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Autore: SirioR98    22/12/2017    0 recensioni
Qualcuno d’importante ha detto che non ha senso vivere la vita se non si ha modo di raccontarla. O forse non lo ha detto nessuno, e a dire il vero non è un gran che di aforismo. Però penso contenga un fondo di verità: se non la si organizza in maniera logica, la nostra esistenza è solo un susseguirsi di episodi più o meno casuali. O forse la casualità è un qualcosa che, in qualche modo, è già scritta da qualche parte e che demolisce la logica? O ancora, è forse meglio vivere la vita per quello che dà? E se... scusate, sto divagando. Ricominciamo.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 17
 
 
Decidiamo di andare nel giardino, non c’è nessuno a quest’ora o almeno quasi nessuno, giusto un paio di coppie che parlottano tra di loro.
“Stasera è proprio una bella serata, né troppo calda, né troppo fredda. Nemmeno una nuvola in cielo. Proprio una bella serata, no?” Dice Nicholas, tentando di far partire il discorso.
“Già, l’ideale.” Rispondo un po’ impacciato.
Credo di dover cominciare io il discorso, prima che il muro di silenzio e imbarazzo si faccia ancora più alto.
“Allora, nel bosco volevi dirmi qualcosa, però ti sei bloccato. Ricominciamo qui?” chiedo, mettendo le carte in tavola.
“Ah sì, certo.” Fa un profondo respiro per calmarsi, credo che senta un po’ di pressione anche lui.
“Bene. Come avevo incominciato?”
“Avevi detto di non voler perdermi. In che senso?”
“Greg, capisco di averti lasciato solo tutta la vita e ancora oggi non ti sono realmente vicino. Ma l’esperienza del bosco ha creato un legame, anche se flebile. Non voglio perdere quel legame. Vorrei aggrapparmici con tutte le mie forze, anche se probabilmente tu non vorrai la stessa cosa.
Ma per favore, per favore, non voglio eliminare quel minimo che si è creato. Ti chiedo solo di pensarci.”
Sto per rispondergli, ma alza una mano per fermarmi.
“Lo so che mi odi per tutto quello che ho detto su di te o sui tuoi amici, e mi odierei pure io, se fossi in te. Ma devi capire che l’ho fatto solo perché…”
Lo guardo in silenzio, aspettando che continui. Fa un respiro profondo e mi guarda negli occhi.
“…avevo paura che se avessi iniziato a legare con te, non avrei avuto la forza di andarmene. O che magari ti saresti sentito di nuovo abbandonato. Stavo cercando di proteggere sia me che te, ma vedendoti ho capito che non hai bisogno della mia protezione. Sei un uomo fatto e finito, eppure… penso ancora a te come quel bambino che ho lasciato alla porta di quella vecchia signora 26 anni fa.”
Guarda altrove.
“Papà…”
“A dire la verità, si è avverato ciò che temevo. Non penso di avere la forza di andarmene. Ma non sono più abituato a vivere con qualcuno, neanche lo voglio. Ma ormai non so più cosa voglio. Ma so di certo cosa non voglio: non voglio perderti.”
Gelato.
Come una statua di ghiaccio.
Non so cosa dire.
“So che magari potrebbe essere troppo improvviso dirtelo così, dopo nemmeno qualche settimana che ci siamo rincontrati, ma…” mi mette una mano sulla spalla “…questo è quello che sentivo e che dovevo necessariamente gettare fuori.”
Sono… confuso.
Cioè, sono contento, ma, allo stesso tempo, sento qualcosa dentro di me che mi fa dubitare.
Magari è fame.
Spero sia solo quella.
Alla fine, decido di dire la mia.
“Significa… che rimarrai qui in Accademia?”
Aggrotta le sopracciglia.
Segue qualche minuto di silenzio, forse non se l’aspettava.
Dal movimento delle sopracciglia e dalle espressioni facciali, capisco che sta valutando la cosa.
Alla fine, annuisce, con un velo di esitazione ancora sul viso.
Sarà stata solo una mia impressione, visto che le sue labbra si piegano in un sorriso.
“Beh, credo proprio che dovrai sopportarmi ancora per un po’.” dice mettendo il suo braccio attorno a me, con una risata gioviale.
Sorrido.
Non sorrido così da tanto tempo.
Forse troppo.
Eppure…
No, Greg. Non cominciare a pensare negativamente.
Non è quello che desideravi?
Forse no.
Non so più cosa voglio.
Lui mi vede un po’ incerto.
“Guarda che non sei tenuto a darmi una risposta adesso. Dormici su, non pensarci, stasera cerca solo di divertirti.”
Guardo verso una finestra che si affaccia sulla sala, dove in quel preciso momento sta passando Kyra.
Ricambia il mio sguardo.
Sorride.
“Vai, vai dalla tua dama, che non può rimanere da sola.” mi dice alla fine, con una risata.
Vado.
Non mi sembra giusto abbandonare così mio padre, ma non posso lasciare Kyra da sola durante una serata del genere.
