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Autore: Thewritingpenguins_    21/12/2017    0 recensioni
Brighton, East Sussex, 1823
Accanto ai campi traboccanti di coltivazioni sorge una rustica abitazione.
Qui crescono a vista d'occhio sei ragazzini, ognuno con la propria storia, passioni e desideri.
Margaret ed Heyden, due giovani incontratasi per caso e abitanti della stessa lugubre dimora, si godono la loro tenera infanzia, costellata di baci struggenti e frasi sussurrate.
Un giorno però, nel biancore del cielo invernale, l'avvento delle prime responsabilità e il senso del dovere, segnerà le vite di entrambi.
Ma ciò che il destino decide di unire non si separa così facilmente.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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cap 2 sign. brighton

 Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane. 

- Italo Calvino


Capitolo 2

Il grigiore della nebbia con il trascorrere inesorabile del tempo si disperdeva nell'aria liberando l'orizzonte, coperto prima da un'impenetrabile intreccio. Il profumo delicato e umido della nube che abbandonava la valle permeava il terreno rendendolo soffice, il naso di Mark gocciolava mentre con passo affannoso si dirigeva verso casa.

Negli suoi occhi, il mare specchiato di grigio che aveva ammirato per mezz'ora, seduto a gambe incrociate sulla spiaggia fredda con tutt'attorno le buste della spesa che con fatica aveva portato fin lì dopo il diverbio con Margaret.

"Tanto vale vederlo davvero, il mare!" aveva pensato, e così, con mera consolazione aveva stretto a se le buste accartocciate della spesa e, prestando attenzione a non cadere, aveva imboccato il sentiero, meno fangoso del solito, per raggiungere la via di casa.

Abbandonato tra il suono costante delle onde e il rumore sinuoso del vento che gli fischiava nelle orecchie, Mark si ritrovò solo con se stesso e gli ritornarono alla mente storie vecchie un secolo che sembravano rimbombargli in testa come a volerlo riportare indietro nel tempo, agli anni dell'infanzia. Si ritrovò a pensare al fatto che era stato fortunato: non era partito per la leva militare poiché Durk non sarebbe stato in grado di sostenere la casa senza una presenza maschile e così, aveva fatto di tutto per non farlo partire. Anche se la guerra era terminata ormai da anni e l'arruolamento di giovani forti e prestanti era crollato a picco, alcuni si univano ancora alla causa: non lui, ovviamente; lui avrebbe preferito di gran lunga tagliarsi un dito, oppure tutta la mano, pur di non imbarcarsi. 

Gli piaceva la vita che aveva scelto, amava la terra e i suoi odori muschiati, ne ammirava la crescita delle verdure, di una terra che dava i suoi frutti come una dolce ricompensa per l'essere stata accudita, perciò si sentiva gratificato dopo una giornata di duro lavoro, con le mani ricoperte da calli e vesciche e la polvere di terra e foglie appiccicata sulla pelle madida di sudore e sui suoi capelli secchi. Conosceva tutti i contadini e gli abitanti delle vicinanze: lo stalliere John e il suo tanfo di letame marcio, il lattaio Patrick con le figlie ancora in fasce, la balia Mary e la sua nidiata di bambini dai piedi sempre scalzi e dalle unghie rotte ben in vista, il visionario Ern che aveva passato quasi tutta la sua vita nei campi e la moglie Iris che aveva sempre sostenuto il marito e non avrebbe potuto vivere altrove se non in campagna, tra i suoi polli e le sue pecore.

Ora che ci pensava, la sua fanciullezza e quella dei suoi pochi compagni di scorribanda non ebbe niente di straordinario eppure, Mark era certo che fosse stata quella l'età più felice, passata tra giochi e capriole. Da fanciullo, di tre o quattro anni, stava sempre alle calcagna di qualcuno che gli raccontasse qualche storia, una favola oppure un motteggio. Era abbastanza vivace ed era particolarmente innamorato dei racconti e delle meravigliose storie che ascoltava narrate dagli adulti. 

Giù alla chiesetta abbandonata, adiacente all'icona distrutta, la presenza del maestro di paese, lo teneva attento e tranquillo, ma appena finiva la lezione, i salti e i gridi risuonavano per le strade di paese quasi vuote e lungo i sentieri, per andare a perdersi tra gli alberi più a valle. Il maestro, buon uomo, non solo tollerava, ma favoriva i giochi rumorosi dei bambini. 

Mark ricordava di aver giocato spesso, trastullandosi in corse ed esercizi fisici, ma il gioco da lui più odiato e preferito da tutti gli altri ragazzi era farsi "alla guerra" in finte battaglie. Sceglievano nomi storici, per lo più romani, e usavano per armi sassi e bastoni, qualche volta anche i pugni. Nelle finte battaglie, Mark, che sceglieva sempre per ultimo, perdeva sempre. Ricordava ancora i pugni sonori che gli davano gli altri bambini e i grossi lividi violacei stampati sul suo corpo non ancora maturo.

