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Autore: Ode To Joy    24/12/2017    5 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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31
Di fughe ed inseguimenti




La rosa nera tra le sue dita era calda, come se fosse viva.

Qualcuno, però, l’aveva recisa e non lo sarebbe rimasta per molto.

Erano state le sue mani a compiere quel crimine innocente?

Non ne era certo: i fiori non lo avevano mai interessato.

Eppure, quella rosa nera faceva parte della sua storia. Della storia dei suoi genitori, per essere precisi. Il roseto che il sovrano di Seijou aveva fatto piantare nei giardini reali, proprio sotto la balconata della sua camera, era l’unica cosa che era rimasta di un amore ormai finito… Oltre a lui.

In un certo senso, quella rosa nera era una curiosa rappresentazione di se stesso.

L’amore tra il Re Demone ed il suo Primo Cavaliere era morto da tempo ma lui e quel fiore c’erano ancora, entrambi vivi ed appena sbocciati.

Quella rosa, però, non sarebbe vissuta a lungo, non avrebbe avuto il tempo di richiudere i petali corvini e di esaurire la sua esistenza un petalo alla volta. Quel fiore sarebbe morto così, prematuramente ed al massimo del suo splendore.

Sfiorò il velluto corvino di uno dei petali con la punta delle dita e questo si staccò dagli altri.

I suoi occhi blu ne seguirono la discesa fino a che non finì a terra e lì rimasero, come ipnotizzati.

Seguì una goccia di sangue.

Sbattè le palpebre un paio di volte. Una seconda goccia cadde accanto al petalo ed una terza. Portò gli occhi sulle sue mani ma non era lui a sanguinare, bensì la rosa.

La paura gli strinse il cuore in una morsa ed un secondo petalo cadde. Altro sangue si riversò sul terreno, come una pioggia scarlatta.

Preso dal panico, strinse le dita intorno al fiore per impedire ad altri petali di cadere a terra. Il sangue cessò ma la rosa divenne fredda contro il palmo della sua mano.

Ogni suo tentativo di salvarla era stato inutile.

Era morta.






Quando Tobio aprì gli occhi, il cielo era striato di rosa.

Intorno a lui, le spighe di grano erano agitate dalla brezza dell’alba. Si mise a sedere lentamente e  quando i suoi muscoli protestarono per la posizione scomoda in cui erano stati costretti tutta la notte, strinse le labbra.

Shouyou era ancora accanto a lui. Giaceva su di un fianco, le ginocchia strette al petto: doveva avere freddo. Tobio non lo svegliò, non ancora.

Approfittò di quel vantaggio per guardarlo, per pensare.

Si era addormentato cullato dal bagliore di quelle iridi d’ambra liquida e dal silenzio che era seguito dopo quel bacio e quello dopo e quello dopo ancora…

Shouyou non aveva infranto quella quiete per porre domande, per cercare certezze. Era rimasto in silenzio tra le sue braccia e, semplicemente, lo aveva guardato fino a che il sonno non aveva avuto la meglio.

Tobio appoggiò le braccia alle ginocchia e chinò la testa in avanti lasciando andare un sospiro stanco. Non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi, ma era certo che quella che gli stringeva il cuore non fosse l’emozione giusta.

Faceva male, gli chiudeva lo stomaco e, al contempo, aveva una gran voglia di vomitare.

Non era disgusto. Sarebbe stato tutto dannatamente semplice se fosse stato disgusto.

L’immagine degli occhi di Shouyou nella notte, con la luce delle lucciole a far loro compagnia, era impressa a fuoco nella sua mente e nemmeno tenere gli occhi aperti serviva a liberarsene.

Avvertì un movimento alle sue spalle e si fece rigido nel sentire qualcosa toccargli la schiena. “Buongiorno…”

Tobio poteve sentire il sorriso di Shouyou nel tono della sua voce e respirare divenne improvvisamente difficile.

Il dolore, però, rimase  al suo posto all’interno del petto, vicino al cuore.

Avvertì Shouyou stiracchiarsi addosso a lui, appoggiare la schiena alla sua. Poteva sentire chiaramente la curva della nuca contro la sua spalla. Doveva aver alzato gli occhi verso il cielo. Tobio, da parte sua, riusciva solo a fissare il terreno.

Non parlava, il Principe dei Corvi ed il Principe Demone non sapeva cosa pensare. Era stato colto dal panico a sua volta o, semplicemente, gli stava lasciando il suo spazio? La naturalezza con cui lo toccava era una risposta più che sufficiente.

Tobio strinse i pugni e desiderò ardentemente che il mondo finisse in quell’istante.

“Tobio?” Nell’udire Shouyou pronunciare il suo nome, il Principe Demone si arrese all’evidenza che non sarebbe accaduto. Nessun drago sarebbe volato su quelle campagne reclamando la sua attenzione. Non c’era un’impresa verso cui scappare.

Per una volta, il Principe che era divenuto leggenda ancor prima di compiere quindici anni era da solo di fronte a qualcosa di tanto comune da essere terrorizzante: un sentimento verso qualcun altro.

E non sapeva come affrontarlo.

Shouyou staccò la schiena dalla sua e Tobio avvertì la pressione gentile di quegli occhi d’ambra sulla sua nuca. Non lo stava tirando verso di sè, era una sensazione simile a quella di piccole dita che s’infilavano tra le sue.

La stessa sensazione che aveva provato per davvero la notte precedente, quando Kenma li aveva condannati entrambi a morte e, invece di scappare, Shouyou gli aveva preso la mano.

Perchè Tobio non l’aveva lasciata andare?

Perchè l’aveva stretta e lo aveva condotto in quel luogo?

Perchè aveva spinto il proprio cuore sull’orlo dell’abisso sapendo di non poter affrontare la caduta? Tra loro due, non era lui quello con le ali.

Shouyou non chiamò il suo nome una seconda volta. Fu Tobio a voltarsi, ad affrontare quella luce.

Negli occhi grandi di Shouyou non c’era confusione o urgenza. Tobio non conosceva le parole giuste per descrivere la sua espressione ma no, non vi trovò alcuna traccia della paura che attanagliava il suo cuore.

Shouyou sorrise e Tobio rivide Tooru in quel sorriso. Seguì il panico.

“Torniamo indietro,” disse alzandosi in piedi.

Shouyou lo guardò dal basso verso l’alto ed anche così Tobio si sentì costretto in una posizione svantaggiosa. Strinse le labbra, distolse lo sguardo e allungò distrattamente una mano in direzione del Principe dei Corvi. “Andiamo,” ripetè.

Shouyou si alzò senza afferrarla.






Fu Tadashi a scatenare il panico. “Kei!” Urlò entrando nella camera che divideva con il suo amico d’infanzia. Impiegò meno di un istante a raggiungere il letto del giovane Cavaliere e tanto bastò a Kei Tsukishima per fissare il soffitto bianco della stanza e rimpiangere ogni scelta di vita che lo aveva condotto fino al Regno di Seijou.

“Kei!” Urlò di nuovo Tadashi scuotendolo. “Kei!”

“Sono sveglio!” Ringhiò il Cavaliere mettendosi a sedere. Imprecò a denti stretti contro chiunque gli venisse in mente, ma si ritrovò a ripetere il nome dei sovrano di Nekoma e Fukurodani un paio di volte di troppo. “Maledizione…” Sibilò prendendosi la testa tra le mani.

Aveva perso il conto dei calici di vino che i due idioti gli avevano versato in gola a cinque e tutto il resto lo aveva scordato. “Ho ballato sul tavolo?” Domandò orripilato..

Tadashi inarcò le sopracciglia. “Cosa?” Domandò. “Sicuro di essere sveglio, Kei?”

Il Cavaliere strinse le labbra ed annuì due volte, poi afferrò l’amico per il colletto della camicia senza guardarlo in faccia. “Ho ballato sul tavolo?” Ripeté fissando il muro di fronte a sè come se potesse sbriciolarlo con uno sguardo.

“Ci sei collassato sul tavolo!” Ribatté Tadashi irritato liberandosi della sua mano. “Kei, Shouyou non si trova!”

Kei si lasciò ricadere sul letto con un gemito. “Che bella notizia…” Mormorò.

Tadashi sgranò gli occhi. “Sei ubriaco?” Domandò sorpreso.

“No,” rispose Kei abbracciando il cuscino. “Sono assolutamente lucido nell’affermare che sono lieto di sapere che il nostro Principe non è nei paraggi.”

Tadashi non seppe cosa dire per un lungo minuto. “Non ha dormito nel suo letto!” Continuò con voce più stridula. “E nessuno sa dove sia Tobio!”

“Saranno insieme...“ Tagliò corto il Cavaliere lasciando che il sonno avesse di nuovo la meglio su di lui.

“Questo significa che hanno passato la notte insieme, Kei!” Tadashi si sedette sul letto con un sospiro stanco. “Lo so che tu non lo credi possibile ma io penso che dovresti darmi ascolto: sta succedendo qualcosa tra Shouyou e Tobio… Qualcosa, capisci?”

“No…” Biascicò il Cavaliere.

Tadashi si prese la testa tra le mani. “Che cosa dobbiamo fare?” Si domandò in panico. “Il nostro compito è proteggerlo e facciamo del nostro meglio ma il motivo per cui Shouyou è rimasto qui è legato a Tobio e… Oh, dovremmo impedirgli di danneggiare il suo onore, vero? Fa parte del nostro compito anche questo, giusto? Però se Shouyou vuole... E non possiamo comunque impedirgli di vedere Tobio perchè è per lui che…”

Un lieve russare lo interruppe. Tadashi si voltò molto lentamente verso il Cavaliere addormentato e lasciò andare un altro sospiro. “E se Shouyou s’innamorasse di Tobio, Kei?” Domandò, pur sapendo che l’altro non lo ascoltava. “Se Shouyou si facesse nel male in un modo da cui noi non possiamo proteggerlo?”

“Stai zitto, Tadashi,” mugugnò Kei affondando il viso nel cuscino.





***





Quella mattina, Tooru si era svegliato con uno strano senso di serenità.

Il sole aveva appena tagliato l’orizzonte e l’aria era piacevole. Indossò i primi vestiti che trovò e si spostò nel salottino privato cercando di fare meno rumore possibile.

Un sorriso gli graziò le labbra nel trovare il Primo Cavaliere di Seijou ancora addormentato sul divano di fronte al caminetto spento. Hajime si era addormentato con addosso i vestiti del giorno precedente, i piedi appoggiati sul bracciolo imbottito ed un braccio piegato dietro la testa.

Tooru incrociò le braccia sullo schienale del mobile e vi appoggiò il mento. Il respiro del suo Cavaliere era tranquillo e la sua espressione serena.

Una malinconia tinta di nostalgia strinse il cuore di Tooru ma solo per un istante. Voltò lo sguardo verso le finestre: non c’erano nuvole in cielo.

Hajime si mosse improvvisamente, come se si fosse accorto della sua presenza. Tooru riportò gli occhi su di lui e tornò a sorridere. “Ben svegliato, mio Cavaliere.”

Hajime borbottò qualcosa simile ad un buongiorno, poi si mise a sedere con un mugolio.

