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Autore: _doubled_    21/12/2017    2 recensioni
«Natale? Cos'è? È una vostra festività?» domandai, curioso, e capii che era per quell'occasione che stavano addobbando tutta l'isola.
«Non conosci il Natale?» chiese Lisus, sconvolto, entrando in casa sua ed appoggiandomi a terra, vicino al camino, «Kuppi-kakku!».
In quel momento, il fuoco si accese ed iniziai a sentire il suo calore pervadermi tutto il corpo: «No, non lo conosco, sott'acqua non lo festeggiamo, credo» spiegai.
«Beh, questa è l'isola di Syntymä, cioè l'isola di Natale! Mi toccherà chiarirti tutto, non deve esistere una creatura che non conosca il Natale!».
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'isola di Syntymä

Quando aprii gli occhi, la prima cosa che vidi fu la mia coda da tritone: era cromata e le squame avevano tutte le sfumature del verde; iniziai a muoverla per mantenermi a galla e mi guardai intorno, notando l'acqua che mi circondava, attraversata da un branco di pesci grigi. Tutto quello mi era familiare, sapevo di appartenere a quel mondo, ma non ricordavo niente su di me. Cominciai a nuotare nella speranza di trovare qualcosa o qualcuno che mi aiutasse a comprendere chi fossi, ma più vagavo e più mi perdevo. Non sapevo neanche in quale parte dell'oceano mi trovassi, però avevo davvero tanto freddo ed iniziavo ad essere spaventato; salii in superficie per capire se ciò che si trovava fuori dall'acqua mi avesse potuto aiutare ad intuire dove fossi, ma tutto ciò che vidi furono calotte di ghiaccio ed un'isola in lontananza: era tutta illuminata di vari colori e nel cielo, esattamente al centro di essa, brillava un'enorme stella, molto vicina alla terra. Man mano che mi avvicinavo, riuscivo a scorgere sempre più particolari, tra cui le casette innevate, di varie dimensioni, tutte perfettamente decorate, gli alberi, anch'essi bianchi e pieni di luci, un abete molto più grande degli altri, precisamente sotto alla grande stella -solo in quel momento mi accorsi che era la cometa-, ed un gigante che stava addobbando un'abitazione alta quanto lui -forse anche meno-.
Quell'isola era davvero strana, il mondo sott'acqua non era così, non c'erano tutte quelle decorazioni luminose, sopratutto in giorni normali, o, forse, si trattava di una festività tipica delle creature che vivevano sulla terraferma e di cui io non ero a conoscenza -o non mi ricordavo l'esistenza-.
Salii su un pezzo di ghiaccio piuttosto alto, così da avere più visuale su quell'insolito posto; in quel momento, notai che il gigante mi stava guardando incuriosito, indicandomi, quindi alzai un braccio per chiedere aiuto, sperando che lui capisse. Quel colosso prese qualcosa da terra e se la mise sulla spalla, mi sembrava una persona, ma, a quella distanza, non potevo dirlo con certezza; camminò velocemente nella mia direzione ed io sentii tremare l'iceberg sotto di me. Quando arrivò sulla riva, allungò il suo braccio e mi afferrò, facendomi accomodare sulla sua enorme mano. A quel punto, riconobbi l'essere che giaceva ancora sulla sua spalla: da com'era vestito -un lungo mantello verde scuro, un cappello appuntito, in tinta, ed un bastone- supposi che si trattasse di uno stregone.
«Cosa ci fai qui, Tritone?» domandò il gigante, e la sua voce rimbombò in tutta l'isola, «In queste acque non ci sono quelli come te, fa troppo freddo».
Disse quelle parole stringendomi delicatamente tra le sue dita per darmi calore.
«Non lo so, non so niente, mi sono svegliato in un posto che non conoscevo, senza alcun ricordo di me stesso, potete aiutarmi?» spiegai, rannicchiandomi nel palmo della sua mano.
«Dobbiamo portarlo da Babbo Natale, Davone!» suggerì lo stregone.
«Ma come facciamo in queste condizioni? Non può camminare con una pinna» gli fece notare il gigante Davone.