Alla fine è lui che mi sta congedando, non io.
Rientro in sala.
Torno al posto occupato prima, dove trovo già Kyra e Kyle ad attendermi.
Kyle gioca con il coltello, facendo roteare la punta sul tavolo, mentre Kyra cerca di prenderglielo dalle mani.
“E quindi, quando si mangia?” chiedo ai gemelli, schiarendomi la gola.
Kyle non risponde, si limita a guardarmi di traverso e a girare imperterrito il coltello. Credo ce l’abbia ancora con me.
Alza le spalle senza fare il minimo rumore. Rilasso le mani sul tavolo.
Faccio vagare lo sguardo, in cerca di un qualsiasi punto di fuga.
Davvero, non voglio affrontare le domande che Kyra mi rivolge con lo sguardo e sicuramente non voglio avviare una conversazione con una persona che mi risponderebbe a grugniti.
L’aria sulla mia mano sinistra viene sferzata, sento un rumore secco. Guardo la mano.
Kyle ha piantato il coltello tra il mio mignolo e il mio anulare.
Lo guardo allibito. Non ricambia lo sguardo, si alza da tavola spostando la sedia con le gambe.
“Mi stanno chiamando. Devo andare.” Si allontana senza degnarci di uno sguardo.
“Kyle…” Lo chiama Kyra. Quando non le risponde, mette la testa fra le mani.
Torno a guardare il coltello.
Non devo parlare, so che non devo parlare.
Non devo parlare, peggiorerei solo la situazione.
Non parlare, Greg. Non parlare.
“… pensi ce l’abbia ancora con me?” E quindi, ancora non ti vuoi tagliare la lingua, eh? Bravo, Greg, davvero, bravo.
Ti meriti un applauso sarcastico.
Kyra si gira lentamente verso di me.
Ridacchia.
“Oh, no, Greg. Non ce l’ha con te. È peggio, ce l’ha con NOI!” Dice a denti stretti, estraendo il coltello dal tavolo. Allontano con cautela la mano, senza abbassare lo sguardo.
“Ed è colpa tua. Anche mia, ma soprattutto tua. Quindi, TU…” Mi ordina puntandomi il coltello in faccia.
“Kyra…”
“… risolverai la situazione. Oppure, puoi dire addio alla lingua, hai capito bene?” Deglutisco.
“M-ma si può sapere da dove viene questa vostra ossessione per la mia faccia?” Le chiedo con un filo di voce e le mani alzate.
Mi sorride angelicamente. Quel sorriso, sul loro viso, non ha nulla di innocente.
“La vogliamo solo migliorare. Adesso, vai.” È un imperativo. Con il coltello mi sposta una ciocca da davanti gli occhi.
Non posso fare altro che annuire e alzarmi di scatto, quasi faccio cadere la sedia.
Con le mani in tasca, mi avvicino al ragazzino, che è uscito per un attimo in balcone.
È appoggiato alla balaustra, portando tutto il peso su di essa, guardando davanti a sé.
È perso nei suoi pensieri, conosco troppo bene quello sguardo.
Con cautela, mi avvicino.
Il balcone non è enorme, forse c’è spazio per tre persone appoggiate alla balaustra, ma per raggiungerla si devono compiere almeno tre passi.
Lentamente, gli metto una mano sulla spalla, cercando di attirare la sua attenzione.
A quanto pare, questa sarà serata di discorsi.
“Greg, lasciami perdere, torna dentro.”
Lascio calare la mano, riportandola al mio lato. Decido di affiancarlo, imitandolo nella posizione.
I minuti scorrono in silenzio, li faccio passare, aspettando di trovare il momento giusto e cercando le giuste parole.
Lui, dal canto suo, non accenna a parlare.
Sento che è arrivato il momento. Ora o mai più.
“Kyle.” Inizio prendendo fiato.
Non so cosa dovrei dire, sinceramente.
Ho fatto quello che dovevo. In più poco fa sembrava normale, non era infastidito, nemmeno leggermente.
Mi scappa un verso di fastidio.
“Senti, mi dispiace se…” Scuote la testa.
“Lascia perdere, Greg, non ce l’ho con voi.” Mi risponde secco.
“Non sembrerebbe proprio. Altrimenti non ti comporteresti così.” Sospira profondamente.
Con uno spintone, si allontana dalla balaustra, si gira e si riappoggia di schiena.
“Davvero, Greg. Non sono arrabbiato con voi. È solo che…” Abbassa gli occhi.
Serra le labbra. Non vuole parlare.
“Solo che…?” Lo incito.
Guarda all’interno della sala, in un punto indefinito.
“Senti, sono irritato da tutta questa situazione. Ero venuto al banchetto con l’intenzione di godermi una serata tranquilla in compagnia dei miei amici, invece mi ritrovo da solo a dover lavorare per conto di Yesmallion.” Dice tutto d’un fiato, passandosi una mano fra i capelli.
