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Autore: alix katlice    21/12/2017    5 recensioni
Prima classificata parimerito al contest “Cuore d’Ombra” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
Dal testo:
Sul bordo della rupe, con i piedi che penzolano sull'oblio, come una bambina, siede una figura di donna. Eros, ovviamente, sa già chi è: l'ha sentita invocarlo. Chiamarlo a denti stretti, lacrime a scavare il suo viso (e si è riempito di quel pianto, pregustando, anelando al momento in cui-...). Ed ora, finalmente, è qui.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eros
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest “Cuore d’Ombra” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp:

 

 

Dolce, amaro, indomabile serpente.


 

 

"A causa della sua povertà, Penia escogitò di avere un figlio da Poros; giacque con lui e concepì Eros. Per questo, Eros divenne anche seguace e ministro di Afrodite, perché fu generato durante le feste natalizie di lei; ed è nello stesso tempo per natura amante di bellezza, perché anche Afrodite è bella. Poiché, dunque, Eros è figlio di Penia e di Poros, gli è toccato un destino di questo tipo. Prima di tutto è povero sempre, ed è tutt'altro che bello e delicato, come ritengono i più. È duro, invece, e ispido, scalzo e senza casa, si sdraia sempre per terra senza copertura, e dorme all'aperto davanti alle porte o in mezzo alle strade, e, perché ha la natura della madre, coabita sempre con la povertà. Per ciò che riceve dal padre, invece, egli è insidiatore di ciò che è bello e ciò che è buono, è coraggioso, temerario, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse, filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore, mago, sofista. E per sua natura non è né mortale né immortale..."

- Simposio, Platone

 

 

 

Gli piace camminare a piedi nudi nell'erba. Anche se il terriccio sfrega contro i calli, e sporca le piante dei piedi, ciò non toglie nulla al modo in cui può percepire ogni filo d'erba che accarezza la sua pelle, fresco, leggero -ha piovuto da poco. La rupe di Leucade è silenziosa. Una distesa di erba, e terra, e rocce, e poi uno strapiombo. Giù, giù, giù fino al mare, l'abisso. Le onde che scrosciano contro gli scogli.

 

Eros ha deciso che oggi potrebbe essere una buona giornata. Se lo sente sotto pelle, ed è una bella sensazione, tanto più se accompagnata dalla consapevolezza di essere a digiuno (uno di quelli tremendi, uno di quelli in cui non ti senti scorrere alcuna energia nel corpo, come fosse morto, spento, mortale). Mortale. Non è un mortale. Potrebbe aprirsi il petto in due con una lama, le viscere in bella vista, e non morire. Potrebbe logorarsi i piedi nel percorrere l'intera terra ancora, e ancora, e ancora, e non un solo fiato lascerebbe il suo corpo. Mortale. È il digiuno a renderlo così. Debole. Pieno di desiderio fino all'orlo, in ogni parte del suo corpo.

 

Sul bordo della rupe, con i piedi che penzolano sull'oblio, come una bambina, siede una figura di donna. Eros, ovviamente, sa già chi è: 'ha sentita invocarlo. Chiamarlo a denti stretti, lacrime a scavare il suo viso (e si è riempito di quel pianto, pregustando, anelando al momento in cui-...). Ed ora, finalmente, è qui. Lei non se ne rende conto. Lei, piccola, ottusa, ferita, mortale. La sua mente non arriverebbe a tanto. Eros non è Zeus (con Ganimede, coppiere degli dei, o Alcmena e Danae madre d'eroi, o ancora Leda portatrice di sventura), non gli piace rivelarsi, essere coinvolto, agisce nascosto, puntando l'arco e le frecce, scoccando e ferendo. Cammina silenzioso a piedi scalzi, le morbide ali che frusciano lungo i corpi degli amanti. La donna è a malapena vestita, un peplo sgualcito che le avvolge il corpo, le mani affondate nell'erba, le gambe che dondolano e dondolano e dondolano. Eros, che è silenzioso, le si affianca senza sfiorarla (e può sentire la sua disperazione, indebolirlo e nutrirlo al contempo).

 

« Ti dispiace? » chiede. Il volto della ragazza è stremato.

 

« N-no, prego, io-... sieda pure » è la risposta. Ha parlato con un tono formale pieno di un qualcosa che non dovrebbe comparire nella voce di chi soffre, qualcosa di forzato e stridente.