“Mal di schiena?” Domandò Tooru.

Hajime annuì, appoggiò le spalle allo schienale del divano: era tutto un dolore ed il mal di testa del giorno non se ne era ancora andato.

Tooru gli strinse le spalle. “Fatti un po’ più avanti.”

Hajime ubbidì quasi istintivamente: sapeva cosa sarebbe seguito.

“Togliti la camicia,” aggiunse il Re.

Il Cavaliere lo fece. Non appena le mani calde dell’altro presero a massaggiargli le spalle, chiuse gli occhi e lasciò andare un sospiro.

“Perchè non ti togli questi vestiti e non vai di là a riposare?” Propose Tooru gentilmente. “Io ho alcuni documenti di cui occuparmi, non farò rumore.”
Hajime scosse appena la testa. “I folli sono rimasti… Quanto? Due… Tre giorni senza di me? Ho paura di vedere cosa mi aspetta di sotto.”

Tooru ridacchiò. “Ancora il castello è tutto intero,” lo rassicurò. “Se escludiamo le parti già danneggiate…”

Hajime storse la bocca in una smorfia. “Di sotto regna l’anarchia, me lo sento.”

“Prova ad essere ottimista.”

“L’anarchia è un livello di caos ottimistico.”

Tooru rise. “Li adori proprio, eh?” Disse passando distrattamente il pollice tra i corti capelli neri sulla nuca del Cavaliere. “I tuoi uomini, dico.”

“Mi ritrovo a pensare ad almeno tre diversi modi per ucciderli dolorosamente ogni giorno.”

“Hajime!”

“È l’unica cosa che m’impedisce di farlo sul serio!” Si giustificò il Primo Cavalieri.

Tooru scrollò le spalle. “Sei sei tanto stanco, puoi sempre lasciare il comando a Tobio per un po’... Sarebbe un buon modo per prepararlo a quello che lo aspetta.”

“Sarebbe un pessimo modo per prepararlo a quello che lo aspetta!” Replicò Hajime assecondando i movimenti della mani di Tooru. “I folli divengono improvvisamente docili e collaborativi con lui. Non lo vedono come un leader. Per loro, Tobio è mio figlio. È il piccolo Principe che hanno visto crescere e non sarà sufficiente che erediti il mio titolo perchè lo vedano come un uomo.”

Tooru sospirò. “Beh… Almeno loro potrebbero seguirlo con il cuore. Com’è la situazione con i giovani nobili?”

“Lo hanno seguito nelle campagne…”

“Lo so questo.”

“Mi auguro che, al loro ritorno, qualcosa sia cambiato.”

“La fine di un’estate può davvero bastare a fare di Tobio il Principe della sua Corte?” Si domandò Tooru con un po’ di pessimismo.

Hajime gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Tobio è già il Principe del popolo e questa è una sicurezza che mi permette di dormire sereno la notte. Nessun nobile può permettersi di toccarlo fin tanto che ha le masse dalla sua parte.”

“Sì, Hajime ma è così solo per le sue imprese,” replicò Tooru. “Tobio è amato perchè è una leggenda. Perchè ti segue in battaglia ancora fanciullo, perchè abbatte draghi e perchè, sì, è figlio di una storia di cui la gente parlerà per molto, moltissimo tempo. Essere Re è un’altra cosa, non è sola la gloria delle grandi imprese.”

“Parli tu?” Disse Hajime un poco acido.

Le mani di Tooru si fermarono per un attimo ma non si allontanarono dalle spalle del Cavaliere. “Potere e gloria sono due cose diverse,” disse.

“Ah… Davvero?”

“È uno dei motivo per cui con Wakatoshi non ha funzionato,” aggiunse Tooru con una nota di crudeltà.

Era un contrattacco e Hajime lo accettò stringendo le labbra. “Non si può desiderare di conquistare la cima del mondo in due, Tooru.”

“Non si trattava solo di quello,” spiegò il Re. “Il potere di un sovrano è terreno, quasi materiale. Non può andare oltre la morte, può solo lasciare indietro qualcosa che valga la pena ricordare.”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Non è quello che pensa Wakatoshi.”

“La sete di potere di Wakatoshi è qualcosa che non riesco a calcolare, Hajime,” disse Tooru. “Non si tratta delle conquiste, non si tratta di rendere Shiratorizawa il Regno più potente mai esistito… Si tratta di lui, del sangue del suo sangue. Si tratta di un tipo d’immortalità che non riesco a comprendere… Potrei quasi definirla delirante.”

Hajime abbassò lo sguardo. “Per questo siamo caduti a pezzi?” Domandò. “Per costruire la nostra immortalità?”

Tooru si umettò le labbra. “Del nostro amore parleranno ancora quando saremo entrambi polvere, Hajime. La nostra immortalità ce la siamo costruita insieme.”

“E a te non è bastato,” concluse il Primo Cavaliere con un sorriso amaro. Si alzò in piedi e Tooru non cercò di trattenerlo.

“Mi chiedo se ne secoli racconteranno tutta la storia,” disse Hajime guardando il suo sovrano negli occhi. “Oppure la faranno finire nel punto che più si avvicina ad un lieto fine.”

Tooru accennò un sorriso. “La nascita di Tobio…”

“Il Principe Cacciatore di Draghi.”

Il Re Demone ridacchiò, poi il suo viso si tinse di un’emozione più cupa ma anche più profonda. “La storia non è ancora finita, Hajime.” Non seppe perchè lo disse, perchè decise di farsi del male.

Il Primo Cavaliere continuò a sorridergli in quel modo tanto malinconico da spezzargli il cuore. “Siamo prigionieri di un sortilegio, io e te,” disse recuperando la sua camicia ad indossandola. “Un sortilegio che impedirà a questa di finire per sempre, Tooru. Non possiamo vivere l’uno senza l’altro ma restare vicini equivale a farci del male. Che sia bellissimo o terribile, lasciamolo decidere a chi racconterà la storia.”

Un sorriso triste comparve sul viso di Tooru. Non replicò in alcun modo e Hajime decise di togliere il disturbo.





***





“Oggi in che cosa ci alleniamo?” Domandò Shouyou non appena girarono l’angolo.

Tobio gli lanciò un’occhiata veloce. “Hai la giornata per te,” rispose.

“Non sono stanco,” Shouyou allungò il passo e lo affiancò. “Mi piacerebbe continuare con le lezioni di volo,” disse con un sorriso. “Non quelle in cui trasformo te ma possiamo rivedere i segnali, testare fino a che punto posso controllarmi.”

“Non oggi, Shouyou,” disse Tobio con voce controllata ma scostante.

Il sorrise del Principe dei Corvi si spense. “Perchè fai così?”

Tobio si fermò, i pugni stretti. Non biasimava Shouyou per quella domanda, era rimasto in silenzio anche troppo a lungo.

Il Principe Demone, però, non era ancora venuto a capo di niente. “Non porre domande di cui non sei pronto a conoscere la risposta.” Era lui a non essere pronto a darne una ma scaricare ogni cosa su Shouyou era terribilmente semplice. Tobio si sentiva un verme.

Suo malgrado, il Principe dei Corvi non era codardo nemmeno la metà di lui. “Di che cosa dovrei aver paura?” Domandò spostandosi di fronte al fanciullo dagli occhi blu.

Tobio era senza parole. In quel momento, se il cielo fosse diventato nero non se ne sarebbe neanche accorto. “Di che cosa dovresti aver paura?” Ripeté con un filo di voce.

Shouyou annuì. “Siamo io e te, Tobio. Di che cosa dovrei aver paura?”

Per Tobio, era completamente folle. “Siamo la condanna a morte l’uno dell’altro, Shouyou.”

Il Principe dei Corvi non parve colpito in alcun modo da quelle parole. “Lo eravamo anche ieri notte,” rispose. “Da quel che ci hanno detto, lo siamo dal giorno in cui siamo nati.”

Tobio inspirò aria dalla bocca. “Non fare lo stupido.”

“Tu non fare lo stupido!” Replicò Shouyou con forza. “Posso sentire il rumore dei tuoi pensieri fino a qui. Non tornare a chiuderti in te stesso, Tobio! È troppo tardi!”

È troppo tardi!

Tutto era racchiuso in quelle tre parole. Ripensò alla rosa nera nel suo sogno, alla disperazione a cui aveva cercato di salvarla.

È troppo tardi!

“Te ne devi andare,” disse senza riflettere ma con voce terribilmente atona.

Shouyou sgranò gli occhi. “Cosa?”

“Alla fine dell’estate,” disse Tobio con più fermezza. “Non appena torneremo al Castello Nero, il Re Demone scriverà a tuo padre e tu tornerai a Karasuno.”

Fu il turno di Shouyou di rimanere senza parole. “No,” fu la sua risposta.

Tobio avrebbe voluto prenderlo a pugni. “Idiota…”

“Ti ho detto che un’estate non mi basta!” Esclamò Shouyou. “Ti ho detto che non voglio scappare! Ti ho detto tutto quello che provavo, Tobio! Tu hai fatto lo stesso con me e quando non ci sono più bastate le parole, abbiamo…”

Tobio lo superò, si rifiutò di ascoltare oltre.

Shouyou affondò le unghie nei palmi delle mani e si morse il labbro inferiore. “Tobio!” Chiamò inseguendolo fino al cortile interno della tenuta. “Tobio!”

La discussione s’interruppe lì.

“Ma tu guarda se non è il nostro nipotino preferito, Issei!”

“E sembra in buona compagnia!”

Tobio si era bloccato al centro del cortile e Shouyou era rimasto pochi metri dietro di lui. Sotto il portico, la festa della scorsa notte stava avendo seguito ma con qualche ospite in più.

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Mi padre lo sa che siete qui?” Domandò arrivando sotto al portico.

Takahiro gli circondò le spalle con un braccio ed Issei gli porse un boccale di birra. “Tu rilassati!” Esclamò il primo.

“Siamo tutti rilassati,” aggiunse il secondo.

“No, no, no,” Keiji uscì dalla porta d’ingresso per togliere dalle mani del Principe il boccale di birra. “È appena l’alba e sta pur tranquillo che resterò a guardare mentre diventi così,” indicò la panca appoggiata al muro. Koutaro e Tetsuro vi erano seduti, abbracciati e sorridenti. Canticchiavano ancora una di quelle volgari canzoncine da taverna ma avevano gli occhi chiusi ed era impossibile capire qualunque parola uscisse dalla loro bocca.

Tobio li fissò a lungo, mentre Keiji rientrava in casa.

“Sono così da ieri notte?” Domandò il Principe Demone.

“Noi siamo arrivati poco prima dell’alba,” raccontò Takahiro. “Abbiamo visto che gli animi erano allegri e ci siamo detti perchè no?” Prese un sorso di birra.

Tobio fece una smorfia. “Non mi sorprende.”

“Altezza,” salutò una voce alle sue spalle.

“È bello vedervi qui!” Rispose con allegria la voce di Shouyou.

Tobio si voltò: sul lato opposto del portico, Futakuchi, Aone ed alcuni soldati di Dateko sedevano e mangiavano. Shouyou li salutava con cortesia.

