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Autore: Trainzfan    21/12/2017    4 recensioni
7000 d.c. - L’umanità è divisa in due ceti: aristocrazia/clero e popolo. Tutta l’economia della Terra è basata sull’energia fornita dal Goddafin, sorta di raggi di immensa potenza che discendono dal cielo finendo dentro a cupole blindate, gestiti e distribuiti dall’aristocrazia/clero che, grazie a questo, può tenere in suo potere tutto il resto dell’umanità: il popolo. Esso dipende dal clero sia per l’energia necessaria per calore e illuminazione sia per attrezzature metalliche necessarie alla coltivazione o piccole operazioni quotidiane. Per evitare una ribellione la classe dirigente mantiene il popolo nell’analfabetismo e soggezione mediante una religione che insegna quanto il popolo sia costituito dai superstiti risparmiati da Dio, durante lo scatenarsi della sua ira in un lontanissimo passato mentre l’aristocrazia rappresenta l’eredità del popolo eletto assurto a guardiano dell’energia donata da Dio agli uomini mediante i raggi del Goddafin che da millenni alimenta la Terra.
Chi-Dan, giovane archeologo dell’aristocrazia della Celeste Sede (sorta di Vaticano della religione del Goddafin), viene incaricato dallo zio, Sommo Tecnocrate, di indagare su di un misterioso ritrovamento che aprirà letteralmente un mondo nuovo sconvolgendo e cancellando drasticamente tutto quanto è stato ritenuto sacro e reale
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Dentro
 
La figura era avvolta in un manto scuro, con il cappuccio calato sul capo, e avanzava con passo svelto lungo il pavimento metallico spostandosi da una all’altra delle pozze luminose formate dalle sporadiche lampade che costituivano la sola fonte di illuminazione del luogo.
Il rumore dei suoi passi, attutiti dalla vastità dell’ambiente, echeggiava fra le altissime volte oscure sovrastando, per qualche istante, il sommesso, profondo ronzio che ininterrottamente pervadeva l’intera Celeste Sede.

“Voce di Dio” era chiamata questa incessante vibrazione la quale permeava la struttura stessa dell’immensa cupola di cemento, vetro e acciaio. Anche se la mente cosciente provvedeva in brevissimo tempo ad ignorarla era qualcosa di così onnipresente e continuo che, nelle volte in cui capitava a qualcuno dei residenti di dover uscire in missione nel mondo esterno, la sua assenza dava come una sensazione di vuoto, di abbandono.

A menti non addestrate alla Dottrina avrebbe potuto provocare uno stato di depressione tale da portare alla pazzia o, addirittura, al suicidio. Per questo motivo a nessuno appartenente all’ordine che non avesse, per lo meno, il grado di opertec era permesso di lasciare la Celeste Sede.

So-Dan era immerso nei suoi pensieri mentre si dirigeva rapido verso la grande sala delle cerimonie. A causa della tarda ora l’illuminazione era ridotta al minimo a simulare, in questo ambiente totalmente chiuso e artificiale, la notte esterna.
Questa alternanza di luce e buio lungo il percorso permetteva solo a tratti di scorgere, sotto il cappuccio, i sottili e regolari lineamenti del viso del prelato.

Le caratteristiche somatiche Cinlen, tipiche dell’aristocrazia locale, lo facevano sembrare più giovane della sua reale età però i suoi occhi, di taglio orientale ma di un chiarissimo ed intenso azzurro dovuto all’influenza del DNA nordico del ceppo Siberlen della nonna materna, rivelavano una già buona maturità nonché la sua grande e vivace intelligenza che innumerevoli volte, al Seminario, gli avevano fatto ottenere le lodi degli arcigni insegnanti e l’invidia dei compagni di studio, spesso meno brillanti di lui.

L’appartenenza, poi, al clan familiare del Sommo Tecnocrate, il severo Saru-Dan III, non gli aveva certo agevolato le amicizie con i coetanei le quali, specie durante l’adolescenza, richiedono una certa dose di complicità che la sua innata sincerità, unita ad un pizzico di ingenuità, rendeva ulteriormente problematica.

Lo stemma del Goddafin, di colore bianco, spiccava distintamente sul manto nero, ancora nuovo, simbolo del suo appena acquisito grado gerarchico. Il serico tessuto di cui era composto frusciava attorno al suo esile corpo mentre si affrettava verso la celebrazione solenne del Primo Camtur, per la prima volta nella sua nuova superiore funzione di Opertec.

Ancora doveva abituarsi a questa nuova sensazione. Ricordava ancora quando, appena seienne, figlio di una delle famiglie aristocratiche più in vista della Celeste Sede, era entrato per la prima volta sotto la cupola per accedere al Seminario del Goddafin.

Secondo la millenaria tradizione il primogenito maschio di ogni famiglia aristocratica aveva il diritto di entrare al Seminario e questo era l’unica via di accesso per poter far parte della casta ecclesiastica, la sola che detenesse il potere tramite la totale gestione della Divina Energia del Goddafin.

Per i secondogeniti e le figlie femmine la via era, invece, rappresentata dall’Accademia presso la quale venivano formati i quadri direzionali laici che si occupavano di tutte le ricerche e le scienze non direttamente connesse alla gestione del Goddafin ma, comunque, utili al suo culto e conoscenza.

