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Autore: merty_chan11    22/12/2017    0 recensioni
Pidge non avrebbe mai pensato di poter trascorrere un Natale simile, in attesa di un cenno di vita da parte dell'enorme schermo che fissava con insistenza. Non riusciva nemmeno a credere che fosse davvero lì, a centinaia di chilometri di distanza da casa, con la sua famiglia ritrovata nel tentativo di contattare una persona a loro cara...
Dal testo:
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Quanto a suo fratello, invece…Matt sosteneva che la sua nuova felpa di Star Wars fosse molto meglio e necessitasse di essere ammirata più a lungo di un “inutile maglione natalizio.”
“Non è che odi il Natale o non voglia partecipare a quest’allegra combriccola. Sai che io amo queste cose stupide, Katie” usava il suo vero nome soltanto in occasioni serie, e quella -ovviamente a detta sua- lo era. “Mi unirò solamente appena avrò superato il lutto per aver appena beccato uno spoiler dell’Episodio VIII. E che la forza sia con te.”
-Ma questo non va qui- esclamò ad un tratto dopo interminabili attimi di silenzio. Pidge fu quasi certa di aver appena attirato l’attenzione di suo fratello e del padre, che si avvicinarono poco dopo per controllare il suo operato.
[...]
Buona lettura!
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Gunderson Pidge/Holt Katie, Holt Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa storia partecipa 
al Calendario dell'Avvento del gruppo Voltron Legendary Defenders - IT su facebook.
Può contenere spoiler sulla quarta stagione!
Buona lettura,
Merty
 
Buon Natale, mamma!


Pidge era impaziente.
Non riusciva a stare ferma, le mani che districavano con abilità mnemonica il rompicapo donatole dagli Olkari poco tempo prima. Lei e suo fratello erano riusciti a risolverlo talmente tante volte che ormai lo utilizzavano più come anti-stress che come gioco per la mente vero e proprio.
Matt era in piedi poco più in là e le dava le spalle, probabilmente intento a capire cosa fosse andato storto nella progettazione del loro nuovo marchingegno. Forse qualche cavo era posizionato male, o forse avevano semplicemente assemblato in maniera sbagliata i pezzi. Stava di fatto che, nonostante le intere giornate trascorse dietro quella nuova invenzione, lo sforzo sembrava essersi rivelato vano.
Matt si chinò verso il pannello di controllo, smontando alcuni ingranaggi e cambiando certi cavi.
Pidge fece cadere il rompicapo dalle mani per l’improvvisa imprecazione sonora del fratello, trattenendo a stento un sorrisetto. L’altro, nel frattempo, si era appena seduto a gambe incrociate sul freddo pavimento della sala comunicazioni e stava osservando con attenzione i cavi che spuntavano dalla sua mano. Il luogo si riempì di un mormorio confuso, e Pidge fu quasi certa non si trattassero di parole particolarmente gentili.
-Modera il linguaggio, Matthew.
Era stato suo padre a parlare. Ed era la prima volta che l’aveva fatto da quando era entrato nella sala. Il signor Holt era stato per lo più un ospite silenzioso durante quell’esperimento. Aveva seguito il loro operato in maniera attenta, fiera, e non aveva nemmeno trasfigurato la sua espressione per la delusione non appena l’apparecchio aveva subito smesso di funzionare ancor prima di essere stato azionato. Come se in fondo sapesse che prima o poi i suoi figli avrebbero risolto il problema. Anzi, come se ne fosse praticamente certo.
Era strano, pensò Pidge, essere riuniti lì insieme in chissà quale galassia lontana da casa nel tentativo di contattare la loro madre per augurarle un buon Natale.
Insomma, non stavano chiedendo molto, no?
Soltanto una chiamata veloce, un “Mamma stiamo bene e siamo tutti e tre vivi, non aspettarci a lungo perché probabilmente questa guerra intergalattica durerà più del previsto. Ah, sapevi che stiamo combattendo in una guerra intergalattica con un robot gigante alieno?”
Tutto nella norma, dunque.
-Scusa, papà- Matt si voltò verso di loro, poggiando i gomiti sulle sue ginocchia e studiando i cavi con fare critico. Li stava osservando con talmente tanta intensità che Pidge rischiò di scoppiare a ridere immaginando che quelli sarebbero andati a posizionarsi autonomamente al posto giusto grazie ai nuovi poteri psichici del fratello.
-Da’ qua- proruppe poi lei, avviandosi verso la sua direzione. Prese i cavi tra le mani -uno rosso, uno blu e uno verde- e si avvicinò al pannello di controllo.
