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Autore: mar_wandering    21/12/2017    0 recensioni
Dal primo capitolo:
“L’ultimo ricordo vivido di Wolfgang fu il colore delle peonie, i cui petali erano sbiaditi, pallidi, eppure sembravano esser così vivi. Il volto ormai marmoreo del giovane era più cupo e spento, il suo sguardo vacuo fisso avanti a sé, come perso in una landa desolata. Un rivolo denso e vermiglio scivolò sulle sue vesti, macchiandole irrimediabilmente di rosso, la cui fonte sgorgava da quei due lembi di pelle separati sul torace. Sentì freddo. Né dolore, né paura. Soltanto freddo. Congelato eternamente in quell’attimo nel quale la morte aveva lambito le sue labbra, in un bacio senza tempo. Il giovane Wolfgang era morto, disteso sul prato umido al di fuori della sua dimora, divenuta propria dopo il trapasso dei coniugi Schulz – i suoi genitori.”
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo primo | parte I
Silence, Beethoven.
 
L’ultimo ricordo vivido di Wolfgang fu il colore delle peonie, i cui petali erano sbiaditi, pallidi, eppure sembravano esser così vivi. Il volto ormai marmoreo del giovane era più cupo e spento, il suo sguardo vacuo fisso avanti a sé, come perso in una landa desolata. Un rivolo denso e vermiglio scivolò sulle sue vesti, macchiandole irrimediabilmente di rosso, la cui fonte sgorgava da quei due lembi di pelle separati sul torace. Sentì freddo. Né dolore, né paura. Soltanto freddo. Congelato eternamente in quell’attimo nel quale la morte aveva lambito le sue labbra, in un bacio senza tempo. Il giovane Wolfgang era morto, disteso sul prato umido al di fuori della sua dimora, divenuta propria dopo il trapasso dei coniugi Schulz – i suoi genitori. Dopo quel giorno vi rimasero soltanto due anime in quella villa ed una di esse si era appena affievolita sotto i raggi del sole di maggio. Era quello il periodo nel quale le peonie stavano giungendo al termine della loro fioritura ed il loro manto iniziava lentamente ad appassire. Quell’anno era durata meno delle precedenti, che come da consuetudine si erano estese sino al mese di giugno, ed i petali erano già cadenti e secchi.
Uno di essi - uno dei petali - si divise dalla corolla e cadde, lasciando dietro di sé una lunga spirale. Cadde, mellifluo, lambendo il viso del giovane con un tocco simile ad una carezza. Il tocco di una Rosa.
Gli scremò le labbra violacee e restò lì, con dolce fermezza – e poi cadde ancora, spazzato via da un sospiro innaturale e fittizio. Wolfgang chiuse violentemente gli occhi e poi spalancò la bocca, respirando a pieni polmoni quell’aria umida e caratterizzata dall’intenso effluvio dei fiori. Il torace si sollevò, gonfio, e si abbassò più di una volta, prima spasmodicamente e poi con lentezza quando egli abbandonò i modi brutali che avevano accompagnato il proprio fare. Sollevò il busto e delle ciocche corvine gli scesero sul volto, alla rinfusa, aprì gli occhi per poi ritrovarsi a doverli serrare ancora. La luce del sole lo infastidiva, doveva permettere alle proprie iridi di abituarsi nuovamente ad essa, nonostante il buio non l’avesse mai toccato a sufficienza in tutto quell’arco di tempo per scatenare una tale reazione.
La sua anima, però, il buio l’aveva sfiorato a lungo e da esso era stata avvolta, dal momento in cui il suo cuore aveva cessato di battere fino a quando si ritrovò seduto sul prato, apparentemente vivo e cosciente. L’eco di un dolore al petto parve trafiggerlo ed il giovane portò una mano lì, dov’era il cuore, stringendo le dita affusolate contro la carne ed i vestiti e quando si accorse che non vi era nulla, lasciò scivolare la mano che si posò sulla gamba. Eppure, nonostante nulla sembrasse averlo scalfito nel corpo, avvertiva una sensazione strana pervaderlo e scuotergli le membra. Irrequieto, si poté definire, aggrottò la fronte e portò una mano su di essa mentre cercava di dare una mera spiegazione a tutto quello. “Perché sono qui?” e “Cosa mi è successo?” furono le prime domande ad invadergli la mente, domande a cui si sforzò di rispondere ma senza alcun risultato, non avendo memoria di ciò che l’aveva portato sin lì, disteso sull’erba del giardino. “Probabilmente sono svenuto.” Pensò lui, dando una leggerissima scrollata al capo prima di poggiare entrambi i palmi delle mani sul terriccio, per poter far leva su di esse e mettersi in piedi, pronto a sorreggersi qualora i sensi lo avessero abbandonato nuovamente.
Quando Wolfgang si mise in piedi, spazzò via il terriccio umido dalle proprie mani e, nel guardare distrattamente a terra, si accorse che quello stesso terriccio era stato smosso da qualcosa. Pensò a primo acchito che fosse stata la propria caduta, così percorse il ciottolato che conduceva all’ingresso della villa, senza porsi ulteriori domande al riguardo. Un unico colpo di tosse gli schiuse le labbra ed egli portò prontamente una mano a stringersi il petto, dopo aver coperto la bocca con l’altra. Faceva male. Quello che provò però non si poté definire un dolore fisico, come lui all’epoca avrebbe giurato. Strinse ancora la presa, quasi come se quel gesto avesse potuto alleviare la sofferenza. “Cosa mi succede?” chiese sommessamente a se stesso, prima di riprendere a compiere una camminata lenta, elegante, sporcata da una lieve incertezza nei passi. Era un dolore tale che gli venne difficile sentire altro, qualsiasi altra sensazione venne affievolita. Scosse piano il capo, di nuovo, e senza rendersene conto era già giunto dinanzi alla porta della propria dimora. La porta era massiccia, pesante, tanto scura da sembrare quasi nera, sebbene in realtà fosse un blu tendente al grigio. Lo chiamavano “Blue Navy” ma non era lo stesso, gli assomigliava solamente, quello che tingeva la porta e le imposte della villa era molto più scuro e grigio. Il giovane Schulz, nella gloria dei suoi sette anni, quando le porte e le finestre erano state ridipinte e quel giallo canarino ( morto ) era stato sostituito dal famoso “Blue Navy”, lo aveva chiamato “Grigio Wolfgang” con tutto l’entusiasmo di cui un bambino potesse disporre. La verità dietro quel colore, però, era che il piccolo Wolfie – nel mescolare la vernice – aveva combinato un bel disastro, lo stesso di cui lui e suo padre andavano alquanto fieri. Dunque, arrivato davanti l’ingresso, posò una mano sulla superficie gelida e tastò il legno scuro. Prese un respiro profondo, lasciando che l’odore dolce delle peonie gli riempisse i polmoni, quasi se lo fosse trascinato dietro lungo tutto il tragitto percorso sin lì.