“Insomma, io non voglio nemmeno suonare davanti a tutti! E se sbaglio qualcosa? Lo sapranno tutti e mi ricorderanno come quello che ha rovinato il banchetto e io sarò costretto ad abbandonare l’Accademia, cambiare nome e andare a vivere con i troll per la vergogna!” Conclude coprendosi la faccia con le mani.
Si gira verso di me, trovandomi con la più seria delle espressioni.
Gli scoppio a ridere in faccia.
Mi fissa.
“Andrai a vivere con i troll?!” Gli chiedo, in preda alle risate.
“Non è divertente, Greg.” Risponde mettendo il broncio e incrociando le braccia.
“Sei troppo basso per andare a vivere con i troll!” Gli rispondo, ridendo più forte.
“Non è divertente.” Ripete.
“Sì! Tu, con una mazza… che…” Non riesco a finire, non ho più fiato.
“Sta zitto…” Mi dice, girando il viso di lato, così da non farmi vedere il mezzo sorriso che gli si sta formando.
“Quanto sei cretino. Smettila, è una questione seria.” Afferma, scuotendo la testa.
Mi ricompongo. Tossisco per schiarirmi la voce.
“Hai ragione, Kyle. È una questione importante. Per questo dobbiamo visualizzarla al meglio.”
Mi metto di fronte a lui, attirando immediatamente la sua attenzione, e incomincio a ballare nel modo più stupido possibile, cantando ‘Sono il vecchio troll che sotto il ponte sta’.
Lo lascio senza parole.
Concludo il mio balletto allargando le braccia e muovendo le mani.
Il silenzio cala fra di noi. Lentamente, torno nella mia precedente posizione.
Lo sento tirare su con il naso.
“Greg, giuro, non so se scoppiare a ridere o buttarti giù dal balcone.” Mi risponde grave.
Sospiro.
“Era per farti ridere.” Gli prendo la faccia e gli alzo gli angoli della bocca.
“Chi potrebbe mai prendere in giro una persona come te? E se anche lo facessero, potresti benissimo incenerirli.” Con uno scossone si libera dalla mia presa.
“Lo sai che andrai benissimo. Lo sappiamo tutti, sei Kyle Greywood! Tu non sbagli… quasi mai.” Guarda per terra, giochicchiando con una pietruzza.
Mi chino per guardarlo negli occhi.
Ricambia incerto il mio sguardo.
“Kyle… andrà tutto bene, fidati di me.” Annuisce, ma non è convinto. Gli poggio una mano sulla spalla.
“Ti fidi di me?” Gli chiedo. Alza il viso, un sorriso gli spunta all’angolo della bocca.
“No. Ma grazie lo stesso, Greg.” Evita un mio scappellotto, bloccandomi il polso.
Mi lascia andare, ritornando a guardare lontano.
“Torna dentro, Greg. Io rientro fra poco, vorrei stare un minuto da solo.”
Non vorrei lasciarlo solo.
“Greg, sto bene. Arrivo fra un minuto, tu entra.” Conclude con un sorriso.
Non mi resta altra scelta che rientrare.
Povero Kyle, mi dispiace che la serata non sia cominciata bene per lui.
Credo che dovrò sdebitarmi in qualche modo, se non altro perché altrimenti se la segnerebbe e me la riproporrebbe in eventuali discussioni future.
Quindi sì, devo sdebitarmi con lui in qualche modo.
Torno al posto, ma non trovo Kyra.
E adesso dov’è andata quest’altra?
Ma questa cena quando comincia?
È mai possibile passare una serata tranquilla senza mobilitare il gruppo ricerche?
Seriamente, ormai mi salutano e mi danno del tu!
Ecco, lo sapevo, mi sta salendo l’ansia.
Dai, Greg, concentrati.
Prima di tutto, cerca Kyra.
Destra: nessuno che conosco, solo gente che parlotta, seduta e all’in piedi.
Sinistra: Professori, o almeno, vedo Yesmallion che parla a gente di mezza età.
Ah, ma guarda un po’, la tanto declamata insegnante di duello alla spada, quella che Kyra ammira tanto! Quella che mi ha fatto fare una figuraccia davanti a praticamente metà istituto.
Già.
Manco so come si chiama.
Però, ne sa di cose questa qui, anche se, per i miei gusti, è un po’ troppo saccente.
Comunque, non divagare Greg: Kyra dov’è?
La cerco con lo sguardo per tutta la sala. Alla fine, la vedo in un angolo a parlare con quelli che sembrano Bakax e Saffron.
Certo che loro sono una coppia strana…e si sono messi insieme solo da oggi, a quanto pare.
Lui basso e timido, non il paladino che tutte vorrebbero, e lei un tank che potrebbe buttare giù un muro con un soffio.
“Warlord li fa e poi li accoppia” direbbe una persona di mia conoscenza.
Sai cosa? Li raggiungo.
Mi faccio strada fra le sedie e le persone che le occupano tirando indietro la pancia quando serve, finché non arrivo a destinazione.
I ragazzi parlano del più e del meno.
“…sereno. Sì, insomma, è migliorato ultimamente.” Conclude Bakax.