Sembrava un qualsiasi meccanismo come tanti altri, per un occhio poco esperto. Sembrava addirittura semplice da costruire. Ma fu tutto fuorché semplice. 
Intercettare i canali di un televisore dei primi anni ’90 con una sofisticatissima macchina aliena si era rivelato infatti più complicato del previsto.
Pidge annotò mentalmente di comprarne uno nuovo e all’avanguardia non appena fossero tornati sulla Terra. Uno enorme, con lo schermo piatto e con la connessione internet inclusa. Possibile che in casa fossero presenti computer e macchinari simili di ultima generazione -ora trasferiti e probabilmente diventati proprietà della Garrison- ma il televisore fosse di un tale schifo?
Pidge prese ad armeggiare con gli ingranaggi e con i cavi, tentando di capire cosa avessero sbagliato poco fa. Le era sempre piaciuto lavorare in quel modo con le macchine, tentare di risolvere problemi all’apparenza impossibili con semplicemente la logica e la creatività come sue armi. Era sorprendentemente rilassante farlo. Trovava però piuttosto bizzarro il fatto che a volte le macchine smettessero di funzionare non appena anche un solo elemento stava fuori posto, mentre le persone, anche se scombussolate, potevano continuare a svolgere le loro mansioni. Era una differenza sostanziale che aveva visto venir applicata perfino su se stessa durante l’assenza della sua famiglia.
Dopo la scomparsa di suo fratello e di suo padre, Pidge si era sentita…scombussolata. Non vi era altro termine per descrivere come stesse durante quei primi giorni. C’era sempre un qualcosa fuori posto, un ingranaggio o un cavo che attendevano solo di essere collocati nuovamente nella loro postazione per poter funzionare al meglio. Pidge aveva impiegato un po’ a ripararsi da sé; ma aveva scoperto, durante quel periodo difficile, di riuscire comunque a rendere quanto poteva, ad essere sempre sé stessa.
Dovette sollevare diverse volte le maniche del suo nuovo maglione natalizio mentre lavorava. Era di una taglia più grande rispetto alla sua, l’unica misura piccola che avevano trovato al centro commerciale. Aveva subito proposto a tutti di comprarne uno simile, giusto per sembrare la famigliola un po’ sbandata che portava orribili maglioni di Natale coordinati durante le feste. Allura e Coran erano subito rimasti entusiasti: volevano conoscere di più sulle usanze terrestri e non avevano esitato ad acquistare i maglioni, insieme ovviamente a dei cappellini di Babbo Natale, da aiutanti elfi e a stupidi dolci di zucchero e marzapane. Come ci fosse un negozio simile nello spazio, Pidge non osava chiederselo. Ma, d’altronde, era lei quella che in quel momento stava tentando di compiere un’impresa quasi titanica.
Lance, Shiro e Hunk avevano anch’essi dato subito il loro assenso, portando a casa, oltre ai maglioni, un piccolo albero di Natale e tanti addobbi. Lance aveva acquistato talmente tante scatole di luci natalizie da poter creare una bizzarra Morte Nera personalizzata. Perfino Keith, che aveva deciso di tornare per le feste con il permesso di Kolivan, aveva apprezzato lo strano maglione che gli avevano regalato. Quanto a suo fratello, invece…Matt sosteneva che la sua nuova felpa di Star Wars fosse molto meglio e necessitasse di essere ammirata più a lungo di un “inutile maglione natalizio.”
“Non è che odi il Natale o non voglia partecipare a quest’allegra combriccola. Sai che io amo queste cose stupide, Katie” usava il suo vero nome soltanto in occasioni serie, e quella -ovviamente a detta sua- lo era. “Mi unirò solamente appena avrò superato il lutto per aver appena beccato uno spoiler dell’Episodio VIII. E che la forza sia con te.”
-Ma questo non va qui- esclamò ad un tratto dopo interminabili attimi di silenzio. Pidge fu quasi certa di aver appena attirato l’attenzione di suo fratello e del padre, che si avvicinarono poco dopo per controllare il suo operato.
Armeggiò con gli ingranaggi e con i cavi un’ultima volta prima che lo schermo si tinse di blu, proiettando, poco dopo, l’immagine del loro soggiorno.
Fu tutto una confusione dopo. L’immagine sullo schermo era comparsa così in fretta che non aveva nemmeno avuto il tempo per metabolizzare quanto aveva compiuto.
Suo fratello l’aveva poi abbracciata per la felicità, complimentandosi con lei per aver saputo risolvere il problema. Come sempre. Suo padre li raggiunse poco dopo, appoggiandosi incerto sul suo bastone da passeggio. Pidge incrociò il suo sguardo e notò che il signor Holt le aveva appena fatto l’occhiolino, mettendosi accanto al figlio maggiore. Rimasero poi tutti e tre in attesa, nella speranza che sua madre comparisse davanti allo schermo. 