Da bambino era vestito sempre di nero, non perché i suoi abiti fossero tinti di nero bensì, perché sempre ricoperto di fuliggine, fango e sporcizia. Portava i capelli corti, proprio come il parroco del paese, e non era né grande né grasso. Piuttosto, era piccolo e gracile, con i capelli ricci e corti, la carnagione scura e gli occhi di un marrone incerto, proprio come la madre che non aveva mai conosciuto, e un viso olivastro e rotondetto, come il padre.

"E' proprio un ragazzino bruttissimo!" Esclamavano le comari e le donne quando usciva per recarsi in fabbrica. Lo guardavano passare, senza dissimulare il loro disprezzo per il suo aspetto e la sua carnagione zingara. Mark alzava le spalle ma nonostante tutto, pensava che niente e nessuno lo avrebbero mai scalfito. Ma dovette ben presto arrendersi all'evidenza: spesso, quando si guardava allo specchio, il suo aspetto lo colpiva come una sferzata. Era uno zingaro, e gli zingari non erano visti di buon occhio.

L'infanzia per Mark sapeva, dunque, di lunghe esperienze romanzate uscite dalla bocca di un Ern appena stempiato e con meno rughe ai lati degli occhi. Era stato proprio lui a raccontargli gli orrori della guerra, il lato oscuro che si celava dietro alle celebrazioni sfarzose, al fascino della mirata vittoria e al mito del combattimento glorioso. Un gioco al massacro in cui migliaia di giovani partivano senza fare più ritorno. Forse era proprio a causa sua che temeva così tanto la guerra. Era, infatti, per storie come le sue che aveva iniziato a temere la guerra.

Mark dedusse, tuttavia, che malgrado non fosse bello, né un purosangue, era dotato di una gentilezza e di una bontà che potevano renderlo grazioso agli occhi di chi lo conosceva intimamente. In presenza di estranei parlava raramente, dando l'impressione di scarsa cordialità, ma era in realtà solo molto timido, avendo sempre vissuto troppo lontano dalla buona società per sapervi stare con disinvoltura. 

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

Era una giornata fredda e umida. 

Margaret camminava svelta, insinuandosi tra le strette ed anguste vie della città. Camminava per le strade della città: Brighton è il nome, una piccola cittadina costiera agli antipodi della colossale Londra, la City. Svoltò dietro un vicolo di cui le pareti andavano stringendosi sino a rendere impossibile il passaggio anche al più piccolo dei ratti. Sulla destra, tuttavia, si trovava un capanno degli attrezzi vuoto e abbandonato, dalla cui porta spalancata si intravede il lato opposto della casupola. Margaret percorreva quella strada ogni giorno, tutte le volte che si recava al mercato a svolgere qualche missiva. Raggiunto il crocevia alla periferia, percepì un paio di occhi insistenti scrutarla con velata curiosità. Così si voltò e il lezzo maleodorante di alcool e abiti vecchi la colpì all'altezza della bocca dello stomaco, causandole un improvviso e inaspettato conato. Non aveva mai retto l'alcool, anche se qualche volta aveva peccato di gola e allora la sua gola aveva bruciato come incendiata da spiriti maligni.

Dal lato opposto della strada, buia e maleodorante di piscio e verdure marce, Margaret intravide tre uomini. Vestivano gli abiti consunti e sbiaditi dei contadini dell'epoca, con le barbe ispide appena accennate, i capelli incanutiti e i baffi folti e crespi. Seduti in un pub di crocevia, le loro sagome scure danzavano, sospinte dal vento e dal bagliore giallastro proveniente dai vetri sporchi e annebbiati del locale. La ragazza intravide le teste adombrate, le risa e i crepitii insistenti, nuvole di vapore, forse fumo di sigaro, oltre le finestre. Immaginava il piacevole tepore e l'odore familiare di legna e portare calde e fumanti, il buon cibo e la buona compagnia mescolarsi. 

Quando tornò in sé, si accorse che il primo dei tre uomini la guardava, strabico, con un boccale di birra in mano: il manico stretto tra indice e pollice della mano destra. Con l'altra sta fumando dalla pipa, come il suo vicino. Le sorride con un espressione ebete e le fa cenno di avvinarsi. 

Margaret riprese a camminare, con passo spedito, lasciandosi alle spalle i tre ubriaconi.

Una volta di ritorno, intravide Caroline, seduta su di un panchetto guasto: creava cestini in vimini, intrecciando una cordicella ai fili taglienti di sterpaia ed erba bruciata. Indossava i soliti miseri indumenti cuciti in casa da Lilith e aveva il viso amaranto e impiastricciato, un rotolo di adipe appena accennato sotto il mento, la testa bassa e i capelli sporchi che le ricadevano davanti al naso.