Kyra annuisce.
“Sì, hai ragione. Sinceramente, era ora, non ce la facevo più. Se dovesse tornare come prima, me ne vado.”
Gli altri due ridono alle sue parole.
“Non ti pare una reazione esagerata? Alla fine, non cadrebbe il mondo.” Dice Saffron.
La ragazzina sbuffa.
“Con la fortuna che ho, scommetto che mi seguirebbe. Sinceramente, è come se non riuscissi a liberarmene, ultimamente. È diventato insopportabile.” Ribatte lei.
Ma… di che stanno parlando? Di me?
Aumento il passo, fino a riuscire a posare la mano sulla spalla di Kyra, che si gira calma.
“Ah, eccoti qui finalmente! Dov’eri finito, in nome di…?” la blocco prima che possa concludere la domanda.
“Per caso stavate parlando di me?” La mia domanda li spiazza. Bakax e Saffron non sanno come rispondere, Kyra lo sa benissimo.
Scuote la testa, alzando gli occhi al cielo.
“Stavamo parlando del tempo. È come se una nuvola mi seguisse.” Risponde sbuffando.
Sgrano gli occhi, sento le guance andarmi in fiamme. Ovviamente non stavano parlando di me, sto diventando paranoico.
Kyra mi guarda di traverso.
“Quanto sei egocentrico.” Aggiunge con una risatina.
Tossicchio, imbarazzato dalla mia brutta figura. Fortunatamente, scorgo nella folla dei camerieri con i vassoi in mano.
I miei amici sono tornati a parlare fra di loro.
Batto le mani per attirare l’attenzione, ovviamente invano.
Riprovo, stavolta aggiungendo uno schiocco di dita.
Alla fine, esasperato, fischio.
Avrei voluto farne uno flebile, che solo loro avrebbero potuto sentire, ma no, ovviamente devo fare il fischio più acuto e potente che potessi emettere.
In compenso, riesco a far girare tutta la sala.
Perché io non sono contento se non mi umilio, se non mi lancio nel fango - di pancia ovviamente - per poi fare l’angelo di fango, con ancora la faccia immersa, però.
“Ehm… andiamo… torniamo… sto andando.” Dico, indicando il tavolo con il pollice. Prendo Kyra per il polso e ci andiamo a sedere.
Incrocio le braccia, per poi tuffarci dentro la testa.
“Greg… ma stai bene?” Rialzo la testa, annuisco.
Continuo ad annuire, avvicinandomi gradualmente al tavolo. Sbatto la testa nello spigolo.
“Perché. Mi. Devo. Fare. Sempre. Riconoscere?” Chiedo, scandendo ogni parola con una testata.
Kyra mi guarda con un sopracciglio alzato.
“E tu evita.” Ricambio il suo sguardo, con la testa sempre appoggiata al tavolo.
“Evitare cosa?” Le chiedo. Alza le spalle.
“Parlare. Presentarti in pubblico. Respir- vivere. Esistere in generale. Tieni…” Mi porge un coltello.
“… prova con questo!” Mi giro il coltello fra le mani. Tenendolo per l’impugnatura, cerco di piantarmelo in mezzo al petto una, due, tre volte. Ma non ci riesco.
Lancio il coltello sul tavolo.
“Ecco, non riesco neanche a pugnalarmi decentemente!”
“E ci credo, finché usi un coltello da burro!” Mi urla esasperata.
“Ma anche tu, che mi dai un coltello da burro!” Sbuffo, facendo ricadere la testa sul tavolo.
Qualcuno mi dà due colpetti sulla spalla.
“Che c’è adesso?!” Chiedo esasperato, ritrovandomi davanti un cameriere.
Mi mette un piatto davanti. Contiene una... roba gelatinosa e bianca che non saprei meglio definire. Mi giro verso il cameriere.
“Scusa, ma... che sarebbe?” Chiedo indicando il piatto.
“Un amuse-bouche, signore.” Mi risponde, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Salute?” Rispondo incerto, non avendo capito bene. Non risponde, mi guarda con un velo di imbarazzo, stringendosi nelle spalle.
“Amuse-bouche, signore. Precede l’antipasto.” Cerca di spiegarmi.
“Ma... quindi, si mangia?” Domando scettico. Si stringe nelle spalle annuendo, per poi passare a servire Kyle, o meglio, il suo posto.
Analizzo il piatto, guardandolo prima da vicino, poi da lontano. Lo alzo e lo giro, per osservarlo nella sua interezza. Lo riposo, prendo la forchetta e lo punzecchio. Alla fine, con non poca riluttanza, ne prendo un pezzo con la forchetta e me l’avvicino alla bocca.
Assaporo.
Sento... sento...
Sento le fanfare, i fuochi d’artificio e gli angeli che mi cantano in bocca.
“Oh, vedo che hanno già portato l’amuse-bouche!” Afferma Kyle, sedendosi al tavolo.
Lo prendo per le spalle, scuotendolo.
“È la cosa più buona che abbia mai mangiato!” Gli urlo in faccia, sputando pezzi del boccone che avevo in bocca.