 

« Sei stanca? »

 

La donna gli rivolge un'occhiata confusa, e il suo sguardo si fa più chiaro, come se lo vedesse per la prima volta. I suoi occhi scorrono lungo il profilo delle piume: Eros può vedere il collegamento che viene fatto quando nota la faretra, l'arco, le frecce. Stringe le mani in grembo, e un singhiozzo pressante le sfugge dalle labbra.

 

« Sono morta. »

 

« Morta? Vedo il tuo respiro, ed il tuo cuore batte ancora » le dice in tono rassicurante. « Non sei morta, non ancora. »

 

« No, io-... non riesco a sentirmi. È come se mi fossi rotta all'interno. Come se Achos, e Ania e Lupe fossero qui, e mi affondassero le mani nel petto. O peggio, Acli, la vedo accanto a me pallida e magra, il sangue che cola dalle sue guance. » Prende un respiro profondo, le mani al petto. « Erenaios, figlio di Photios, non ricambia il mio amore. »

 

« No? » le domanda, come se non lo sapesse. « Com'è, Erenaios? »

 

« È un ragazzo bellissimo » risponde lei, mentre le si illuminano gli occhi luccicanti. « Con una chioma castana e la pelle di miele. Gli occhi del colore della notte più scura, senza luna. L'animo e la forza di un eroe. Ha un cuore buono. »

 

Eros annuisce, e aspetta, perché questa è la parte che gli piace di meno. L'armonia e la bellezza appartengono ad Afrodite, non a lui. Eros è-... ad un passo, sempre sul punto di arrivarci. Desiderio. Teso verso una mancanza che non si può colmare.

 

« Non ti ama, Erenaios » le ricorda, perché l'immagine del ragazzo le ha portato via dalle guance i solchi delle lacrime. « Erenaios è promesso a un'altra donna. »

 

L'espressione della ragazza si deforma in una smorfia d'incredulità, gli occhi pieni di disperazione.

 

« Una donna più bella, più colta e più ricca di me. Figlia di un uomo più potente di mio padre. Erenaios disprezza il mio amore, perché le mia dita e il mio collo non sono adornati da gioielli dorati. »

 

« Cosa vuoi fare? »

 

« Niente. Cosa dovrei fare? Mi hai ferito con le tue frecce, non posso fare altro che soffrire » dice la donna, e il suo petto viene scosso da un profondo singhiozzo, un altro, ed un altro ancora. Il silenzio della rupe è pervaso solo dal rumore del suo pianto, e da quello dello scrosciare del mare sugli scogli. Lo sguardo di Eros vaga sull'orizzonte, il punto più lontano in cui mare e cielo si incontrano, le nuvole cariche di pioggia che minacciano di affondare nel mare, Zeus pronto a scatenare una tempesta, e pensa che la donna sia troppo giovane. Forse avrebbe dovuto fare un po' d'attenzione.

 

Il pensiero viene strappato via dalla sua mente dopo una frazione di momento, quando le mani della ragazza stringono l'erba e la strappano, le unghie affondano nel terriccio, porta le ginocchia al petto (il peplo sferzato dal vento) e grida, un unico urlo strozzato.

 

« È colpa tua » singhiozza, le mani sulla faccia che sporcano di terra le guance « è tutta colpa tua. Tua tua tua tua tua tua. Perché non lo fai smettere? » Si volta verso di lui, gli occhi imploranti, mette le ginocchia a terra e si attacca al suo collo. Una bambina. Quando i suoi palmi lo toccano, la forza della sua angoscia lo investe in pieno, lo riempe, e lui la accoglie poggiando le dita sul suo viso, alzandole il mento, guardando i suoi occhi rossi e le guance bagnate.

 

« P-p-perché non lo fai s-smettere? » chiede la ragazza, un lamento flebile. « Perché non mi ferisci di nuovo? Perché non mi dai n-n-nessuno? Questo non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio. »

 

« Non posso » le dice Eros, le labbra ad un fiato dalle sue mentre la ragazza si scioglie sotto al suo tocco. « Non è quello che faccio. »

 

« Cosa fai? Cosa fai, allora? L'amore, l'amore a che mi serve se non ho voglia di vivere? »

 