“Oh, sì, abbiamo portato compagnia,” intervenne Issei.

Tobio li guardò entrambi con gli occhi sgranati ed una vena prese a pulsare sulla tempia. “Se voi siete qui,” disse quasi ringhiando. “Se quei due sono qui,” indicò Koutaro e Tetsuro, i quali avevano preso a spintonarsi a vicenda per potersi stendere sulla panca. “E se tutti i giovani Cavalieri di Seijou sono qui… Chi diavolo è rimasto a proteggere il Castello Nero?!”

Takahiro si allontanò dal Principe coprendosi le orecchie con le mani. “Tutto suo padre…” Commentò.

“Eggià,” concordò Issei prendendo un altro sorso di birra. “Poveri noi.”




***




Tooru era occupato con i suoi documenti da meno di un’ora, quando un tremante Kaname bussò alla sua porta. “Il Primo Cavaliere richiede la vostra presenza, Maestà,” disse.

Il Re Demone inarcò le sopracciglia confuso. “Hajime chiede di me?” Domandò. “Se ne è andato meno di un’ora fa…”

Kaname abbassò lo sguardo con imbarazzo. “In realtà, mio signore, siamo noi della Corte ad aver bisogno di voi.”




***




Disteso nella vasca da bagno piena di acqua tiepida, con la nuca appoggiata al bordo di marmo bianco, Shoyou era serio, silenzioso. Tadashi si muoveva intorno a lui, parlava concitatamente ma il Principe non lo ascoltava.

Nella sua mente continuavano a ripetersi tutte le parole che Tobio gli aveva urlato contro la notte precedente. Cancellare l’immagine del suo viso rigate dalle lacrime era impossibile.

Quello che era accaduto non era stata una scintilla nel buio. C’erano gli eventi di tutta un’estate dietro. Shouyou se ne rendeva conto solo in quel momento.

“Mi stai ascoltando?” Domandò Tadashi con voce stridula.

Shouyou sobbalzò. “Hai detto qualcosa?” Domandò guardandolo mortificato.

Tadashi s’indispetti, prese tra le mani il secchio pieno d’acqua accanto alla vasca e lo gettò sopra la testa del Principe senza troppe cerimonie.

“Ah!” Esclamò Shouyou preso alla sprovvista. “È gelida!”

“Ci hai fatto preoccupare a morte!” Esclamò Tadashi, come un genitore indignato per l’indifferenza del figlio per i propri sentimenti. “Non hai passato la notte nel tuo letto, Shouyou! Sai come ci hai fatto sentire?”

Il Principe dei Corvi lo guardò confuso. “Ero con Tobio. Con chi pensavate che fossi?”

Tadashi strinse le labbra e sospirò. “Appunto…”

“Cosa vorrebbe dire?” Domandò Shouyou. “Sono qui per stare con Tobio. Non c’è nulla di cui sorprendersi.” Il colorito che gli accese le guance lo tradì.

Tadashi sentì il respiro venire meno per un istante. “Shouyou…”
“Cosa?” Il Principe fissò l’acqua della vasca per non doverlo guardare in faccia. “Mi ha portato a vedere le lucciole. È successo solo questo, nulla di più.”

Tadashi se ne rimase immobile, il secchio vuoto stretto al petto. Un dolore sconosciuto gli spezzò il respiro per un istante. “Shouyou…” S’inginocchiò. “Qualcosa ti ha scosso, non negarlo.”

“Non è successo niente,” insistette l’altro.

Tadashi sorrise pazientemente. “Non sei mai stato bravo a mentire, Shouyou.”

Sì, era una delle cose che il Principe dei Corvi aveva in comune con il Principe Demone.

La cruda sincerità di Tobio era una delle armi con cui si era conquistato il suo personale regno di solitudine. Shouyou aveva provato l’asprezza di quel fendente su di sè in più di un’occasione ma, forse per ingenuità, non lo aveva mai ferito abbastanza da convincerlo ad andarsene.

“Perché non la smetti d’investirmi con quello che senti tu, invece? Credi che sia facile, stupido, starmene qui a subire ogni tua emozione quando io non riesco nemmeno a dare un nome alle mie? A che cosa servirebbe dirti che non ho mai desiderato la vicinanza di nessuno ma che sono terrorizzato dalla solitudine da quando ci sei tu?”

Shouyou si strinse le ginocchia al petto, infilò le dita tra i capelli umidi. Sentiva le lacrime pungere agli angoli degli occhi, il cuore faceva male.

“Shouyou…” Tadashi gli strinse una spalla per rassicurarlo. “Sono qui. Sai che puoi fidarti di me, se hai bisogno di parlare.”

Perso nei suoi pensieri, Shouyou non gli rispose.

“Cambierebbe qualcosa se ti confessassi che tengo le distanze da te perché spingerti via mi è più sopportabile di aspettare che tu decida di lasciarmi indietro?”

Shouyou sentì il respiro venire meno per un istante. Gli occhi d’ambra si fecero grandi mentre tutta la questione assumeva sfumature completamente diverse da quelle che aveva visto fino a quel momento. La notte precedente, Tobio non aveva versato una lacrima per la profezia che li riguardava. Non era il destino che lo spaventava e nemmeno la promessa di morte che era stata sussurrata dal vento quando avevano deciso di restare insieme.

Sollevò gli occhi ed incontrò quelli colmi di preoccupazione di Tadashi.

“Tadashi…” Mormorò Shouyou con le lacrime agli occhi. “Sono stato così stupido…”

L’altro inarcò le sopracciglia e fece per dire qualcosa ma la porta del bagno si spalancò e Kei si trascinò all’interno della stanza. Tadashi lo guardò orripilato. “Kei!” Esclamò. “Ma che diavolo…?”

L’altro non lo fece finire di parlare. “Ho bisogno di un bagno,” borbottò con la voce di un morto appena riemerso dall’oltretomba.

“Non vedi che c’è Shouyou nella vasca da bagno?” Domandò Tadashi indicando il Principe.

“E tiralo fuori…”

“Kei!”

Shouyou non fece caso a loro. Non c’era molto su cui riflettere: sapeva cosa fare, doveva solo trovare Tobio. Si sollevò dalla vasca ed afferrò l’asciugamano. Kei e Tadashi si fecero silenziosi mentre infilava i vestiti velocemente, i capelli ancora umidi. Quando fu pronto, attraversò la stanza e spalancò la finestra. Si voltò e lanciò un’occhiata ai due amici da sopra la spalla. “Grazie…” Disse, poi spiccò il volo.

Rimasti soli, Kei guardò Tadashi. “Che cosa è successo?”

L’altro lo guardò confuso e scosse la testa. “Non lo so.”





***





Quando Tooru scese, Hajime era seduto al centro della sala comune dei Cavalieri con le braccia incrociate contro il petto e la stessa espressione di un cane rabbioso.

Oltre a lui, non c’era nessun altro.

“Che fine hanno fatto tutti?” Domandò il Re inarcando le sopracciglia.

Kanema sospirò. “Le mie scuse, mio signore.”

“Per cosa?”

“Temo che i Cavalieri abbiamo approfittato un po’ troppo dell’assenza del Generale e non sono stato in grado di persuaderli a non fare sciocchezze.”

Tooru sorrise gentilmente. “Non preoccuparti, Kaname. Conosco i Cavalieri di Seijou e solo un uomo è in grado di tenerli tutti in riga,” guardò il suo Primo Cavaliere con espressione intenerita. “Immagino sia la calma dopo la tempesta.”

Kaname annuì. “La servitù si è spaventata,” disse. “Ha tutte le ragioni di essere fuori di sè ma ho ritenuto opportuno informarvi.”

Tooru annuì. “Ti ringrazio, Kaname. Puoi ritirarti.”

L’uomo che era stato il Re di Dateko si congedò con un inchino. Con un sospiro, il Re Demone decise di affrontare la situazione di petto. “Ehi…” Mormorò avvicinandosi al Primo Cavaliere.

Hajime gli lanciò una breve occhiata e continuò a ringhiare a bassa voce.

Seppur non invitato, Tooru si sedette sulla panca di fronte a lui. “Pare che il nostro Tobio abbia più seguito di quel che sappiamo,” disse. “Ha lasciato il castello e se ne sono andati tutti in poche settimane.”

“E sta pur certo che non torneranno!” Sbraitò Hajime. “Li aspetterò alle porte delle capitale e mi prenderò le loro teste!”

Tooru ridacchiò. “Non temere. Sono certo che non appena vedranno la tua brutta faccia, s’inginocchieranno ai tuoi piedi invocando il tuo perdono. Ti invidio un po’ per questo, lo sai?”

“Non hai motivo di essere invidioso di me!” Ribattè Hajime appoggiando il gomito sul tavolo e reggendosi la testa stancamente. “Sono il tuo esercito di idioti! Io sono solo quello che c’è tra loro e te!”

Tooru sospirò, “No, Hajime, tu sei quello che rende loro il mio esercito. Abbiamo già avuto questa conversazione, ricordi? A me il potere di un Re ma quello militare è tutto tuo.”

Hajime si massaggiò la fronte stancamente.

Tooru allungò una mano e gli toccò una gamba. “Perchè non ne approfitti?”

Il Cavaliere lo osservò con un singolo occhio. “Uhm?”

“Non ci sono giovane d’addestrare,” disse Tooru allegramente. “Non ci sono vecchi compagni di avventure da tenere al loro posto e non ci sono figli adolescenti di cui preoccuparsi.”

Hajime si guardò intorno. “Tutto questo silenzio è inquietante.”

“Allora riempiamolo,” propose Tooru euforico. “Ci sono solo i nobili barbosi a corte e, per un giorno,  faranno volentieri a meno di entrambi!”

“Certo, il tempo di voltarci ed il Castello Nero non sarà più nostro,” replicò Hajime. “Hai idea di cosa potrebbe succedere se qualcuno ci attaccasse ora?”

“Non accadrà,” lo rassicuro Tooru.

“Non puoi saperlo.”

“Nemmeno tu, Hajime.”

“È mio dovere pensare ai rischi!”

“Bene!” Tooru si alzò in piedi con un saltello. “Allora andiamo a nasconderci! Così, nel peggiore dei casi, i vecchi barbosi al piano di sopra perderanno la testa ma il Regno di Seijou vivrebbe ancora nel suo Re e nel suo Primo Cavaliere.”

Hajime lo fissò a lungo. “Sai cosa mi rassicura di te, Tooru? Qualunque cosa accada, rimani un completo idiota!”

Il Re Demone rise. “Avanti, troviamo dei vestiti semplici ed usciamo in città!”




***





Tobio era stato solo per la maggior parte della sua vita ma quella era la prima volta che ci si sentiva. Non era andato nei campi a lavorare: non poteva promettere che avrebbe mantenuto il controllo di sè, se uno di quei nobili idioti lo avesse provocato.

Aveva portato l’arco con sè ma la sua mano non era ferma. Non quel giorno. Aveva il terrore di tirare a qualunque volatile, di sferrare il colpo per instinto, senza darsi il tempo d’identificare l’obbiettivo. Era troppo arrabbiato per stringere un’arma tra le mani.