Kyle si scosta leggermente, per ripararsi, chiudendo gli occhi. Mi mette una mano sul petto, per allontanarmi.
“Sei disgustoso.”  Dice, levandosi qualche altro rimasuglio del mio bolo dalla faccia.
“Scusa, Kyle.” Rispondo, cercando un tovagliolo da dargli per pulirsi.
Kyra mi ha già preceduto.
Iniziamo bene questa cena.
“Ma dimmi, com’è il tuo? Di che sa?” chiedo a Kyra, mentre lei si gusta l’”amiscusch”, o come si pronuncia.
Ricambia la mia domanda con lo sguardo di chi vorrebbe non rispondere, per evitare di insultare.
Ingoia il boccone.
“...ma, scusa, è uguale al tuo. È lo stesso che tu hai mangiato prima. Non hai sentito nulla?” Mi chiede.
“Sì...cioè, no. Non l’ho capito, ci sono troppi sapori buonissimi!” Mi stringo nelle spalle. Non sono abituato a sapori così intensi.
Si copre gli occhi con la mano. È Kyle a rispondermi.
“È una mousse di granchio, gamberetti e mascarpone, ma sento anche una punta di menta, che sinceramente potevano evitarsi.” Afferma con naturalezza.
Io e Kyra ci giriamo a guardarlo, ambedue allibiti. Si stringe nelle spalle.
“Che c’è? Ho il palato sviluppato, va bene?” Gli metto una mano sulla spalla.
“Mi dispiace, è grave?” Chiedo serio.
Ricevo uno scappellotto da dietro. Scoppio a ridere, mentre i gemelli alzano gli occhi contemporaneamente.
Mio padre si siede al tavolo, è stato lui a colpirmi.
“Comportati bene con i ragazzini.” Dice avvicinandosi il piatto.
“…Ma tu non eri seduto in un altro posto?” Chiedo, indicandolo con la forchetta.
“Sì, ma non mi ci trovavo bene.” Risponde, scrollando le spalle.
“Come mai?” Domanda Kyle, aggrottando le sopracciglia.
“Diciamo che…ho sentito abbastanza.” Continua mio padre, misterioso come suo solito.
“Non dirmelo. Scommetto che accanto avevi qualcuno di logorroico.” Suggerisce Kyra, ridacchiando.
“Già.” Conferma Nick.
“Yesmallion?” Cerca di indovinare Kyle.
“Peggio…” Sussurra mio padre, con gli occhi bassi.
“E chi?” Chiedo io, alla fine.
“Che domande: Pancrazio!” Afferma mio padre, imitando la voce nasale dell’assistente del vecchio.
Scoppiamo a ridere tutti e quattro. Kyle, ovviamente, si soffoca con la sua bevanda, perché il genio stava bevendo.
“Ah dài, allora si capisce tutto!” Riesco a dire fra le risate. Dall’altra parte del tavolo, quella riservata al personale didattico, ci rivolgono occhiatacce.
“Ero anche vicino a Yesmallion, ma dopo un po’ me ne sono andato. Uno dei due posso sopportarlo, ma due contro uno non ci sto.” Conclude, riprendendo a mangiare.
Terminano tutti la loro “amolosgrush”. Cala il silenzio fra di noi, viene riempito solo dalla musica. Sento un continuo tamburellare alla mia destra. È Kyle, che nell’attesa dell’antipasto ha iniziato a tenere il tempo con le dita.
Alla fine, lascia cadere la testa all’indietro, sbuffando sonoramente.
“Mi sto annoiando da morire. Facciamo qualcosa?” Ci supplica. Sua sorella alza gli occhi al cielo.
“Kyle, non sei un bambino, sta buono.” Lo rimprovera. Il ragazzino le fa il verso.
“Che ne dite di rispondere a un paio di domande, tanto per passare il tempo. Nulla di impegnativo.” Propongo, cercando di mettere pace fra i due.
Si scambiano uno sguardo, scrollando le spalle per assentire. Penso a cosa chiedere come prima domanda.
“Qual è la ‘prima volta’ che ricordate meglio?” Chiedo. Mio padre si appoggia allo schienale, grattandosi la barba.
Kyra diventa rossa come un peperone, Kyle altrettanto, ma di rabbia.
“Ma ti pare domanda da fare a mia sorella? Davanti a me?” Mi urla, in preda all’ira. Porto le mani avanti per calmarlo.
“Kyle, ma non intendevo…” Mi interrompe.
“Mia sorella è ancora ver-“ Inizia a dire, ma si ferma quando la gemella ride gutturalmente.
“Certo, tu lo dici…” Sussurra fra sé e sé. Per un momento, il colore abbandona il viso di Kyle, ma si ricompone immediatamente.
“E dimmi, Kyra. Chi è che sarà vittima di un incidente fatale, stasera?” Chiede con la massima calma.
Una forchetta mi vola davanti, sfiorandomi il naso. Mi volto di scatto verso Kyra.