"Ciao Ma-!" le disse, con sorriso benevolo. Di scorcio, le due ragazze udirono il distinto cigolio della porta aprirsi mentre Lilith usciva di casa ricoperta di fuliggine per aver ripulito il camino e la cappa.

"Buon Dio! Si può sapere dove eravate?!" domandò, tutta fremente d'ansia. Aveva i denti sporchi di nero e le orecchie, abbastanza grandi per una ragazza, decisamente sporche. 

"Tu, piuttosto! Ma insomma, esci con Marge e non dici nulla!" Gli occhi di Lilith erano spalancati in preda ad un guizzo di pura rabbia. Quando Lilith pronunciò quelle parole, Margaret si voltò e alle sue spalle, poco distante dalla palizzata che circondava la proprietà, Mark stava camminando in loro direzione. 

"Non avrete mica...-?!" Caroline alzò di scatto il capo e con lo sguardo cercò di captare anche solo un piccolissimo segno di delitto o mancanza da parte dei due ragazzi. Gli occhi le luccicavano tale era il suo desiderio di scorgere un gesto, un'occhiata strana o anche solo un movimento delle sopracciglia che le avrebbero fatto intendere, ebbene, che tra Margaret e Mark c'era pur del tenero.
"Tu, continua a pelare le patate!" L'imbarazzo si era palesato tempestivamente sul volto solitamente paonazzo e scarno di Lilith, come un'ondata di fuoco cocente. Si era impossessato di orecchie, naso e guance al che Lilith, solitamente pallida e violacea in volta, sembrò riprendere un attimo di sospiro e tornare a vivere
"Non fare l'offesa Lilly! Siamo solo andati a fare un giro, lungo la costa. Cosa vuoi che sia-"

"Tu, sei andato a fare un giro sulla costa. Non io!" L'occhiata che Margaret lanciò a Mark era più fredda della neve in Gennaio, quella neve che si accumula sui tetti delle case per poi caderti addosso quando meno te lo aspetti, eppure Lilith sembrò sciogliersi all'idea, poiché subito portò le mani grassocce alla bocca per sopprimere lo sgomento e il gridolino della sua anima in subbuglio.

Poichè Mark aveva le maniche arrotolate oltre i gomiti, Margaret intravide le sue braccia pelose stagliarsi di vene e muscoli. Constatò come le sue braccia fossero belle, virili e possenti: le braccia di un uomo, braccia a cui Margaret avrebbe voluto non divincolarsi, ed accoccolarvisi.

Quando rialzò lo sguardo, Mark la stava spogliando con gli occhi, nascosto oltre una cortina di silenzio e nebbia, una bocca corrucciata e delle lunga ciglia nere come il carbone, quello che d'estate tingeva la pelle nuda e mulatta di Mark.

Margaret si voltò per incamminarsi di tutta fretta verso la porta di casa, ma le guance le si erano ormai dipinte profondamente di rosso, così si affrettò a salire di sopra e rinchiudersi in camera sua, dove nessuno avrebbe potuto disturbarla. Tranne i suoi pensieri, quelli non poteva di certo estirparli.

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

Quella sera, sul camino acceso si trovava una grande marmitta; accanto ad essa Lilith, con indosso il grembiule bianco,distribuiva con un mestolo le razioni di cibo, della quale a ciascun ragazzo toccava una sola scodella. Non gli spettava altro, tranne nei giorni festivi.

Margaret prese posto a tavola, insieme agli altri ragazzi. Lilith, con la tenuta da cuoca provetta, si piazzò accanto alla marmitta e Caroline e un'altra ragazza si schierarono alle sue spalle; la sbobba venne servita e si recitò la preghiera di ringraziamento prima che la cena venisse consumata. Poi la sbobba sparì. Un bambino, piccolo e con gli enormi occhi ambrati infossati nel volto consumato dalla fame, sembrava chiederle di alleviare le sue sofferenze. "Per piacere, signorina Margaret, ne voglio ancora." Margaret, che era buona e Dio l'aveva resa donna, diventò prima molto pallida, contemplando con stupore il piccolo ribelle, poi si addolcì.

"Buon Dio! Piccolo furfante, sai che non è concessa un'altra razione di cibo." disse infine, con voce fioca. Il bambino aprì allora la boccuccia, pronto a ripetere la sua richiesta straziante quando Margaret lo interruppe: "Forza, prendi, è tutto tuo!" Il marmocchio si fiondò tra le braccia di Margaret e, afferrato il grande cucchiaio di ferro che nella sua manina scarna pareva grande, spolverò le rimanenze della scodella di quella parvenza alata che altri non era se non Margaret.

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

"Hai detto che è nella sua stanza?" La ragazza annuì, silenziosa, con la bocca ancora sporca di zuppa. La ringraziò e, prima di salire, Mark si sfregò le mani per riscaldarsi, non faceva ancora abbastanza caldo tra quelle quattro mura sterili, si asciugò il naso poi salì le scale, con il petto in fuori e la testa alta. Fu quando intravide la cuffietta bianca e il collo candido di Margaret, in procinto di ritirarsi, che Mark pronunciò il nome di lei quasi in un bisbiglio.