Pidge sentì l’adrenalina montarle dentro. Non era spaventata; non riusciva a stare inchiodata al suo posto perché non sapeva come reagire esattamente di fronte alla vista di sua madre. Era felice, e forse un po’ troppo esuberante per poter affermare di non vederla da più di un anno e mezzo rischiando di farla morire dallo spavento.
Pidge si accorse solo in quel momento di quanto le mancasse terribilmente la sua vecchia casa, sua madre, e le chiacchierate interminabili che faceva con lei durante i lunghi pomeriggi in cui né Matt né suo padre sembrava volessero tornare a casa. Voleva raccontarle delle sue esperienze lì, nello spazio. Voleva che sua madre fosse fiera di lei e riaccendesse la fiamma della speranza che era stata provata da troppo vento, troppa burrasca.
La casa era stranamente addobbata per Natale. Le vecchie luci, quelle a forma di stelle che lei e Matt adoravano posizionare sopra il cammino, rilucevano sotto la lampada soffusa del soggiorno mandando bagliori arcobaleno in tutte le direzioni. C’erano tanti adesivi poi, tante piccole renne e pupazzi di neve giocattolo posizionati un po’ alla rinfusa, nel loro ordine così maledettamente scomposto da stonare contro l’immacolato castello dei Leoni. Probabilmente sua madre aveva addobbato la casa per sentirsi meno sola, per tenersi occupata. Come se quel gesto così familiare potesse far comparire loro davanti alla sua figura.
Poco vicino al vecchio camino, che appariva tagliato leggermente a causa dello schermo minuscolo del televisore, vi era il loro albero di Natale, quello su cui Pidge si divertiva a mettere la stella sulla punta con l’aiuto di Matt che la sollevava tenendola sulle sue spalle.
Le luci dell’albero funzionavano male, forse addirittura peggio rispetto a due anni prima. Si accendevano ad intermittenza, con ritmi irregolari, stonando con le luci del camino che sembravano più programmate, più meccaniche. 
Pidge ridacchiò pensando a quanto effettivamente fosse cocciuta la sua famiglia. Il gene della testardaggine era parecchio comune tra gli Holt. Era un po’ il loro difetto fatale.
“Se le luci funzionano ancora, possiamo tenercele” aveva detto sua madre alla se stessa appena decenne, incuriosita dal perché non si decidessero a comprarne delle nuove. In fondo, era forse per lo stesso motivo per cui tenevano ancora quel vecchio televisore.
E sull’albero vi era qualcosa che prima non aveva scorto, un qualcosa che le fece immediatamente salire le lacrime agli occhi. Pidge tentò di scacciarle via ma fu troppo tardi. Stava già piangendo.
Sua madre aveva messo una loro vecchia foto, foto in cui erano stati ritratti tutti e quattro sorridenti e con indosso degli strani cerchietti con le corna delle renne.
Pidge aveva appena compiuto quattro anni, all’epoca in cui era stata scattata quella foto, e Matt ne aveva invece otto. Entrambi avevano il sorriso che copriva tutto il loro viso; quello di suo fratello era coperto dagli occhiali troppo grandi che cadevano spesso sul suo naso. C’era una strana fierezza nel volto di Matt mentre esibiva quell’espressione, come se andasse davvero fiero nel mostrare di aver perso due denti da latte in un sol colpo.
Sembrava fosse passata un’eternità da allora, da quando potevano festeggiare il Natale senza preoccuparsi di un’imminente guerra intergalattica o di robot giganti o di sparizioni di membri della famiglia.
Poi ci fu un rumore, come di stoviglie che cadevano a terra, e Pidge fu riportata alla realtà. Una figura minuta si parò davanti al televisore, lo sguardo misto ad incredulità e gioia e sgomento.
Sua madre era esattamente come la ricordava. Minuta, con i capelli corti simili a quelli dei folletti di cui lei e Matt leggevano le storie da piccoli, e con i suoi due occhi castano-verdi più espressivi di mille parole.
Era sconvolta, lo si poteva leggere dallo sguardo. Tutti lo erano. Pidge si voltò di sottecchi per osservare il fratello, che a quanto pareva non aveva saputo trattenersi. Le guance di Matt erano rigate dalle lacrime, la bocca però incurvata in un piccolo sorriso.