“Ehi, non si lanciano le posate!” La rimprovero.
“Si chiamano posate per questo motivo, sono posate sul tavolo. E là devono rimanere.” Calco la voce sull’ultimo concetto.
La ragazzina alza gli occhi al cielo.
“Lasciamo cadere la questione. Comincia questo gioco del cavolo, prima che qualcuno muoia, o peggio, finisca sotto le mie mani.” Sbuffa il gemello, cercando di calmarsi.
“Rispondi tu. Qual è la ‘prima volta’, intesa come qualsiasi ‘prima volta’ di qualsiasi cosa tu abbia mai fatto, che ricordi meglio?” Chiedo a Kyra, dando uno sguardo anche a Kyle, ancora nervoso.

Kyra ci pensa su, stringendosi nelle spalle.
Nell’attesa, prendo il bicchiere e bevo.
“Non so, probabilmente la prima volta che ho preso in mano una spada.” Mi strozzo con l’acqua.
Kyle mi dà dei colpi sulla schiena, qualcuno più forte degli altri.
“E quanti anni avevi?” Le chiede mio padre.
Kyra alza una spalla con nonchalance.
“Sette anni, all’incirca.” Risponde.
Sgrano gli occhi e mi giro con tutto il corpo verso di lei.
“Sette anni?! Si può sapere che razza di giochi facevi da bambina?” Le domando imbarazzato.
Ricevo un calcio da Nicholas.
“Di solito si inizia ad allenarsi in tenera età. Scommetto che anche tu hai maneggiato la tua prima arma da bambino. Non è diverso per le donne.” Mi riprende, serio.
Sospiro di sollievo.
“Ah, va bene… si parlava di armi.” Replico sollevato.
Ricevo un’altra pedata da mio padre, la gomitata da parte di Kyle è un bonus.
“Gregory! Ricordati che stai parlando con la sorella del tuo migliore amico, nonché una dama.” Mi rimprovera serio.
Kyle ridacchia.
“Mia sorella sì, dama… un po’ meno. È più mascolina di me.” Commenta, guardando la sua gemella, che sbuffa.
“Non ci vuole tanto a essere più mascolino di te!” Ribatte, incrociando le braccia.
Kyle sta per rispondere per le rime, ma Nicholas decide di ristabilire la pace fra i due.
“Passiamo oltre. Kyle, vuoi rispondere tu?” Gli chiede, cercando di tornare all’argomento principale.
Il ragazzino si appoggia allo schienale della sedia, incrocia le braccia e alza la testa verso il soffitto, intento a pensare.
“La prima volta che ricordo meglio… dev’essere stata la prima volta che ho visto dei veri e propri elfi. Non intendo mezz’elfi come la mia famiglia, ma veri e propri purosangue. Eravamo piccoli, ti ricordi Kyra?” Chiede a sua sorella, persa nei suoi pensieri con un sorriso all’angolo della bocca.
“Tre della tribù che abita le montagne erano venuti a casa nostra, non ricordo a che proposito. Erano le prime ore della mattina, io e Kyra, sentendo parlare, siamo usciti dalla nostra camera e ci siamo nascosti dietro il parapetto accanto alle scale. Voi ne avete mai visti?” Ci chiede. Nicholas annuisce, io rispondo in modo contrario.
“Greg, non esagero se ti dico che i componenti di quella tribù emanano luce propria. Hanno la pelle così bianca da sembrare ghiaccio, erano quasi trasparenti.” Continua, immerso nel ricordo.
Nicholas lo ascolta attentamente.
“Dicono che sia una tecnica di sopravvivenza. Si mimetizzano con il ghiaccio e la neve delle montagne per non essere visti. Non amano combattere, evitano lo scontro quando possono.” Spiega il vecchio, notando il mio sguardo interrogativo.
“Tu Greg, che ci dici?” Chiede Kyle, facendoci capire che ha finito di rispondere.
Mi prende alla sprovvista, ancora non ho pensato a cosa dire.
“Sinceramente? Non saprei come rispondere…” Ammetto.
Kyle ride di scherno.
“Come? Tu che hai proposto il gioco, non sai cosa rispondere alla tua stessa domanda?” Rincara, guardandomi con quel suo sopracciglio alzato che, giuro su Warlord, un giorno glielo rado...
“In primis, questo non è un gioco, ma una discussione profonda. Secondo, non ne ho idea…cioè, ho qualche idea in testa…” Dico, grattandomi la nuca.
“Sicuro che non siano piccole amebe che fluttuano e basta?” Chiede Kyle ironico.
“…però sono molto vaghe.” Continuo, ignorandolo volontariamente, ovviamente senza dimenticarmi di lanciargli un’occhiataccia.
“E vabbè, scegline una e dilla! Che sennò qui facciamo tardi…” Mi incita Kyra.
Mi passo una mano fra i capelli, cercando di ricordare.
“Mhmm… direi la prima volta che qualcuno abbia mai creduto in me, dopo un po’ di tempo.”
Mi fanno segno di continuare.