Le armi, però, erano gli unici strumenti attraverso cui riusciva ad esprimersi.

Il fragore della cascata era l’unica cosa a spezzare il silenzio. Seduto all’ombra di un albero, Tobio non udiva neanche quello. Il rumore dei suoi pensieri era troppo alto.

Il cielo era terso, di un azzurro che nessun colore creato da mani umani avrebbe saputo riprodurre alla perfezione. A guardarlo, veniva una gran voglia di perdercisi dentro ma era un privilegio riservato solo a chi possedeva delle ali.

Ali che il Principe Demone avrebbe potuto avere, se solo l’avesse voluto.

Sbuffò e chinò la testa.

“Io cerco di venire verso di te nella speranza che tu ti decida a guardarmi, ma più io mi apro a te, più ti allontani e mi spingi via!”

“Maledizione,” sibilò. Si alzò in piedi e prese a camminare avanti ed indietro nervosamente.

”Tobio, io non…”

Non l’aveva lasciato finire di parlare. Gli aveva gettato addosso tutta la rabbia che aveva accumulato in anni passati all’ombra del disprezzo che i suoi genitori provavano l’uno per l’altro, che Tooru sentiva per lui.

Estrasse il pugnale dalla cintura. Lo fece roteare in aria e lo afferrò di nuovo. Ripeté il gesto distrattamente, mentre il ricordo del modo in cui Shouyou lo aveva guardato la notte precedente tornava a tormentarlo.

”Tu mi abbagli e non lo sopporto…”

Tobio conosceva la luce di quelle iridi d’ambra. L’aveva trovata da bambino in due occhi altrettanto grandi ma più scuri.

”Che cosa stai guardando con quel faccino incantato, Tobio-chan?”

Affondò il pugnale nella corteccia dell’albero. La lama entrò quasi per metà e ci volle il doppio della forza per estrarla. Pugnalò il tronco ancora una volta ed una terza, una quarta… Andò avanti fino a che il braccio non cominciò a dolergli e nemmeno allora si fermò. Pezzi di corteccia giacevano ai suoi piedi e sull’erba verde tutt’intorno.

La lama si spezzò e Tobio gettò l’impugnatura a terra. Quell’albero aveva subito gli effetti della sua ira ma non era stato uno sfogo sufficiente. Sferrò un pugno contro il tronco devastato. Fece male ma non gliene importò: se fosse servito a farlo smettere di pensare, si sarebbe volentieri rotto la mano.

“Tobio, fermo! Tobio!” Qualcuno gli afferrò il polso con forza.

A Tobio sarebbe bastato uno strattone per liberarsi ma l’ambra liquida degli occhi del Principe dei Corvi lo immobilizzarono.

Shouyou lo guardava con le labbra serrate e l’espressione severa. “Fermati,” ripetè, sebbene Tobio si fosse già fermato. “Non ti passerà mai, se continui a scappare.”

Il Principe Demone riadagiò il braccio lungo il fianco. Il suo viso era una maschera di pietra. “Vattene, Shouyou,” ordinò e si voltò.

“Lo fai di nuovo, Tobio?” Lo accusò Shouyou andandogli dietro.

“Cosa?”

“Ti nascondi da me. Fuggi. Possibile che tu sia tanto testardo da non capire quando non puoi vincere?”

Tobio si fermò. Quando si voltò a guardare l’altro Principe, i suoi occhi erano gelidi. “E sei proprio tu a rivolgermi queste parole, Shouyou?” Domandò con astio.

Il Principe dei Corvi strinse i pugni. “Ti ho fatto la domanda sbagliata questa mattina,” disse. “Di che cosa hai paura tu? Questo avrei dovuto chiederti.”

Tobio scosse la testa. “Hai già avuto l’umiliante confessione del Principe Demone, non avrai niente altro da me!”

“Umiliante?” Domandò Shouyou avvicinandosi. “È così che ti senti per avermi aperto il tuo cuore? Umiliato?”

“È una cosa che un Re non dovrebbe mai fare e nemmeno un guerriero.”

“Perhcè, Tobio? Perchè?”

“Perchè rende deboli, indifesi. Un Re non può permettersi di dare questa impressione di sè.”

Shouyou scosse la testa. “Siamo esseri umani, Tobio!”

Il Principe Demone ingoiò a vuoto. “Non possiamo essere sia uomini che Re.” Si voltò. “Dimentica la scorsa notte, Shouyou. Non sono quello che credi.”

“Ed io non sono Tooru!” Urlò il Principe dei Corvi con frustrazione.

Tobio si sentì gelare.

“Hai detto che lo rivedi in me ma io non sono luI!” Shouyou esaurì la distanza tra loro e gli bloccò il cammino. “Debole? Questo credi di tuo padre? Pensi che sia un debole per aver amato tua madre?”

Il Principe Demone si rifiutò di rispondere. “Lasciami passare.”

“Perchè?” Lo sfidò Shouyou. “Perchè tu possa scappare di nuovo? La paura di essere tradito è così forte che preferisci rinchiuderti in una roccaforte di solitudine?”

“Ho meno possibilità di cadere da solo,” disse Tobio. Nessuno gli aveva impartito quella lezione. Non era quello che suo padre gli aveva insegnato, nè a parole, nè con il suo esempio.

Era la conclusione naturale a cui Tobio era arrivato in anni di freddezza da parte di chi avrebbe dovuto amarlo.

“E anche tu,” aggiunse. “Hai sentito quella profezia, noi…”

“Non nasconderti dietro quella profezia!” Urlò Shouyou. “A te il destino non fa paura, Tobio! Non so se sia follia o coraggio il tuo ma tu sei così: se il fato ti condanna a morte, tu non puoi fare altro che sfidarlo ed avere l’ultima parola per te!” Riprese fiato. “Io non sono come te… Io sono spaventato, Tobio. Non voglio morire ma è con te che non ho paura. Sei tu che mi fai sentire al sicuro.”

Il Principe Demone lo superò. “Questo è ridicolo…” Fu tutto quello che disse.

Shouyou strinse gli occhi. Voleva mettersi a piangere ma non sarebbe servito a niente. Tobio avrebbe risposto con la crudeltà ad ogni suo tentativo di raggiungere di nuovo il suo cuore.

Non gli restava che usare la forza.

Tobio lo sentì urlare, prima di ricevere il colpo. Cadde in acqua senza nessuna possibilità di recuperare l’equilibrio e Shouyou con lui. Quando riemerse, il Principe dei Corvi tossiva aggrappato alle sue spalle. Non gli diede il tempo di riprendersi.

“Stupido!” Urlò Tobio costringendolo con la schiena contro la parete di roccia della cascata. “Possibile che tu non capisca quando è ora di arrenderti!” Sollevò il pugno. Se si fosse accanito contro il Principe dei Corvi, gli sarebbero bastati due colpi per spaccargli la faccia e con il terzo sarebbe riuscito a fargli male sul serio.

Quando Shouyou sollevò lo sguardo, però, Tobio si pietrificò.

Il piccolo petto si alzava ed abbassava velocemente, le labbra a cuore dischiuse per ingoiare aria. Appariva così piccolo e fragile contro la roccia fredda ed umida. Chiunque fosse venuto a conoscenza del suo destino di divenire Re, avrebbe provato pietà per quel fanciullo.

Anche Tobio lo aveva fatto e, lungo la strada, se ne era pentito ma in silenzio.

Ora, guardando Shouyou negli occhi, non riusciva a muoversi.

Le iridi d’ambra liquida si erano tinte di una sfumatura completamente diversa. La loro luce si era fatta dorata e le sottili pupille verticali erano come lame nere in grado di trapassarlo da parte a parte.

Tobio riadagiò il braccio lungo il fianco ma l’altra mano non smise di stringere la spalla del Principe dei Corvi. Chinò la testa ed ingoiò a vuoto per impedire alle lacrime di uscire di nuovo.

Shouyou infranse il silenzio con una risata. “Con te è sempre un passo avanti e due indietro, Tobio.”

Quando il Principe Demone sollevò lo sguardo, gli occhi d’ambra erano tornati grandi e gentili. “Ed io con te non riesco ad arrivare da nessuna parte,” replicò con voce un poco strozzata.

Shouyou sospirò. “Per adesso, allora, possiamo semplicemente restare qui… Così…”

Tobio appoggiò entrambe le mani alle parete di pietra: si sentiva improvvisamente stanco. “Tu hai le ali, Shouyou,” disse. “Se decidessi di andartene, non potrei mai seguirti.”

“Non me ne sto andando.”

“Potresti farlo…”

“Potremmo vivere insieme il resto della nostra vita,” replicò Shouyou. “Potremmo farlo felicemente, oppure no… Forse, entrambe le cose ma in momenti diversi. Potremmo crescere e prendere strade diverse. Il destino potrebbe compiersi e, come nella grandi storie, il nostro amore diverrebbe immortale.”

Tobio inarcò le sopracciglia. “Non ho mai parlato di amore.”

“Nemmeno io,” replicò Shouyou con serenità.

“Allora, di cosa stiamo parlando?”

Le piccole dita del Principe dei Corvi si aggrapparono alla camicia bagnata del Principe Demone. “Possiamo anche smettere di parlare,” propose.

Si guardarono, l’ambra si fuse con il mare in tempesta negli occhi dell’altro. Come la notte precedente, Shouyou aspettò. No, non avrebbe fatto nulla per rendere a Tobio le cose più facili. Non in quel momento.

“E se scappassi io?” Domandò Tobio. “Se mi voltassi e me ne andassi ancora una volta?”

Shouyou accettò la sfida con un sorrisetto. “Ho le ali, Tobio. Sarò sempre più veloce di te.”

L’angolo destro della bocca di Tobio si sollevò un poco, poi si allontanò di un passo.

Non lo baciò. Non quella volta.

“Comincia a volare, Shouyou,” lo sfidò il Principe Demone, poi si voltò ed uscì dall’acqua.

Il Principe dei Corvi rimase immobile per un lungo minuto di silenzio. “Non ci posso credere…” Mormorò fissando un punto nel vuoto di fronte a sè. “C’è qualcosa nella tua vita che non sia una sfida?” Domandò con voce stridula.

Tobio gli lanciò un’occhiata veloce da sopra la spalla. “Detto da te…”

Shouyou alzò gli occhi al cielo e si staccò dalla parete di pietra. “Tobio, aspettami!”




***




“È così bella la nostra Capitale,” disse Tooru osservando la strada principale della città e le persone che andavano e venivano. Hajime non si voltò ad osservare lo stesso panorama: sul viso incantato di Tooru c’era tutta la bellezza che Seijou poteva offrire. Era una realtà che non sarebbe mai mutata e Hajime aveva imparato ad accettarla con un sorriso amaro.

“Abbiamo fatto un ottimo lavoro in questi anni, non credi?” Domandò il Re guardando il suo Primo Cavaliere negli occhi.

Hajime annuì distrattamente prendendo un sorso della sua pinta di birra. “Forse, dovrei tirare il cappuccio del mantello.”