«Non c'è uno stregone qua sulla tua spalla, tranquillo» rispose, sarcastico, quel ragazzo, facendomi capire che le mie supposizioni di prima erano giuste.
Improvvisamente il mago iniziò a roteare il suo bastone in aria ed un fumo verde uscì da esso, avvolgendomi: «Kuppi-kakku!» lo sentii esclamare, poi la nebbia colorata scomparve nel nulla ed io mi ritrovai senza la mia coda: al suo posto, adesso, c'erano due gambe umane.
A quel punto, lo stregone saltò giù dal gigante, atterrando delicatamente sul ghiaccio, poi Davone abbassò la mano per portarmi alla sua altezza.
«Io sono lo stregone Lisus» si presentò, avvolgendomi nel suo mantello, «tu non ricordi neanche il tuo nome, vero?».
«No» sussurrai, triste, accorgendomi, per la prima volta, di quanto quello stregone fosse affascinante.
«Allora ti chiamerò Tipu» affermò, voltandosi, «salta su, ti porto a casa mia, così ti do dei vestiti e delle scarpe, poi andiamo dal Babbo».
Mi aggrappai a lui, salutammo Davone e poi ci avviammo: «Perché Tipu? Non significa Pulcino in finlandese?» chiesi.
«Perché me lo ricordi, non ti piace?».
«Lo adoro, grazie di tutto» risposi, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«È normale aiutarsi, è anche Natale!» esclamò.
«Natale? Cos'è? È una vostra festività?» domandai, curioso, e capii che era per quell'occasione che stavano addobbando tutta l'isola.
«Non conosci il Natale?» chiese Lisus, sconvolto, entrando in casa sua ed appoggiandomi a terra, vicino al camino, «Kuppi-kakku!».
In quel momento, il fuoco si accese ed iniziai a sentire il suo calore pervadermi tutto il corpo: «No, non lo conosco, sott'acqua non lo festeggiamo, credo» spiegai.
«Beh, questa è l'isola di Syntymä, cioè l'isola di Natale! Mi toccherà chiarirti tutto, non deve esistere una creatura che non conosca il Natale!» espose, cercando qualcosa in un armadio e porgendomi dei vestiti, «metti questi, ti staranno un po' larghi, ma sono gli unici che ho».
«Mi aiuti ad indossarli? Non ne ho mai avuti».
«Certo, alzati» disse, prendendomi la mano.
Quando mi sollevai, quelle nuove gambe non riuscirono a sostenermi, quindi rischiai di cadere, ma Lisus mi sorresse: «Forse devo insegnarti anche a camminare» ridacchiò.
«Grazie, non ho mai fatto neanche quello» mi scusai, tentando di stare in piedi da solo.
«Se potessi, ti aiuterei di più con la mia magia, ma non sono ancora abbastanza forte, mi dispiace» ammise, sconsolato, senza lasciarmi.
«Non ti preoccupare, hai già fatto tanto».
Nella mezz'ora successiva, Lisus mi aiutò ad apprendere come camminare, e, nel frattempo, mi narrò la storia del Natale: quella festa esisteva da sempre, nessuno conosceva le sue vere origini, però, da tempo immemore, quel fantomatico Babbo Natale -un vecchietto grassoccio e barbuto, tutto vestito di rosso e bianco- portava regali a tutte le creature del mondo che durante l'anno erano state buone, utilizzando una slitta trainata da renne volanti; questo succedeva in una sola notte, quella tra il 24 ed il 25 Dicembre, grazie all'aiuto della magia del Natale, che solo lui poteva usare e che era alimentata dalla bontà, dall'amore e dalla speranza di tutti coloro che abitavano questo pianeta; negli altri 363 giorni, Babbo Natale e tutti i suoi aiutanti -i folletti- costruivano quei doni e ricevevano le letterine che le creature spedivano sull'isola, con le loro richieste o con i loro racconti.
Mi era piaciuto quel racconto e sentivo lo spirito del Natale impadronirsi del mio corpo.
«Ora che sai camminare e ti sei riscaldato, andiamo alla fabbrica a trovare Babbo Natale, lui potrà aiutarti» propose Lisus.