( … )

Cadde di peso sul divano del soggiorno ed il proprio corpo sprofondò sopra l’imbottitura. Per quanto lo desiderasse non riusciva in alcun modo a liberarsi di quell’insistente fastidio, quella sensazione di irrequietezza che gli si era ormai stanziata in petto. Chiuse lentamente gli occhi stanchi e si lasciò cullare dal suono emesso dal vecchio grammofono all’angolo della stanza, sperando che quella situazione si sarebbe ridotta ad un lieve vuoto nel trascorrere del proprio quotidiano, il quale avrebbe avuto vita breve nella sua mente. La punta della testina del grammofono graffiava contro la superficie del 78 giri, riempiendo la camera di quella melodia malinconica, nella quale si poteva cogliere un forte senso di solitudine e tranquillità.

            Era “Silence” di Beethoven.
            Così, nel silenzio, tutto tacque.


La morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare. ( Jorge Louis Borges )
 
nota autrice: 
Il primo capitolo di questo "racconto" è ancora in fase di terminazione e questa, dunque, è solamente una prova per vedere se può essere o meno interessante. E' la seconda storia che pubblico su EFP e la prima, risalente a millenni fa, è andata persa per mio volere ( era indecente ). 
Spero davvero che possa piacere, nonostante sia solamente un assaggio del primo capitolo ancora incompleto. Nel caso in cui io veda dell'interesse, pubblicherò volentieri il resto. <3 

 

   
 
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