“Prima di arrivare in Accademia, come molti di voi già sanno, non facevo una vita, diciamo, ‘morigerata’. Dove ho vissuto io, la miseria si tagliava con il coltello e si andava avanti con quel poco che si trovava. A un certo punto, visto anche come tutti ci ignorassero, decisi di fare ciò che, in quel momento, mi sembrava giusto: cominciai a rubare. Certo, rubavo qualche mela, qualche pera, cibo in generale, ma sempre di furto si parlava. Quello che prendevo, però, non lo tenevo per me, anzi, lo condividevo con i ragazzi insieme ai quali vivevo. Quasi mai bastava per tutti. Continuavo a ripromettermi che avrei smesso di fare certe cose, che non sarei mai diventato un criminale. Promesse troppo grandi da mantenere, specie se quelli che ti stanno vicino ti considerano nulla più che uno straccione. Se all’inizio rubavo per bisogno, presto il furto è stato accompagnato da una nuova sensazione. Non era più la disperazione a indicarmi cosa o chi derubare, c’era sempre nel retro della mia testa una scarica, un qualcosa di contraddittorio a tutti i miei ideali. Lo potrei chiamare ‘il brivido del pericolo’, quella paura che accompagna ogni scelta che sai essere sbagliata, ma che in qualche modo la rende più allettante. Era diventato qualcosa di più. Rubavo più perché aveva iniziato a piacermi l’atto in sé che per necessità. E me ne accorsi. Me ne accorsi, ma non tornai indietro, non mi fermai, abbracciai questo mio nuovo lato, perché pensavo non ci fosse altra scelta, che non importava cosa potessi fare, sarei sempre e solo stato quel ladro straccione che rubava. Nulla più. E allora decisi di prendere in mano il mio destino, o almeno quello che pensavo fosse il mio destino. Rubare a chi fosse ricco di denaro, ma non di gentilezza, e dare a chi ne avesse avuto bisogno. Però, non potevo fare molto da solo. Avevo sentito delle voci riguardo un gruppo di ‘gentiluomini’ residenti nella boscaglia fuori dal borgo in cui vivevo, che aveva abbracciato il mio stesso scopo. Forse per pazzia, forse per incoscienza, decisi di addentrarmi tra quei pioppi alla loro ricerca. Dopo un paio di giorni riuscii a trovarli, o meglio, loro trovarono me: ero entrato in una ‘zona franca’ e sarei stato sottoposto a leggi a me sconosciute. Mi sentii subito circondato prima da quattro individui, poi cinque, sei, sette, e ancora, e ancora, e ancora, fino a quando persi il conto, passata la quindicina, colpa anche del buio che la boscaglia creava con le sue alte fronde. Non potei fare altro che alzare le mani in segno di resa. Dall’accerchiamento si fece subito avanti un nano, che senza esitare, mi puntò sotto il mento quella che riconobbi come una punta di freccia. Riuscì a scorgere i suoi occhi del colore della steppa in mezzo a quella sua peluria nera incolta di capelli e barba, raccolti in piccole treccine. Mi chiese chi fossi e perché mi trovassi in quei boschi. Io, preso dalla mia missione e, come mio solito, molto drammatico, mi presentai e spiegai che ero in cerca di qualcuno disposto ad aiutarmi ad adempiere al mio destino: combattere le ingiustizie di coloro che, nella loro superbia, umiliano i deboli e gli indifesi. Inizialmente, rispose scettico alle mie parole… alla fin fine mi ero presentato a una banda di ladri come colui che vuole combattere le ingiustizie, che mi aspettavo? Si faceva chiamare ‘Rubik il possente, dominatore dei 7 Boschi delle Foreste del Nord’, suppongo nome ironico, vista la stazza. Ovviamente glielo feci notare, perché non mi so stare zitto nemmeno se ne dipendesse della mia vita, ma prima che mi potesse attaccare, lo fermò un tiefling. Non ne avevo mai visto uno così da vicino, ne avevo sentito solo parlare e le storie che sentivo non erano per nulla piacevoli. ‘Gente da cui stare alla larga, i tiefling...’ mi dicevano.
Il tiefling cercò di intimidirmi, ma io non glielo lasciai fare. Gli chiesi immediatamente, senza giri di parole, di presentarsi. SI chiamava Andrakas. Nonostante la mia diffidenza iniziale, gli strinsi la mano. Durante la stretta notai i suoi occhi, neri come una notte senza luna e avvolti da un rosso quasi fiammeggiante, come se l’inferno gli scorresse nelle vene. Una cicatrice, ormai rimarginata, gli attraversava l’occhio sinistro. Un tipo non raccomandabile, a prima vista. Ero perso in questo pensiero quando venni atterrato con estrema facilità, fra le risate generali dei manigoldi. Dicevano di non fidarmi, però volevo vedere dove andasse a parare, quindi mi rialzai e non me ne andai, non cedetti. Lui me ne diede atto, riconobbe il mio coraggio. Ovviamente non bastava solo quello per entrare nel gruppo. Ci voleva qualcosa in più, quella cosa che distingue un uomo da un elfo, un nano da un gigante: il fuoco che lo muove dentro. Il motivo per cui ci si alza ogni mattina, la carica che ci dà ogni nuova alba, il pensiero che non ci fa stare fermi, il motivo per cui facciamo ciò che facciamo. Loro pretendevano quel ‘qualcosa’ da me.