Tooru rise facendo un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere. “Hajime, ho addosso una divisa da Cavaliere e cammino accanto al braccio destro del Re. Da quando siamo usciti dai cancelle del castello, nessuno si è disturbato a guardarmi in faccia. Per una volta, tu sei il sole ed io vivo alla tua ombra.”

Hajime scrollò le spalle. “Non mi sono mai sentito in ombre con te,” ammise senza vergogna.

“Non lo desideravo, infatti,” disse Tooru, poi abbassò lo sguardo. “L’ho desiderato con Tobio, però.”

Hajime strinse il calice di birra tra le sue dita con un po’ troppa forza ma non replicò in alcun modo: accettava la sincerità di Tooru riguardo ai demoni che gli avevano tormentati in quegli ma questo non impediva a quegli stessi demoni di far loro ancora del male.

“Non mi perdonerà mai, vero?” Domandò il Re.

Hajime non conosceva la risposta a quella domanda. “Alla fine dell’estate, sarà un altro il nostro problema,” sviò il discorso. “Vuoi parlare a Tobio e Shouyou del loro destino, no?”

Tooru reclinò la testa da un lato. “Ne parli così serenamente…” Commentò. “Tu ancora non ci credi, eh?”

“Credo che Tobio avrà la mia stessa reazione,” disse il Primo Cavaliere. “Quindi, non rimanere deluso.”

“Già…” Il Re Demone alzò gli occhi al cielo. “Posso quasi immaginarlo mentre mi guardò con quel broncio arrogante ed afferma che può combattere contro il destino come e quando vuole.”

“Quindi, non sei preoccupato?”

“Non è la reazione di Tobio che mi preoccupa ma di Shouyou… Voglio vedere come entrambi gestiranno la situazione.”

Hajime sospirò annoiato. “Tu vuoi che Tobio confessi appassionatamente che non lascerà Shouyou per una stupida profezia che prevede la morte di entrambi per amore.”

“Non è così divertente, Hajime,” lo rimproverò Tooru.

“Lo è se ti concentri e pensi a Tobio appassionato.”

“Oh! Possibile che tu non gli dia un briciolo di fiducia?”

“Sei proprio tu a rimproverarmi per questo, Tooru?” Domandò Hajime. “Tobio compirà quindici anni questo inverno e mi fa piacere vederlo interessato ad un altro fanciullo, sul serio! Sono tutte le tue speranze che trovo esagerate!”

“Hajime, noi eravamo molto più giovani!”

“Ne abbiamo parlato abbastanza, Tooru,” tagliò corto Hajime. “Quello che davvero mi preoccupa di tutta questa storia è che Tobio riscopra la sua natura di uomo di colpo e lontano da casa.”

Tooru ridacchiò. “Hai paura che deflori il Principe dei Corvi senza pensare alle conseguenze?”

“Non voglio ritrovarmi Daichi davanti ai cancelli della Capitale a pretendere la testa di mio figlio,” disse Hajime. “Perchè sai che lo farebbe!”

“La scena potrebbe anche essere divertente…”

“Tooru!”

“Che ho detto?”

La cameriera della locanda si avvicinò al loro tavolo. Era giovane ma non era una ragazzina, con lunghi capelli castani e grandi occhi chiari. Scambiò con Hajime qualche parola gentile, prima di portare via il calice vuoto. Tooru pensò che fosse una bella donna e sorrise amaramente. “Come si chiama?” Domandò.

Hajime lo fissò. “Non ne sono sicuro,” rispose.

Tooru ridacchiò. “Sei un bugiardo.”

“Le donne ti sono sempre interessate solo da lontano, Tooru.”

“Non si può dire lo stesso di te,” fu una provocazione ma benevola. Fu l’ennesimo tentativo del Re Demone d’intavolare con il padre di suo figlio un discorso da uomini con una lunga storia alle spalle.

Hajime lo assecondò. “No, non sono mai andato a letto con Keiko.”

“Oh, Keiko!” Tooru annuì ed osservò la donna sorridere a due clienti seduti al bancone. “Lei lo vorrebbe, però.

Hajime sbuffò. “Tooru…”

“Ho visto come ti guarda.”

“Sapessi come mi guardano le altre donne… Ahi!” Esclamò. Il Re gli aveva dato un calcio sotto il tavolo.

“Contegno, Primo Cavaliere,” lo rimproverò Tooru ma non con serietà. “E nessuna guarda Tobio?”

“Tutti guardano Tobio,” ammise Hajime con un sospiro. “E a molti vorrei anche spaccare la faccia, aggiungo.”

Tooru sorrise: l’iperprotettività del suo Cavaliere era uno dei lati che gli mancavano di più. “Troppo vecchi?”

“Troppo tutto… Ma perchè stiamo parlando di nostro figlio in questo modo, maledizione?”

“Possiamo tornare a parlare del suo imminente matrimonio con il Principe dei Corvi, se lo desideri,” lo prese in giro il Re Demone.

“Non scherzare! Daichi pretenderà una testa anche per una proposta di matrimonio ufficiale.”

“Daichi se ne farà una ragione ed io avrò la mia nipotina!”

“Ricominci con questa storia?”

“Non ho mai finito!” Pur non volendo, gli occhi di Tooru caddero di nuovo sulla cameriera che li aveva serviti. “Mi somiglia?” Domandò.

Hajime inarcò le sopracciglia. “Chi?”

“Keiko…”

“Tooru, per l’amor del cielo!”

“Anche io avevo i capelli così lunghi quell’inverno, ricordi?” Il Re Demone prese una ciocca della frangia tra le dita e la osservò con espressione critica. “Non ero altrettanto fornito ma…”

“Piantala subito!” Ordinò Hajime.

“Mi adoravi,” continuò Tooru con un sorriso nostalgico. “Ricordo come facevamo l’amore. Eri… Diverso. Non sei mai stato un bruto a letto, penso che non ti piaccia, ma mi toccavi in un modo che…” Ridacchiò imbarazzato. “So che non dovremmo parlare di nostro figlio in questo modo ma penso che Tobio sarà così: nervoso, insicuro, un po’ imbranato e tanto dolce da conquistare il cuore di chiunque sarà suo amante.”

Hajime non trovò le parole per replicare.

Tooru si passò una mano tra i capelli spettinandoli. Era ancor più bello di quando sedeva sul suo trono, perfetto come solo un reale poteva essere. “C’è stata tanta disperazione nella nostra prima volta, Hajime,” aggiunse. “Quell’inverno, quando mi sono tramutato in una fanciulla, abbiamo un po’ recuperato quella spensieratezza che dovrebbe essere delle prime esperienze. È stato un bell’inverno.” Concluse.

“Sì,” Hajime annuì. “È stato davvero un bell’inverno.”

Tooru riportò gli occhi sulla finestra, sulle persone che camminavano all’esterno. Hajime ne approfittò per lanciare un’altra occhiata a Keiko. No, non era bella nemmeno la metà di quanto lo era stato Tooru sotto l’effetto di quel sortilegio.

Però, sì, un po’ le assomigliava.

“Ehi, Hajime,” Tooru gli sorrise con lo stesso entusiasmo di un bambino. “Questa notte, andiamo a cercare il popolo delle stelle? Non lo facciamo più da quando Tobio era piccolo.”

Hajime annuì distrattamente. “D’accordo.”



Non avrebbe mai mantenuto quella promessa.




***




Shouyou canticchiava appendendo le lenzuola umide ai fili per il bucato e Tadashi lo guardava sospettoso. “Che cosa è successo?” Nelle ultime ore, quelle erano le uniche parole che uscivano dalla sua bocca.

Il Principe gli lanciò un’occhiata veloce. “Perchè me lo chiedi?”

Tadashi scrollò le spalle. “Un paio d’ore fa, apparivi sconvolto e sul punto di scoppiare a piangere. Guardati ora!”

Shouyou ridacchiò. “È una bella giornata di sole!” Si giustificò. “È un peccato essere tristi in giorni come questo!”
Se si fosse trattato di qualcun altro, Tadashi si sarebbe sentito preso in giro. Shouyou, però, era così e gli sfuggì un sorriso a sua volta. “Ero preoccupato, sai?”

Il Principe prese una camicia dal cesto del bucato e lo guardò confuso. “Per cosa?”

“Beh… Eri tornato da una notte passata con Tobio con la peggiore delle espressioni,” disse Tadashi. “Ho temuto fosse successo qualcosa.”

“Litighiamo ogni minuto di ogni giorno,” disse Shouyou. “Che cosa avevi paura che succedesse?”

“Ecco…” Tadashi arrossì. “Hai scoperto cose nuove di te, ultimamente… È normale essere un po’ più accorti quando si tratta della tua sicurezza.”

Shouyou si sollevò sulle punte ed appese la camicia al filo per il bucato. “Parli della mia natura da Omega?” Domandò abbassando lo sguardo. Sorrideva ancora ma non con la stessa allegria.

Tadashi si sentì in colpa. “Ti fa stare ancora così male?” Domandò preoccupato. “Pensavo che Tobio…”

“Tobio è fantastico,” disse Shouyou continuando ad appendere il bucato.

Tadashi si fece immobile.

“A lui non importa,” aggiunse il Principe. “Non lo ignora ma non gli importa.”

L’altro annuì sommessamente. “Puoi capire che io e Kei non possiamo fare lo stesso, vero?”

“Certo,” Shouyou annuì. “Il vostro compito è proteggermi.”

“Ti senti al sicuro con Tobio?”

“Oh, sì!” Rispose il Principe senza pensarci due volte. “Mi metterei nelle mani di Tobio ad occhi chiusi… Cioè, lo sto già facendo.”

“In effetti…” Concordò Tadashi a bassa voce. Pensò a Kei, a come gli aveva dato del paranoico per aver pensato che tra Tobio e Shouyou ci fosse qualcosa. “Shouyou, sinceramente, provi qualcosa per lui?”

Il Principe dei Corvi lo guardò, le gote rosse ma non c’era panico nei suoi occhi. Non parlò velocemente per negare qualunque idea stessa passando per la testa dell’altro. “Tobio è…” Scrollò le spalle. “Non è spiacevole da guardare.”

Tadashi sollevò l’angolo della bocca. “Non è spiacevole da guardare.”

“Ho avuto il mio risveglio da Omega con lui,” disse Shouyou come se la cosa lo irritasse. “Vorrà pur dire qualcosa.”

Tadashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Lo hai appena ammesso?”

“Cosa?”

“Che sei attratto da Tobio?”

Shouyou rimase sollevato sulle punte con un braccio sospeso a mezz’aria per appendere una federa bianca. Non poteva dire di aver baciato Tobio solo per dimostrare che non aveva ragione. Anzi, non poteva dire di aver baciato Tobio e basta!

Tadaaashi...”

Entrambi sollevarono lo sguardo.

“Kei!” Esclamò Tadashi sgranando gli occhi. “Che cosa è successo?” Sì, quel giorno non riusciva davvero a chiedere altro.

Il Cavaliere se ne stava affacciato dalla finestra della loro camera con la testa pericolosamente sporta in avanti. “Penso di aver vomitato sul pavimento…” Ciondolò pericolosamente avanti ed indietro un paio di volte. Alla fine, cadde all’indietro con un tonfo udibile anche dal cortile.