Margaret era salita in camera prima del solito, un poco assopita ed esausta dalla giornata alle spalle. Stava per aprire la porta della propria stanza quando la sagoma scura di Mark, dalla camera che condivideva con altri orfanelli, si staglio' lunga e secca sul pavimento. 
"Ciao...!" Cercò di non far trapelare tutti i sentimenti che provava in un banalissimo saluto e credette di essersi morso la lingua nel farlo. Il ragazzo alzò lo sguardo verso il viso di Margaret, quel viso che aveva visto sull'orlo delle lacrime una mezz'ora prima.
"Ciao Mark"  Aveva risposto seccamente, mentre lo osservava meravigliata di tanta insolenza. Margaret non ricordava di aver visto Mark lasciare la tavola e salire le scale. Alla fine aveva spalancato la porta cigolante e si era lanciata a passo svelto dentro la stanza ancora illuminata dagli ultimi barlumi di luce. Si era seduta sulla sponda del letto, con le braccia distese e rigide lungo i fianchi. Mark l'aveva seguita, silenzioso, poggiando la schiena allo stipite della porta. La ragazza aveva gli occhi arrossati, quasi scuri in volto; quest'ultimo, invece, sapeva di un colorito cadaverico e guardandola così distrutta, Mark provò un senso di rimorso che sovrastò tutto e si pentì di averle fatto quel discorso.

Lei lo scrutò soffermandosi sul naso rosso e sulle maniche della giacchetta con ancora qualche granello di sabbia.

"Ho pensato a te sulla spiaggia e a quello che ti ho detto." Marge cercò di nascondere una smorfia che voleva sfuggirle dalle labbra. Stupita, lo guardava con due occhi grandi e limpidi come due specchi d'acqua, per poi distogliere lo sguardo. Avrebbe voluto dire qualcosa, parlare, urlare, ma i pensieri che le affollavano la testa le avevano suggerito di non proferire parola. Con la coda dell'occhio poteva notare l'angoscia che affliggeva il ragazzo mentre spostava insistentemente il peso del proprio corpo da un piede all'altro. Lo vide avvicinarsi e ne riconobbe il passo pesante e un po' storpio farsi sempre più vicino, finché non la raggiunse e Margaret sentì le doghe del letto scricchiolare sotto il peso di Mark, che ora le sedeva accanto.

Rimasero a guardarsi senza che nessuno dei due proferisse parola alcuna. Come quella volta, quando Mark l'aveva quasi baciata: aveva finto di non volerla, di non bramare un suo bacio, per orgoglio o perché voleva soltanto divertirsi un po' con lei.

"Voglio chiedere il tuo perdono, non era né il momento né il modo giusti. Ho sbagliato, e mi dispiace assai vederti soffrire. Spero potrai perdonarmi." Mark vide per una frazione di secondo gli occhi della giovane diventare lucidi al pensiero delle dure parole che le aveva crudelmente rivolto. Sembrò pensarci su, sentendo le mani gelide di lui toccarla con così tanta dolcezza e rimorso, poi lo guardò negli occhi e le venne in mente un particolare che in quell'istante le sembrava imprescindibile. Così sentendo già le guance arrossarsi dall'imbarazzo, si fece forza e guardandolo dritto negli occhi gli fece una domanda che da tempo richiedeva una risposta.

"Quella volta...quella volta, quando le nostre labbra si sono quasi sfiorate, te lo ricordi?" Quella domanda lo sorprese, perciò si accigliò poichè un pensiero gli attraversò la mente: avevano pensato entrambi a quel momento. "Sì, certo che me lo ricordo."

"Quella volta, avresti voluto baciarmi sul serio?" Lui conosceva bene la risposta e non voleva cadere ancora nell'indifferenza per il timore di confessarle i suoi desideri.

"Sì, avrei voluto. Quale uomo non lo avrebbe desiderato, quale pazzo!"

"Tu menti. Se lo avessi voluto così tanto come affermi, non ti saresti dimenticato di me così in fretta. Per chi mi hai presa? Per una stupida forse!?" Il ragazzo si guardò attorno come se evitando il suo sguardo potesse sfuggire a quella domanda, voleva confessarle i suoi sentimenti ma non era pronto.

"Non sei una stupida, e mai lo sarai. Tuttavia, io non saprei. Forse volevo fingere di non provare alcun sentimento per te."

"Provi dei sentimenti, per me?"

"Sì." Margaret sembrava esterrefatta da quella dichiarazione, aveva sempre pensato che Mark scherzasse, che fosse tutta una grandissima buffonata, eppure si era dovuta ricredere quando le aveva cinto la testa con quelle sue mani grandi e spigolose; aveva appoggiato la sua fronte calda contro quella di Margaret, e le aveva respirato vicinissimo, sul collo e sulla bocca. La guardava di sottecchi e stringeva la sua mano fredda in quella di Margaret, che fu percorsa da un brivido che la attraversò tutta.