Acconsentii ed uscimmo di casa; ci addentrammo in un boschetto e lungo il tragitto incontrammo un centauro -LigaGia-, molto amico di Lisus, che ci accompagnò per un pezzo perché doveva raggiungere il suo compagno fauno -Roffo-.
«Ma quante creature ci sono in quest'isola?» domandai, divertito.
«Ci sono anche gli gnomi, gli elfi, i nani, i folletti di Babbo Natale -ovviamente-, i draghetti, i troll, e molti altri! Ma non ci sono tritoni, tu sei il primo che vedo, siete tutti così belli?» ammiccò, colpendomi scherzosamente con la spalla.
Caddi rovinosamente a terra, perché ancora non avevo molto equilibrio, e cominciai a ridere; Lisus sembrò preoccupato, ma poi si accorse della mia reazione e, rialzandomi, rise anche lui: «Scusa».
«Tranquillo» mormorai, riprendendo il nostro cammino.
Dopo una decina di minuti, finalmente arrivammo alla fabbrica: era enorme, tutta rossa con i tetti bianchi innevati, e circondava il grosso abete che avevo visto dal mare; alzai lo sguardo e vidi la stella cometa, ma era troppo luminosa per i miei occhi, infatti Lisus me li coprì: «Attento, Tipu! Così ti abbaglierai».
Lo stregone suonò il campanaccio sulla porta e ad aprirci fu un folletto con i riccioli che gli fuoriuscivano dal cappello a righe rosse e verdi, ed un paio di occhi blu: «Fadetto! Lui è Tipu, ci accompagni da Babbo Natale? Ha bisogno di aiuto» disse Lisus, entrando e trascinandomi con sé.
Fadetto mi guardò dalla testa ai piedi -o forse meglio dire dai piedi alla testa-, sospettoso: «Non posso, sta lavorando, siamo al 17 di Dicembre, Lisus! Dovresti saperlo che siamo impegnati! Tornate il 26!» urlò, gesticolando agitato.
«Non possiamo, è urgente, dai Fadetto!» lo supplicò Lisus.
Prima che Fadetto potesse ribattere ancora, giunse un elfo bellissimo: aveva dei lunghi capelli riccioli color cioccolato, due occhi scuri molto intensi, una bocca perfetta, il portamento elegante e delicato, teneva in mano una tazza di cioccolata calda e sorrideva benevolo: «Fadetto, calmati, perché urli? E a te, stregone Lisus, buonasera, cosa ti porta in questa fabbrica? E chi è costui al tuo fianco?» chiese, pacatamente, riuscendo a rilassare persino quel folletto impertinente.
«Tipu ha bisogno di Babbo Natale, adesso!» lo informò lo stregone, «È arrivato qui poco fa, era un tritone, ma non sa chi è, gli ho dato le gambe per portarlo dal Babbo, così che lo possa aiutare».
«Capisco, io sono Lorel, benvenuto tra noi» disse l'elfo, porgendomi la mano, «vado io a parlare con Babbo Natale, vero, Fadetto?».
Il folletto lo guardò quasi incantato ed annuì sorridendo: «Va bene, ma fai in fretta, è molto occupato».
«Grazie a tutti» esordii, commosso.
«Lisus, perché non gli fai fare un tour della fabbrica, intanto?» propose Lorel.
«Ed io e Lo andiamo da Babbo» si intromise Fadetto, saltellando ed allontanandosi, seguito da quel bellissimo elfo.
«Per di qua!» mi esortò Lisus, trascinandomi con lui nella direzione opposta.
Quel posto era incantevole e pieno di stanze: in una sala c'erano cascate di cioccolata calda su ogni parete, in un'altra un nastro trasportava centinaia di pacchetti che i folletti lì intorno provvedevano ad infiocchettare, in quella dopo c'erano i folletti costruttori di doni, e così via per tutto il locale; quando arrivammo di fronte ad una porta enorme, Lisus si fermò: «Qui c'è Babbo Natale» mi informò, sorridendomi.
«Dici che lui riuscirà ad aiutarmi?» domandai, preoccupato.
«Certo! E se non ci riesce lui, ci proverò io, diventerò più forte, solo per te» mi promise, serio.