Shouyou dovesse mordersi la lingua per non scoppiare a ridere.

“Kei!” Urlò Tadashi preoccupatissimo. “Shouyou, puoi…?”

“Vai pure,” lo congedò il Principe dei Corvi. “Sembra che il Cavaliere imperturbabile sia fin troppo turbato.”

Tadashi era già sparito dalla sua vista prima che finisse di parlare. Shouyou ridacchiò tra sè e sè continuando a stendere il bucato. Non rimase solo a lungo.

Una mano lo toccò alle spalle. “Ehi…”

Shouyou sobbalzò e la tunica che aveva tra le mani cadde a terra. “Tobio!” Esclamò un poco arrabbiato sollevando l’indumento di nuovo sporco. “Oh… Guarda…”

Il Principe Demone s’imbronciò. “Colpa tua che non stai in guardia.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Non sto andando a caccia, sto stendendo il bucato!”

“Un bandito può coglierti di sorpresa in qualsiasi momento,” ribatté Tobio.

Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Sì, se fosse per te, dovremmo vivere ogni giorno come se fossimo in guerra,” disse gettando la tunica sporca da una parte per occuparsi dei vestiti e delle lenzuola rimaste nel cesto. Dopo diversi istanti, si rese conto che l’altro non si era mosso. Gli lanciò un’occhiata da sopra la stalla. “Che stai facendo?”

Tobio era sporco di terra da capo e piedi e la stoffa della tunica che indossava era umida di sudore. Shouyou dedusse che dopo averlo lasciato alla tenuta, doveva essere andato a lavorare nei campi.

“Sono venuto a…” Tobio fissò la punta dei pronti stivali. “Trov… Vede… Controllarti.”

Shouyou si voltò ed il suo viso si addolcì alla luce di un sorriso. “Avevi voglia di vedermi?” Domandò. Erano giovani, sì, ma non abbastanza perchè il Principe Demone si prendesse il suo tempo e trovasse le parole giuste da dire. A Shouyou, però, non dispiaceva anticipare.

Era una strategia che aveva dovuto imparare per giocare con Tobio.

Il Principe Demone annuì e lo fece guardandolo negli occhi. Era un passo avanti.

Assecondando la felicità che lo travolse, Shouyou fece un saltello in avanti e sollevò le braccia per stringerlo. Si fermò a metà dell’opera.

A Tobio non fece piacere. “Che cosa c’è?” Quasi ringhiò.

Il Principe dei Corvi ridacchiò imbarazzato e fece un passo indietro. “Scusami,” si grattò la nuca. “Sei tutto sporco.”

Tobio si guardò. “Stavo lavorando!”

“Non era un giudizio! Non offenderti subito!” Shouyou sollevò lo sguardo sul bucato mosso dal vento estivo. “Solo che qui è tutto pulito e-”

Tobio non gli diede il tempo di finire a parlare. Gli bastò allungare le braccia per afferrargli i fianchi e tirarlo verso di sè. Preso di sorpresa, Shouyou non oppose alcuna resistenza e si ritrovò con le mani premute contro il petto sudato del Principe Demone, il suo ghigno soddisfatto a pochi centimetri dal suo viso.

“Tobio!” Fece per spingerlo via ma l’altro lo trattenne.

Era divertito, Tobio ma non nel suo solito modo un po’ oscuro. C’era qualcosa di luminoso in fondo ai suoi occhi blu e Shouyou non riuscì ad essere arrabbiato con lui per molto. Sorrise e scosse la testa. Imbarazzato con se stesso, premette la fronte contro la spalla del Principe Demone per nascondere il viso ma era sereno, felice.

“Non hai più paura che ti sporchi?” Domandò Tobio.

“Mi hai già sporcato, antipatico,” si lamentò Shouyou ma con voce troppo dolce perchè potesse essere credibile.

Tobio posò la mano sul lato dell’esile collo. “Shouyou…” Chiamò.

Il Principe dei Corvi sollevò il viso automaticamente e l’altro premette l’indice contro la punta del suo naso sporcandolo di terra.

Shouyou gonfiò le guance. “Tobio!” Era la terza volta in pochi minuti che chiamava quel nome con voce irritata.

“E stai fermo,” disse il Principe Demone prendendogli il viso tra le mani. Ancora una volta, Shouyou non oppose alcuna resistenza. Sorrise divertito quando Tobio disegnò due mezze lune sotto il suo naso.

“Così sembri un po’ più uomo,” lo prese in giro il Principe Demone.

Shouyou si passò la manica sul viso ed ottenne solo con lo sporcarsi le guance e la tunica. “Ho fatto il bagno questa mattina…”

“Puoi fartene un altro questa sera.”

“È appena passata l’ora di pranzo!”

“Fa il Principino solo quando ti pare?”

Gli occhi d’ambra si fissarono in quelli blu. Shouyou pareva frustrato e Tobio ne era compiaciuto ma non in modo maligno. Abbassò il capo e fece aderire la fronte a quella dell’altro. Il sorriso tornò con naturalezza sulle labbra di Shouyou. Sollevò le braccia per circondare il collo del Principe Demone e tenerlo vicino a sè.

Sarebbero potuti rimanere a guardarsì così anche fino al tramonto del sola, ma presto non furono più soli.

“Shouyou!”

I due si allontanarono l’uno dall’altro un istante prima che il Principe dell’Aquila sollevasse un lenzuolo per fare la sua entrata in scena.

“Ah,” disse guardando Tobio. “Ci sei anche tu.”

Il Principe Demone annuì. “Hai bisogno di qualcosa?” Domandò e non provò nemmeno a nascondere l’irritazione per essere stato disturbato.  

Shouyou alzò gli occhi al cielo, poi rivolse un sorriso al nuovo arrivato. “Mi stavi cercando, Tsutomu.”

“La tua Guardia sta facendo passeggiare il tuo Cavaliere sul retro della tenuta,” disse Tsutomu indicando l’edificio con un cenno del capo. “Il Cavaliere sembra sul punto del trapasso.”

Shouyou rise.

Tobio inarcò le sopracciglia. “Kei è moribondo?”

“Si è ubriacato la scorsa notte,” spiegò il Principe dei Corvi. “Non l’ha presa bene.”

“La Guardia ha detto che eri qui a svolgere delle faccende,” continuò Tsutomu. “E Satori ha detto che, per una volta, mi sarei dovuto rendere utile.”

“Il tuo Cavaliere ha ragione,” disse il Principe Demone.

“Tobio…” Lo rimproverò Shouyou. “Temo di dover lasciar perdere,” aggiunse mostrando le mani al Principe dell’Aquila. “Sono tutto sporco di terra, ora.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia, poi squadrò Tobio da capo a piedi. “Capisco…”

Tobio ghignò sotto i baffi ed attese che l’intruso togliesse il disturbo. Shouyou, però, aveva altri progetti. “Perchè non facciamo qualcosa tutti insieme?” Propose allegramente. “Andiamo alla cascata! Io e Tobio siamo tutti sporchi e ci farebbe bene una nuotata con questo caldo!”

Il Principe Demone gelò. Era tornato dai campi appositamente per stare con lui e Shouyou si permetteva di condividere il suo tempo con il peggiore dei Principi in circolazione? “Io me ne vado,” annunciò.

“Dove?” Domandò il Principe dei Corvi.

“Torno nei campi. Non mi piace starmene con le mani in mani, a differenza di qualcuno.”

Tsutomo sapeva che quella frecciatina era rivolta a lui e strinse i pugni. “Non mi faccio giudicare da un tipo che un uomo nato per essere Re e così bravo confondersi con i contadini.”

Gli occhi di Tobio si fecero glaciali. “Che cosa hai detto?” Ringhiò.

“Basta,” Shouyou si frappose tra i due con un sorriso. “Tobio, torna ai tuoi campi e tu, Tsutomu, mi accompagneresti alla cascata? Mi piacerebbe davvero farmi un bagno ma da solo sarebbe una noia!”

Tobio lo guardò allibito: perchè fare una simile proposta a Tsutomu? Era una punizione per lui? Che cosa aveva fatto di male?

Il Principe dell’Aquila aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua per alcuni istanti. “D’accordo… “ Disse, alla fine.
Tobio non si lasciò sfuggire il modo in cui le sue guance si colorarono. “Shouyou…” Chiamò.

Il Principe dei Corvi si voltò ma la luce calda dei suoi occhi era stata sostituita da quella fredda e dorata che, suo malgrado, aveva imparato a conoscere.

“Ci vediamo al tramonto, Tobio,” concluse Shouyou andandosene per primo.




***




La Torre del Castello Nero non era ancora stata ricostruita. Le corone dei Regni conquistati dal Re Demone erano state tutte recuperate e riposti a terra in semplici scrigni privi di sigilli. Erano stati abbandonati come oggetti senza valore.

L’Aquila li trattò come tali.

Atterrò all’interno della stanza dal soffitto crollato per metà senza far rumore. Il sole d’estate illuminava l’ambiente e non c’era altro che silenzio tutt’intorno. In un vorticare di piume bianche e marroni, il rumore dei passi del Re dell’Aquila contro il pavimento di pietra interruppe quella quieta così assurda per un luogo di distruzione.

Era un’assenza di rumori che Wakatoshi conosceva bene: ne era stato artefice su di molti campi di battaglia. Col tempo, aveva finito col considerarla la sua silenziosa marcia di vittoria.

Non c’era nessuna gloria di sua proprietà in quella stanza semi distrutta. Lì riposavano tutte le vittorie di Tooru e di suo figlio. Era proprio per l’impresa del giovane Principe Demone che si era intrufolato come un ladro nella reggia del suo più grande alleato e, potenzialmente, del suo peggior nemico.

Essere visto in quella stanza non invitato sarebbe stata una ragione sufficiente per Tooru di rivedere i loro rapporti. Lo stesso Wakatoshi non era certo di quello che stava facendo.

Paura. Era un sentimento a cui non era abituato ma che aveva imparato a riconoscere in seguito alla nascita di Tsutomu. Aveva temuto per la salute di Eita per dieci anni, fino a che quel sonno maledetto non lo aveva portato via.

Temere per la vita del suo unico figlio, però, era tutta un’altra cosa.

Se non fosse stato un uomo dai nervi d’acciaio ed il cuore di pietra, Wakatoshi avrebbe anche paragonato quel sentimento alla follia.

Sì, era per follia che aveva lasciato il Castello Bianco da solo.

Per un sogno.

Lo scrigno contenente il cuore di drago era stato riposto sull’unico piedistallo ancora in piedi. Non dubitava che Tooru e Hajime ne avessero fatto motivo di orgoglio ma il Principe Demone non si era disturbato a celare la sua indifferenza riguardo al suo premio.

Era un spreco di potere che il Re dell’Aquila non poteva tollerare, non quando quel potere poteva essere la chiave per salvare delle vite. Anche un’intera popolazione.

Gli bastarono pochi passi per attraversare la stanza ma non riuscì mai a toccare lo scrigno.