"Allora?" Mark la guardò con espressione flebile, mentre le carezzava il volto.

"Marge..." sussurò, pronunciando appena il suo nome tra i denti e la bocca rigonfia di desiderio. Mark la desiderava, era evidente, forse lo era sempre stato. L'aveva guardata come si guarda la merce esposta su di un bancone oppure una pietanza succulenta all'ora di cena. L'idea le fece disgusto e Margaret pensò dapprima di allontanarsi, scansargli le mani, rifiutarlo e ricusare il suo affetto, barricare la porta e fare finta di niente o dirgli che no, non era pronta; nondimeno si lasciò andare.

Mark le aveva afferrato un'esile ciuffetto di capelli sbarazzino per poi accostare il suo viso a quello di lei per costringerla a premere le sue labbra contro le sue. Fu così che le loro bocche si unirono in un bacio timido seppur atteso da tempo.

I loro denti cozzarono gli uni contro gli altri, provocando in Margaret un risolino all'anima. Avrebbe voluto sorridere, ma la barbetta incolta di Mark le pungeva la pelle. Premette le sue grandi labbra carnose contro quelle di lei, che si senti montare il fuoco dentro, una passione così carnale da farle venire un capogiro. La scossa che le aveva appena attraversato la schiena le aveva rizzato ogni pelo del suo corpo. Lo sguardo di Margaret vacillò e si abbassò mentre quello di Mark rimase a fissare il suo volto superbo. Mentre le guardava il viso cercava di soppesare tutti i pensieri che gli attanagliavano la mente in quel momento.

Erano finiti distesi sul letto, uno nelle braccia dell'altro, sebbene a Margaret facesse un certo senso abbracciare un tipo come Mark. Lui le aveva sussurrato dolci parole mentre la carezzava con la mano libera, quella che aveva premuto insistentemente sul cavallo dei pantaloni per nascondere l'evidente eccitazione che ora gli attanagliava lo stomaco e la mente. Sembrava stesse per esplodere, e non sapeva per quanto a lungo avrebbe resistito alla tentazione di prendere Margaret e possederla seduta stante, su di un letto cigolante e dalle assi marce.

Con l'altra mano le aveva sbottonato la sottoveste di maglina grezza e la pelle turgida del suo petto procace, fasciata sotto un reggiseno ormai piccolo per il suo corpo non più acerbo, era balzata fuori con estrema facilità e se ne stava all'aria, tesa e contratta per via del freddo che aleggiava circostante. I seni, seppur piccoli, sembravano succulenti come due grosse mele di cui il bocciolo Mark immaginava rosso, come le mele che amava mangiare in estate.

Con lo sguardo, scese poi lungo i fianchi sporgenti e le sue mani si aggrapparono su di essi con veemenza tale da farle male. Le accarezzò, infine, le affusolate cosce morbide, in cui le sue dita grosse e dalle unghie spezzate e nere si conficcarono come lame acuminate. Poi tornò a baciarle il collo, lambendone la pelle liscia e profumata. Margaret giaceva immobile, sotto lo sguardo assorto di Mark quando, il rumore di una porta al piano di sotto che sbatteva su se stessa e il fruscio di voci, li sorpresero colpevoli agli atti.

"Fermati!" Mark era scattato sull'attenti e, dopo aver lanciato un ultima occhiata turbata verso Margaret, le aveva dato la buonanotte ed era uscito, chiudendosi la porta alle spalle. 
Margaret si era sistemata il corpetto, poi si era coricata a letto, certa che avrebbe dimenticato anche l'accaduto di quella sera dai colori infernali. Eppure aveva le lacrime agli occhi, per aver peccato e per aver, anche solo un istante, bramato qualcosa di più che un semplice bacio.

Margaret aveva così fatto conoscenza con le mani contadine e sgraziate di Mark, quel paio di mani callose e segnate dalla vanga e dagli altri utensili da fattore. Le mani di Mark, le mani di un uomo. Inesperto.

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

Un lunedì mattina, Margaret aveva creduto di aver sentito una voce gridare: giù dalla finestra, oltre la tromba delle scale, nel cortile ammantato di brina, il Signor Durk stava tornando a casa, dopo aver passato la notte in una locanda, ed era era scivolato mentre faceva la sua solita passeggiata, era caduto giù per il fossato che costeggia i canali di scolo dei campi e si era rotto una gamba. Alcuni uomini in calesse, che passavano di lì per caso, aveva udito della urla e dei gemiti, più simili a dei ruggiti e si erano dunque affrettati per assistere alla sventura del disgraziato.

"Oh, Buon Dio! Cosa è successo?!"

