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Autore: taisa    20/12/2017    2 recensioni
Quando la vita si spezza in un unico istante resta una sola cosa da fare... vendetta!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Dr. Gelo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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COLD EYES


Una vita perduta


Quando le sirene avevano cominciato a suonare, il panico non aveva impiegato molto a dilagarsi come un'emorragia. Soprattutto nei laboratori.

Gelo non era stato il primo a raggiungere la postazione con l’intento di salvare il suo lavoro. Al suo arrivo la maggior parte degli scatoloni e dei recipienti di fortuna erano già stati raccolti da qualcun’altro. Fu costretto a scegliere con attenzione cosa salvare perché avrebbe dovuto portare con sé la sua refurtiva senza l’aiuto di un contenitore.

Decidere di lasciare lì arti metallici perfettamente funzionali sulla quale aveva faticato da tempo immemore gli lasciò l’amaro in bocca, ma erano troppo pesanti e non sarebbe mai stato in grado di trasportarli. Le sue anziane ossa non glielo avrebbero permesso. Tutto quello che era in grado di racimolare furono alcuni materiali leggeri e dei vecchi taccuini.

“Papà” lo chiamò una voce alle sue spalle e senza esitare il Dottore si voltò. A pochi passi dall’ingresso del laboratorio un soldato in alta uniforme lo stava fissando con una punta di preoccupazione riflessa nei glaciali occhi azzurri. “Dovresti andartene da qui” gli disse. Il Dottor Gelo lo squadrò per un ultimo secondo, tornando a raccogliere vecchi appunti, “È quello che sto facendo” lo rassicurò, “Ma non voglio rischiare di perdere tutti i miei studi” spiegò afferrando due quaderni, ponderando su quale dei due era più opportuno portare con sé.

Alle sue spalle il giovane soldato sembrò valutare la situazione. “D’accordo, promettimi solo che quando avrai finito tornerai subito a casa” supplicò. Gelo annuì “Come vuoi” concesse vago.

“Signore! I suoi uomini sono radunati all’esterno come ha ordinato. Aspettiamo sue istruzioni” si intromise un soldato, affacciandosi alla porta per osservare il superiore dal basso verso l’alto, vista la considerevole stazza di quest’ultimo. L’ufficiale si voltò acconsentendo con un leggero cenno del capo, “Avvisa che sto arrivando” ordinò. Pochi secondi più tardi il militare sparì.

Gelo si era nel frattempo voltato, osservando il figlio, “Vai” gli disse quando i loro occhi azzurri s’incrociarono, “Ci vediamo quando tornerai a casa anche tu”. L’uomo indugiò un istante ancora, “Fai attenzione papà” si rassicurò un’ultima volta prima d’incamminarsi verso la porta.

Lo scienziato lo vide allontanarsi. Il figlio di cui era orgoglioso, l’uomo forte e coraggioso che aveva cresciuto. Quel soldato alto e dalle grosse spalle robuste. Dai brillanti occhi chiari e dai capelli di un peculiare color arancione carota.

Tornato ai suoi esperimenti, Gelo decise che tra i due quaderni avrebbe portato con sé il taccuino la cui copertina era segnata con un grosso numero otto.

All’esterno della base le esplosioni sembravano avvicinarsi ogni secondo che scorreva.


***


Son Goku, fu il primo pensiero che riempì la sua mente. Chi egli fosse non lo sapeva, non con certezza. Non lo aveva mai incontrato, di questo non dubitava.

Qualcosa nella sua testa sembrò suggerire che lo scopo della sua esistenza era quello di eliminarlo. Ucciderlo.

Tutto il resto?

C’era solo il vuoto. Non c’erano altri pensieri o ricordi e nemmeno altre sensazioni. Son Goku, tutto qui.

Il proprio nome? Il proprio aspetto? Non sapeva nulla di tutto questo, era stato tutto cancellato. Dimenticato.

Sembrava che nel suo cervello ci fosse spazio solo per quello, Son Goku.

Lentamente aprì le palpebre, trovandosi faccia a faccia con il suo riflesso riverberato su un oblò dalla forma sferica poco distante dal suo stesso viso. La consapevolezza che fosse il proprio riflesso fu causato da una sensazione di familiarità.

Si accorse di avere occhi azzurri come il ghiaccio dai lineamenti sottili. Il suo viso era fine ed appuntito e una ciocca di capelli biondi seguiva le sue fattezze a pochi millimetri dal bordo del suo occhio.

Fissò la sua immagine per alcuni istanti, come a volersi ricordare chi fosse, chiedendo al suo riflesso di rispondere a domande di cui aveva un disperato bisogno.

Ebbe il desiderio di scostare i capelli da davanti al proprio viso, ma il luogo in cui si trovava era angusto, impedendole di muovere il braccio.

Non soffriva di claustrofobia, almeno così sembrava, ma non ebbe il tempo di averne la certezza. L’oblò che fino a pochi istanti prima la stava fissando con il suo stesso viso si aprì accompagnato da un cigolio metallico.

Libera di muoversi si scoprì ad osservare quello che sembrava essere un laboratorio. L’ambiente austero e metallico, computer disseminati in ogni dove e strane composizione in ferro che sembravano avere fattezze umane.

Un piccolo bip echeggiò per un breve momento, provenendo da un punto sconosciuto della stanza.

Ipotizzò che non fosse un luogo familiare, perché il suo cervello non sembrò reagire, affidandosi ad una nostalgia che non esisteva. Il suo viso le aveva dato l’impulso, una strana sensazione di familiarità che non riscontrò in quel luogo.

Compì un passo, uscendo dallo strano contenitore nella quale era stata reclusa fino ad un secondo prima.

Si portò la ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Accanto a lei sentì un secondo stridio che rimbombò nella stanza e nella sua testa. Si voltò, giusto in tempo per vedere un secondo contenitore aprire la capocchia. Su di essa riuscì ad intravedere solo il numero diciassette.

Ne uscì un ragazzo, avevano la stessa età a giudicare dal suo aspetto. Indossava una maglia nera e un paio di jeans strappati, attorno al collo un foulard arancione.

C’era qualcosa di familiare in lui, qualcosa che il suo cervello riconobbe immediatamente, meglio persino della propria immagine riflessa.

Chi era questo ragazzo? Perché sembrava conoscerlo così bene?

Lui si voltò a guardarla, i fini occhi azzurri come il ghiaccio trovarono i suoi. Fu allora che comprese.

Aveva dimenticato tutto della sua vita, dal suo nome alle sue paure, ma non aveva dimenticato lui. Come avrebbe potuto scordare il suo gemello?

Anche lui doveva aver avuto la stessa sensazione, poiché il suo sguardo fino a quell’istante confuso sembrò avere un momento di lucidità, come se fosse appena tornato a vivere una vita perduta.

In un pensiero telepatico entrambi capirono che, pur avendo perso tutto, erano comunque ancora insieme e questa era la cosa più importante.


FINE

  
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