“Che cosa stai facendo?”

Wakatoshi accettò la lama premuta contro il retro del suo collo con un sospiro.

“Voltati.”

Lo fece e gli occhi scuri di Tooru lo trapassarono come la spada che gli puntava contro non avrebbe mai potuto fare.

“Che cosa stai facendo?” Ripeté il Re Demone.

Wakatoshi mantenne la calma: Tooru non era una testa calda, non per le questioni davvero importanti e non era saggio decapitare un sovrano disarmato nel proprio palazzo.

“Ammetto di essere in torno,” disse il Re dell’Aquila con voce incolore.

“Che bravo!” Esclamò Tooru sarcastico. “Scoppiano guerre per azioni del genere, Wakatoshi e credevo fossi tanto stupido.”

“Lo faresti? Faresti scoppiare una guerra per una cosa del genere?”

Tooru rifoderò la spada ma non allontanò le dita dall’elsa. “Fammi capire che cosa intendi per una cosa del genere.”

Wakatoshi non era bravo ad incantare con le parole. Quello era sempre stato un talento del Re Demone ed uno dei motivi per cui lo aveva tanto voluto al suo fianco in passato. “Voglio il cuore di drago,” disse diretto.

Tooru non reagì immediatamente. Dapprima, inarcò le sopracciglia, poi scoppiò a ridere. “Vuoi il cuore di drago che appartiene di diritto a mio figlio?” Ripetè il Re Demone, come se fosse la peggiore delle follie che avesse mai udito.

“Non lo chiedo per superbia.”

“No, solo fame di potere.”

“Non sto giocando, Tooru.” Wakatoshi strinse i pugni.

Il Re Demone si fece completamente serio. “Pensi che io lo stia facendo?” Domandò. “Stiamo affrontando di nuovo quella discussione di qualche settimana fa? Quella che il tuo Arciere ed il mio Cavaliere ci hanno impedito di concludere.”

“Il destino ci sta minacciando.”

“Il destino non minaccia, Wakatoshi,” replicò Tooru. “Il destino è imparziale. Si mostra e basta, qualsiasi sia la sua forma.”

“Ed io dovrei accettare che prenda forma nel massacro della mia gente e nella morte di mio figlio?” Domandò il Re dell’Aquila.

“E perchè quel cuore dovrebbe cambiare le cose?” Domandò Tooru indicando lo scrigno con un cenno del capo. “Se là fuori, sulle montagne, c’è un popolo di draghi assetato di vendetta, non pensi che distruggerebbero chiunque abbia quel cuore tra le mani?”

“Io non temo i draghi, Tooru,” disse Wakatoshi. “Io temo il proprietario di quel cuore.”

Il Re Demone non replicò immediatamente. “Tobio?”

Il Re dell’Aquila annuì.

“Tobio ha abbandonato il suo trofeo ed è scappato nelle campagne. Un fanciullo simile non può rappresentare alcuna minaccia per te.” Non era del tutto vero e Tooru lo sapeva, conosceva le profezie ed il ruolo di suo figlio all’interno del disegno del destino. Tuttavia…

“Qualunque potere possa portare quel cuore, Tobio non ne è interessato,” concluse. “Non so cosa veda Tsutomu nei suoi sogni ma non è mio figlio a decapitarlo, mi pare.”

“Ricordi la nostra prima impresa contro quel drago?” Domandò Wakatoshi.

Tooru annuì. “Quando Tobio lo ha accecato.”

“Sai perchè ero lì.”

“Certo, per Eita… Per tutte le leggende legate ai poteri quasi divini dei draghi.”

“E pensi che quel cuore non abbia poteri quasi divini?”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Wakatoshi, posso credere a qualsiasi forma di magia o potere che vada oltre il potere razionale ma tutto finisce con la morte. Il giorno in cui morirai, le tue ali svaniranno. Il potere di Eita se ne è andato con lui. Nemmeno la magia sconfigge la morte.”

“No, ma un dio può,” ribatté Wakatoshi con convinzione.

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Stai cercando di convincermi di cosa?” Domandò. “Vuoi farmi credere che mio figlio userà il potere di quel cuore per uccidere il tuo?”

“Si raccontano molte leggende sui Signori dei Draghi,”

“Sì, Wakatoshi, leggende.”

“Io sono una leggenda, Tooru.”

Il Re Demone scosse la testa. “Il tuo è un potere che scorre nel sangue. Lo hai ereditato dai tuoi antenati, come Tsutomu ha ereditato quello di Eita. È qualcosa di vivo. Non c’è modo di passarlo ad un altro se non attraverso la consanguineità ed il benvolere del destino.” Una pausa. “Nessuno può diventare un dio attraverso un cuore morto, Wakatoshi. Nessuno. Dici di conoscere le storie dei Signori dei Draghi, allora saprai anche che chiunque abbia tentato di fare suo il potere di un drago divorandone il cuore è morto tra atroci sofferenze o peggio.”

“La magia non è per tutti e lo sai.”

“E pensi che lo sia per un ragazzino che è demone solo per metà?!” Sbraitò Tooru. “Tobio non ha il tuo potere. Non ha il mio. Nel suo sangue non c’è magia sufficiente per sopportare un potere di quelle dimensioni e nemmeno in quello di tuo figlio!”

Tooru non poteva dirgli che aveva pensato di partire per le montagne del nord lui stesso. Non poteva dirgli che, per qualche ora di cieco entusiasmo, aveva pensato di catturare un drago e di divenirne il padrone solo per terrorizzare il Re dell’Aquila e schiacciare Shiratorizawa senza dover far scoppiare una guerra. Hajime aveva già bannato quel piano come ridicolo ma il timore del Re che aveva di fronte era pura follia.

Che cosa credeva? Pensava forse che Tobio avrebbe divorato quel cuore e si sarebbe tramutato nel drago degli incubi di Tsutomu? Tutta la vita di Tooru era stata scritta con la magia, ma a tutto c’era un limite.

“Stai cercando di convincere me o te stesso?” Domandò Wakatoshi.

Tooru scosse la testa. “Quel cuore è veleno,” concluse. “Credi che permetterei a mio figlio di avvelenarsi, Wakatoshi?”

Sì, Tobio era destinato a metterli tutti in ginocchio e a far suoi tutti i Regni liberi ma come Re e con un piccolo Corvo al suo fianco. Il drago degli incubi di Tsutomu non era parte del destino di Tobio.

Il Re dell’Aquila guardò lo scrigno nero per un lungo momento di silenzio. “Fino a dove ci può spingere la disperazione?”

Tooru inarcò le sopracciglia. “Come?”

Wakatoshi tornò a guardarlo. “Tempo fa… Ancor prima di Tsutomu nascesse, Eita fece un sogno e non volle raccontarmelo. Non compresi il perchè. Aveva condiviso con me la visione che mi aveva spinto verso di te. Che cosa aveva visto di tanto terribile da non riuscire a dargli voce?”

Tooru strinse le labbra ed ingoiò a vuoto. La sua espressione non diceva nulla ma i suoi occhi lo tradivano.

“Lo sapevo,” Wakatoshi annuì. “A te ha detto tutto, vero?”

Tooru non rispose.

“Era tanto terribile quella visione?” Domandò il Re dell’Aquila.

Il sovrano di Seijou scosse la testa. “È accaduto prima della nascita di Tsutomu. Non ha alcun senso parlarne.”

Invece, sì. Shouyou e Tobio erano ancora destinati a morire l’uno per l’altro. Al contempo, però, Shiratorizawa era destinata a cadere per mano di un drago. Tooru aveva perso da tempo la capacità di poter interpretare gli intrecci del destino e poterci giocare a proprio favore.

“E se accadesse?” Insistette Wakatoshi. “A che cosa saresti disposto a credere, se quella disperazione divenisse reale?”

Tooru ingoiò a vuoto ancora una volta ma un nodo doloroso gli stringeva la gola. Non pensò a Shouyou. Pensò a Tobio. Immaginò di stringere il corpo senza vita di suo figlio.

Gli occhi scuri caddero sullo scrigno contenente il cuore di drago e Wakatoshi se ne accorse. “Esattamente,” disse arrivandogli davanti. “Esattamente, Tooru.”

Il Re dell’Aquila posò un bacio tra i capelli del Re Demone.

Tooru non seppe come interpretare quel gesto ma sentì le lacrime salirgli agli occhi e la terribile sensazione di non avere scampo gli strinse il cuore in una morsa.

Wakatoshi, però, non lo minacciava. Era impotente quanto lui di fronte a quel disegno insensato, eppure inevitabile.

L’estate stava finendo. Tobio sarebbe tornato a casa ed il suo cuore sarebbe stato di Shouyou. Tooru ne era certo… E dopo?

“Nulla deve cambiare,” disse. “Lascia che tutto rimanga come è in questo momento e tuo figlio vivrà, Wakatoshi.” Non era una minaccia la sua, solo un avvertimento.

Il Re dell’Aquila si allontanò da lui. “Mi stai chiedendo di fidarmi di te?” Domandò guardandolo dritto negli occhi.

Tooru non lo biasimava per la sua reticenza: a sua insaputa, aveva fantasticato su più di un modo per stringerlo in pugno. Sorrise amaramente. “Sulla vita di mio figlio… Te lo giuro sulla vita di mio figlio,” disse. “Perchè è di questo che stiamo parlando, no?”

Wakatoshi annuì. “Allora rinnovo il mio patto di alleanza. Ti giuro lealtà e, sì, lo faccio sulla vita di mio figlio.”




Furono loro i primi a mettere le vite dei loro eredi sul piatto della bilancia.

Furono loro i primi a spingermi verso la la loro condanna.





***




Shouyou era carino.

Tsutomu non aveva ragione di negarlo fin tanto che si limitava a pensarlo in silenzio.

Era minuto ma ben proporzionato e morbido nei punti giusti.

Si schiaffò una mano in faccia con particolare violenza ed il Principe dei Corvi si spaventò.

“Qualcosa non va?” Domandò Shouyou nuotando verso di lui.

Tsutomu scosse la testa. “Una mosca…” Mentì.

Shouyou si limitò a sorridere. “Usciamo un po’. Cominciò ad avere la pelle d’oca.”

Il Principe dell’Aquila annuì. Si accomodarono sul lato roccioso della vita in modo da poter tenere i piedi a mollo senza sporcarsi con il fango.

“Mi dispiace per prima,” disse Shouyou. “Per Tobio.”

Tsutomu lo guardò. “Non dovresti scusarti tu per lui.”

“Devo, invece,” disse Shouyou. “È stato rude con te a causa mia.”

“Tobio è rude con tutti.”

“Sì, ma in quel preciso momento…”

“Mi hai chiesto di venire per indispettirlo, vero?” Domandò Tsutomu fissando la superficie cristallina dell’acqua. Shouyou non rispose ed il Principe dell’Aquila strinse le labbra: no, non ci era rimasto male. Dopotutto, lui non aveva amici e doveva per forza esserci un motivo secondario se il Principe dei Corvi aveva scelto di passare del tempo con lui.

“Mi dispiace…” Mormorò Shouyou e si strinse le ginocchia al petto. “In realtà, non me ne sono nemmeno reso conto.”