"Buongiorno, signore. Ho ricondotto a casa questo buon uomo, poiché non mi sembrava proprio il caso di abbandonarlo in un simile momento!" L'uomo che aveva parlato altri non era se non Sir. Denys Newt Webb, un signorotto di origini scozzesi che deteneva il titolo di Duca e qualche appezzamento di terra. Aveva i capelli appena imbiancati nascosti sotto un elegante cappello a cilindro nero, i folti baffi bianchi gli coprivano parte del labbro superiore, e aveva due piccoli occhi stanchi; ciononostante sembrava un buon uomo.

Il Signor Duca cercava goffamente di sorreggere il Signor Durk mentre raccontava loro tutta la storia. "Mi stavo recando in visita da un mio vecchio e caro amico, quando ho sentito delle urla. Così mi sono affrettato sul posto e vi ho trovato il Signore qui presente."

Lilith scattò per prendere un tavolino basso di legno chiaro che sostava appoggiato al muro da tempo immemore: di solito lo utilizzavano per poggiarci le legne da ardere, così lo posizionò davanti alla poltrona, sarebbe stato un valido sostegno per la gamba tumefatta e gonfia del Signor Durk che, con un grugnito, sprofondò nella poltrona deformata.

*°*°*°*°*°*°*°*°*

Scese dalla carrozza con fatica data la bassa statura e picchiettando i piedi per terra si rigirò su stesso dicendo: "Di chi è la voce che ho udito qualche secondo fa?"

"La mia." Urlò Durk cercando di farsi udire.

L'uomo dirigendosi verso la voce scoprì Durk disteso nel fosso che si teneva premuta la gamba con aria brilla ma un con una smorfia di sofferenza.

"Cosa vi è successo, buon uomo?" Domandò il signorotto.

"A voi cosa sembra?! Sono caduto, temo di essermi rotto una gamba...non riesco a muoverla, dannazione!" L'uomo, angustiato, si fece aiutare dall'anziano cocchiere dalle rughe pendenti che gli solcavano il volto come ramificazioni fluviali.

I due scesero per il fossato e avvicinandosi a Durk lo aiutarono, con non poca fatica, a tirarlo fuori di lì. Lo trascinarono per le ascelle fino a riportarlo lungo il ciglio della strada.

"Grazie." Disse il Signor Durk con attenuata riconoscenza, emozione poco cara a quest'ultimo. "Se non vi dispiace, dato che vi trovate qui e in presenza di un povero uomo menomato, potreste farmi l'immensa gratitudine di riportarmi a casa, abito qui vicino. Suvvia!"

"Certamente!" Disse il signorotto, che non avrebbe comunque potuto lasciare un uomo ferito in mezzo alla strada. Di nuovo con l'aiuto del vecchio cocchiere, caricarono il grosso corpo del Signor Durk all'interno della carrozza e, dopo aver ricevuto le indicazioni necessarie, il veicolo ripartì alla volta della casa grigia.

*°*°*°*°*°*°*°*°*

"Come possiamo ringraziarvi della vostra smisurata gentilezza?" Caroline stava porgendo una tazza di thè al Signor Duca e al Signor Cocchiere, che dondolava accanto alla porta spalancata.

"Non mi dovete nulla, signorine..." Il Signor Duca scosse il capo declinando qualsivoglia offerta. "Mi basterà sapere che chiamerete un medico per quella gamba!" disse, prima di uscire dalla porta seguito dal cocchiere. Le ragazze li seguirono fin fuori per ringraziarli un ultima volta e auguragli un buon ritorno a casa.

Più tardi, quel mattino, Margaret venne sospinta nella stanza del lavatoio con grandi esortazioni di sbrigarsi e, a sorpresa, vi trovò Lilith sorridente. Lei la squadrò con sospetto. Lilith non era proprio il tipo da gesti gentili o sollecitudini materne.

"Santo Cielo Lilith, si può sapere a cosa devo l'onore di un bagno caldo?" disse Margaret, alla quale, nel frattempo, era stato tolto tutto il sudiciume che le copriva faccia e mani.

"Sta per arrivare il medico, il Dottor Harrington: il Signor Durk vuole che la casa sia in ordine, perciò anche noi dobbiamo esserlo!"

La stanza nella quale venivano lavati gli indumenti e veniva fatto il bagno, non più di una volta ogni due settimane, era una vasta mensa intonacata all'estremità della quale si trovava una grande tinozza di legno; accanto ad essa delle cisterne dalle giunture arrugginite, che per l'occasione erano state riempite di acqua bollente da cui si innalzavano vapori bianchi e inconsistenti.