-Mamma- riuscì a dire Pidge, la voce rotta per la contentezza e per il pianto imminente. Il paladino verde si avvicinò ancora di più allo schermo, toccandolo con una mano. Era un gesto stupido, privo di logica. Se ne rendeva conto. Ma non le interessava comportarsi in maniera razionale in quel momento. Forse non le si addiceva nemmeno più di tanto. Buffo come la ragazza hacker potesse distaccarsi così tanto da reazioni logiche e prive di sentimento, lasciandosi semplicemente trasportare da ciò che provava.
-Stiamo bene. Siamo tutti qui adesso- nessuno dei suoi familiari sembrava intenzionato a prendere parola, così lei continuò.
-Sai, ho un robot gigante adesso- prese a dire, tutto il suo corpo tremante. Sua madre non aveva ancora parlato, troppo occupata a passare in rassegna i membri della sua famiglia con il suo sguardo come se potessero sparire da un momento all’altro, come se potesse essere tutto una finzione e stesso in realtà tutti sognando. La mano era premuta contro la sua, separata soltanto dai vetro degli apparecchi e da centinaia di chilometri di distanza. Il video era leggermente disturbato. Andava a scatti, forse a causa della lontananza e per colpa del vecchio televisore.
A Pidge non importò, e continuò a parlare. 
-È una leonessa. Si chiama Green ed è fantastica- si sentiva una bambina a raccontare le cose a quel modo, ma continuò a non darci peso.
-Ed è il braccio di un robot molto più grande, Voltron. Stiamo cercando di riportare la pace in tutto l’universo. E poi ho ritrovato Matt, e insieme abbiamo ritrovato anche papà, e…e…-
Suo padre le si avvicinò in silenzio, mettendole una mano sulla spalla. Il signor Holt aveva occhi solo per la moglie, e la osservava senza trattenere il sorriso. Poggiò anche lui la mano sullo schermo, la fede scintillante contro le luci della sala.
Matt era invece rimasto indietro nascondendosi il volto con le mani mentre continuava a piangere.
Pidge cercò di continuare il discorso, ma non ci riuscì. Sembrava che le parole non volessero uscire fuori, intrappolati sotto strati di troppe lacrime non versati. Tentò di nuovo, ma la sua voce si incrinò, rassomigliando più ad un suono spezzato. 
Adesso piangevano tutti. Lei, suo fratello, suo padre e sua madre, ciascuno incapace di aprir bocca e di spezzare quel momento tanto atteso.
Pidge sentì Matt cingerla fra le sue braccia e lei vi si strinse con forza.
-Questo è il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto- la voce di sua madre appariva così vicina, così reale.
-Meglio del karaoke che abbiamo comprato anni fa?- le chiese Matt, sorridendo tra le lacrime.
Pidge rise pensando a quel vecchio Canta tu per cui sua madre andava letteralmente pazza. Ogni qualvolta potessero, lo usavano. Pidge ricordava le serate trascorse a cantare davanti allo schermo del loro computer, con lei che finiva irreparabilmente per arrabbiarsi perché non capiva come Matt potesse eccellere quando lei era stonata come una campana.
-Il Canta tu è imbattibile, Matthew- rispose la madre, e scoppiarono tutti a ridere.
La comunicazione si interruppe all’improvviso, e lo schermo tornò alla sua monocromatica sfumatura di blu. Probabilmente il vecchio televisore non era riuscito a reggere oltre un’intercettazione proveniente da una galassia aliena e distante come quella in cui si trovavano.
Tutto si era ormai dissolto in una manciata di pixel: la loro vecchia mensola del camino, il loro soggiorno, l’albero di Natale con la foto di famiglia appesa sopra. Anche il viso di Colleen Holt era sparito, ma Pidge fu quasi certa che non avrebbe mai dimenticato il suo sorriso, la speranza che si era riaccesa come una fiamma immortale nei suoi occhi. 
Sua madre li aveva visti di nuovo e sapeva che erano vivi, che stavano attualmente bene, e che probabilmente prima o poi sarebbero tornati a casa a trascorrere le loro giornate com’erano un tempo abituati.
Probabilmente avrebbero tentato di chiamarla altre volte, in futuro. Avevano trovato un modo per comunicare e l’avrebbero sfruttato fino in fondo, cercando oltretutto di migliorarlo. 
Ma era ancora troppo presto per pensarci. Pidge fu soddisfatta di quella loro nuova invenzione, e fu grata di essere riuscita a farla funzionare per tempo. 
Quando Matt e suo padre uscirono dalla sala per avviarsi verso la cucina in attesa del pranzo, il paladino verde rimase per qualche altro minuto ad osservare il dispositivo blu che tingeva la stanza di un colore tale quasi si trovasse sott’acqua.
-Buon Natale, mamma- sussurrò allo schermo, mettendosi poi a correre non appena il rumore delle canzoni festive riempì le sale del Castello.
  
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