Dopo anni di studio durante i quali aveva imparato tutto quello che sapeva sulla teoria della Dottrina, sei anni prima, era diventato finalmente parte attiva della Celeste Sede entrando nella gerarchia con il grado minimo di Genop.
Aveva indossato per la prima volta quel manto bruno che era divenuto il suo unico abbigliamento esterno visibile per i successivi anni in cui aveva operato laboriosamente ai comandi del suo opertec e maestro Bogo-Lin.

Per anni si era rivolto a lui con gli appellativi usuali di Padre o Maestro ed aveva avuto nei suoi confronti una così grande ammirazione da sfiorare la venerazione per cui ora, nonostante avesse ottenuto lo stesso livello gerarchico, faticava non poco a trattare con Bogo-Lin quale pari grado come la Regola della Dottrina invece richiedeva.

Fino a che si trovavano in pubblico ed alla presenza dei rispettivi genop, la responsabilità creata dalla Regola e dalle usanze vinceva la sua ritrosia ma quando, come il giorno precedente, era capitato che i due si fossero incontrati in una circostanza più privata So-Dan, senza neppure rendersene conto, aveva ricominciato a rivolgersi al più anziano collega con il consueto appellativo di Maestro tanto da mettere in forte imbarazzo il suo interlocutore.

La maggioranza dei membri del clero non andava oltre il grado di opertec per tutta la loro carriera arrivando, al limite, ad accumulare decorazioni di merito rappresentate dal colore differente dello stemma del Goddafin applicato sul lembo frontale sinistro del manto nero, all’altezza del cuore.
Mentre quello del giovane So-Dan era, ovviamente, ancora bianco immacolato, quello del più anziano Bogo-Lin era di un tenue color azzurro che testimoniava, al cospetto di tutti, i grandi contributi che il proprietario del mantello aveva apportato alla Celeste Sede nonché alla maggior diffusione della Dottrina.

Nonostante, comunque, la sua giovane età e la ancora poca esperienza, So-Dan era già visto in modo speciale dagli altri in quanto, oltre ad aver già dimostrato ottime qualità e capacità, essendo nipote diretto del Sommo Tecnocrate era sicuramente destinato a raggiungere i vertici della gerarchia entro non troppi anni.
Nessuno, ovviamente, glielo avrebbe mai detto apertamente ma la cosa era abbastanza risaputa e a So-Dan dava parecchio fastidio: certo, desiderava anche lui come chiunque altro di poter, un giorno, fare carriera ma questo avrebbe dovuto essere per i suoi reali meriti e non solo perché suo zio era il Sommo Tecnocrate!

“Sarà fatta la volontà di Dio!” esclamava esasperato nella sua mente per porre fine alla ridda di pensieri quando questi superavano lo stadio di semplice disturbo arrivando ad essere come un vero e proprio uragano mentale.

Dio! Quando pensava a Dio la sua mente materializzava in modo automatico l’immagine che tutto il mondo aveva della potenza visibile di Dio sulla terra: il Goddafin!
Questi raggi di energia, illimitata e di immensa potenza che scendevano incessantemente dal cielo mandati direttamente da quel Dio che tanto tempo prima aveva deciso di manifestarsi e che, da allora, non aveva mai più abbandonato le sue creature.
I suoi studi, durante gli anni passati nel Seminario, lo avevano portato a conoscere i grandi segreti della storia di Dio.

Aveva studiato che, in epoche remote, gli uomini avevano avuto strani culti relativamente a Dio. Alcuni si basavano su una non meglio specificata armonia generale del creato, raggiungibile, pareva, solo attraverso una cosa chiamata meditazione che, sembra, fosse una sorta di stare in un luogo, soli o in compagnia, immobili aspettando quello che veniva definito come “illuminazione”, qualunque cosa questa fosse.
Altri, molto meno innocui, avevano dei credi terrificanti. Uno in particolare gli era rimasto impresso nella memoria dove veniva adorato un povero esserino emaciato orribilmente inchiodato su due tavole di legno incrociate fra loro.
 
“Terrificante!” pensò tra sé rabbrividendo.
 
La storia, tramandata dalla Dottrina, diceva che, a vedere tutto questo, Dio decise allora di manifestarsi apertamente e di aiutare tutte le sue creature. Per questo mandò il Goddafin e pose i suoi più fedeli credenti come controllori e gestori di questo immenso dono.
Nonostante questa munificenza divina molti uomini perseverarono lo stesso nel peccato fino a che Dio, disgustato, decise di scatenare la sua divina ira e, con diverse terribili piaghe, colpì l’arroganza dei bestemmiatori i quali furono gettati nel più profondo degli inferi.
Solo un esiguo numero di peccatori fu risparmiato perché potessero testimoniare, a imperitura memoria, della Giustizia di Dio.
Al contrario tutti i veri fedeli che erano stati posti a gestione del Goddafin furono preservati dall’Ira di Dio e, da lui stesso, promossi al rango di unici possessori della Verità e, quindi, unici in grado di portare a salvazione anche i pochi peccatori sopravvissuti purché questi si fossero sottomessi senza se e senza ma al volere di Dio espresso, ovviamente, per tramite dei suoi eletti.

Tutto questo succedeva quasi cinque millenni prima ed il popolo, sotto la guida illuminata del clero, era ormai totalmente fedele a Dio il quale, come chiunque era in grado di vedere, da parte sua continuava a fornire al suo popolo tutta l’energia di cui potesse avere bisogno.
So-Dan si aggiustò il cappuccio del manto la cui bordatura color oro certificava la sua appartenenza alle squadre d’élite degli addetti alla gestione del Goddafin e allungò ulteriormente il passo in quanto, oramai, mancava pochissimo all’inizio della cerimonia.
   
 
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