Emozionato, lo abbracciai; proprio in quel momento, la grande porta si aprì e ne uscirono Lorel e Fadetto, che ci guardarono straniti, così ci staccammo subito, imbarazzati.
«Potete entrare» disse Fadetto, quasi infastidito.
«Grazie mille» bisbigliai, scompigliandogli i capelli che aveva sulla fronte.
Sembrò addolcirsi, così gli sorrisi ed entrai, insieme allo stregone; su una poltrona enorme verde stava seduto un omone sull'ottantina, con gli occhialetti, la barba lunga bianca, il pancione, ed i vestiti, compreso il cappello, rossi con inserti di pelo bianco: «Oh-oh-oh! Benvenuti, venite a sedervi sulle mie ginocchia!» esclamò, col suo vocione imponente ma rassicurante.
Facemmo come ci aveva detto e ci accomodammo sulle sue gambe: «Babbo Natale, vorrei sapere chi sono, non ricordo più niente di me» piagnucolai.
Il vecchietto si rivolse a Lisus: «Ti dispiacerebbe lasciarci soli per un attimo?».
Il mio amico acconsentì controvoglia: «Buona fortuna, è stato un piacere conoscerti» mi salutò, «buonasera, Babbo Natale» ed uscì.
«Tipu, tu non sei un tritone, non lo sei mai stato, sei un umano e ti chiami Simone, non posso ancora darti la memoria né farti tornare a casa tua, ma posso raccontarti chi sei e cosa ti è successo».
Babbo Natale mi spiegò che ero un esploratore tra i più bravi e, durante una delle mie spedizioni, la mia nave era entrata nelle acque del demone Raab, che, secondo la mitologia, infestava i mari del nord ed era molto protettivo nei confronti dei suoi territori; i miei amici pionieri erano riusciti a scappare, mentre io, poiché ero a capo di quell'esplorazione, venni catturato da Raab, che mi trasformò in un tritone e mi tolse la memoria, così da farmi vivere qualcosa di peggiore della morte. Tutto quello mi terrorizzò, ma poi: «Il 24 Dicembre a mezzanotte, sotto l'albero che sta al centro di questa fabbrica -e di quest'isola-, quando la magia del Natale sarà alla sua massima potenza, potrò riportarti a casa tua e ridarti la memoria» mi rassicurò, colpendomi, affettuosamente, la schiena.
Lo ringraziai ed uscii, ritrovando Lisus fermo sulla porta; quando mi vide, mi corse incontro: «Tipu! Sei ancora qui! Cosa ti ha detto il Babbo?».
Gli spiegai tutto e lui mi invitò a restare a casa sua per quei giorni, dicendomi che aveva temuto di non rivedermi mai più.
«Ma io posso chiamarti ancora Tipu, vero?» domandò poi.
«Certamente, mi piace tantissimo» risposi, felice.
In quella settimana che passai nell'isola di Syntymä, io e Lisus ci avvicinammo molto e ci conoscemmo meglio; incontrai altre creature, tra cui il draghetto Riniar ed il troll Langiomedi, anche loro erano buoni ed altruisti, come tutti in quel luogo, che mi avevano accolto a braccia aperte, ed ormai mi trattavano come uno di loro; fra tutte quelle creature, legai tantissimo con Lisus, ma anche, inaspettatamente, con Fadetto.
Finalmente era arrivata la notte del 24 Dicembre, mancava un'ora al mio incontro con Babbo Natale, che mi avrebbe fatto tornare a casa mia, ed io avevo già salutato tutti i miei nuovi amici; io e Lisus eravamo sul tetto della sua casetta, dove ci aveva aiutati a salire il gigante Davone, e stavamo guardando la luna crescente, in silenzio, finché: «Mi mancherai Tipu, ma sono stati sette giorni bellissimi, grazie per essere arrivato fin qua» confessò lui, triste, «Babbo Natale mi aveva detto di non affezionarmi troppo, ma non ci sono riuscito».
«Tornerò qua, non ti preoccupare, neanche io posso pensare di non rivederti mai più» ammisi.
