindi spero di riuscire a terminarla il prima possibile dato che devo iniziare a tradurre un'altra storia meravigliosa.

Un'altra cosa, ringrazio immensamente il mio angelo che ha creato il banner, non è meraviglioso? (Quanto è fregno Aidan).

Okay, può bastare, grazie come sempre.

Vi amo. 

Fra ♥️

   
 
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