Lilith aveva afferrato la spugna in una mano e la saponetta nell'altra e le aveva massaggiate l'una contro l'altra nel tentativo di fare schiuma. "Lavati dietro le orecchie, ma non sfregare troppo! Rischieresti di arrossare la pelle..."
"Lilith, in nome del Buon Dio, calmati!" Margaret aveva afferrato l'amica per il braccio, costringendola ad allentare la presa sulla spugna che stringeva nell'altra mano. L'aveva guardata con espressione rammaricata, forse perchè in fondo anche Lilith si era resa conto di star esagerando. 
"Scusami..." le rispose, fissando i suoi piccoli occhi scuri in quelli lucidi, un poco arrossati per via dei vapori, di Margaret che si era stretta le ginocchia al petto, schizzando acqua ovunque. 
"Piuttosto, Mark non ti è¨ sembrato più silenzioso del solito, ultimamente?" Malgrado l'evidente volontà di Lilith di cambiare argomento e sorvolare l'ostacolo, Margaret aveva deciso di non raccontate l'accaduto di qualche settimana prima. 
"Avrà i suoi buoni motivi..." 
"Come sempre!"

La piacevole sensazione trasmessa dall'acqua calda, le avevano intorpidito le ossa e la mente.

Era passato appena un mese da quell'avvenimento e Mark non era più tornato a farle visita in camera, tanto meno cercava di guardarla il meno possibile e se ne aveva l'occasione distoglieva persino lo sguardo. Margaret non aveva raccontato a nessuno dell'accaduto, eppure quella faccenda non era potuta sfuggire allo sguardo attento e curioso di Caroline, sempre nascosta dietro ad un albero o lo stipite di una porta ad origliare. Ultimamente quando si imbatteva in lei aveva come l'impressione che la guardasse di sottecchi, con l'espressione di chi la sa lunga stampata in volto. 

Le ore successive a quel dolce momento, più simile ad un incantesimo, erano passate come sormontate da un velo bianco, ovattate come in un sogno per Margaret. Si era arresa all'istigazione per poi pentirsi non appena aveva sentito la morbidezza delle labbra di Mark accomiatarsi, una sferzata di aria fredda le era arrivata in pieno volto facendole realizzare finalmente cosa stava accadendo. Con un gesto fulmineo si era infine liberata della stretta maschile attorno al proprio collo e, rivolgendo un ultima occhiata concitata, aveva chiuso la porta in faccia a Mark. Dietro la porta, nascosta nella sua stanzetta, era rimasta a fissare il vuoto non riuscendo a formulare nessuna riflessione giudiziosa, nulla le parve coerente poiché ciò che la sua mente riusciva a produrre erano spezzoni di ricordi incollati tra di loro senza ordine alcuno: il ricordo di un pomeriggio primaverile persa nei campi in fiore con quel ragazzo che qualche secondo prima aveva scacciato, i raggi del sole che le accecavano la vista e le illuminavano i capelli, lui che si buttava nel rosso scarlatto dei tulipani innalzati in tutta la loro maestà, risate ad alta voce e poi più nulla.

Un altro ricordo, Mark che inseguiva una ragazzina con un abito bianco. Lui la stringeva in vita per gioco e cercava di darle un bacio sulla guancia, desiderava quel bacio e il suo corpo si incollava alla schiena della giovane che con le guance rosse fingeva di non dar peso a quello che stava accadendo; una cena, lui che la osservava senza dare nell'occhio, lo sguardo lucido come se avesse bevuto dello spirito liquido, l'angolo della bocca piegato in un sorriso malizioso. Troppi ricordi e alla fine di questi, Hayden. Lui tornava sempre, e Margaret si sentiva colpevole.

Se Hayden mi vedesse adesso? 

Se vedesse Mark e come mi ha baciata, cosa penserebbe? 

Cosa farebbe?

Questi erano i pensieri che si aggiungevano a quello scomposto collage improvvisato. Di fatto, dopo quella sera, i giorni erano volati, vedeva Mark il meno possibile un po' per volere e un po' per il nuovo impiego di lui che gli impediva di essere a casa nelle ore pomeridiane.

Lui non le aveva più rivolto la parola e lei aveva fatto lo stesso, i momenti durante la cena erano i più tesi dato che i loro compagni avevano colto l'ombra di un forte dissapore fra i due e non facevano altro che scrutarli per tutto il tempo.

Solo quando le dita iniziarono a raggrinzirsi e la testa a girarle, Margaret decise di abbandonare la vasca. E mentre una ragazza si asciugava tamponandosi il corpo con un asciugamano di spugna ingiallito, l'altra si era già spogliata delle vesti e si era immersa nella stessa acqua, solo un po' più torbida. Non potevano permettersi di scaldare altra acqua, se solo ne avessero avuta.


Una volta di rientro dai bagni, Margaret e Lilith, seguite dagli altri bambini e dai ragazzi dell'ospizio, si fecero largo tra i corridoi di casa, chi correndo, chi più ansante, per accogliere il medico.