“Non sono arrabbiato,” disse Tsutomu, anche se aveva una gran voglia di prendere a pugni il Principe Demone.

“Non importa! Non avrei dovuto farlo!” Esclamò Shouyou. “È la prima volta che lo faccio, a dire il vero.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Non hai mai usato nessuno per far del male a qualcun altro?”

“No!” Il Principe dei Corvi sgranò gli occhi. “È una cosa orrenda!”

“Non hai commesso un crimine.”

“E con questo? Questa volta, si è trattato di qualcosa di piccolo ma… Scusami, Tsutomu, scusami tanto.”

“Non fa niente,” disse il Principe dell’Aquila scrollando le spalle. “Non ti ho mai visto arrabbiato in quel modo,” ammise un poco curioso. “Di solito, tu e quell’altro litigate facendo un gran rumore. Prima, non hai urlato ma lo hai guardato in un modo… Tobio si è irrigidito subito.”

Shouyou appoggiò il mento sulle ginocchia. “Non mi è piaciuto come ha reagito ad un certo punto.”

“Reagito a cosa?” Domandò Tsutomu.

Non ebbe il tempo di ricevere alcuna risposta. Qualcosa cadde dal cielo ed atterrò in mezzo al laghetto con un tonfo tale che mosse tutta l’acqua.

Entrambi i Principi sobbalzarono.

“C-Che… C-Che…?” Shouyou tremava.

Tsutomu cercò una spada che non c’era: i suoi vestiti erano ancora sull’erba, all’ombra degli alberi.

Un fanciullo dai capelli corvini riemerse al centro dell’acqua con un gran sospiro. Shouyou sgranò gli occhi. “Tobio!” Urlò alzandosi in piedi.

Il Principe Demone lo guardò storto. “Che cosa vuoi? Conosci questa cascata solo grazie a me, ricordalo!”

“Ma da dove arrivi?” Domandò Tsutomu sollevando lo sguardo.

“Mi sono buttato,” rispose Tobio.

“Dalla cima della cascata?!”

“No, da una nuvola, Tsutomu!”

“Come osi prendermi in giro!”

“Basta!” Esclamò Shouyou entrando in acqua e parandosi tra i due per la seconda volta della giornata. “Non c’è bisogno di litigare… E tu non dovevi lavorare nei campi?” Aggiunse rivolgendosi al Principe Demone.

“Ho lavorato in fretta per raggiungervi,” disse Tobio guardando un punto qualunque della boscaglia.

Per un attimo, Shouyou ne fu sorpreso, poi sorrise.

Tobio lo guardò con la coda dell’occhio e le sue gote si colorarono un poco.

Tsutomu distrusse il momento tuffandosi tra loro. “Non pensare che lascerò correre senza vendicarmi!” Urlò il Principe dell’Aquila riemergendo.

Tobio digrignò i denti e lo schizzò. Tsutomu rispose prontamente. Shouyou rise e si unì a loro.
Fu in mezzo a quel caos di acqua e strilli che il Principe dell’Aquila notò qualcosa. Fu un’immagine veloce e gli passò davanti agli occhi mentre tossiva per riprendere fiato. Tobio si era fermato e così anche Shouyou. Si guardavano e quest’ultimo sorrideva.
C’era qualcosa di strano ma Tsutomu non poteva indovinare cosa.

Fu il Principe Demone a spezzare l’immobilità: afferrò il Principe dei Corvi per i fianchi e lo gettò in acqua. Seguirono altre risate.

Giocarono fino al calar del sole.




***




Hajime sapeva che, in qualche modo, quell’esperienza non gli avrebbe fatto bene.

In cuor suo, prevedeva che se ne sarebbe pentito non appena tutto sarebbe finito.

Cioè non gli impedì di uscire dai cancelli del Castello Nero al calar del sole per andare alla locanda con cui era stato con Tooru solo quel pomeriggio.

C’era un ronzio nelle sue orecchie che non se ne voleva andare ed era stato Tooru a farlo cominciare. O, forse, no, non era proprio un ronzio.

Era l’eco di un ricordo. Le immagini di una giovane donna dai lunghi e ricciuti capelli castani e le curve di due semi morbidi accentuate dalla luce del caminetto acceso.

Era stata una magia, nulla di più ma era stata loro e non era stata fatta per fare del male a nessuno.

Tobio aveva tre anni e lui e Tooru erano tutta la sua vita.

Era stato un bell’inverno.

In quell’estate che finiva, però, non c’era rimasto nulla di tutto quello.

Hajime varcò la porta della locanda e la cameriera – quella che li aveva serviti quel pomeriggio e che un poco assomigliava a Tooru – gli sorrise.

Fu terribilmente facile per il Primo Cavaliere rispondere a quel sorriso.




***






Il cielo si era colorato delle tinte del tramonto. Seduto nell’acqua più bassa, con la schiena appoggiata alla parete di roccia, Tobio lo contemplava con la mente sgombra. Tsutomu aveva abbandonato il fronte da un po’ e si era addormentato sulla riva con solo i pantaloni addosso e la tunica appallottolata sotto la testa. Russava pure.

“A che pensi?” Shouyou nuotò nella sua direzione. Puntò le mani ai lati dei suoi fianchi, il corpo sospeso nell’acqua.

Tobio scrollò le spalle. “A niente…”

“Nessun brutto pensiero?” Si assicurò Shouyou inarcando un sopracciglio.

“Non ora,” ammise il Principe Demone. “Più tardi, forse…”

Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Tobio…” S’inginocchiò nell’acqua. “Perchè hai reagito tanto male, prima?”

L’espressione di Tobio s’indurì. “Perchè hai dovuto porre attenzione ad un idiota capitato lì per caso?”

“Mi sembrava cortese.”

“Io ero lì. Tanto rumore per attirare la mia attenzione e tu…”

Shouyou rise. “Non puoi essere gelose per una sciocchezza simile!”

“Non sono geloso!” Replicò il Principe Demone con forza. “Ma se ti dedico il mio tempo, io pretendo la tua attenzione!”

Shouyou storse la bocca. “Possessivo a dir poco…”

“E piantala!”

Il Principe dei Corvi mi mosse nell’acqua fino a ritrovarsi seduto sulle gambe del Principe Demone.

Tobio lo fissò con gli occhi sgranati. “Che cosa fai adesso?”

“Ti dedico tutta la mia attenzione,” rispose Shouyou con un sorriso furbetto.

“No, questa è aggressione!”

“Non mi pare di starti facendo male.”

“Mi hai preso in contropiede!”

“Devo chiederti il permesso per esaurire la distanza tra noi?” Domandò Shouyou annoiato, poi sorrise. “Beh… Almeno, non sono il più timido tra noi due.”

“Io non sono timido!” Sbottò Tobio. “Non sono… Abituato.”

C’era stato un tempo in cui sua madre lo riempiva di baci fino all’esasperazione, ma era passato e non voleva ricordare, non col Principe dei Corvi tra le sue braccia.

Di colpo, un profumo cominciò ad aleggiare nell’aria e Tobio comprese immediatamente quello che stava succedendo. “Smettila…” Sibilò. Era un buon profumo. Buonissimo.

Shouyou ridacchiò. “Lo sto facendo?”

Tobio inarcò le sopracciglia. “Non te ne rendi conto?”

Il Principe dei Corvi scrollò le spalle. “Non proprio,” ammise. “È come la voglia di baciarti. Sono vicino a te e succede.”

“Adesso hai voglia di baciarmi?” Domandò Tobio.

“Non bacio qualcuno che ha già rifiutato un bacio da me,” replicò Shouyou con un broncio.

Il Principe Demone alzò gli occhi al cielo. “Quando parli così mi ricordi tanto…” Si bloccò. Non voleva dirlo, non voleva pensarci. Se fosse tornato a riflettere su tutti i punti in comune che vedeva tra Tooru e Shouyou sarebbe diventato pazzo.

“Io ne sono onorato, a dire il vero,” disse Shouyou. “Se ho qualcosa che ricorda lui…”

“Contento tu.”

“È un grande Re.”
“È la persona che più mi ha ferito al mondo.”

Shouyou sospirò. “Sì, ma per amore di tuo padre è stato pronto a combattere una guerra. Se avesse perso, tutti lo avrebbero giudicato egoista e folle. Il destino gli ha concesso una fama diversa.”

“Tu che cosa ne pensi?” Domandò Tobio.

“C’è onore nel voler combattere per il proprio cuore,” rispose Shouyou sinceramente. “Per questo sto combattendo te.”

“Ah, noi stiamo combattendo…” Disse Tobio con un sorrisetto insopportabile.

“Tu scappi ed io volo per raggiungerti,” disse Shouyou. “Io sono qui, Tobio. Che cosa hai intenzione di fare?”

Erano ancora nella stessa posizione: a Tobio sarebbe bastato sporgersi in avanti per baciarlo ma, dopo, quanto sarebbe stato facile per Shouyou scappare?

“Non mi hai ancora detto cosa faresti,” disse il Principe dei Corvi, quasi avesse captato il suo pensiero. “Temi che, un giorno, volerò via da te… Non mi hai detto, però, che cosa faresti allora.”

Gli occhi blu di Tobio s’illuminarono di una luce strana: erano stupendi, eppure inquietanti. Shouyou non sarebbe mai riuscito a distogliere lo sguardo da quel fuoco gelido.

“Immagino che dovrei procurarmi delle ali più grandi e possenti delle tue per venirti a prendere.” Fu la risposta del Principe Demone.

Shouyou sentì un brivido freddo lungo la schiena. Si fece serio, rigido. Quelle parole lo spaventarono e lo affascinarono, al contempo. Qualcosa scorreva sotto la sua pelle rendendolo nervoso ma non in modo negativo.

Era quello il desiderio? L’eccitazione? La possessività di Tobio gli faceva un simile effetto?

Il profumo si era fatto soffocante ed il Principe Demone accettò la resa. Fece scivolare le dita tra i capelli umidi sulla nuca del Principe dei Corvi.

“Mi hai raggiunto, piccolo Corvo.”

Le labbra di Shouyou a stento sfiorarono le sue ma Tobio ebbe il tempo di percepire il sorrisetto in cui erano piegato, poi vi furono solo piume nere.

Il Principe Demone si ritrovò a fissare il vuoto di fronte a sè. Il Corvo aveva spiccato il volo ed era già lontano.

Tobio strinse a pugno le dita della mano con cui aveva toccato Shouyou e sorrise.

“Siamo in gioco. Giochiamo.”

Era un cacciatore e poche cose lo esaltavano come inseguire una preda che non aveva alcuna intenzione di farsi catturare.







A pochi metri di distanza, Tsutomu serrò le dita sull’erba sotto di lui ed usò tutta la concentrazione di cui disponeva per rimanere completamente immobile. Non aveva sentito niente. Non aveva capito niente.

Sì, proprio così! Se lo sarebbe ripetuto fino allo sfinimento e, con un po’ di fortuna, all’alba del giorno dopo avrebbe ricordato quegli istanti come uno strano sogno senza significato.












 
   
 
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