Senza esitare, gli dissi di mettermi alla prova. Annuì e schioccò le dita, chiamando qualcuno di nome Ilikon.
Sentì la terra tremare sotto i miei piedi, dei giganteschi passi si avvicinavano a me.
Non poteva essere altro che un goliath. Enorme, 3 metri di altezza, spalle larghe quanto una capanna e un alito abbastanza pesante. Era il loro ‘guardaspalle’. Mi diede una pacca sulla spalla che mi fece spostare di 5/6 metri. Avrei tanto voluto girare i tacchi e tornare a casa, ma quello era il mio battesimo del fuoco: dovevo buttare a terra il goliath da solo. Accettai, seppur esitante.
Non vi racconterò il combattimento nei dettagli, perché non voglio dilungarmi oltre. Dico soltanto che, se dovessimo tornare ora in quel posto, potremmo trovare ancora alberi con la mia faccia impressa. Nonostante tutti i colpi che incassai, non so come, continuai ad alzarmi. Ogni. Singola. Volta. Se ancora ci penso, mi fanno male le ossa. Comunque, alla fine di tutto, mi rialzai. E crollai faccia a terra, come un sacco di patate. Qualche attimo dopo, ho sentito qualcuno che mi punzecchiava sulla schiena, come a controllare se fossi ancora vivo. Alla terza infilzatura, con uno scatto incontrollato della mia mano, blocco il suo braccio. Era il nano. Con una faccia abbastanza atterrita, devo dire. Ma non per l’azione in sé, ma quanto per l’espressione che devo avergli mostrato. Però non sono molto sicuro di quest’ultima ipotesi, anche perché, subito dopo, mi sentii arrivare un colpo sulla nuca molto forte, così forte da farmi perdere i sensi.
In questo mio stato d’incoscienza sentii le loro voci che discutevano. Penso di averle immaginate, non so. Dicevano che in un paio di giorni sarei stato pronto per la mia prima missione. Una di queste voci suonava scettica a questa decisione, ma, dopo l’insistenza di quella che ho attribuito al tiefling, cedette. A quanto pare quell’Andrakas aveva visto qualcosa in me: anche se non vinsi, dimostrai di essere forte di spirito. E questo gli bastava per farmi entrare nella loro gilda.
E quindi, questa è la storia di come sono diventato un ladro a tempo pieno.” Concludo, poggiando la schiena alla spalliera della sedia.
Il silenzio cala fra di noi, i ragazzini e mio padre mi guardano. Dopo un momento, Kyle si schiarisce la gola, mettendosi dritto.
“Scusate, ho smesso di ascoltare. Ha risposto alla domanda oppure…?” Chiede, gesticolando con la mano.
Lo fulmino con lo sguardo.
“Kyle, ho risposto prima di raccontare la storia.” Ribatto spazientito.
Il ragazzino alza gli occhi al cielo.
“Te l’ho detto, avevo smesso d’ascoltare, mi sono distratto. Che, è un crimine?” Risponde sbuffando, scostandosi i capelli da davanti gli occhi.
Mi giro a guardare sua sorella, trovandola a giocare con una forchetta.
“Kyra, anche tu?” Sbotto.
Nel sentirmi quasi urlare, sussulta, facendo cadere la forchetta a terra. Nel silenzio generale, il rumore della forchetta fa girare tutti verso il nostro tavolo. Scoppia un boato di applausi, che fa svegliare di soprassalto mio padre.
Nell’accorgermene, lo guardo irritato.
“Papà!” Urlo.
Mio padre si guarda intorno, unendosi agli applausi senza capirne il motivo.
I camerieri arrivano con i primi piatti, posandoceli davanti.
Squadro i miei commensali, giudicandoli male.
“Questa è l’ultima volta che mi confido con voi.” Affermo indicandoli con la forchetta.
Segue un coro di proteste da parte dei tre.
“Dai, Greg, non prendertela!” Mi dice Kyle, dandomi un colpetto nel fianco con il gomito.
Gli indico il piatto con la testa.
“Silenzio e mangia, che se no si fredda.” Gli rispondo per zittirlo.
Mogio mogio, segue il mio consiglio e riprendiamo a cenare.


*Angolo degli autori*
Salve a tutti, scusate il ritardo di non so quanto tempo. (Gaetano saluta con la manina, intanto)
Giuro che fra un paio di capitoli concludiamo la storia, il problema è che non sappiamo quando scriveremo i capitoli, ma penso che questo lo abbiate capito da tempo.
In ogni caso, grazie ancora a chi ci segue, non so con che pazienza, ma ok.
E niente...
Ciao a tutti!
Eli e Gae~
 
  
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