Il Signor Dottore altri non era che un ometto basso e calvo, le occhiaie e il collo nascosto dietro l'alto colletto bianco dell'abito scuro.
L'uomo doveva avere la sua età poichè sarebbe potuto benissimo essere padre di tutti gli orfanelli messi assieme. 
Il Signor Durk e il signor Dottore erano buoni amici, il loro rapporto era legato da quel senso di protezione che si instaura tra padre e figlio, o più semplicemente tra paziente e medico. 
Ebbene, per il signor Durk il Signor Dottore era un po' come un padre, un secondo padre, e non ammetteva che anche uno solo di loro si permettesse di prendersi gioco del Signor Dottore. Avrebbero dovuto rispettarlo e temerlo quasi come se innanzi vi fosse stato il Padre Eterno, anche se Durk non credeva a quelle idiozie proclamate dai ferventi religiosi con la puzza sotto al naso. Quando il buon uomo fece capolino con il cappello cilindrico sul capo e l'accento tipico londinese, Margaret constatò che doveva trattarsi di un uomo adulto, sulla sessantina, più vecchio del Signor Durk di almeno un paio di decenni. Portava una lunga giacca e tutte le volte che era venuto in visita era solito reggersi su di un bastone intagliato che doveva aver distrattamente poggiato dietro la porta d'ingresso.

"Salutate il signore, bambini!" disse il Signor Durk con un sorriso .

Margaret fece un inchino. Il medico, che un attimo prima era seduto con la schiena rivolta verso il fuoco, si era alzato dall'angusta seggiola con il guanciale consumato e, avvicinatosi ai piedi del letto disse: "Dovrete rimanere a letto, almeno finché la gamba non sarà guarita del tutto."

"Fandonie! Un paio di giorni mi basteranno!" intervenne il Signor Durk, affrettandosi a nascondere la gamba ingessata sotto i pesanti strati di coperte e fasce di cotone ingiallite a furia di essere adoperate. Disteso lungo il letto, il Signor Durk sembrava più grasso del solito, e anche più irascibile, per cui, anziché rispondere con cordialità all'invito del medico, preferì congedarlo a mansioni di maggiore importanza, ma soltanto dopo essersi assicurato che la somma di denaro richiesta per il servizio non superasse i limiti della decenza.

"E voi? Cosa avete da guardare?! Forza, tornatevene alle vostre faccende!" esclamò il Signor Durk, sbraitando come un maiale al macello. Margaret e gli altri marmocchi uscirono di corsa uno dopo l'altro.

*°*°*°*°*°*°*

Quel giorno toccava a Margaret servire il pranzo all'infermo Signor Durk e quando quest'ultimo la vide entrare in camera con un vassoio di zuppa fumante e un tozzo di pane, all'omone venne voglia di parlare.

"Cosa c'è da mangiare oggi?" Chiese l'uomo sistemandosi di poco sul letto.

"Zuppa di fagioli." Rispose Marge, seccata.

"Oggi ho proprio fame, dammela avanti!" Margaret gli servì la scodella, appoggiando sul comodino un bicchiere d'acqua e il tozzo di pane.

"Perché non rimani a farmi compagnia!?"

"Ho da fare."

"Avanti! Volevo parlarti di una cosuccia..." Il suo sguardo si indurì mentre la guardava, ritta come una guardia svizzera che cercava di rimanere immobile.

La ragazza ci pensò un attimo e, dato che non voleva subirne le conseguenze, decise di accettare. Si accomodò sulla sedia all'angolo della stanza che, quando si sedette, cigolò fastidiosamente.

"Dimmi, ricevi ancora quelle lettere da Hayden?" Margaret non immaginava che il Signor Durk fosse a conoscenza delle sue comunicazioni private.

"N-o, non più." Margaret stava massaggiando delicatamente il piede gonfio e violaceo del Signor Durk, nascosto tra le lenzuola e le coperte. Si faceva ogni giorno più grosso.

"Magari è morto! Ci hai mai pensato?" Durk fece una smorfia mentre deglutiva l'ennesima cucchiaiata di zuppa calda.

Margaret sentì gli occhi pizzicarle al solo pensiero, anche se doveva ammetterlo: non ci aveva mai pensato seriamente.

"No." Rispose con un groppo alla gola.

"Beh, se fosse morto, si sarebbero avute sue notizie..."

"Ah! Non mi meraviglierei troppo comunque, era troppo debole per resistere su un campo di battaglia." Ancora quel tono, come se la vita di Hayden non avesse importanza per lui.

"Ora basta." Margaret si alzò di scatto dalla sedia, puntò i piedi per terra e si diresse a testa bassa verso la porta. Durk non le avrebbe concesso una dipartita così veloce, e non appena la giovane gli fu abbastanza vicina la afferrò per un polso con una tale prestanza da a lasciarle l'impronta bianca sulla pelle rosea.

"Se fossi in te lascerei perdere Hayden e continuerei a fare la troia con quello sporco moccioso di Mark!" L'espressione dell'uomo era intrisa di malizia e crudeltà, una smorfia di cui persino il diavolo si sarebbe disgustato.

"Come fate a sapere queste cose!?"

"Bambina mia, io so tutto quello che succede dentro queste quattro mura, ricordatelo." E con un gesto rabbioso le lasciò andare il polso spingendola via. 


   
 
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