« A che ti serve vivere se hai desiderio d'amare? È irrealizzabile. Potrei ferirti ancora, potrei distruggerti, schiacciarti, farti in pezzi. Faccio quello che voglio, ed è questo ciò che voglio » risponde, capriccioso. Le volta il viso verso il mare, l'orizzonte infinito, la tempesta che sta arrivando. « Sei venuta qui, sulla rupe di Leucade, perché non vuoi più vivere. Saffo, la poetessa di Lesbo, era seduta qui, appesa al mio corpo così come te ora, ed ha camminato passo dopo passo fino al ciglio, ed ha spalancato le braccia ed è precipitata giù, e si è sfracellata sugli scogli. Le ho asciugato le lacrime mentre mi diceva che era una donna brutta, e il battelliere Faone non ricambiava il suo amore. Le ho detto che era stata fortunata, perché le Muse l'avevano scelta, e mi ha risposto che non era vero, che era la più sfortunata delle mortali. E si è uccisa, per quanto a fondo l'aveva ferita il rifiuto di quel sentimento che io le avevo imposto. Thanatos mi ringrazia ogni notte per la quantità di uomini e donne che ingrossano le sue fila per mio volere. » Le dita della ragazza affondano nei suoi polsi, in un flebile tentativo di sfuggire alla sua presa. « Tu non hai la minima idea di quello che posso fare. Pensa a tuo padre. Saresti nata se le mie frecce non l'avessero colpito? Avrebbe ucciso, in guerra, se non fosse stato per tornare da tua madre? La tua intera vita è, è stata e sempre sarà nelle mie mani, così come la vita dei tuoi fratelli, dei tuoi parenti, dei tuoi vicini, dei tuoi concittadini. La tua arte, la tua cultura, coloro che detengono il potere... chi è che li muove? Chi è che li tende verso ciò che manca loro? Chi è che crea, chi è che distrugge? Nessuno degli altri Dei ha tanto potere sulle vostre vite, né Zeus, né Ade, né Afrodite o Ares o Apollo. Forse solo il Fato. Ma la guerra di Troia è causa mia. La forza che muove il mondo sono io. »

 

Eros lascia il viso della ragazza, che perde l'equilibrio, preme i palmi sul terreno, gli occhi sgranati e il respiro corto. Gli rivolge uno sguardo pieno d'incredulità, sopraffatta dall'ondata di forza che l'ha investita, svuotata ormai da ogni energia. Si alza in piedi, le gambe che le tremano, le mani strette attorno al peplo sporco di terra. Fa un passo verso il ciglio della rupe. Eros si guarda le mani: brillano di luce dorata.

 

« Non sei delicato, non sei buono, non sei gentile. Sei duro e crudele, e la tua bellezza mi ferisce. Non vuoi il bene degli uomini, vuoi dei burattini nelle tue mani. Vuoi giocare. » Legge il disprezzo e la consapevolezza nei suoi occhi. Poi la ragazza si volta. « Non voglio. »

 

« Non importa » le risponde Eros.

 

Lei fa un passo verso il nulla, e si butta.

 

Quando Eros sente il secco rumore dell'impatto del corpo sugli scogli, pensa che forse questa volta ha calcato troppo la mano. Ma il dolore della ragazza, che aleggia ancora nell'aria, è stato inebriante, pieno e intenso e disperato come non capitava da tempo, gli ha offuscato la mente, gli ha fatto perdere il controllo. Pieno, per un momento. Ha l'odore dei suoi capelli addosso.

 

Questo è il momento che preferisce. Il pieno potere sulla vita e la ferita che conclude il suo ciclo e il nulla che ritorna a essere nulla. Anche se non troverà mai ciò che cerca. Anche se non sarà mai soddisfatto.

 

Zeus tuona nel cielo scuro. Thanatos struscia le sue vesti nere sull'erba, verde e scintillante di una pioggerellina ancora leggera ma che si sta intensificando. Eros spalanca le ali, scrolla le piume, sfiora con le dita la faretra e si solleva in volo.

 

 

 

 

 

 

 

 


Note super veloci:

  • Il titolo è preso da Saffo (1966, fr. 130.)

  • Mi piange il cuore, ma qualche licenza poetica me la sono presa, gli altri classicisti non me ne vogliano troppo!

  • L'interpretazione più comune sulla nascita di Eros penso sia quella che lo vede figlio di Ares e Afrodite, ma avendo da poco finito Platone sono rimasta affascinata da questo mito alternativo che lo vede figlio di Penia (la povertà) e Poros (l'ingegno). Ho inserito il passo in questione ad inizio testo perché penso che non sia una versione conosciuta ai più, perciò ho preferito precisare!

  • Era da tantissimo tempo che non scrivevo e questo è il mio secondo lavoro da un paio d'anni, perciò sono davvero, davvero arrugginita. Chiedo scusa per eventuali sviste, strafalcioni e simili, e ringrazio enormemente per la lettura. Un abbraccio, Alice :)
  • Ringrazio davvero tanto anche la giudice del contest per la disponibilità, la gentilezza e soprattutto l'idea del contest, che è stata davvero interessante! 




 
  
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