«E come pensi di tornare? Non ci sono aerei che arrivano fin qui, e non mi dire in nave perché non voglio che ti succeda niente».
«Mi aiuterai tu» affermai, convinto, «avevi detto che saresti diventato più potente per me, so che troverai il modo per farmi tornare».
«Mi piacerebbe, ma non ti posso promettere niente» sussurrò, amareggiato.
«Io credo in te, Lisus» lo incoraggiai, alzandomi.
Mi imitò, poi: «Kuppi-kakku!» esclamò, riportandoci a terra.
Senza dire una parola, ci avviammo verso la fabbrica, tenendoci la mano; quando arrivammo davanti al portone della stanza di Babbo Natale, Lisus mi strinse forte a sé, ed io cominciai ad avere dei ripensamenti: «Non voglio più partire, voglio stare per sempre qua con voi, con te» dissi, senza staccarmi da lui.
«No, Tipu, non dirlo» mi fermò, allarmato, allontanandosi per guardarmi negli occhi, «prima dovresti vedere ciò che Babbo Natale ha da mostrarti, poi sceglierai, e sono sicuro che prenderai la decisione giusta e tornerai dalla tua famiglia».
Non risposi, così Lisus si sfilò il suo medaglione dal collo e lo mise al mio: era tondo, con una grande pietra verde al centro e, sul retro, un'incisione della sua iniziale, tutta lavorata.
«Te lo regalo, così non ti dimenticherai di me in caso non dovessi riuscire a migliorare i miei poteri» affermò, incitandomi ad entrare nella stanza.
Lo salutai un'ultima volta e lo ringraziai per tutto quello che aveva fatto per me, poi raggiunsi Babbo Natale, sedendomi ancora sulle sue gambe: «Hai qualcosa da farmi vedere prima di partire, vero?» chiesi, curioso.
Annuì e mi indicò il caminetto, così guardai in quella direzione e notai che il fuoco stava iniziando a volteggiare: apparvero delle immagini che raffiguravano prima i miei genitori a casa che piangevano per la mia scomparsa, poi i miei quattro fidati compagni di avventura che, introno ad una mappa, stavano organizzando delle spedizioni per ritrovarmi; in quel momento, tutti i ricordi della mia vita mi affollarono la mente, così decisi di fare la cosa giusta: sarei tornato a casa mia ed avrei raggiunto la mia famiglia ed i miei amici.
Tornai a guardare Babbo Natale: «Sono pronto» dichiarai.
Improvvisamente le campane suonarono e la lancetta del grande orologio in quella stanza scoccò la mezzanotte.
«Buon viaggio Simone, oh-oh-oh!».
Quando aprii gli occhi, la prima cosa che vidi fu il soffitto della mia stanza, mi sentivo confuso, ma a casa; mi ricordai di quello strano sogno, con quello strano posto e quegli strani personaggi, che tanto avrei voluto incontrare in una delle mie spedizioni, così mi alzai dal letto, per sciacquarmi il viso e tornare alla realtà. Raggiunsi il bagno e mi guardai allo specchio, solo in quel momento mi accorsi del medaglione al mio collo e capii che non avevo sognato: l'isola di Syntymä esisteva sul serio. Corsi dai miei genitori, dovevano essere davvero tanto preoccupati per me, e li abbracciai: «Simo! Sei salvo! Cosa ti è successo?» mi chiesero, sollevati dal rivedermi.
Raccontai loro la mia assurda storia, poi chiamai i miei amici e, dopo avergli spiegato tutto, li invitai a casa mia per il cenone di Natale improvvisato.
Dopo aver mangiato, facemmo un brindisi alla magia del Natale, ed infine il Losco -il timoniere del nostro equipaggio- esclamò, felice: «È il miglior Natale di sempre!».

NdA
Ciao a tutti! Questa è la prima one-shot che scriviamo, ed anche il primo fantasy, quindi scusateci se non è il massimo ahaha!
Siamo state ispirate dall'aria natalizia ed abbiamo deciso di scrivere qualcosa. I personaggi sono una rivisitazione di quelli delle altre nostre storie, ma le trame non sono collegate!
Ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio e buon Natale!
Sofia e Luna

   
 
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